domenica 31 marzo 2019

Perchè le api hanno una regina.

venerdì 29 marzo 2019

“Il partito sbagliato” - Marco Travaglio

Quando si analizza il calo dei 5Stelle nei sondaggi e nelle urne, si parla sempre dell’alleanza con la Lega, degli errori, delle gaffe, degli scandali. Tutto vero. Ma non si parla mai del trattamento speciale, ad movimentum, che riserva loro la stampa. Che sarà anche meno letta di un tempo, ma rimane il principale produttore di contenuti, poi ripresi e irradiati da tv, radio e siti web. Da dieci anni, cioè da quando nacquero, i 5Stelle sono l’obiettivo unico del tiro al bersaglio concentrico da destra, dal centro e da sinistra. Una caccia all’uomo che dipende dal loro essere contro tutti. Ma anche dalla loro refrattarietà e incompatibilità con tutti i poteri che regnano sulla politica e sull’informazione al seguito.  Così lo sputtanamento è a senso unico. E chi, come noi, si sforza di trattare tutti allo stesso modo a parità di notizie, passa pure per simpatizzante di questo o di quello. Perché, quando c’è di mezzo un 5Stelle, tutte le categorie di pensiero e le prassi consolidate non valgono più, anzi vengono ribaltate. Anche sui fatti meno importanti. Appena eletto segretario Pd, Nicola Zingaretti ha sbagliato un congiuntivo: fosse stato Toninelli o Di Maio, sarebbe stato sbeffeggiato con appositi video e articoli. Invece Repubblica, che non si perde un errore pentastellato, ha ripreso la frase di Zinga, ma gli ha corretto il congiuntivo: non sia mai che qualche lettore possa dubitare della sua infallibilità. 
Lo stesso gioco sporco investe le scelte politiche: c’è chi ha sempre ragione e chi ha sempre torto. Gli stessi giornali (tutti) che nel 2012 avevano plaudito al No del governo Monti alle Olimpiadi di Roma 2020, quattro anni dopo hanno massacrato la sindaca Raggi per il no a Roma 2024. Gli stessi giornali che per 25 anni avevano chiesto il blocco della prescrizione addirittura al rinvio a giudizio, hanno massacrato il ministro Bonafede perché l’ha bloccata alla sentenza di primo grado. Ma i doppiopesisti danno il meglio di sé sugli scandali giudiziari. Sono dieci anni che tentano di dimostrare che i 5Stelle rubano come gli altri (come se questa fosse una consolazione per noi o un alibi per gli altri). Purtroppo per loro, fino alla scorsa settimana, nessun M5S era mai stato arrestato o inquisito per corruzione o reati simili (le inchieste sulle giunte 5Stelle riguardano bilanci fallimentari ereditati dai predecessori, storie di nomine, l’alluvione a Livorno, la tragedia di piazza San Carlo a Torino, dirigenti comunali imputati per fatti di anni prima). Figurarsi il tripudio quando finalmente è finito in carcere De Vito. Si sperava che portasse con sé la sindaca e tutto il movimento.
Invece pare che lavorasse in proprio e la Raggi lo tenesse a debita distanza. Il che non ha impedito ai giornaloni di titolare sulla Raggi anche le cronache sull’arresto di De Vito, come se il presidente del Consiglio comunale lo nominasse il sindaco. L’indomani però s’è scoperto che, nella vecchia indagine sulle mazzette trasversali di Parnasi per lo stadio – chiusa da tempo con 19 richieste di giudizio (anche per tre politici: due di FI e uno del Pd) – non era stata ancora chiesta l’archiviazione per l’assessore allo Sport Daniele Frongia, indagato nientemeno che per corruzione perché Parnasi gli aveva chiesto qualche giornalista per una sua azienda e lui ne aveva avvertiti tre. Archiviazione peraltro scontata e imminente. E tutti ci si sono buttati a pesce, facendo credere che il caso De Vito coinvolgesse la Raggi tramite il “fedelissimo” Frongia. Bisognava fare in fretta, perché a giorni l’assessore sarebbe stato archiviato e la truffa ai danni di milioni di lettori, telespettatori, radioascoltatori e internettari sarebbe stata smascherata. Infatti sabato Frongia dominava tutte le prime pagine.
“Il cerchio si stringe sulla Raggi. Indagato pure il suo assessore”, “Ora cade il teorema dell’unica mela marcia”, “Cade il sindaco-ombra sempre vicino a Virginia” (il Giornale). “Stadio della Roma. Indagato Frongia, fedelissimo della Raggi, accusato di corruzione. L’inchiesta ha già portato in carcere il grillino De Vito”, “Di Maio chiama la sindaca: ‘Così danneggi il M5S’” (La Stampa). “Indagato Frongia. E ora la Raggi balla davvero. Il fedelissimo della sindaca avrebbe accettato favori dall’imprenditore Parnasi” (il manifesto). “Ciclone giudiziario su Raggi” (Corriere della Sera). “Frongia, fedelissimo di Raggi nella rete della corruzione”, “Campidoglio sotto accusa”, “La giunta Raggi sotto accusa”, “La cricca grillina” (Repubblica). “Assessore indagato, Raggi trema”, “Ascesa e caduta di Daniele”, “Stadio, indagato Frongia” (Messaggero). La prova della malafede era la notizia, ben nascosta negli articoli, che forse già lunedì i pm avrebbero chiesto di archiviare Frongia per non aver fatto nulla di illecito. La riprova è arrivata ieri, quando tutti i giornali (tranne il Messaggero) che sabato sbattevano Frongia indagato in prima pagina hanno nascosto o ignorato Frongia scagionato mercoledì dai pm. La Stampa: 12 righe a pagina 6. Il manifesto: colonnino a pag. 6. Repubblica: nemmeno un titolo, solo un inciso di 6 righe a pag. 18 in un articolo su tutt’altro tema. Il Giornale: una breve a pag. 8. Corriere: una notizietta a pag. 18. Intanto, sempre l’altroieri, la Procura di Milano ha chiesto di condannare a 2 anni di carcere per turbativa d’asta il leghista Massimo Garavaglia. Che non fa l’assessore comunale allo Sport, ma il viceministro dell’Economia. E non è indagato in attesa di archiviazione, ma imputato in attesa di sentenza. Però si è scelto il partito giusto: la Lega. Risultato: un colonnino a pag. 9 sul Corriere, uno a pag. 10 sul Giornale e zero tituli su tutti gli altri quotidiani. Inclusi quelli “de sinistra” che fingono di combattere Salvini. Fosse stato un 5Stelle, prima pagina assicurata. Poi si domandano perché vince Salvini.

