Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 12 settembre 2023
Sul campo (minato). La controffensiva ucraina sta fallendo, ma i falchi negano (di Alessandro Orsini – ilfattoquotidiano.it)
sabato 1 luglio 2023
Un mio caro amico mi chiede se io abbia o meno informazioni relative al fallimento economico della Russia. - Giuseppe Salamone
venerdì 11 marzo 2022
Che c’è da ridere? Kiev-Mosca, la diplomazia fallisce. L’Ue verso il “Recovery di guerra”- Giampiero Gramaglia
VERSAILLES - I leader dell’Ue tagliata fuori celebrano il proprio fallimento. Intanto in Ucraina, negoziati falliti in Turchia, battaglia social Mosca-Kiev sull’attacco all’ospedale pediatrico, folli rincari in Europa su benzina e cibo.
NESSUNA TREGUA - Flop in Turchia: i ministri Lavrov e Kuleba non trovano accordi. A Versailles la Francia spinge per un fondo speciale, l'Italia condivide. Germania e Paesi del Nord accolgono freddamente l’idea di un prestito comunitario
Le speranze di uno sblocco diplomatico della guerra fra Russia e Ucraina affondano nel mare di Antalya, in Turchia, di fronte a Cipro: i ministri degli Esteri russo Sergej Lavrov e ucraino Dmytro Kuleba non riescono a raggiungere un accordo su un cessate-il-fuoco. L’esito negativo dell’incontro, mediato dalla Turchia, non fa desistere il presidente turco Racep Tayyip Erdogan dall’intento di provare a far dialogare i due presidenti, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. Bulema dice: “Non abbiamo fatto progressi” verso un cessate-il-fuoco, perché “sembra che ci siano altre persone che decidono in Russia”; ma “abbiamo convenuto di continuare a cercare di dare una soluzione ai drammi umanitari sul terreno”. L’Ucraina, assicura Bulema, “non si è arresa, non s’arrende e non s’arrenderà”. Lavrov non lascia intravedere ammorbidimenti negli obiettivi cui Mosca mira con l’invasione: indipendenza e in prospettiva annessione delle autoproclamate repubbliche filorusse del Donbass, Donetsk e Lugansk; e neutralizzazione dell’Ucraina, senza più prospettive di adesione alla Nato e all’Ue. Lavrov afferma che la Russia “saprà cavarsela”, nonostante l’intensificarsi delle sanzioni con cui l’Occidente vuole accelerare la fine del conflitto. Zelensky rinnova gli appelli all’Occidente perché intervenga, ma Stati Uniti e loro alleati europei continuano a escluderlo per il rischio di un conflitto con la Russia. E l’Ue non offre neppure prospettive d’adesione rapide.
Sul terreno, il bilancio dell’attacco aereo russo alla maternità di Mariupol è di tre morti, fra cui un bimbo, e una ventina di feriti. Secondo Lavrov, la Russia aveva notificato fin dal 7 marzo all’Onu, che l’ospedale ieri colpito era divenuto sede del battaglione Azov e che dalla struttura erano state evacuate pazienti e personale sanitario. Il battaglione Azov, già formato da volontari di destra e neonazisti, provenienti da diversi Paesi europei, per combattere i separatisti del Donbass, è ora inquadrato nella Guardia nazionale. La scorsa notte, un bombardamento effettuato da unità russe ha colpito un edificio residenziale, nel villaggio di Slobozhanske, vicino alla città di Kharkiv, nel sud-est del Paese, fecendo quattro morti, fra cui due bambini. Ci sono pure stati raid russi nella regione di Sumy: tre i morti. Secondo l’Onu, i civili uccisi sono finora 549, ma il numero è in continuo aumento.
