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sabato 12 ottobre 2019

James Cont 007. - Marco Travaglio FQ 12 ottobre


Avevamo deciso di aspettare di saperne qualcosa di più, prima di commentare lo strano caso di James Cont detto 007, essendo abituati a basarci sui fatti e non sui boatos.
Poi abbiamo letto la seguente dichiarazione di Salvini, rilasciata a un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio dell’altroieri: “La parabola di Conte la vedo bella che finita… può andare ovunque quando vuole. Lo vedo confuso, da cinque giorni dice tutto e il contrario di tutto, ma evidentemente c’è qualcosa che non torna. Chiedeva chiarezza da me, ora il popolo chiede chiarezza a lui”.
Già il fatto che Salvini dia del “finito”, “confuso” e contraddittorio a Conte mette di buonumore: è come se Rocco Siffredi desse del pornodivo a Carlo Giovanardi. Il fatto poi che gli intimi di fare “chiarezza” a nome di un fantomatico “popolo” è davvero irresistibile. Conte non ha ancora detto una parola sul tema (dunque difficilmente, a differenza di Salvini, può dire “tutto e il contrario di tutto”) perché chiede da dieci giorni di essere sentito dal Copasir, cioè dal comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti.
Invece da un anno il Parlamento chiede invano a Salvini di chiarire in commissione Antimafia e nelle aule parlamentari due faccenduole da niente: i suoi rapporti col fido Arata, indagato per una presunta tangente al fido Siri e socio occulto di quel Nicastri appena condannato a 9 anni per mafia a causa dei suoi legami con un altro Matteo (Messina Denaro); e le sue trasferte a Mosca con Savoini, indagato per corruzione internazionale con altri due italiani e tre russi che trattavano una fornitura petrolifera da Gazprom e una stecca di 65 milioni di dollari per la campagna europea della Lega (certamente chiesta, non si sa se versata).
Ciò che sfugge a Salvini è che Conte è sospettato (si fa per dire) di rapporti con un Paese alleato da 75 anni, a cui precedenti governi hanno reso servigi infinitamente più scandalosi (l’ok al sequestro di Abu Omar, il segreto di Stato per intralciare le indagini e infine la grazia agli spioni della Cia condannati, per non parlare della vergogna del Cermis e di tante altre). Invece Salvini e/o i suoi cari sono sospettati di rapporti con nemici chiamati Russia e Cosa Nostra.
Se questa lievissima differenza sfuggisse solo a lui, poco male. Ma siccome i giornaloni al seguito dei due Matteo azzardano ridicoli paralleli tra caso Salvini-Russia e presunto caso Conte-Usa, è forse il caso di rammentare qualche dettaglio. Tutto ciò che sono accusati di aver fatto Siri, Arata e Savoini – se confermato – sarebbe illecito. Tutto ciò che è accusato di aver fatto Conte – se confermato – sarebbe lecito.
A meno che qualcuno non tiri fuori una legge, una norma, un regolamento, che vieta ai capi dei servizi di incontrare il ministro di un paese amico. Resta da capire se la condotta di Conte, oltreché lecita, sia stata anche opportuna. Al momento, risulta quanto segue. Il ministro della Giustizia americano Barr, in vacanza in Italia ad agosto, fa chiedere a Conte dall’ambasciatore Usa di poter incontrare i vertici dei servizi. Conte – che dirà di non averne mai parlato con Trump né con Barr – autorizza l’incontro. Che avviene il 15 agosto nella sede del Dis in piazza Dante a Roma, dove Barr arriva col consueto corteo di auto di scorta e rappresentanza: quanto di meno clandestino si possa immaginare.
Quando sa dagli 007 che tipo di informazioni interessano al ministro, Conte detta loro le regole d’ingaggio per il secondo incontro del 27 settembre, sempre in piazza Dante: nessun documento potrà essere consegnato, salvo richieste di rogatoria da Barr (che è pure General Attorney, cioè primo magistrato d’America e responsabile dell’Fbi) alla magistratura italiana.
Invece le semplici informazioni sul Russiagate interessano a entrambi i governi. Se ci fossero state deviazioni di personaggi o ambienti legati ai nostri servizi (Link University, Mifsud ecc.) contro Trump o la Clinton alle Presidenziali 2016, la nostra intelligence dovrebbe saperlo e intervenire. Idem quella americana a parti invertite.
Di solito questi scambi di notizie avvengono tra omologhi: cioè tra servizi e servizi. Dunque l’incontro fra un’autorità politica (ma anche giudiziaria) come Barr ed entità tecniche come i nostri servizi (ma sotto il controllo e con le regole dettate dal premier) è lecito, ma irrituale. Il che non significa che sia inedito: chi può dire che non sia mai accaduto in passato, solo perché non si è mai saputo? Diversi capi di Stato, soprattutto del Medio Oriente e dell’Africa, sono usi contattare personalmente alcuni capi dei nostri servizi, per antiche consuetudini. Ma ovviamente, trattandosi di regimi autocratici, nessun funzionario si sogna di spifferare la notizia ai giornali, come invece accade nell’America di Trump dilaniata dalla guerriglia politico-elettoral-spionistica.
Perciò, prima di giudicare, è meglio attendere che Conte e i capi di Dis, Aise e Aisi raccontino al Copasir quel che è accaduto. Tutto dipenderà da un elemento che ancora nessuno conosce: quali notizie si siano scambiati gli italiani e l’americano. Quando lo sapremo, capiremo se chi accusa Conte di nascondere altarini indicibili o addirittura di aver venduto i nostri servizi a Trump in cambio dell’appoggio al suo nuovo governo (col tweet pro “Giuseppi”) aveva ragione o raccontava balle.
Al momento nulla autorizza i due Matteo e i giornaloni al seguito a menare scandalo. E tutto ci autorizza a sospettarli di voler screditare il nemico comune: Giuseppe Conte, che va abbattuto a ogni costo per motivi che ci sfuggono, ma forse un giorno scopriremo.
Nell’attesa, ci orientiamo con la bussola dell’esperienza: di solito, se uno ha Salvini, Renzi e i giornaloni contro, è gravemente indiziato di stare dalla parte giusta.