Sanità, Censis-Rbm: “L’anno scorso 12,2 milioni di italiani non si sono curati per motivi economici”. - Chiara Daina

Sanità, Censis-Rbm: “L’anno scorso 12,2 milioni di italiani non si sono curati per motivi economici”

Il risultato, secondo il Rapporto Censis-Rbm, è che la spesa sanitaria privata è lievitata a 35,2 miliardi di euro, con un aumento del 4,2 per cento in tre anni (2013-2016).

Nel 2016 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato le cure sanitarie per motivi economici. Una fetta di emarginati che è notevolmente cresciuta rispetto al 2015 (più 1,2 milioni). E’ quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm. Considerando anche i cittadini che hanno avuto difficoltà economiche e si sono impoveriti per sostenere di tasca propria le spese mediche (intramoenia o in strutture private), la cifra sale a 13 milioni. Di questi, 7,8 milioni sono stati costretti ad attingere ai risparmi di una vita o addirittura a indebitarsi con parenti e amici, fino ad aprire un mutuo in banca. E 1,8 milioni sono precipitati nella fascia di povertà.
Il risultato, si legge nel Rapporto, è che la spesa sanitaria privata è lievitata a 35,2 miliardi di euro, con un aumento del 4,2 per cento in tre anni (2013-2016). In assoluto, secondo il sondaggio Rbm, l’impegno più oneroso è per le visite specialistiche (74,7 per cento), seguito dall’acquisto dei farmaci o dal pagamento del ticket (53,2), dagli accertamenti diagnostici (41,1), prestazioni odontoiatriche (40,2), analisi del sangue (31), lenti e occhiali da vista (26,6), riabilitazione (14,2), protesi, tutori e ausili vari (8,9) e spese di assistenza sociosanitaria.
Il motivo principale per cui si ricorre sempre più spesso al privato sono le liste di attesa troppo lunghe nel pubblico. Queste in parte dipendono dal sott’organico cronico di personale e dall’impatto dell’invecchiamento della popolazione sull’organizzazione socio-sanitaria. Con evidenti disomogeneità locali. Qualche esempio: “Per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni (più 6 giorni rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (6 giorni in più), ma al Sud ne sono necessari 111. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (più 8 giorni), ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (nel 2014 erano otto in meno), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (18 giorni in più), con un picco di 77 giorni al Sud”.
La spending review in sanità, si ricorda nel Rapporto che cita la Corte dei Conti, ha fatto ridurre la spesa sanitaria pubblica pro-capite dell’1,1 per cento l’anno in termini reali dal 2009 al 2015. Diversamente da quanto è accaduto nello stesso periodo in Francia, dove è cresciuta dello 0,8 per cento l’anno, e in Germania (più 2 per cento annuo). La differenza è lampante anche se si osserva l’incidenza della spesa sanitaria rispetto al Pil: il 6,8 per cento da noi, l’8,6 in Francia e il 9,4 in Germania.

Renzi senior «socio occulto» della Marmodiv: il tribunale dichiara il fallimento. - Ivan Cimmarusti



Il tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento della cooperativa Marmodiv, una delle società di cui si occupa l’inchiesta per bancarotta fraudolenta e false fatture nella quale sono indagati, tra gli altri, Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori dell’ex premier Matteo Renzi. La Procura della Repubblica sostiene che i genitori dell’ex presidente del Consiglio ed ex segretario del Partito democratico controllassero la società attraverso prestanome e che fossero loro gli amministratori di fatto. Per questo i magistrati hanno anche eseguito misure cautelari.

L’indagine sulla “Eventi6”.
I pm di Firenze sostengono che i Renzi avessero costituito delle cooperative per consentire alla srl “Chil Post”\”Eventi6”, riconducibile agli indagati (...) di avere a disposizione lavoratori dipendenti senza dover sopportare i costi relativi all'adempimento di oneri previdenziali ed erariali, tutti spostati in capo alle cooperative stesse». In sostanza, «la società “Chil Post” (poi “Eventi 6”) si sarebbe avvalsa del personale, formalmente assunto dalle cooperative le quali, non appena raggiunta una situazione di difficoltà economica, sono state dolosamente caricate di debiti previdenziali e fiscali, ed abbandonate al fallimento. Le cooperative si sarebbero succedute nel tempo, mantenendo tuttavia gli stessi dipendenti e gli stessi clienti. La Cooperativa “Marmodiv” avrebbe poi svolto attività di sovrafatturazione per consentire alla “Eventi 6” evasione delle imposte».

Le sovrafatturazioni della “Marmodiv”.
I magistrati indagano anche sulla stessa “Marmodiv”. Gli inquirenti ipotizzano che ci sia una fattura falsa portata allo sconto, in banca, per l’anticipo da parte degli attuali amministratori della cooperativa “Marmodiv”. La cooperativa era stata ceduta dai Renzi ai nuovi amministratori. Il tribunale fallimentare ha fatto eseguire una perizia integrativa proprio in relazione alla voce «fatture da emettere» che il perito aveva messo in dubbio. La perizia supplementare deve anche esplorare l’eventuale ipotesi di reato di falso in bilancio. Al momento, come rileva il gip Angela Fantechi, c’è l’ipotesi di una fattura falsa portata allo sconto per cui è pervenuta una querela da parte di Banca Cambiano. La querela, osserva il giudice, «conferma quanto accertato dalla Guardia di finanza, circa la presentazione allo sconto di fatture false anche in altre ipotesi per opera delle persone a cui Renzi ha ceduto la cooperativa».

https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-03-28/renzi-senior-socio-occulto-marmodiv-tribunale-dichiara-fallimento--200948.shtml?uuid=AB2eVxiB&refresh_ce=1

Leggi anche: 



https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-02-19/fatture-false-renzi-non-grido-complotto-processo-sia-rapido--101528.shtml?uuid=ABhYjpVB

e anche: 



https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-03-01/renzi-senior-contraddizioni-difesa-quattro-inchieste-fatture-false-183118.shtml?uuid=ABiTDmZB

C’è un unico vero “Russiagate”: ed è quello di Hillary Clinton. - Roberto Vivaldelli

Hillary Clinton durante la campagna elettorale in Iowa

E se il vero “Russiagate” coinvolgesse Hillary Clinton? Ora che l’esito delle indagini del procuratore speciale Mueller ha stabilito che fra la campagna di Donald Trump e la Russia non c’è alcuna “collusione” riemergono le ombre sulle operazioni passate dei democratici. Su tutte, lo scandalo “Uranium One”.