Oleksiy Arestovych, un collaboratore di Zelensky, afferma: “Coloro che hanno bambini o donne, specie nelle regioni di Kharkiv, Donetsk, Lugansk, è meglio che se ne vadano. Queste città sono teatro di aspre battaglie e i civili non vi hanno niente da fare”. L’Onu stima che le persone fuggite siano oltre 2,3 milioni, 112 mila non ucraine. Le forze avanzano lentamente, ma costantemente, nelle città chiave ucraine, compresa la capitale Kiev e al sud Odessa. Fonti militari Usa non escludono il ricorso ad armi chimiche, anche se l’ipotesi non è al momento suffragata da fatti. I leader dei Paesi dell’Ue sono riuniti da ieri a Versailles, vicino a Parigi, per dare un giro di vite alle sanzioni contro Mosca e per impostare scelte energetiche che consentano di ridurre d’un terzo, entro l’anno, la dipendenza di gas e petrolio dell’Unione dalla Russia e, in prospettiva, di azzerarla, accelerando la diversificazione delle fonti. Secondo diverse voci europee raccolte a Versailles, la proposta della Francia, condivisa dall’Italia, di adottare un piano di rilancio da 800 miliardi sul modello del Recovery Plan non fa l’unanimità. Germania e Paesi del Nord accolgono freddamente l’idea di un prestito comunitario che ammortizzi l’impatto della guerra in Ucraina. Ci sono invece convergenze su alcuni aspetti della difesa europea. Nel Congresso Usa, intanto, avanza un provvedimento che stanzia ulteriori 14 miliardi di dollari d’aiuti per l’Ucraina, umanitari, economici, militari. Americani ed europei lavorano sui prezzi dell’energia per contrastare l’effetto dei rincari sull’inflazione. Ieri sera, sui corridoi umanitari, la Russia ha rilanciato l’opzione che le uniche vie sicure per i civili delle città martoriate siano quelle che portino dentro i suoi confini o in Bielorussia.
martedì 2 novembre 2021
Cop26, “così andiamo verso il disastro”. Ma i leader arrivano con 400 aerei. - Virginia Della Sala
GLASGOW - I 120 big litigano sulla data della “neutralità carbonica”. L’India: “Noi nel 2070”. Pechino attacca gli Stati Uniti.
Al termine della prima giornata della Cop26 di Glasgow, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite durante la quale tradizionalmente i Paesi assumono impegni formali (e a volte vincolanti) sul fronte delle politiche climatiche e ambientali, forse le parole che inquadrano meglio la situazione di partenza sono del segretario generale dell’Onu, António Guterres: “C’è un deficit di credibilità – ha detto quasi ammonendo i partecipanti – e un eccesso di confusione sulla riduzione delle emissioni e sugli obiettivi di zero netto, con significati e metriche diverse”. Sono punti fermi da cui partire per interpretare quello che accadrà nei prossimi undici giorni, fino alla conclusione del 12 novembre, e anche per comprendere la situazione attuale.
Il G20 di Roma, che si è concluso domenica e che aveva sul clima un focus rilevante, ha infatti consegnato un comunicato su un traguardo molto debole perché già previsto nell’accordo di Parigi del 2015, ovvero il riconoscimento da parte di tutti del contenimento del riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi entro la fine del secolo invece degli iniziali 2 gradi con vocazione a fare “ogni sforzo possibile” per arrivare a 1,5. La “neutralità carbonica”, ossia il saldo zero tra le emissioni inquinanti emesse e quelle eliminate, si dovrà invece raggiungere “intorno alla metà del secolo”, senza una data precisa. E così, nel suo discorso di apertura, il premier britannico Boris Johnson si rifà alle parole dell’attivista Greta Thunberg e spiega che dal 2015 il mondo ha fatto troppo “bla bla bla” e che il flop di questo summit potrebbe scatenare la “furia del mondo”. Certo l’inizio non è dei migliori.
I leader radunati a Glasgow sono 120 e sono arrivati portandosi dietro di sicuro 52 jet solo nella giornata di domenica, almeno 400 jet totali secondo le stime della stampa anglosassone che potrebbero generare “13mila tonnellate di emissioni di CO2, l’equivalente di quella prodotta da 1.600 inglesi in un anno” dice il Daily Mail. Anche il rientro di Johnson a Londra è previsto in aereo e il premier si è dovuto giustificare con esigenze istituzionali e il fatto che il suo jet charter utilizza una speciale miscela di carburante per aviazione “sostenibile” ed è uno degli aerei più efficienti in termini di emissioni. Pesano, poi, le assenza rilevanti del presidente cinese Xi Jinping (che a Roma si è collegato in videoconferenza mentre in Scozia ha mandato un messaggio scritto), del presidente brasiliano Jair Bolsonaro e del presidente russo Vladimir Putin. E soprattutto, pesa l’assenza di qualsiasi buona notizia: se la Cina non sembra in alcun modo intenzionata a modificare il percorso stabilito (massime emissioni entro il 2030 e poi zero al 2060) e ha puntato il dito contro gli Stati Uniti accusandoli di avere “minato la fiducia globale in anni recenti nella lotta contro i cambiamenti climatici”, per la mancata ratifica del Protocollo di Kyoto, e il ritiro dagli accordi di Parigi del 2015 con Donald Trump, l’India è riuscita a sorprendere in negativo. Il primo ministro Narendra Modi, da cui ci si aspettava annunci ambiziosi, ha comunicato un obiettivo di “zero netto” entro il 2070, dieci anni dopo Cina e Russia, venti dopo gli Usa. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha invece sollecitato un’azione più severa sulle emissioni, ma non ha annunciato alcuna nuova mossa rispetto all’impegno d’inizio mandato (taglio del 52% delle emissioni entro il 2030).
