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sabato 9 settembre 2017

Intercettazioni, quando il Pd era contro il bavaglio. E Orlando diceva: “Bloccano la stampa con la scusa della privacy”. - Giuseppe Pipitone

Intercettazioni, quando il Pd era contro il bavaglio. E Orlando diceva: “Bloccano la stampa con la scusa della privacy”

Il guardasigilli che vorrebbe escludere i virgolettati delle intercettazioni dalle ordinanze dei magistrati sostituendole con un breve riassunto ("soltanto il richiamo al loro contenuto” c'è scritto nella bozza di decreto inviata ai procuratori italiani) è un nemico accanito della stretta sulle intercettazioni. Anzi era. "Il premier dovrebbe tener conto che l'80% delle intercettazioni in Italia viene disposto per reati di stampo mafioso". Come lui molti attuali ministri.

Il disegno di legge sulle intercettazioni? ”Con la scusa della privacy, che oltretutto non viene garantita dal ddl, data la farraginosità dei meccanismi, il provvedimento in realtà punta a bloccare la libertà di informazione e la capacità dello Stato, sottolineo dello Stato e non della magistratura, di condurre indagini contro i reati gravi”. Non è un esponente della sinistra nemica del Pd e neanche un estremista del Movimento 5 Stelle. Non è un leghista e non è neanche un ironico Renato Brunetta. Nossignore. Ad attaccare frontalmente la legge che mette un freno agli ascolti telefonici da parte delle procure è Andrea Orlando. Incredibile ma vero: il guardasigilli che vorrebbe escludere i virgolettati delle intercettazioni dalle ordinanze dei magistrati sostituendole con un breve riassunto (“soltanto il richiamo al loro contenuto” c’è scritto nella bozza di decreto inviata ai procuratori italiani) è un nemico accanito del bavaglio. Anzi, era. Almeno quando la stretta sulle registrazioni dei pm non è la sua. A volerla, una delle tante volte, era il governo di Silvio Berlusconi, con una legge che portava il nome di Angelino Alfano.
Il periodo, per intenderci, era quello compreso tra il 2009 e il 2010, culminato con le pagina bianca di Repubblica, i post-it gialli sugli articoli ( a proposito, che fine hanno fatto?), lo sciopero dei giornali e tutti i principali leader del Pd in prima linea contro la museruola che il Pdl voleva imporre alla stampa. “Il premier dovrebbe tener conto, tra l’altro, che l’80% delle intercettazioni in Italia viene disposto per reati di stampo mafioso, e purtroppo in questo campo sì l’Italia ha un triste record”, era un’altra delle infuocate dichiarazioni rilasciate da Orlando, all’epoca responsabile Giustizia del Pd di Pierluigi Bersani. Viene da chiedersi: ma oggi che è ministro della Giustizia che dati ha Orlando su intercettazioni e mafia?
Tuonavano contro il bavaglio berlusconiano anche molti altri big che oggi sono colleghi di Orlando al governo. “Limitare l’uso delle intercettazioni o addirittura proibirle significa fare il più grosso regalo possibile alla criminalità”, diceva tranciante il 10 febbraio 2010 Dario Franceschini, all’epoca capogruppo dem alla Camera e oggi ministro della Cultura. Non era meno diretta la sua parigrado al Senato, Anna Finocchiaro, oggi ministro per i Rapporti con il Parlamento. “Il disegno di legge sulle intercettazioni – diceva l’1 luglio del 2009 – è un altro modo per evitare che vengano perseguiti per atti molto gravi i soli noti”.
‘Penso che ogni italiano, nella sua vita quotidiana, trovi incredibile che il tema siano le intercettazioni”, era il commento dell’allora numero due del Pd, Enrico Letta, mentre Beppe Fioroni nel maggio del 2010 si disperava: “Non si può, per tutelare la privacy, mettere il bavaglio alla stampa”. Ancora più netto Ermete Realacci – “Il ddl sulle intercettazioni – diceva – è un regalo a Gomorra” – mentre stupiscono le posizioni di due renziane di ferro, ovviamente versione ante marcia. Pina Picierno: “Questo ddl punta a garantire la totale immunità del presidente del consiglio rispetto alla legge, nell’ottica del legibus solutus consona alle monarchie assolute”. Deborah Serracchiani: “Sulle intercettazioni non possiamo andare contro la Corte di Giustizia europea che pone il diritto di cronaca prima di tutto anche prima del diritto alla privacy dei politici”.
Il bello è che dopo aver affossato il bavaglio- su input di gran parte della stampa italiana – il Pd ci teneva a rivendicarlo. E infatti quando Berlusconi dichiarò che la sua legge sulle intercettazioni era stato bloccata da un patto tra l’Anm e l’odiatissimo Gianfranco Fini, all’epoca presidente della Camera, i dem si affrettarono ad alzare la mano. In che modo? Regalarono all’ex premier addirittura una brochure celebrativa. Titolo: “Ddl intercettazioni: come il Pd ha fermato la legge bavaglio“. Altri tempi.