Come rileva Breitbart, un certo numero di domande senza risposta riguardano il ruolo che assunse l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton nel consegnare il 20% delle forniture di uranio americano alla società di proprietà del governo russo. Ad oggi, nessuna seria indagine è stata avviata per fare luce su quella decisione controversa.

Torna alla ribalta il “Russiagate” di Hillary Clinton.
Come riporta Forbes, del caso se n’è occupato di recente il senatore dell’Iowa Chuck Grassley, presidente della commissione giudiziaria del Senato, che ha chiesto informazioni al bureau rispetto a una perquisizione fatta dall’Fbi nella residenza di un informatore che sarebbe stato in possesso di informazioni importanti inerenti la Fondazione Clinton e l’operazione Uranium One.

“Il 19 novembre 2018 – scrive Grassley – l’Fbi ha fatto irruzione nella casa di un suo informatore, il signor Dennis Nathan Cain, che sarebbe in possesso di documenti relativi alla Fondazione Clinton e all’operazione Uranium One”. Il senatore chiede “su quali basi l’Fbi ha deciso di effettuare il suddetto raid il 19 novembre 2018” con la richiesta di “fornire una copia del mandato e di tutte le dichiarazioni sostitutive”. Inoltre, Grassley chiede informazioni a Christopher Wray, direttore del bureau, “rispetto al materiale sequestrato” e se questo “contiene informazioni riservate”. Domande che, ad oggi, non hanno ricevuto risposta o che non sono state rese pubbliche.

L’affare Uranium One.
Come vi abbiamo raccontato su Gli Occhi della Guerra,  secondo i critici, quando era Segretario di Stato, Hillary Clinton usò la sua carica per aiutare la Russia ad acquisire il controllo di un quinto delle riserve americane di uranio in cambio di milioni di dollari versati alla Clinton Foundation, la fondazione di famiglia.

Come spiega Federico Punzi su Formiche, nel 2013, “il colosso statale russo per l’energia atomica, la Rosatom, acquisisce il controllo della compagnia canadese Uranium One e, tramite essa, di un quinto delle riserve minerarie di uranio negli Stati Uniti per un valore di decine di miliardi di dollari.  uranio negli Stati Uniti per un valore di decine di miliardi di dollari. Ovviamente, essendo l’uranio un bene strategico, con evidenti implicazioni per la sicurezza nazionale, l’acquisizione ha avuto bisogno del via libera di una commissione governativa”.

Mentre i russi presero gradualmente il controllo di Uranium One in tre transazioni distinte dal 2009 al 2013, secondo il New York Times  il presidente canadese della compagnia con sede a Toronto, Ian Telfer, fece quattro donazioni diverse alla Clinton Foundation attraverso la fondazione di famiglia, per un totale di 2,35 milioni di dollari. Nel 2010, spiega Punzi, “dopo che la Rosatom annunciò l’intenzione di acquisire la quota di maggioranza della Uranium One e poco prima che venisse concessa l’autorizzazione governativa, l’ex presidente Bill Clinton incassò mezzo milione di dollari dalla banca d’affari russa Renaissance Capital per un discorso pronunciato a Mosca”.

L’inchiesta di The Hill.
A riaccendere i riflettori su un’indagine che sembrava essere finita su un binario morto fu l’inchiesta pubblicata da The Hill nell’ottobre 2017, secondo la quale prima che l’amministrazione Obama approvasse l’accordo nel 2010, l’Fbi entrò in possesso di alcune prove in merito ad alcuni episodi di corruzione, bustarelle, estorsioni e riciclaggio di denaro che vedevano coinvolti i funzionari russi.
Inoltre, secondo un testimone oculare, gli uomini della Rosatom in quel periodo avrebbero speso milioni di dollari negli Usa a beneficio di fondazioni come quella dell’ex presidente Clinton, proprio nel periodo in cui il Segretario di Stato era Hillary Clinton. 

La verità su Uranium One, il Russiagate dei Clinton.
Ciò che è acclarato è che la Clinton Foundation ha nascosto una donazione straniera di 2,35 milioni di dollari da parte del capo della società russa che aveva fatto affari con il Dipartimento di Stato. 
Lo stesso New York Times ha confermato che Hillary Clinton ha violato il Memorandum of Understanding che lei stessa ha firmato con l’amministrazione Obama promettendo di rivelare tutte le donazioni straniere ricevute durante il suo mandato come Segretario di Stato.

Perché non tenne fede agli accordi presi? Cosa nascondeva? Inoltre, come conferma il New Yorker, Bill Clinton ha guadagnato 500.000 dollari per un discorso tenuto Mosca che fu pagato da “una banca d’investimento russa che aveva legami con il Cremlino” al momento dell’operazione Uranium One. Il dubbio rimane: perché non si è fatta luce su questa vicenda? D’altro canto Trump è stato messo sotto inchiesta per molto meno. Per non dire nulla. 

http://www.occhidellaguerra.it/russiagate-hillary-clinton-uranium-one/?fbclid=IwAR3yTHcPq5veMGpgu_nEl04UwQNQoPvyLyak2yzze6uHbrKO0dNiZ11TjtM

Palermo, corruzione elettorale. Gli ex deputati regionali Nino Dina e Franco Mineo condannati a 8 mesi.

Palermo, corruzione elettorale. Gli ex deputati regionali Nino Dina e Franco Mineo condannati a 8 mesi

5 euro per un voto, ma anche pacchi di pasta del “Banco opere di carità”. In tutto inflitte 16 condanne.