Non resta che l’obiettivo minimo dei soldi, i famosi 100 miliardi all’anno che, sempre dal 2015, gli Stati si sono impegnati a destinare alla transizione energetica dei Paesi in via di sviluppo e oggi fermi a 82 miliardi. La proposta del premier Mario Draghi, ieri, è stata di colmare la differenza con i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale (una forma di liquidità garantita dal fondo). Spendere anziché agire: magari su questo si arriverà a una quadra.
giovedì 27 maggio 2021
Cingolani, il grande equivoco “verde” nel governo Draghi. - Gianni Barbacetto
Il più grande equivoco del governo Draghi si chiama Roberto Cingolani. Ognuno può dare il giudizio che vuole sull’operato dei Migliori, ma nessuno potrà negare che i fatti del ministro della Transizione ecologica sono quantomeno sfasati, incongruenti, contraddittori rispetto alle promesse con cui Cingolani è stato catapultato al governo. Doveva essere il protagonista della svolta, la novità radicale, il mutamento epocale, la rivoluzione verde. È stato la giustificazione del sostegno dei Cinquestelle a Draghi. Si sta dimostrando invece il più grosso errore di Beppe Grillo (dopo il video sul figlio). E lo possiamo ormai sostenere anche andando oltre il suo curriculum, che non lo qualifica certo come uomo del rinnovamento.
Ha gestito per anni un centro di ricerca a Genova (Iit) finanziato non per i suoi meriti, con modalità competitive, ma per concessione dall’alto del governo. Ha avuto così tanti soldi da non riuscire a spenderli, nell’Italia in cui la ricerca ha finanziamenti scarsi e insicuri. Il risultato più esibito è stato un robottino dalla faccia carina che non abbiamo ancora capito bene a che cosa serva. Cingolani ha poi garantito a Matteo Renzi il suo “progetto petaloso”: la partenza a Milano, per coprire il vuoto progettuale del dopo-Expo, di Human Technopole, per fortuna subito strappato a “Cingo” per l’immediata insurrezione del mondo dell’università e della ricerca. Come risarcimento è stato mandato a fare il manager a Leonardo, dove ha piazzato anche il suo uomo-comunicazione. E infine, eccolo qua, a incarnare la promessa green del governo Draghi. Ma i fatti, purtroppo, smentiscono le promesse. Più che ministro della Transizione ecologica, sembra il ministro del greenwashing. Qualche esempio.
Nel Piano nazionale energia e clima è prevista una corsia preferenziale per i “nuovi impianti per la produzione di energia e vettori energetici da fonti rinnovabili, residui e rifiuti”. Le ultime due paroline (“residui e rifiuti”) significano inceneritori, i cari, vecchi, inceneritori. Resta pesante la presenza del gas, tanto che perfino John Kerry, inviato speciale per il clima del presidente Usa Joe Biden, ha osservato: “Il ministro Cingolani mi ha mostrato le mappe dei gasdotti, esistenti e in discussione. Ma attenzione: il gas naturale è comunque un combustibile fossile, composto all’87 per cento circa di metano, quando lo bruci crei Co2 e quando lo sposti possono esserci perdite molto pericolose”. Per non spremersi le meningi a inventare progetti verdi, “Cingo” e il governo hanno preso i progetti già pronti delle aziende: Eni, Snam, Enel, che per la natura del loro business non hanno proprio una spontanea vocazione verde. Così finanzieranno con i soldi del Pnrr (quelli dell’Europa per fare cose nuove e green) il vecchio progetto “waste to fuel” (dai rifiuti al carburante) già avviato dall’Eni a Gela e a Marghera. E quello, sempre dell’Eni, a Ravenna, per riconvertire “impianti finalizzati a ridurre le emissioni da parte del settore industriale, ivi compresa la cattura, il trasporto, l’utilizzo e/o stoccaggio della Co2”. Avanti tutta, così, con le trivelle in Adriatico, che invece di essere dismesse continueranno a operare. A Enel sarà concesso di operare nei suoi impianti con meno controlli. A Snam via libera per i suoi gasdotti, quelli che lasciano perplesso finanche l’inviato di Biden. In generale, pochi soldi alla ricerca pubblica (solo 11 miliardi dei 60 a disposizione del ministero da qui al 2027). E meno controlli per tutti, via libera a interventi rapidi e finanziati con una cascata di soldi pubblici, nella terra della corruzione e delle mafie. Le organizzazioni criminali si stanno già preparando. L’esperienza ci insegna che ne vedremo delle belle. Poi, al primo scandalo – ci scommetto – la politica comincerà a strillare che la magistratura deborda e frena lo sviluppo.