venerdì 4 ottobre 2019

Fondi russi, Riesame su Savoini: “Audio al Metropol ammissibile. Emerge in maniera nitida che parte dei soldi fosse per la Lega”.

Fondi russi, Riesame su Savoini: “Audio al Metropol ammissibile. Emerge in maniera nitida che parte dei soldi fosse per la Lega”

Il file audio registrato all'hotel di Mosca lo scorso 18 ottobre può essere utilizzato perché non è di provenienza anonima: la prova regina dell'inchiesta per corruzione internazionale è legittima. Nelle motivazioni i giudici sottolinea l'esistenza di "una percentuale del 4% sull'affare per finanziare la campagna elettorale del Carroccio" che emerge chiaramente nella parte di conservazione "in lingua inglese".
Il file audio registrato al Metropol di Mosca lo scorso 18 ottobre può essere utilizzato perché non è di provenienza anonima e ha una fonte, che il giornalista che ha consegnato la registrazione alla Procura ha esercitato il diritto di non rivelare. Il Riesame di Milano motiva così il rigetto dell’istanza presentata dalla difesa di Gianluca Savoini contro i sequestri, sostenendo l’inammissibilità dell’audio. La prova regina dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega è quindi legittima. Così come, sottolineano i magistrati nelle motivazioni, dalla registrazione appare “nitido che parte dei soldi fosse destinata alla Lega“. Una conferma di quanto anticipato da Davide Milosa su Il Fatto Quotidiano: esiste un documento, oggi a disposizione della Procura di Milano che indaga per corruzione internazionale, in cui è abbozzato il progetto per l’acquisto del gasolio russo e i 65 milioni di dollari da piazzare nelle casse della Lega di Matteo Salvini. Un accordo che fu discusso all’hotel Metropol di Mosca e poi riportato nero su bianco.
Il cronista dell’Espresso Stefano Vergine ha raccontato ai pm che il file consegnato alla procura era il frutto “di una ‘registrazione audio in diretta‘” e ha sottolineato che “alcuni fatti erano stati riscontrati direttamente, mentre altri gli erano stati riferiti da sue fonti ‘che avevano una conoscenza diretta dei fatti'”. È uno dei passaggi delle motivazioni con cui i giudici del Riesame hanno respinto “perché infondato” il ricorso presentato da Savoini, indagato per corruzione internazionale insieme agli altri due italiani presenti all’incontro al Metropol: l’avvocato Gianluca Meranda e il consulente finanziario Francesco Vannucci.
“La percentuale del 4% per finanziare la Lega”. Nella registrazione emerge, si legge nelle 22 pagine di motivazione, “lo schema delle parti coinvolte nella trattativa considerata illecita, la possibilità di reiterare l’accordo nel tempo, l’importo da retrocedere dopo il pagamento della fornitura petrolifera, la necessità di agire rapidamente per l’avvicinarsi delle elezioni europee, l’utilità dell’accordo per entrambe le parti, la ripartizione dei compiti, la necessità di essere prudenti per non destare sospetti sul presunto ritorno illecito del denaro”. Savoini, l’uomo di Matteo Salvini per gli affari a Mosca, Meranda e Vannucci, sono seduti al tavolo con tre intermediari russi vicini all’entourage politico del presidente Vladimir Putin per trattare l’acquisto di un grosso quantitativo di petrolio. Scrive il Riesame, “prevedendo che una percentuale del prezzo pagato – nella misura indicata del 4% – sarebbe stata retrocessa per finanziare la campagna elettorale del partito politico Lega“. Circostanza che emerge “in maniera ancora più nitida dalle parti della conversazione intrattenuta in inglese“. In particolare, nelle motivazioni, si rimarca la circostanza che dalla trascrizione si evince come il “denaro ‘retrocesso’ fosse necessario per finanziare la campagna elettorale del partito politico Lega”.