sabato 11 luglio 2015

Napolitano? “De Gennaro e Letta ce l’hanno per le palle, sanno di Giulio.” - Vincenzo Iurillo e Marco Lillo





L'intercettazione del febbraio 2014 fra Dario Nardella, vice di Renzi quando il premier era sindaco di Firenze, e Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della guardia di Finanza, evoca ombre su attività e "conflitti d'interesse" di Giulio Napolitano, figlio dell'allora presidente della Repubblica. "Sanno qualcosa di lui". Al centro la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Gdf da parte del governo Letta.


Il 5 febbraio 2014, quando già la staffetta era matura, alla Taverna Flavia di Roma pranzano in quattro: il vicesindaco (poi sindaco) di Firenze Dario Nardella, il generale della Guardia di Finanza allora a capo di Toscana ed Emilia-Romagna Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della Gdf, il presidente dei medici sportivi Maurizio Casasco e l’ex capo di gabinetto del ministro Tremonti nonché presidente di Invimit, società di gestione del risparmio che amministra immobili pubblici ed è di proprietà del ministero dell’Economia, Vincenzo Fortunato.
I carabinieri del Noe guidati dal colonnello Sergio De Caprio intercettano il colloquio con una cimice sotto il tavolo. Due le partite: la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Finanza da parte del morituro governo Letta. E la staffetta tra questi e Renzi, amico dei commensali. In questo contesto l’attuale numero due della Guardia di Finanza dice che il figlio di Napolitano Giulio oggi a Roma è potente, è tutto”. Poi sembra dire che il capo dello Stato sarebbe ricattabile perché “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e (Enrico, ndr) Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella non fa una piega, anzi.
Scrive il Noe: “Nardella dice che la strada è più semplice. Bisogna fare la legge elettorale e andare alle elezioni anticipate”. Poi dice che Letta gli sembra “andreottiano” e “attaccato alla seggiola”. E allude malizioso: “A meno che non ci sia anche da coprire una serie di cose, come uno nomina sei mesi prima il comandante, perché… a me è venuta la Santanchè pensa, che dice tanto tutti sanno qual è la considerazione di Giulio Napolitano. Prima o poi uscirà fuori”. Insomma, il segreto non sarebbe più tale. “Se lo sa la Santanchè, vabbè ragazzi”.
Adinolfi resta sul tema: “Giulio oggi a Roma è tutto o comunque è molto. Giusto? Tutto, tutto… e sembra che… l’ex capo della Polizia … Gianni De Gennaro e Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella commenta criptico: “A quello si aggiunge, quello è il colore…”, seguono parole incomprensibili. Fortunato pensa al potere del figlio del presidente: “Comunque lui è un uomo, c’ha studi professionali, interessi. Comunque tutti sanno che lui ha un’influenza col padre. Come è inevitabile… ha novant’anni c’ha un figlio solo”. Nardella concorda: “È fortissimo!”. Adinolfi: “Non è normale che tutti sappiano che bisogna passare da lui per arrivare” e Nardella sembra accennare a un possibile conflitto di interesse: “Consulenze, per dire consulenze dalla pubblica amministrazione”.