IlFQ
lunedì 22 marzo 2021
Zone rosse e camici, Rsa e gaffe di Gallera. Un anno di fallimenti. - Virginia Della Sala
Ciò che sta accadendo in queste ore sui vaccini in Lombardia è l’ennesimo capitolo di una storia assurda, in una Regione martoriata dall’emergenza del Covid ma anche da decine di inchieste sulla responsabilità dei suoi amministratori, a tutti i livelli. Un anno dopo torna utile ripercorrere con una cronistoria (seppure limitata) tutte le decisioni sciagurate prese finora, incluse quelle su cui magistratura e tempo daranno il giudizio definitivo.
Le mancate chiusure. Inizio febbraio del 2020: il coronavirus gira nella zona di Codogno da almeno dieci giorni e si susseguono incontri a Roma e in Regione. Si vaglia soprattutto l’opzione “rischio dalla Cina” ma nonostante i casi, si fa ben poco. Dopo pochi giorni arriva il picco nella zona di Alzano e Nembro ma la Regione (nè comuni o prefettura) non istituisce alcuna zona rossa. Agli atti non risulta nessuna richiesta formale.
Alzano. È un altro punto cardine: la mancata chiusura dell’ospedale- focolaio di Alzano Lombardo, considerato il punto di partenza per la diffusione dell’epidemia in Val Seriana. La struttura, dopo la conferma di alcuni contagi, il 23 febbraio viene chiusa per qualche ora. Poi, dopo poco, riaperta senza sanificazione.
Le Rsa. Il Pio Albergo Trivulzio è l’emblema delle morti nelle strutture per anziani lombarde tra gennaio e aprile 2020. Qui, secondo le recenti consulenze, sarebbero morti di Covid circa 300 anziani ma ce ne sono decine con la stessa storia. Oggi si indaga per capire se l’errata gestione dell’emergenza sia stata causata dalla decisione dei singoli o dalle indicazioni date dalla regione Lombardia che l’8 marzo 2020 consente il trasferimento dei convalescenti da Covid nelle Rsa per alleggerire la pressione sugli ospedali. A questo, si aggiunge la mancanza a quel tempo di un piano pandemico aggiornato, la scarsità di dispositivi di protezione e di apparecchi di ventilazione. Vengono indagati in cinque tra responsabili delle aziende sanitarie bergamasche e l’ex direttore generale della sanità della Lombardia, Luigi Cajazzo (poi rimosso).
L’ospedale. A fine maggio, la Procura apre un’indagine sulla realizzazione dell’ospedale anti-Covid nei padiglioni inutilizzati della Fiera di Milano per verificare come siano stati spesi i 22 milioni di euro delle donazioni private. Alla guida viene messo Guido Bertolaso, tra le polemiche degli esperti: nella prima fase, “l’Astronave” è praticamente vuota, le terapie intensive sono lontane, i medici spostati. C’è chi chiede di riavere indietro i soldi. Ancora oggi, l’Astronave è “piena” ma con un numero di posti letto esiguo (circa 80)rispetto agli annunci (600).
I camici di Fontana. A luglio 2020, il governatore Attilio Fontana, viene indagato per turbativa d’asta: camici e protezioni sanitarie per 513mila euro vengono chieste con affidamento diretto alla società Dama spa, controllata dal cognato e (al 10% per cento) dalla moglie di Fontana. Il presidente sostiene sia una donazione gratuita ma i pm hanno appurato che la fornitura era stata avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture, poi sbianchettate dopo dalla nota di storno.