Palermo, 26 marzo 2018 – 8 mesi per l’ex deputato regionale dell’UDC Nino Dina, uguale condanna per Franco Mineo, ex parlamentare di Grande Sud.
La sentenza, emessa dalla quinta sezione del Tribunale di Palermo, riguarda anche altri 20 imputati coinvolti nell’inchiesta denominata “Agorà”, condotta dalla Guardia di Finanza, nata nel 2015 quando la Procura di Palermo ipotizzò i reati di corruzione elettorale aggravata, malversazione, millantato credito e peculato.
Un’inchiesta, coordinata dal Pubblico Ministero Amelia Luise, che aveva inizialmente coinvolto 28 persone, tra queste anche l’ex deputato regionale Roberto Clemente, precedentemente condannato con rito abbreviato.
10 anni e 10 mesi sono stati invece inflitti a Giuseppe Bevilacqua. Sembrerebbe essere lui la figura centrale dell’inchiesta che in seguito avrebbe coinvolto altre persone. Bevilacqua avrebbe ottenuto pacchetti di voti in cambio di denaro, cinque euro al voto. Avrebbe anche ringraziato gli elettori utilizzando i generi alimentari del “Banco opere di carità”, all’insaputa però dei volontari.
Siamo nel corso della campagna elettorale per le comunali 2012. Bevilacqua si era candidato al consiglio comunale di Palermo, ma non riuscì ad essere eletto. Ma secondo inquirenti, avrebbe utilizzato questi pacchetti di voti in occasione delle regionali 2012, mettendoli a disposizione di Dina, Mineo e Clemente. Dai candidati avrebbe ottenuto in cambio finanziamenti per associazioni e incarichi per propri familiari.
Dei 22 imputati sono stati condannati in 16:
Teresa Bevialcqua condannata a 4 anni e 6 mesi, Anna Brigida Ragusa a 4 anni e 5 mesi, Pietra Romano a 4 anni e un mese, Giusto Chiaracarne a 4 anni. 2 anni e 6 mesi inflitti a Domenico Noto, a Giuseppa Genna e Salvatore Ragusa, un anno e 4 mesi Natale Gambino, un anno a Giuseppe Antonio Enea, 8 mesi a Carmelo Carramusa, Salvatore Cavallaro, Onofrio Donzelli e Vincenzo Di Trapani. Assolti Pietro Cosenza, Enzo Fantauzzo, Salvatore Machì, Fernando Vitale, Salvatore Zagone e Agostino Melodia.

https://www.filodirettomonreale.it/2019/03/26/palermo-corruzione-elettorale-gli-ex-deputati-regionali-nino-dina-e-franco-mineo-condannati-a-8-mesi/#vBfzJAUfPFvqDiFb.99

Quasi 2 milioni di persone hanno dovuto restituire il bonus Renzi da 80 euro. - Andrea Carli



Circa 1,8 milioni di soggetti hanno dovuto restituire integralmente o parzialmente il bonus ricevuto per un importo di circa 494 milioni di euro (di cui il 56%, pari a 992.000 soggetti, ha dichiarato una restituzione integrale per un ammontare di 385 milioni di euro), di questi soggetti 1,2 milioni hanno però ottenuto anche la restituzione di ritenute Irpef indebitamente versate, pari a 770 milioni di euro.

È quanto emerge dalle statistiche fiscali pubblicate nel primo pomeriggio sul sito del Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni Irpef, relative alla totalità delle persone fisiche per l’anno d’imposta 2017.

I soggetti ai quali è stato erogato direttamente dal sostituto il bonus sono 12,2 milioni (+2,0% rispetto al 2016) per un ammontare di oltre 9,2 miliardi di euro. La rilevazione del Mef mette in evidenza invece circa 1,9 milioni soggetti (pari al 16,1% del totale soggetti con diritto al bonus) che hanno fatto valere il bonus in dichiarazione in forma parziale o totale per un importo di 825 milioni di euro (di cui il 38%, pari a oltre 772.000 soggetti, ha dichiarato di fruirne integralmente in dichiarazione per un importo di 564 milioni di euro).

10,5 milioni contribuenti con imposta “zero”.

L’imposta netta totale dichiarata è pari a 157,5 miliardi, in aumento dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Al netto degli effetti del bonus 80 euro, l’imposta netta Irpef è pari in media a 5.140 euro e viene dichiarata da circa 30,7 milioni di persone, il 75% dei contribuenti. Oltre 10,5 milioni di soggetti hanno un’imposta netta pari a zero. In prevalenza, spiega il ministero dell’Economia e delle Finanze, si tratta di contribuenti con livelli reddituali compresi nelle soglie di esenzione. Considerando i soggetti la cui imposta netta è interamente compensata dal bonus 80 euro, i soggetti che di fatto non versano l’Irpef salgono a circa 12,9 milioni.

Dai 94 paperoni arrivati 8 milioni di euro.

Primo bilancio anche per la tassa piatta sui cosiddetti paperoni che si trasferiscono in Italia. Nel complesso sono 94 i contribuenti esteri interessati: di questi 75 soggetti come contribuenti principali e 19 soggetti come familiari a cui è stato esteso il regime agevolativo da parte del contribuente principale. Nel primo caso l’imposta dovuta sui redditi esteri è pari a 100mila euro mentre nel secondo caso è di 25mila euro. Complessivamente le imposte pagate ammontano a 8 milioni di euro.

In calo il reddito complessivo totale dichiarato.

Il reddito complessivo dichiarato ammonta a circa 838 miliardi di euro (-5 miliardi rispetto all’anno precedente, -0,6%) per un valore medio di 20.670 euro, in flessione dell’1,3% rispetto al reddito complessivo medio dichiarato l’anno precedente. Il calo del reddito complessivo totale e medio è dovuto in parte agli effetti transitori dell’introduzione del regime per cassa per le imprese in contabilità semplificata e in parte al calo del reddito da lavoro dipendente.

La Calabria ha il reddito medio più contenuto.

La regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (24.720 euro), seguita dalla Provincia autonoma di Bolzano (23.850 euro), mentre la Calabria presenta il reddito medio più basso (14.120 euro). Anche nel 2017, quindi, è considerevole la distanza tra il reddito medio delle regioni centro-settentrionali e quello delle regioni meridionali.

5% contribuenti sopra 50 mila euro paga 39% Irpef totale.

Analizzando i contribuenti per fasce di reddito complessivo in base alle dichiarazione dei reddito per l’anno d’imposta 2017 si osserva che solo il 5,3% dei contribuenti dichiara più di 50 mila euro, versando il 39,2% dell’Irpef totale. Il 45% dei contribuenti, che dichiara solo il 4% dell’Irpef totale, si colloca nella classe fino a 15 mila euro; in quella tra i 15 mila e i 50 mila euro si posiziona circa il 50% dei contribuenti, che dichiara il 57% dell’Irpef totale.