A conferma dell’ipotetica relazione tra la nomina di Capolupo e una presunta ricattabilità di Giulio Napolitano c’è una telefonata del giorno seguente. Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e delegato per la Legalità di Confindustria nazionale, parla con Adinolfi. Mentre aspetta Montante confida a qualcuno vicino: “Perché è stato prorogato… chissà perché… Figlio di puttana ha beccato ha in mano tutto del figlio di Napolitano, tutto… me l’ha detto Michele… ha tutto in mano sul figlio di Napolitano”. Dove Michele, secondo i carabinieri, è Adinolfi.
Non è chiaro, dalla registrazione, cosa abbia in mano Capolupo. Potrebbero essere parole in libertà ma una democrazia non tollera ombre. Anche Giorgio Napolitano non esce bene dalle intercettazioni, come quella di una conversazione tra Fabrizio Ravoni, già al Giornale dei Berlusconi e poi a Palazzo Chigi con Berlusconi e Fortunato. Il Noe definisce “interessante” la conversazione del 5 febbraio 2014 in cui il burocrate più potente ai tempi di Tremonti, “in contrasto con l’attuale governo Letta sente il bisogno di esternare circa un ruolo anomalo di Giulio Napolitano.
Il discorso – prosegue il Noe – parte da Fortunato che racconta a Ravoni le sue considerazioni sull’azione del Presidente della Repubblica, che avrebbe favorito provvedimenti favorevoli al figlio Giulio imponendo il rigore su altri: ‘Guarda è un uomo di merda io so’ convinto da tempo… prima ha fatto cadere questo poi ha spostato il rigore a parole perché tra l’altro quando si trattava di far passare i provvedimenti per l’Università che gli stavano al cuore al figlio era il primo a imporci le norme di spesa ma comunque poi ha imposto a tutto il paese un anno di governo Monti al grido rigore, rigore, rigore…’”. E il Noe ricorda che Napolitano jr. è professore ordinario a Roma tre.
di Vincenzo Iurillo e Marco Lillo
da Il Fatto Quotidiano del 10 luglio 2015
*Riceviamo e pubblichiamo:
“Il Fatto Quotidiano di oggi riferisce di una conversazione da taverna fra una serie di persone, da me mai frequentate, le quali, per spiegare il loro mancato ottenimento di vantaggi e nomine sostengono che ciò sarebbe dovuto al fatto, risibile e assurdo, che io sarei “ricattato” o “ricattabile”.
Nei nove anni di presidenza di mio padre ho sempre assunto un profilo pubblico e professionale volutamente in disparte, rifiutando moltissimi incarichi che anche indirettamente avrebbero potuto riverberarsi negativamente sulla attività e la immagine del presidente della Repubblica. 
Tant’è che i commensali, nei cui confronti valuterò le azioni da intraprendere, non riescono ad evidenziare un solo fatto, evento, provvedimento che in qualche modo mi avrebbe favorito.
Rimane una domanda di fondo: come sia possibile che conversazioni manifestamente irrilevanti, per la loro forma e il contenuto, siano potute entrare nella carte di un procedimento penale che riguarda tutt’altre vicende e da qui diffuse ad arte. Ma si tratta di malattia antica che va ben oltre il maldestro tentativo di gettare fango sulla mia persona”.
Giulio Napolitano

Renzi: “Letta incapace, Berlusconi è con me”. La strategia per Palazzo Chigi spiegata al generale Adinolfi. - Vincenzo Iurillo e Marco Lillo

Renzi: “Letta incapace, Berlusconi è con me”. La strategia per Palazzo Chigi spiegata al generale Adinolfi

L'INTERCETTAZIONE - L'attuale premier parlava così al telefono con l'attuale numero due della Guardia di finanza quando non era ancora premier. Voleva mandare Letta jr al Quirinale: "Sarebbe perfetto". E aggiungeva: "Lui non è capace, non è cattivo, l'alternativa è governarlo da fuori. B. sarebbe sensibile a fare un ragionamento diverso."