Via Gallera. Oltre alla mala gestione, la regione deve fare i conti con le gaffe dell’assessore al Welfare: confonde l’indice Rt, ringrazia gli ospedali privati, viola le restrizioni. A gennaio 2021, quando giustifica i ritardi nelle vaccinazioni con le ferie dei medici, Fontana mette al suo posto Letizia Moratti. Salta anche il dg Trivelli, che pochi mesi prima aveva sostituito Cajazzo.
I dati sbaglati. Intanto, la Lombardia finisce in zona Rossa ma per errore. I dati arrivati a Roma sono sbagliati, ristoranti e negozi chiudono. Gonfiati, anche quelli del “cruscotto regionale” che aggiorna i sindaci sul numero dei contagi nei comuni.
Vaccini antinfluenzali. Sempre gennaio. La Regione sbaglia i primi bandi sui vaccini antinfluenzali: basi d’asta fuori scala ed errori nelle quantità da ordinare. Li cambia, ma ormai i vaccini sono pochi e quelli che ci sono costano molto. I bandi sono 13, uno viene aggiudicato, prima che salti, da un dentista. E ancora, problemi nelle prenotazioni. Le dosi arrivano a metà gennaio, ma ormai è tardi. Avanzano 900mila vaccini, 10 milioni di euro sprecati.
IlFattoQuotidiano
mercoledì 16 ottobre 2019
Palermo, il crac Sikelia ferma i cantieri di collettore fognario e policlinico. - Sara Scarafia
La ditta, che gestiva l'appalto insieme con la Tecnis, la stessa dell'anello, ha presentato richiesta per il concordato preventivo davanti al tribunale fallimentare di Catania.
L'ultima tegola - nel cuore della città già funestato dai ritardi dell'appalto dell'anello ferroviario - è lo stop ai lavori del nuovo collettore fognario, quello che ha chiuso l'incrocio tra via Roma e via Amari, rivoluzionando e sconvolgendo, la viabilità. Spariti gli operai, sparite le ruspe, restano solo i disagi. Il cantiere finanziato dal Comune: la ditta Sikelia, che gestiva l'appalto insieme con la Tecnis, la stessa dell'anello, ha presentato richiesta per il concordato preventivo davanti al tribunale fallimentare di Catania. E a fermarsi non sono soltanto i lavori della rete fognaria: fermo è anche il maxi-appalto del Policlinico con i reparti di Oculistica e Ginecologia, ma anche il nuovo pronto soccorso, che non sono ancora stati completati.
Ma che succede? In via Roma - tra via Guardione e piazza Sturzo - gli scavi sono fermi. "I lavori si sono fermati in attesa di capire che cosa succederà" dice la Fillea Cgil che racconta che gli operai, rimasti in 30, non ricevono lo stipendio da due mesi. Il nuovo sistema fognario, che trasporterà al depuratore di Acqua dei Corsari i liquami di buona parte della città, doveva essere completato a maggio 2020. Già con due anni di ritardo. Ma adesso non è più possibile fare una previsione.
I lavori - che hanno chiuso l'incrocio di via Roma e via Amari - sono completi al sessanta per cento. Manca ancora, per esempio, il tunnel sotterraneo che dovrebbe passare sotto via Roma. E intanto i costi del nuovo collettore - stimati in 26 milioni - sono aumentati in corso d'opera di almeno 3 milioni.
Pare che l'azienda abbia un acquirente, la Amec di Catania, gestita da Mimmo Costanzo e Concetto Bosco, i vecchi proprietari della Tecnis, che era stata sequestrata nel 2016 e poi restituita. Ma non c'è ancora nessun atto ufficiale. E il Comune è in allarme. "La città non può permettersi un'altra incompiuta", dice l'assessora ai Lavori Pubblici Maria Prestigiacomo.