In crescita il totale dei contribuenti.

Nel complesso, circa 41,2 milioni di contribuenti hanno assolto l’obbligo dichiarativo, direttamente attraverso la presentazione dei modelli di dichiarazione “Redditi Persone Fisiche” e “730”, o indirettamente attraverso la dichiarazione dei sostituti d’imposta (Certificazione Unica – CU). Il numero totale dei contribuenti è aumentato di circa 340.000 soggetti (+0,83%) rispetto all’anno precedente.

https://infosannio.wordpress.com/2019/03/29/quasi-2-milioni-di-persone-hanno-dovuto-restituire-il-bonus-renzi-da-80-euro/?fbclid=IwAR3n4VklDsaVtSAGbOJY4mH50C2PjVx34FlLwaNbvam6MX38bghRTgdneWA

giovedì 28 marzo 2019

Ecco gli autori degli incendi che nel luglio 2017 distruggevano Piano Geli e zone limitrofe. Due anni dopo la giustizia fa il suo corso. - Piergiorgio Immesi

Ecco gli autori degli incendi che nel luglio 2017 distruggevano Piano Geli e zone limitrofe. Due anni dopo la giustizia fa il suo corso

Gli incendi che interessarono il territorio di Monreale quell’estate ebbero effetti devastanti: ettari ed ettari di macchia mediterranea furono dati alle fiamme e ridotti in cenere.


Monreale, 26 marzo 2019 – Sono stati individuati ed arrestati oggi i responsabili degli incendi appiccati nel luglio 2017 nel territorio di Monreale: si tratta di Pietro e Angelo Cannarozzo, colpevoli anche di aver rubato parti di guard rail, rame e una telecamera installata dalla polizia.
Gli incendi che interessarono il territorio di Monreale quell’estate ebbero effetti devastanti: ettari ed ettari di macchia mediterranea furono dati alle fiamme e ridotti in cenere. Alcune villette furono evacuate, il rischio per i residenti era alto e il fuoco si estendeva velocemente.
Il primo incendio fu appiccato il 18 giugno, nei pressi di via Torrente d’Inverno, e distrusse quasi 5.000 metri quadri di vegetazione, oltre a rappresentare un grave pericolo per l’incolumità dei residenti. Poi nel mese di luglio arrivarono gli altri fuochi, uno di questi interessò l’area di Piano Geli, a Monreale, e furono necessari interventi lunghi e costosi per domare le fiamme.
Fu necessario l’intervento di due squadre, supportate da due moduli boschivi antincendio, e le fiamme lambivano le abitazioni. Quasi due anni dopo la giustizia ha fatto il suo corso e sono stati individuati i responsabili degli eventi catastrofici di quell’estate.

https://www.filodirettomonreale.it/2019/03/26/luglio-2017-le-fiamme-distruggevano-piano-geli-e-zone-limitrofe-due-anni-dopo-la-giustizia-fa-il-suo-corso/#xLqWvKprtubTO0BF.99


Leggi anche: 
https://www.blogsicilia.it/palermo/che-mi-interessa-se-bruciano-le-persone-intercettazioni-choc-dei-piromani-di-san-martino-video/476873/?fbclid=IwAR27xEJ8q27KTkT1p4uubW639Asduq6MAGZYggI4CmdqBSUueSvs4oN4v5o

mercoledì 27 marzo 2019

Tiziano Renzi, “aperto un fascicolo per traffico di influenze”. A Roma pm hanno chiesto archiviazione per vicenda Consip.

Tiziano Renzi, “aperto un fascicolo per traffico di influenze”. A Roma pm hanno chiesto archiviazione per vicenda Consip

È quanto scrive Panorama. Secondo il magazine l'ipotesi di reato è il traffico di influenze: tutto ruota intorno a un personaggio già noto nelle vicende del padre dell'ex premier: Luigi Dagostino, ex socio dei genitori di Renzi, arrestato lo scorso giugno per fatture false e coimputato con loro in un processo per false fatture.

Un nuovo fascicolo d’inchiesta, aperto a Firenze, sugli affari di Tiziano Renzi. È quanto scrive Panorama nel numero in edicola. Secondo il magazine l’ipotesi di reato è il traffico di influenze: tutto ruota intorno a un personaggio già noto nelle vicende del padre dell’ex premier: Luigi Dagostinoex socio dei genitori di Renzi, arrestato lo scorso giugno per fatture false e coimputato con loro in un processo, iniziato il 4 marzo scorso, per due fatture considerate false, pagate alla madre e al padre dell’ex segretario dei Democratici. Nella fattispecie si tratta di due pagamenti, per un totale di 195mila euro, che l’imprenditore di origini pugliesi ha versato nelle casse della Eventi 6, la società in cui i Renzi hanno ormai lasciato le cariche societarie, per la realizzazione di una struttura ricettiva all’interno del The Mall di Leccio Reggello.
Il nuovo fascicolo, secondo Panorama, punterebbe al movente di quei versamenti: ovvero un’attività di lobbying di cui lo stesso Dagostino aveva parlato con La Verità: “Perché faceva parte del suo lavoro, quello della lobby. Era un’epoca, quella, dove incontravi un tale per strada e voleva stare con Renzi… Come l’arbitro che dà il rigore alla Juventus per condizionamento psicologico“. La prima fattura di circa 20mila euro, ricostruisce Panorama, viene inviata a Rignano sull’Arno il 17 giugno 2015. La data coincide il tuor che l’imprenditore pugliese fa fare a tre persone: il magistrato Antonio Savasta, l’avvocato Ruggiero Sfrecola e il tributarista Roberto Franzé. Il primo arrestato nell’ambito di un’inchiesta per corruzione in atti giudiziari perché stando alle indagini evitò di indagare su Dagostino in cambio di un appuntamento con l’allora Sottosegretario del consiglio Luca Lotti: il pm aveva procedimenti disciplinari  e penali a suo carico e voleva trasferirsi a Roma. Mentre stando a quanto rivela Panorama Franzé ha raccontato agli inquirenti fiorentini che nei primi mesi del 2015 l’imprenditore gli riferì che che si rinnovavano per scadenza naturale i consigli d’amministrazione di alcune società partecipate dallo Stato. Il traffico di influenze è già stato contestato nell’inchiesta Consip a Tiziano Renzi, ma per i pm di Roma, nonostante l’inattendibilità dell’indagato, non ci sono le prove di aver cercato denaro promettendo favori con la pubblica amministrazione. E oggi il Fatto Quotidiano pubblica in esclusiva le chat tra Renzi senior e l’imprenditore Carlo Russo, per cui però la procura di Roma aveva derubricato il reato in millantato credito.

martedì 26 marzo 2019

Appiccava il fuoco ai boschi di Monreale, ma di giorno era un forestale: arrestato.

