giovedì 20 dicembre 2012

Dalla Camera a Palazzo Chigi, gli appalti pubblici della Casta col segreto di Stato. - Thomas Mackinson


Camera dei deputati


Il tutto grazie anche a un codicillo che il governo Berlusconi ha inserito nella finanziaria due anni fa che amplia l’ambito della secretazione della normativa e rimette le autorizzazioni in capo ai dirigenti ministeriali. In pratica ogni burocrate romano di peso può decidere di affidare personalmente un maxi-appalto senza gara.

C’è un pezzo di casta che col pretesto della ‘massima sicurezza‘ si rifà bagno e salotto, lontano da occhi indiscreti. Tra gli appalti coperti da segreto di Statosenza Iva e a chiamata diretta non pubblicizzata, non c’è solo il rifacimento dell’aula bunker di Poggioreale. Ci sono anche l’aula dei gruppi parlamentari della Camera, il rifacimento della biblioteca di Palazzo Chigi, la riqualificazione della sala benessere e la ristrutturazione dei bagni per le scorte del Viminale. C’è perfino il rifacimento del bar e della sala ristoro per autisti del governo. Il tutto grazie anche a un codicillo che il governo Berlusconi ha inserito nella finanziaria due anni fa che amplia l’ambito della secretazione della normativa sugli appalti pubblici (d.lgs. 163/2006) e rimette le autorizzazioni in capo ai dirigenti ministeriali. In pratica ogni burocrate romano di peso può decidere di affidare personalmente un maxi-appalto a imprese di sua fiducia, evitando la gara e tenendo riservata l’esistenza stessa di un contratto, non dovendo pubblicizzare contenuti e condizioni, importi e aziende beneficiare. Praterie per chi volesse approfittarne, un colpo al cuore ai principi di legalità e trasparenza.
Da allora la corsa ai contratti “classificati” non si è più fermata, il loro numero è esploso arrivando a un valore di 200-250milioni di euro l’anno. Ogni ministero ne fa man bassa, in testa la Presidenza del Consiglio per la quale, scrive la Corte dei Conti, “la denominazione stessa degli appalti è inconoscibile”. Si sa però che ha fatto ricorso alla secretazione per restaurare l’aula dei Gruppi parlamentari in via Campo Marzio. Un “regalo” che la Camera si concede per i 150 anni dell’unità d’Italia, a carico dei contribuenti per 14 milioni di euro. La nuova aula, inaugurata il 16 giugno 2011, sarà un gioiello di tecnologia con 286 postazioni attrezzate con i più avanzati impianti per il voto, una sala regia per le riprese, postazioni per interpreti e traduttori. Il punto però è la scarsa trasparenza che accompagna il rifacimento di questo (e altri) luoghi-simbolo della Repubblica e del potere.
I costi che aumentanoNella cerimonia di riapertura il presidente della Camera Gianfranco Fini spiegava che la nuova aula “dovrà favorire una maggiore apertura delle istituzioni ai cittadini accrescendo la trasparenza e le visibilità dell’attività parlamentare”. Un manifesto dei buoni propositi piantato nella sabbia,  perché una parte dei lavori per l’auletta in questione – importo 1,3 milioni di euro – era stato secretato. Chi lo ha vinto e perché, non è dato sapere mentre si saprà l’importo finale dei lavori per 14 milioni di euro. Il governo ha usato la stessa procedura per ristrutturare la “biblioteca chigiana” realizzata dall’architetto Contini e perfino il bar e il punto ristoro della sala autisti della Presidenza del Consiglio. E non è l’unico, il Viminale ha fatto ricorso ad appalti classificati per rifare i bagni e la sala benessere del reparto scorte a Villa Tevere. Guai, insomma, a ficcare il naso nel bagno degli autisti. Ma che ci sarà poi di così segreto? Forse il fatto che l’appalto che inizialmente doveva costare 284mila euro alla fine è stato aggiudicato per 406.315, nonostante un ribasso dichiarato del 20%.
Sulla secretazione aleggia da tempo un sospetto: che abbia poco a che fare con la sicurezza dello Stato e molto con la possibilità di liberare la committenza pubblica dai lacci delle norme e dai controlli. La Corte dei Conti, del resto, rileva un’anomala lievitazione dei costi “frutto di perizie di variante, quasi sempre in aumento, che inducono a considerazioni negative in ordine alla corretta individuazione dei fattori di costo”. Si dirà che è tipico dei contratti pubblici. Ma la secretazione amplia i margini di manovra in fase d’assegnazione e riduce le informazioni disponibili in fase di controllo: per i magistrati contabili “permangono criticità sulla possibilità di conoscere in maniera precisa le dimensioni del fenomeno e l’utilizzazione degli strumenti di segretazione nei casi strettamente necessari”. Spesso l’aumento degli importi finali è superiore al massimo consentito del 5%. E non sono bruscolini.
Carceri e Finanza
Nel 2005, ad esempio, parte la mega ristrutturazione del Comando provinciale della Gdf di Como, lavori per 11,8 milioni di euro. L’impresa che ha vinto l’appalto, ovviamente schermata, fa rilevare che “a seguito di prove geotecniche è indispensabile procedere a nuovi interventi di sistemazione delle fondazioni” e scatta una commessa aggiuntiva per 1,5 milioni. Tutto corretto? Impossibile saperlo, il Comando Generale dal 2003 ha blindato ogni lavoro al suo interno, ricorrendo alla secretazione. E ancora. Nel 2010 il provveditorato ai Lavori Pubblici dell’Emilia Romagna assegna un appalto classificato per il “ricovero attrezzi agricoli e laboratorio per il miele” nella casa circondariale di Modena. Nel 2011 ne stipula un secondo per “sopraggiunte necessità di adeguamento funzionale” al primo progetto. L’importo lievita di 50mila euro, il conto finale sarà di 428mila euro. Congruo, non congruo? Impossibile dirlo, la pratica è secretata trattandosi di un carcere. Peccato che – fa rilevare la Corte dei Conti – nella documentazione trasmessa non ci sia traccia del verbale di lecitazione e “nel decreto di approvazione si parli genericamente di requisiti di idoneità della ditta aggiudicatrice”. Di più non si sa. È un segreto di Stato.

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