E in allarme c'è pure l'Università che ha affidato l'appalto per i lavori del Policlinico. Il restyling dell'ospedale doveva essere completato nel 2017. Poi, un aggiornamento del nuovo cronoprogramma, spostò la data al 2017. E ancora a novembre 2019. Ma dalle ferie d'agosto nessuno è rientrato: il cantiere è del tutto fermo. Sono solo due i padiglioni già consegnati e operativi: Oculistica e Medicina generale.
https://palermo.repubblica.it/cronaca/2019/10/15/news/palermo_il_crac_sikelia_ferma_i_cantieri_di_collettore_fognario_e_policlinico-238591288/?fbclid=IwAR3GdS4ohVj_ptEe10QQF8FICKHD0sLiFEBRMCXlR5wJFruEzUT64KC1nEc
martedì 23 aprile 2019
FALLIMENTO DELL'ESPRESSO. - Tommaso Merlo
Che l’Espresso (di De Benedetti) stia fallendo è davvero una bella notizia perché lascerà spazio ad altri progetti editoriali che i cittadini riterranno degni di essere letti. A far chiudere i giornali in Italia non è qualche dittatore gialloverde, sono i cittadini che non li comprano più. Evviva la democrazia! E quando il governo gialloverde taglierà gli ultimi finanziamenti all’editoria, altre testate seguiranno l’Espresso nel baratro. (sono già falliti La Padania, l'Unità, Europa, Liberazione, il Secolo d'Italia; dal 2003 ad oggi lo Stato ha versato oltre 230 milioni di euro nelle casse di 19 testate di partito, l’80% delle quali è fallito) Era ora. E così sul mercato rimarrà chi fa giornalismo all’altezza dei tempi e dei lettori. Evviva la liberà di mercato. Evviva la libertà di espressione. Nessuno dice infatti che l’Espresso debba cambiare idea o smetterla di attaccare i gialloverdi, macché, che continui puri, anzi, che alzi i toni se gli fa piacere, ad una sola piccola condizione, che lo faccia coi soldi dei suoi padroni o dei suoi lettori e non coi soldi dei contribuenti. E visto che i lettori se la sono data a gambe levate, all’Espresso sono rimaste due possibilità. O convince i De Benedetti a vendere ville e yatch e gioielli di famiglia per pagare gli stipendi dei loro giornalisti oppure abbassare la saracinesca e mandare le penne rosse a lavorare. E good luck. Sta finendo un’era. Finalmente. L’Italia ha girato pagina, è andata avanti. Il giornalismo no, è rimasto indietro politicamente ma anche culturalmente. È figlio di un mondo che non esiste più. Ed è questo il problema. La stampa dovrebbe essere una delle avanguardie della società, un luogo che informa onestamente la cittadinanza ma anche dove si ragiona, s’immagina, si contribuisce in qualche modo al pensiero e al dibattito di una comunità nazionale. La stampa italiana oggi è drammaticamente piatta e distante dalla società. È retrograda e conservatrice. Sa di muffa. È lenta, scontata e le sue parole sono vaghe e vuote come quelle di certi professoroni alla vigilia della pensione o di certi preti anziani che hanno perso la vocazione e predicano in chiese desolatamente vuote. Ostaggio di vecchi soloni rimbambiti, la stampa italiana predica e si lagna sbandierando stracci sgualciti senza avere la forza di penetrare nella realtà e soprattutto guardare avanti. Riesce solo a guardare indietro, appiccicando etichette anacronistiche, replicando ricette ormai nauseabonde. Come impedita da paraocchi ideologici che la fanno sbattere contro i muri delle proprie ammuffite convinzioni. Il perché è semplice. La stampa italiana è una delle sacche in cui si è annidato il vecchiume pre 4 marzo. È una casta reduce del vecchio regime e dal dente avvelenato che rifiuta il cambiamento perché per molti di loro significherebbe perdere carriere e status e la pestifera certezza di essere nel giusto in quanto casta intellettualmente e moralmente superiore. Ego e depravazione elitaria di categoria. Ma anche bassa politica. La stampa oggi è una protesi malconcia delle paturnie ideologiche del passato e di una fase partitica tra le più fallimentari della storia repubblicana. E ne riflette il peggio. Chi dirige la stampa sono anziani o polli di batteria che fino a ieri leccavano i deretani di qualche politicante di destra o di sinistra raccontando in giro la panzana della loro libertà e indipendenza che se ne avessero avuto anche solo un granello non li avrebbero mai fatti nemmeno entrare dalla porta di quelle redazioni. A seguito dello tsunami gialloverde, molta stampa è rimasta orfana di padroni politici e aree di riferimento. Da un giorno con l’altro. Da schiava a potenzialmente libera. Ma invece di spezzare del tutto le catene e abbracciare il nuovo corso, ha preferito rimanere incatenata al passato. Invece di smetterla di far politica e cominciare finalmente a fare giornalismo, hanno addirittura esasperato il vecchio modello politicizzato sdoganando fake news e spingendo sulle campagne diffamatorie. Hanno come avuto paura della libertà perché non la conoscono, non l’hanno mai vissuta veramente. E così si son messi in proprio, si son fatti partito. Auto imprigionandosi. Si son fatti sindacati difensori di un regime moribondo, si son fatti infami boicottatori di un cambiamento che non capiscono e non vogliono capire perché sanno benissimo che dopo aver fatto fuori i loro padroni politici, quel cambiamento farà far fuori anche loro. Come infatti sta succedendo. Naturalmente, democraticamente, pacificamente. Lasciando i loro giornali a marcire in edicola ed i loro talk-show blaterare nel vuoto. Stiamo arrivando al punto di rottura. Le crepe son sempre più profonde. I resti del vecchio regime scricchiolano e barcollano preannunciando il tonfo finale. Se i gialloverdi terranno duro, l’Espresso sarà solo il primo salubre crack di una lunga serie.