Appiccava il fuoco ai boschi di Monreale, ma di giorno era un forestale: arrestato

Le indagini dei Carabinieri di Monreale sono nate a seguito di una serie di gravissimi incendi, di matrice dolosa, avvenuti tra il mese di giugno e i primi giorni di agosto del 2017.

Le indagini dei Carabinieri di Monreale sono nate a seguito di una serie di gravissimi incendi, di matrice dolosa, avvenuti tra il mese di giugno e i primi giorni di agosto del 2017
Su delega della Procura della Repubblica di Palermo, i Carabinieri di Monreale, in esecuzione di un’ordinanza del Gip del Tribunale di Palermo, hanno arrestato due persone, padre e figlio, poiché ritenute responsabili a vario titolo dei reati di furto pluri aggravato in continuazione e in concorso, peculato e incendio boschivo. Si tratta di Pietro Cannarozzo, 62 anni, palermitano, operaio del Servizio Antincendio dell’Azienda Foreste e Territorio della Regione Siciliana e Angelo Cannarozzo, 26 anni, palermitano.
Le indagini dei Carabinieri di Monreale sotto la direzione e il coordinamento della Procura della Repubblica di Palermo, sono nate a seguito di una serie di gravissimi episodi incendiari, di matrice dolosa, che hanno interessato la zona boschiva dell’agro di Monreale tra il mese di giugno e i primi giorni di agosto del 2017. Le risultanze hanno consentito di individuare Angelo Cannarozzo quale responsabile degli incendi del 18 giugno del 2017, appiccato a Palermo nel vallone alle spalle della via Torrente d’Inverno che distruggeva circa 5.000 metri quadrati di vegetazione, del 13, 17, e 25 luglio 2017, che si sono sviluppati a Piano Geli a Monreale, che hanno interessato diversi ettari di macchia mediterranea, richiedendo mirati e prolungati interventi per lo spegnimento delle fiamme.
In particolare, l’incendio del 25 luglio è arrivato a minacciare le abitazioni presenti nell’area danneggiando alcuni cavi elettrici con conseguente interruzione dell’erogazione di energia elettrica nella borgata. Inoltre, è emerso anche che gli indagati hanno commesso una serie di furti, finalizzati all’accaparramento di materiale ferroso che poi veniva rivenduto, talvolta sottratto alle locali infrastrutture stradali senza alcuna remora per eventuali rischi per gli utenti delle strade. E’ altresì emerso come Angelo Cannarozzo si sia impossessato anche di una telecamera con relativi fili di rame, installata dalla Polizia Giudiziaria per finalità investigative concernenti proprio gli incendi che avevano colpito l’agro monrealese.
Infine, Pietro Cannarozzo è stato trovato in possesso di diversi attrezzi agricoli (motoseghe e decespugliatori privati di matricole ed etichette identificative) di proprietà dell’Azienda Foreste e Territorio della Regione Siciliana, da lui sottratti approfittando del proprio incarico come operaio del Servizio Antincendio del predetto ente.

lunedì 25 marzo 2019

Mimmo Lucano, chiesto il processo anche per associazione a delinquere già esclusa dal gip di Locri

Mimmo Lucano, chiesto il processo anche per associazione a delinquere già esclusa dal gip di Locri

La richiesta riguarda altri 29 indagati nell’operazione Xenia. L’udienza preliminare davanti al gup di Locri Amelia Monteleone è fissata per il primo di aprile.

La Procura di Locri – dopo la chiusura indagini – ha chiesto il rinvio a giudizio per Domenico Lucano, sindaco sospeso di Riace. Assieme a Lucano la richiesta riguarda altri 29 indagati nell’operazione Xenia. L’udienza preliminare davanti al gup di Locri Amelia Monteleone è fissata per il primo di aprile. La Procura di Locri contesta a Lucano e agli altri indagati, sulla base delle indagini condotte dalla Guardia di finanza, il reato di associazione per delinquere per avere, tra l’altro, orientato “l’esercizio della funzione pubblica degli uffici del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei progetti da esplicare nell’ambito del Comune di Riace”. In tal senso, il Ministero e la Prefettura reggina potrebbero costituirsi parte civile. A Lucano viene contestato anche il reato di abuso d’ufficio per avere procurato ad alcune associazioni “un ingiusto vantaggio patrimoniale, pari a 2.300.615 euro”.

Il reato associativo e quello di abuso d’ufficio non avevano superato il vaglio del gip, che all’epoca aveva disposto gli arresti domiciliari per Lucano solo per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti. Intanto è stata annullata la misura cautelare dell’obbligo di firma a Tesfahun Lemlem, la compagna di Mimmo Lucano, coinvolta nell’inchiesta su Riace. La sesta sezione penale della Cassazione ha accolto il ricorso della difesa, gli avvocati Lorenzo Trucco e Andrea Daqua, e dichiarato cessata l’efficacia della misura. Alla donna, di origine etiope, vengono contestati gli stessi reati del sindaco sospeso di Riace, tra cui il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, in particolare per aver cercato di far venire in Italia il fratello combinando un falso matrimonio. Inizialmente le era stato imposto il divieto di dimora, trasformato nell’ottobre scorso dal tribunale del riesame in obbligo di firma.

domenica 24 marzo 2019

Isola di Giava, Indonesia



Spesa Mattarella al Quirinale. La Presidenza ci costa 356 milioni. I dipendenti sono 745. Alla Casa Bianca solo 374. - Carmine Gazzanni