I sei discutono di una compravendita sulla base di un foglio, è questa anche la lettura degli inquirenti, in cui si legge il 4% che nei piani doveva finire alla Lega e un valore che oscilla tra il 4 e il 6% da destinare ai pubblici ufficiali russi e ai loro intermediari d’affari. Dell’esistenza di questo documento si ha una prima conferma riascoltando proprio l’audio registrato al Metropol. Vende una società russa (Gazprom o Rosneft), acquista il colosso italiano Eni, dopo un passaggio intermedio con una banca d’affari londinese. È qui a Londra, secondo i documenti acquisiti dalla Procura, che viene preparata una proposta di acquisto da inviare a Rosneft, messa a punto dopo l’incontro del Metropol. Sono due passaggi dell’audio che, secondo i magistrati, annunciano l’esistenza del documento. A parlare è sempre Meranda. Nel primo dice: “Solo per averlo chiaro, aspetterò che tu confermi il prodotto, le quantità e qualunque cosa tu sia in grado di fare”. Poi aggiunge: “Farò solo uno screenshot qui e te lo invierò solo per essere sulla stessa pagina. Ok signori, penso che stia andando nella giusta direzione”.
Il decreto di sequestro è “sufficientemente motivato”. Il decreto di sequestro fatto scattare dalla procura di Milano nei confronti degli indagati del “Russiagate”, risulta quindi “sufficientemente motivato in merito alla necessità di acquisire tutta la documentazione cartacea ed informatica (screenshot) contenente riferimenti alla negoziazione che ha preceduto l’incontro registrato presso la hall dell’hotel Metropol in Mosca il 18 ottobre 2018, nonché ogni altra documentazione relativa all’esecuzione dell’accordo illecito, anche al fine di identificare coinpiutamente tutti i soggetti coinvolti nella vicenda”, scrivono i magistrati in un altro passaggio delle motivazioni. Quanto al fatto che la registrazione fosse in lingua inglese, i giudici hanno fatto notare che lo stesso Savoini parlava in inglese.

venerdì 29 marzo 2019

C’è un unico vero “Russiagate”: ed è quello di Hillary Clinton. - Roberto Vivaldelli

Hillary Clinton durante la campagna elettorale in Iowa

E se il vero “Russiagate” coinvolgesse Hillary Clinton? Ora che l’esito delle indagini del procuratore speciale Mueller ha stabilito che fra la campagna di Donald Trump e la Russia non c’è alcuna “collusione” riemergono le ombre sulle operazioni passate dei democratici. Su tutte, lo scandalo “Uranium One”.

Come rileva Breitbart, un certo numero di domande senza risposta riguardano il ruolo che assunse l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton nel consegnare il 20% delle forniture di uranio americano alla società di proprietà del governo russo. Ad oggi, nessuna seria indagine è stata avviata per fare luce su quella decisione controversa.

Torna alla ribalta il “Russiagate” di Hillary Clinton.
Come riporta Forbes, del caso se n’è occupato di recente il senatore dell’Iowa Chuck Grassley, presidente della commissione giudiziaria del Senato, che ha chiesto informazioni al bureau rispetto a una perquisizione fatta dall’Fbi nella residenza di un informatore che sarebbe stato in possesso di informazioni importanti inerenti la Fondazione Clinton e l’operazione Uranium One.