https://infosannio.wordpress.com/2018/10/07/fallimento-espresso/
venerdì 29 marzo 2019
Renzi senior «socio occulto» della Marmodiv: il tribunale dichiara il fallimento. - Ivan Cimmarusti
Il tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento della cooperativa Marmodiv, una delle società di cui si occupa l’inchiesta per bancarotta fraudolenta e false fatture nella quale sono indagati, tra gli altri, Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori dell’ex premier Matteo Renzi. La Procura della Repubblica sostiene che i genitori dell’ex presidente del Consiglio ed ex segretario del Partito democratico controllassero la società attraverso prestanome e che fossero loro gli amministratori di fatto. Per questo i magistrati hanno anche eseguito misure cautelari.
L’indagine sulla “Eventi6”.
I pm di Firenze sostengono che i Renzi avessero costituito delle cooperative per consentire alla srl “Chil Post”\”Eventi6”, riconducibile agli indagati (...) di avere a disposizione lavoratori dipendenti senza dover sopportare i costi relativi all'adempimento di oneri previdenziali ed erariali, tutti spostati in capo alle cooperative stesse». In sostanza, «la società “Chil Post” (poi “Eventi 6”) si sarebbe avvalsa del personale, formalmente assunto dalle cooperative le quali, non appena raggiunta una situazione di difficoltà economica, sono state dolosamente caricate di debiti previdenziali e fiscali, ed abbandonate al fallimento. Le cooperative si sarebbero succedute nel tempo, mantenendo tuttavia gli stessi dipendenti e gli stessi clienti. La Cooperativa “Marmodiv” avrebbe poi svolto attività di sovrafatturazione per consentire alla “Eventi 6” evasione delle imposte».
Le sovrafatturazioni della “Marmodiv”.
I magistrati indagano anche sulla stessa “Marmodiv”. Gli inquirenti ipotizzano che ci sia una fattura falsa portata allo sconto, in banca, per l’anticipo da parte degli attuali amministratori della cooperativa “Marmodiv”. La cooperativa era stata ceduta dai Renzi ai nuovi amministratori. Il tribunale fallimentare ha fatto eseguire una perizia integrativa proprio in relazione alla voce «fatture da emettere» che il perito aveva messo in dubbio. La perizia supplementare deve anche esplorare l’eventuale ipotesi di reato di falso in bilancio. Al momento, come rileva il gip Angela Fantechi, c’è l’ipotesi di una fattura falsa portata allo sconto per cui è pervenuta una querela da parte di Banca Cambiano. La querela, osserva il giudice, «conferma quanto accertato dalla Guardia di finanza, circa la presentazione allo sconto di fatture false anche in altre ipotesi per opera delle persone a cui Renzi ha ceduto la cooperativa».