Lo stipendio più alto per i 374 dipendenti della Casa Bianca – come si legge nella relazione annuale del personale della presidenza statunitense – è pari a circa 179mila dollari, circa 158mila euro. Tanto, per fare qualche esempio, percepiscono Emmet Flood, il consigliere speciale di Donald Trump, e Lawrence Kudlow, consigliere delle politiche economiche del presidente Usa. In Italia i dipendenti della presidenza della Repubblica, pur avendo un ruolo notevole, non hanno in mano il destino di mezzo mondo. Eppure guadagnano decisamente di più, con picchi che superano i 200mila euro. Ma, soprattutto, sono decisamente di più: il personale del Quirinale conta 745 dipendenti.
Il dato emerge dal bilancio di previsione della Presidenza della Repubblica per l’anno 2019 pubblicato proprio venerdì scorso. Per carità: la politica di spending review voluta da Sergio Mattarella ha portato a qualche risultato. Basti pensare – come fa notare la relazione di accompagnamento al bilancio, con toni trionfalistici – che nel 2006 i dipendenti di ruolo erano addirittura 987. I dati, però, restano interessati: per quest’anno – esattamente come l’anno scorso ed esattamente come l’anno prossimo – la dotazione annuale per il Quirinale sarà pari a 224 milioni di euro.
Anche in questo caso i confronti sono decisamente interessanti. Prendiamo altro termine di paragone: secondo l’ultima relazione pubblicata da Buckingham Palace la “sovvenzione sovrana” per l’anno 2019 è di 82,2 milioni di sterline. Una somma che, convertita in euro, è pari a 96,1 milioni di euro. Anche qui il confronto è immediato: il Quirinale costa più del doppio del Palazzo Reale di Elisabetta II.
C’è da dire, però, che la dotazione annuale dello Stato non coprirà tutte le spese che, in totale, saranno pari a ben 356 milioni di euro, di cui 244 effettive (spese correnti). Il primo dato che salta all’occhio – come si legge nella relazione di accompagnamento – è che il 49,9% dell’intero budget corrente serve per pagare il personale. Parliamo, cioè, di 121 milioni e rotti. Ci sono poi le pensioni. “La spesa per la previdenza, che costituisce il 40,01% del totale della spesa effettiva del Segretariato Generale – spiega il Quirinale – presenta una dinamica in crescita a causa del maturare dei requisiti pensionistici da parte di numerose classi di età”, tanto da passare dai 95,5 milioni del 2019 ai 101,1 del 2021.
Ma l’elenco delle uscite è decisamente lungo, anche considerando le meravigliose proprietà in mano al Quirinale, coi suoi palazzi storici da 1200 stanze, un patrimonio da 261 arazzi (alcuni verranno riqualificati proprio quest’anno), carrozze d’epoca e così via. La sola Tenuta di Castelporziano, per dire, assorbe una buona fetta delle uscite: 344mila euro per la “locazione e gestione automezzi e mezzi agricoli”; 148mila per le “attività agro zootecniche” più altri 83 per la “gestione forestale e faunistica”. C’è, poi, la gestione dell’autoparco con annessa mobilità: altri 707mila euro preventivati.
Per immobili e impianti la spesa per il 2019 sarà di 2,5 milioni; per gli arredi altri 396mila euro. Fondamentale anche la comunicazione per cui, tra studi, ricerche, servizi fotografici e video, si conta di spendere 812mila euro. Senza dimenticare, ancora, i 218mila euro per biancheria e vestiario da lavoro. I dipendenti, dopotutto, sono coccolati nel migliore dei modi: prevista anche una spesa di 150mila per “reclutamento, formazione e aggiornamento del personale”.

Venite già mangiati. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 24 Marzo.