“Il 19 novembre 2018 – scrive Grassley – l’Fbi ha fatto irruzione nella casa di un suo informatore, il signor Dennis Nathan Cain, che sarebbe in possesso di documenti relativi alla Fondazione Clinton e all’operazione Uranium One”. Il senatore chiede “su quali basi l’Fbi ha deciso di effettuare il suddetto raid il 19 novembre 2018” con la richiesta di “fornire una copia del mandato e di tutte le dichiarazioni sostitutive”. Inoltre, Grassley chiede informazioni a Christopher Wray, direttore del bureau, “rispetto al materiale sequestrato” e se questo “contiene informazioni riservate”. Domande che, ad oggi, non hanno ricevuto risposta o che non sono state rese pubbliche.

L’affare Uranium One.
Come vi abbiamo raccontato su Gli Occhi della Guerra,  secondo i critici, quando era Segretario di Stato, Hillary Clinton usò la sua carica per aiutare la Russia ad acquisire il controllo di un quinto delle riserve americane di uranio in cambio di milioni di dollari versati alla Clinton Foundation, la fondazione di famiglia.

Come spiega Federico Punzi su Formiche, nel 2013, “il colosso statale russo per l’energia atomica, la Rosatom, acquisisce il controllo della compagnia canadese Uranium One e, tramite essa, di un quinto delle riserve minerarie di uranio negli Stati Uniti per un valore di decine di miliardi di dollari.  uranio negli Stati Uniti per un valore di decine di miliardi di dollari. Ovviamente, essendo l’uranio un bene strategico, con evidenti implicazioni per la sicurezza nazionale, l’acquisizione ha avuto bisogno del via libera di una commissione governativa”.

Mentre i russi presero gradualmente il controllo di Uranium One in tre transazioni distinte dal 2009 al 2013, secondo il New York Times  il presidente canadese della compagnia con sede a Toronto, Ian Telfer, fece quattro donazioni diverse alla Clinton Foundation attraverso la fondazione di famiglia, per un totale di 2,35 milioni di dollari. Nel 2010, spiega Punzi, “dopo che la Rosatom annunciò l’intenzione di acquisire la quota di maggioranza della Uranium One e poco prima che venisse concessa l’autorizzazione governativa, l’ex presidente Bill Clinton incassò mezzo milione di dollari dalla banca d’affari russa Renaissance Capital per un discorso pronunciato a Mosca”.

L’inchiesta di The Hill.
A riaccendere i riflettori su un’indagine che sembrava essere finita su un binario morto fu l’inchiesta pubblicata da The Hill nell’ottobre 2017, secondo la quale prima che l’amministrazione Obama approvasse l’accordo nel 2010, l’Fbi entrò in possesso di alcune prove in merito ad alcuni episodi di corruzione, bustarelle, estorsioni e riciclaggio di denaro che vedevano coinvolti i funzionari russi.
Inoltre, secondo un testimone oculare, gli uomini della Rosatom in quel periodo avrebbero speso milioni di dollari negli Usa a beneficio di fondazioni come quella dell’ex presidente Clinton, proprio nel periodo in cui il Segretario di Stato era Hillary Clinton. 

La verità su Uranium One, il Russiagate dei Clinton.
Ciò che è acclarato è che la Clinton Foundation ha nascosto una donazione straniera di 2,35 milioni di dollari da parte del capo della società russa che aveva fatto affari con il Dipartimento di Stato. 
Lo stesso New York Times ha confermato che Hillary Clinton ha violato il Memorandum of Understanding che lei stessa ha firmato con l’amministrazione Obama promettendo di rivelare tutte le donazioni straniere ricevute durante il suo mandato come Segretario di Stato.

Perché non tenne fede agli accordi presi? Cosa nascondeva? Inoltre, come conferma il New Yorker, Bill Clinton ha guadagnato 500.000 dollari per un discorso tenuto Mosca che fu pagato da “una banca d’investimento russa che aveva legami con il Cremlino” al momento dell’operazione Uranium One. Il dubbio rimane: perché non si è fatta luce su questa vicenda? D’altro canto Trump è stato messo sotto inchiesta per molto meno. Per non dire nulla. 

http://www.occhidellaguerra.it/russiagate-hillary-clinton-uranium-one/?fbclid=IwAR3yTHcPq5veMGpgu_nEl04UwQNQoPvyLyak2yzze6uHbrKO0dNiZ11TjtM