Le strategie per prendere il posto di Enrico Letta, spiegate dalla viva voce di Matteo Renzi in una telefonata dell’11 gennaio 2014, meno di un mese prima di suonare la campanellina dello sfratto al suo predecessore. Renzi, si scopre oggi, propose a Letta l’onore delle armi, uno specchietto per le allodole o una promessa che non si poteva mantenere e nemmeno rifiutare: il Quirinale nel 2017 in cambio di Palazzo Chigi. Ma Letta, che Renzi definisce “un incapace”, non accetta e così l’allora sindaco lo asfalta.
Nell’indagine di Napoli sulla Cpl Concordia c’è la vera trama della svolta politica. Il 10 gennaio 2014 Renzi va a Palazzo Chigi con Delrio. Qui avrebbe fatto la proposta all’allora premier, come racconta l’indomani. Ore 9.11, Renzi risponde al comandante interregionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, allora indagato per una sospetta fuga di notizie che sarà archiviato su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock. Renzi parla sul suo cellulare, una “utenza intestata – annotano i carabinieri del Noe – alla fondazione Big Bang”. Quel giorno compie 39 anni.
Renzi (R): Signor generale!
Adinolfi (A): Mi dicono fonti solitamente ben informate che ti stai avviando anche tu verso una fase di rottamazione.
R: È la disinformatia del partito…
A: Come stai amico mio? Tanti auguri, tanti auguri e complimenti. Matteo, spero di vederti in qualche occasione.
R: Con molto, molto piacere. La settimana prossima sarà un po’ decisiva perché vediamo se riusciamo a chiudere l’accordo sul governo. E…
A: Rimpastino?
R: Sì, sì. Rimpastino sicuro. Rimpastone, no rimpastino! Il problema è capire anche… se mettere qualcuno dei nostri…
A: È lì il punto! O stare fuori, va bene?
R:No, bisogna star dentro.
A: Oppure stare dentro.
R: Stare dentro però rimpastone.
A: Significa arrivare al 2015.
R: E sai, a questo punto, c’è prima l’Italia, non c’è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all’aria tutto, secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace, il nostro amico. Però…
A: È niente, Matteo, non c’è niente, dai, siamo onesti.
In sostanza Renzi anticipa a un generale, non un suo consulente ma al limite un suo controllore, una strategia che nessuno ha mai svelato: la staffetta (il “rimpastone”) con un risarcimento, il Quirinale nel 2017, per l’inquilino sfrattato da Palazzo Chigi. Proposta rifutata. Due i problemi, spiega Renzi al generale: Letta jr ha 46 anni, dovrebbe aspettarne tre per il compimento dei 50, soglia minima per il Colle, e non si fida. Inoltre “il numero uno” alias Napolitano, giustamente, è contrario.
R: Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace. E quindi… però l’alternativa è governarlo da fuori…
A: Secondo me il taglio del Presidente della Repubblica.
R: Lui sarebbe perfetto, gliel’ho anche detto ieri.
A: E allora?
R: L’unico problema è che … bisogna aspettare agosto del 2016. Quell’altro non c’arriva, capito? Me l’ha già detto.
A: Sì sì, certo certo.
R: Quell’altro 2015 vuole andar via e … Michele mi sa che bisogna fare quelli che… che la prendono nel culo personalmente… poi vediamo magari mettiamo qualcuno di questi ragazzi dentro nella squadra… a sminestrare un po’ di roba.
A: Sì sì, ho capito.
R: Purtroppo si fa così.
A: Non ci sono alternative, perché quello, il numero uno non molla e quindi che fai?
Renzi conferma che Napolitano è contrario e aggiunge: Berlusconi è favorevole. Il patto del Nazareno c’era già 8 giorni prima di essere siglato. L’incontro Renzi-Berlusconi è del 18 gennaio, ma fu annunciato il 16, cinque giorni dopo la telefonata.
R: E poi il numero uno anche se mollasse… poi il numero uno ce l’ha a morte con Berlusconi per cui… e Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso. Vediamo via, mi sembra complicata la vicenda.
A: Matteo, intanto t’ho mandato una bellissima cravatta.
R: Grazie.
A: (…) Se vuoi il colore lo puoi cambiare, ci sono dei rossi e dei neri, va bene? (ride)
R:No ma va bene, poi io amo il calcio minore per cui va bene.. un abbraccio forte.
A: Che stronzo! Ciao, ciao. Buon compleanno, buona giornata.
Per comprendere l’ultimo passaggio bisogna sapere che Adinolfi è milanista e amico fraterno di Adriano Galliani da trenta anni. Inoltre è amico di Gianni Letta, come dimostrano altre conversazioni depositate nelle quali Letta senior lo sponsorizza mentre Letta jr lo fa fuori dalla corsa a comandante generale. Inoltre è considerato vicino a Berlusconi. Forse per questo Renzi gli parla del leader di Forza Italia quasi come se fosse un amico comune, a differenza di Napolitano. Se questo aiuta a capire perché Renzi, notoriamente viola, accetti una cravatta da un rossonero, non spiega perché il leader della sinistra italiana si faccia chiamare “stronzo” da un amico di Berlusconi, che vuole promuovere a capo della Finanza. Ma questa è un’altra storia.