L'immagine può contenere: 4 persone, persone che sorridono

Oggi si vota in Basilicata. E qualche ingenuo poteva forse immaginare un piccolo dibattito sul rapporto della commissione parlamentare Antimafia a proposito dei candidati impresentabili in lista: due condannati in primo grado e tre imputati, spudoratamente presentati dal centrodestra e dal Pd in barba al codice di autodisciplina che tutti i partiti approvano a ogni legislatura per poi violarlo allegramente. Roba da provocare un surplus di sdegno fra gli indignati speciali che in questi giorni bivaccano in Campidoglio vibranti di sacrosanta passione civile per l’arresto del pentastellato De Vito: se si scandalizzano, e giustamente, per un politico in manette, figurarsi che dovrebbero dire delle condanne e dei rinvii a giudizio, per giunta a carico di politici mai espulsi né sospesi né esclusi dai rispettivi partiti in attesa delle sentenze definitive, ma addirittura candidati. Invece tutti tacciono. E intanto continuano a tuonare contro i 5Stelle che hanno cacciato il loro presidente dell’Assemblea capitolina al solo clic delle manette, senza neppure attendere la richiesta di rinvio a giudizio. Strano, vero? Il centrosinistra, anzi il “nuovo centrosinistra” di Nicola Zingaretti, per distinguersi da quello vecchio che aveva visto cadere la sua giunta per l’arresto del governatore Marcello Pittella, ricandida Sergio Claudio Cantiani e Massimo Maria Molinari, alla sbarra dinanzi al Tribunale di Potenza. 
Cantiani è imputato per concussione, con l’accusa – risalente a quando era candidato a sindaco di Marsicotevere – di aver “costretto” la ditta aggiudicataria dell’appalto per la raccolta rifiuti ad assumere il fratello della sua segretaria e, una volta eletto, di aver “minacciato” di revocare l’appalto in caso di licenziamento dell’operaio, “malgrado le reiterate inadempienze” di quest’ultimo. 
Molinari invece risponde di corruzione in veste di ex vicesindaco di Potenza: l’accusa è aver facilitato l’iter di una gara per la gestione di parcheggi e premuto per l’acquisto di pubblicità sul settimanale edito da un parente.
Poi c’è il centrodestra, che almeno non si spaccia per nuovo, e infatti è orgogliosamente così vecchio che più vecchio non si può. Per non farsi mancare niente e tener fede alle tradizioni nazionali, schiera anche due condannati in primo grado: Paolo Galante (Psi) e Rocco Sarli (Fratelli d’Italia). Sono stati entrambi condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi di reclusione per peculato nello stesso processo. Galante, già consigliere e vicepresidente del Consiglio regionale, era vicepresidente del Consorzio per lo sviluppo di Potenza, mentre Sarli sedeva nel Cda.
Il primo, consigliere uscente, fu sospeso dalla carica per 18 mesi in base alla legge Severino. Il secondo invece, consigliere entrante, lo sarà se verrà condannato anche in appello, mentre l’altro starebbe fermo altri 12 mesi. 
Vincenzo Clemente, terzo impresentabile del centrodestra, è imputato di corruzione in cambio della rateizzazione dei canoni d’affitto di una casa di riposo gestita da una società a Corleto Perticara. 
Ora, com’è noto, da tempo immemorabile tutti i partiti si sono impegnati formalmente in commissione Antimafia a non candidare indagati (e, a maggior ragione, imputati e condannati) per reati contro la Pubblica amministrazione: in primis per concussione, corruzione e peculato, che implicano tutti e tre il latrocinio di denaro pubblico. L’hanno fatto soltanto per farsi belli dinanzi agli elettori, specialmente dopo le prime denunce di Beppe Grillo nel 2006 sul suo blog contro il Parlamento degli inquisiti, prim’ancora che nascessero i 5Stelle. Poi, naturalmente, hanno sempre tradito l’impegno, prendendosela pure col presidente di turno dell’Antimafia (ieri Rosy Bindi, ora Nicola Morra) che si permette addirittura di pubblicare i nomi degli impresentabili, come previsto dalla loro legge-spot. Ora questi impuniti hanno pure il coraggio di accusare chi caccia i propri inquisiti senza neppure lo straccio di una richiesta di rinvio a giudizio di “essere come gli altri” (cioè come loro, che gli inquisiti non li cacciano nemmeno dopo il rinvio a giudizio, la condanna provvisoria e quella definitiva, anzi li candidano, li premiano e li promuovono).
Siccome c’è un limite a tutto, anche alla faccia di culo, proponiamo al presidente Morra un emendamento esplicativo e chiarificatore al Codice di autodisciplina dell’Antimafia. Un norma elementare di due soli articoli: 
“1. Chiunque venga arrestato, rinviato e giudizio, condannato in primo o secondo o terzo grado, è da ritenersi innocente per definizione e matura il diritto acquisito a essere candidato ed eletto a una carica pubblica adeguata, cioè non inferiore a quella di consigliere comunale. 
2. La regola di cui sopra vale soltanto per i politici iscritti a partiti che non hanno mai promesso ‘onestà’, anzi statutariamente rifuggono da simili turpiloqui. Chi si fosse lasciato sfuggire anche una sola volta quel termine ignominioso o suoi sinonimi, deve vergognarsi a prescindere”. 
Così finalmente verrà codificato un principio che ora si sente echeggiare sui giornali e in bocca ai politici, ma un po’ alla rinfusa: se finisce dentro un 5Stelle, si può dire subito che rubano tutti i 5Stelle (arrestano De Vito e tutti chiedono la testa della Raggi e di Frongia, forse perché De Vito è stato subito cacciato); se invece finiscono dentro decine di forzisti, pidini, leghisti, non si può dire che sono impresentabili neanche se li rinviano a giudizio e/o li condannano. Ergo, è infinitamente più grave candidare un incensurato insospettabile e poi espellerlo se lo arrestano, che candidare indagati e poi ricandidarli se li rinviano a giudizio o li condannano. Il segreto per rubare indisturbati è venire già mangiati.

https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/posts/2433001146710053?__tn__=K-R0.g

Vermi congelati si svegliano dopo 40.000 anni. - Davide Lizzani

roundworm_permafrost_1024

Questa scoperta dimostra che per gli organismi multicellulari è possibile svegliarsi dal "sonno" dovuto alle bassissime temperature. Questo anche dopo migliaia di anni.

C'è un nuovo incredibile record tra gli animali che tornano in vita dopo un periodo di ibernazione. Dopo ben 42 mila anni, infatti, alcuni vermi nematodi, rimasti intrappolati nei ghiacci siberiani durante il Pleistocene, sono stati da poco scongelati da un team di scienziati russi.

Immagini dei vermi estratti dal Permafrost Siberiano
Immagini dei vermi estratti dal permafrost siberiano. | DOKLADY BIOLOGICAL SCIENCES
IL (CRIO)SONNO PIÙ LUNGO. I vermi hanno cominciato a muoversi e mangiare dopo poche settimane dal prelievo dal permafrost (suolo perennemente ghiacciato). L'estrema resistenza di questi vermi (e dei loro parenti tardigradi) alle temperature estreme era già nota. Ma è la prima volta che si osserva un ritorno alla vita dopo un periodo tanto lungo.

I ricercatori hanno pubblicato un articolo scientifico sottolineando come i nematodi del Pleistocene dimostrino di possedere meccanismi adattativi che potrebbero risultare utili in diversi campi: criomedicina, criobiologia, astrobiologia...

PRENDERE TEMPO. In altre parole, conoscendo il segreto che ha consentito a questi vermi di sopravvivere a temperature estreme, si potrebbe poi provare ad applicarlo agli esseri umani. Questo potrebbe regalare qualche speranza, per esempio, a chi ha una malattia incurabile: "mettendo in pausa" la malattia, infatti, si potrebbe sperare che, nel frattempo, venga sviluppata una cura.

I cilindri che mantengono corpi umani ad una temperatura estremamente bassa.
I cilindri che preservano corpi umani mantenendoli ad una temperatura estremamente bassa. | ALBERTO GIULIANI
La crionica, ovvero la scienza che si occupa di conservare i corpi a basse temperature, sta in effetti riscontrando un interesse sempre crescente. Molte persone danno infatti disposizione di congelare i propri corpi dopo la morte, nella speranza di venire un giorno rianimati da tecnologie ancora sconosciute. Persino la Darpa, l'agenzia della Difesa americana che si occupa di sviluppare tecnologie militari, sta studiando un sistema che consenta di "congelare" i soldati feriti per avere più tempo per soccorrerli.

CRIOSONNO O CRIOSOGNO? Prima di lasciarsi prendere da facili (e ingiustificate) illusioni, vale la pena sottolineare che, al momento, non esiste ancora la possibilità di riportare in vita un corpo umano congelato. Gli ostacoli da superare sono infatti diversi, uno fra tutti è legato al fatto che l'acqua, quando ghiaccia all'interno delle cellule, finisce per rompere la parete cellulare. Ma forse, studiando questi vermi, potremo trovare un modo per risolvere i problemi legati al... sonno criogenico. Sarebbe non solo un enorme traguardo per la medicina, ma anche un incredibile strumento da utilizzare, per esempio, nell'esplorazione spaziale verso le mete più remote.