Paradossale la lezione sul segreto di Stato tenuta ieri da Marco Mancini all’università di Pavia. Parlando di corda in casa dell’impiccato, l’ex agente segreto Mancini ha citato istituzioni, codici, articoli e commi, senza mai fare alcun riferimento esplicito al sequestro di persona per cui è stato condannato a 9 anni da una Corte d’appello, per poi essere prosciolto dalla Cassazione proprio grazie al segreto di Stato. E poi di nuovo salvato, sempre dal segreto di Stato, per i dossieraggi illegali Telecom.
Mancini, l’uomo che fu salvato due volte (dal segreto di Stato), diventa professore di segreto di Stato. Come se Franco Freda (assolto per la strage di piazza Fontana) fosse chiamato all’università a far lezione su piazza Fontana. Nell’aula non è mai risuonato il nome della vittima, Abu Omar, sequestrato nel 2003 a Milano da un gruppo della Cia con l’appoggio di Mancini e del Sismi (il servizio segreto militare) di Niccolò Pollari e poi portato in Egitto dove fu per mesi torturato.
Il pensiero va a un illustre docente della stessa università di Pavia, il professor Vittorio Grevi, che fino alla fine della sua vita criticò, con raffinati argomenti giuridici, l’allargamento dei confini del segreto di Stato che salvò Pollari e Mancini. Ma nessuno li ha ricordati ieri.
Ecco allora almeno i fatti, dimenticati nella lezione-autodifesa dell’ex agente del Sismi e poi dirigente del Dis (l’agenzia che coordina i servizi di sicurezza per l’interno e per l’estero, andato in pensione dopo lo strano incontro segreto in autogrill con Matteo Renzi). Mancini è prosciolto, grazie al segreto di Stato, in primo grado e in appello dall’accusa di sequestro di persona. Svolta in Cassazione: proscioglimento annullato, perché il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così il nuovo processo d’appello nel 2013 condanna Mancini a 9 anni di reclusione e Pollari a 10. Ma intanto il segreto di Stato sul caso Abu Omar è confermato dai governi che si succedono (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), che aprono conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici.
La sentenza della Corte nel 2014 estende il segreto di Stato ai documenti del processo Abu Omar, sostenendo che copre non un fatto-reato, ma gli assetti interni dei servizi di sicurezza e i loro rapporti con la Cia. La Cassazione a questo punto non può che prendere atto della pronuncia della Consulta e annullare le condanne a Mancini, Pollari e altri tre agenti del Sismi: improcessabili per segreto di Stato.
Sarà la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu), nel 2016, a stabilire che l’Italia ha violato cinque diritti sanciti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo: la proibizione di trattamenti umani degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a effettivi rimedi giudiziari, il diritto al rispetto della vita familiare.
“Le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un’operazione di extraordinary rendition cominciata con il suo rapimento in Italia e continuata con il suo trasferimento all’estero”, scrive la Cedu; nonostante ciò, “l’Italia ha applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio e tale da assicurare che i responsabili del rapimento, della detenzione illegale e dei maltrattamenti ad Abu Omar non dovessero rispondere delle loro azioni”. La sentenza di Strasburgo riconosce il buon lavoro dei magistrati, i pm di Milano Ferdinando Pomarici e Armando Spataro e i giudici che hanno condannato: “Nonostante gli sforzi degli inquirenti e giudici italiani, che hanno identificato le persone responsabili e assicurato la loro condanna, questa è rimasta lettera morta a causa del comportamento dell’esecutivo”. Ma tutto ciò gli studenti del professor Alessandro Venturi, che ha invitato Mancini in cattedra, non lo hanno sentito. Hanno sentito disegnare una confusa e vecchia visione dello Stato panopticon (come il carcere di Santo Stefano, o meglio di Bentham) che tutto vede senza essere visto. Hanno sentito parlare di diritto alla difesa da garantire a tutti (anche ad Abu Omar torturato in Egitto?). Hanno sentito proclamare il divieto al testimone di violare il segreto di Stato (ma Mancini era imputato, non testimone, e la Costituzione garantisce sopra tutto il diritto alla difesa).
La cosa più insopportabile era l’atteggiamento vittimista che aleggiava nell’aula di Pavia: “Dobbiamo saper andare contro il pensiero unico, superare il mainstream e gli attacchi della stampa”, dicevano.
Davvero curioso, in bocca a chi, difeso da quasi tutta l’informazione, è saldamente al centro del potere – il potere vero, forte, intoccabile, armato, segreto – che lo ha due volte salvato incrinando delicatissimi equilibri istituzionali e obbedendo a fortissime alleanze internazionali. Alla fine, il panopticon ha vinto.
ILFQ