https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-03-28/renzi-senior-socio-occulto-marmodiv-tribunale-dichiara-fallimento--200948.shtml?uuid=AB2eVxiB&refresh_ce=1
Leggi anche:
https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-02-19/fatture-false-renzi-non-grido-complotto-processo-sia-rapido--101528.shtml?uuid=ABhYjpVB
e anche:
https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-03-01/renzi-senior-contraddizioni-difesa-quattro-inchieste-fatture-false-183118.shtml?uuid=ABiTDmZB
sabato 1 ottobre 2016
Deutsche Bank, il primo istituto tedesco spolpato dagli illeciti e il rischio di un effetto domino sul sistema finanziario. - Muro Del Corno
La banca oggi vale in borsa 15 miliardi di euro contro i 30 di un anno fa e sono schizzati all'insù i Credit default swap con cui gli investitori si assicurano contro il suo fallimento. Le sue strette interconnessioni con il sistema bancario e assicurativo teutonico e con i big della finanza globale fanno pensare che se la situazione degenera interverrà il governo tedesco. Cosa che farebbe però scattare il bail in.
lunedì 14 dicembre 2015
Etruria, banca spolpata tra fidi ai consiglieri e yacht "fantasma" - Alberto Statera
Maria Elena Boschi e Banca Etruria: il “tesoretto” del padre.
ROMA – Poltrone in 14 diverse società per Pier Luigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi.
Una di queste poltrone era, ormai è cosa nota, all’interno di Banca Etruria, una delle quattro banche salvate dal crac da un intervento del governo Renzi (in cui la Boschi siede). La “radiografia” alle posizioni ricoperte da Pier Luigi Boschi la fa Paolo Bracalini sul Giornale, che parla di “un piccolo groviglio di interessi famigliari” tra i Boschi e la Banca Etruria, in cui lavorava anche il fratello della ministra, Emanuele, dirigente del settore incagli (i prestiti in sofferenza).
Scrive Bracalini: “Vicepresidente della banca e azionista della banca stessa, una prassi normalissima se l’interessato non fosse anche il padre di un ministro e la banca in questione non fosse andata in rovina, mandando in fumo gli investimenti dei piccoli risparmiatori dopo il decreto del governo Renzi, dove siede la figlia. (…) Pier Luigi Boschi, il padre del ministro per i Rapporti con il Parlamento, così come gli altri parenti «entro il secondo grado» di Maria Elena Boschi, non hanno acconsentito nel 2014 alla pubblicazione della propria posizione patrimoniale, come previsto (senza obbligo per i famigliari) dalle norme sulla trasparenza dei membri del governo. Per fare un po’ di chiarezza sulla sua posizione, dunque, bisogna scartabellare le relazioni ufficiali della banca e i prospetti della Consob. Da una relazione all’assemblea dei soci del maggio 2014 veniamo a sapere che nel 2013 Boschi senior, ancora solo consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo dell’Etruria (verrà promosso vicepresidente l’anno dopo) prende uno stipendio di 71.466 euro niente rispetto ai 638mila euro del direttore generale della banca, Luca Bronchi – e risulta proprietario di 9.563 azioni della banca. (…)
Cosa sia successo a quelle azioni dal 2014 in poi, tra il clamoroso boom del titolo in Borsa dopo il decreto sulle popolari e il commissariamento, non emerge né dalla banca, né dalla Consob né tantomeno da casa Boschi che su questa vicenda ha preferito tenere il massimo riserbo. Quel che invece si ritrova nelle tabelle della Commissione è un prospetto che alimenta altri interrogativi. Si tratta di una serie di informazioni che una banca, in caso di emissione di obbligazioni, è tenuta a comunicare alla Consob, e riguarda tra l’altro anche gli incarichi degli amministratori dell’istituto in altre società esterne alla banca. La lista delle «poltrone» occupate da papà Boschi contempla quattordici voci diverse: tre presidenze di cda (società agricole e coop), due vicepresidenze e poi incarichi da consigliere in altre sette società, dal Consorzio Vino Chianti alla Società Immobiliare Casa Bianca fino a Progetto Toscana Srl. La domanda la pone l‘economista Riccardo Puglisi, responsabile economico di Italia Unica: «Dalla Banca d’Italia sarebbe opportuno conoscere l’ammontare di fidi che l’Etruria ha concesso a queste società in cui Pier Luigi Boschi ha cariche amministrative». Anche perché secondo gli ispettori di Bankitalia, «13 amministratori e 5 sindaci hanno interessi in n. 198 posizioni di fido, per un importo totale accordato, al 30-09-2014, di circa 185 milioni di euro». Tradotto significa che in media ogni amministratore ha interessi in più di dieci finanziamenti concessi dalla banca. Papà Boschi, con i suoi quattordici cda, rientra in questa media?”
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