giovedì 9 gennaio 2014

Anche con Enrico Letta Palazzo Chigi paga affitti d’oro: 13,4 milioni di euro nel 2013. - Carlo Tecce

Anche con Enrico Letta Palazzo Chigi paga affitti d’oro: 13,4 milioni di euro nel 2013


Lo Stato ha un patrimonio immenso di caserme, capannoni, palazzoni, allora perché Palazzo Chigi, l’essenza statale e politica, spende 13,4 milioni di euro l’anno in “locazioni di vario genere”? Ai calcoli, la giusta sentenza: le stagioni dei tecnici e lettiani, ultimo triennio, fanno risparmiare quasi 6 milioni di euro.

Giulio Tremonti e pure Silvio Berlusconi: “Vendiamo gli immobili pubblici”. Mario Monti e la truppa di ministri con il loden: “Vendiamo gli immobili pubblici”. Enrico Letta e i collaboratori di larghe intese: “Vendiamo gli immobili pubblici”. Non va buttato il tempo per notare le differenze: non ci sono. Vendere per fare cassa, non fa difetto il buon proposito, però affittare perché?
Lo Stato ha un patrimonio immenso di caserme, capannoni, palazzoni, allora perché Palazzo Chigi, l’essenza statale e politica, spende 13,4 milioni di euro l’anno in “locazioni di vario genere”? Ai calcoli, la giusta sentenza: le stagioni dei tecnici e lettiani, ultimo triennio, fanno risparmiare quasi 6 milioni di euro.
La crescita, esponenziale e incontrollata, l’aveva provocata il Cavaliere: 2011, a ogni sottosegretario veniva affidato un appartamento di lusso. Esempio: Daniela Santanchè, Attuazione del programma, occupava un panoramico ufficio in piazza di Montecitorio. Il governo di Berlusconi sforava con leggerezza i 20 milioni di euro. Più di un terzo degli odierni 13,4 milioni di euro sono per la Protezione civile: via Vitorchiano di proprietà di Roberto Amodei e famiglia (editori del Corriere dello Sport), un cubo di cemento e vetrate, in zona a rischio allagamenti, costa 4,454 milioni di euro. I mezzi sono adagiati in via Affile; scrutato un groviglio di numerose società, s’arriva a banca Bnl: vale 1,219 milioni di euro.
Va segnalato che il professor Mario Monti, che pure aveva ridotto di parecchio la spesa in locazioni, ha stipulato un contratto da 1,6 milioni di euro con Unicredit per palazzo Verospi, storico e centrale, via del Corso. Propri lì, fra affreschi e capitelli, il sottosegretario Giovanni Legnini (editoria) riceve, e le foto lo testimoniano, illustri ospiti e delegazioni.
In via dell’Umiltà, non lontano dall’ex sede dei berlusconiani, il governo ospita la stampa estera: 1,8 milioni di euro, considerati troppi dai dirigenti governativi. Il segretario generale di Chigi, sfruttando l’articolo di legge inserito con fatica nel Milleproroghe contro gli affitti d’oro, vuole disdire gli accordi pluriannuali per via della Vite e via dei Laterani: una limatura da 870.000 euro. E grazie a quel comma che il Movimento Cinque Stelle ha proposto e il Partito democratico ha compreso con ritardo, Palazzo Chigi vorrebbe ridiscutere le tariffe per (almeno) tre palazzi. Anche i 310.000 euro per il parcheggio di Pozzo Pantaleo potrebbe traslocare altrove (e gratis) scegliendo una nuova e vicina destinazione fra le infinite proprietà dello Stato: Palazzo Chigi vuole comprare dal demanio militare. Disperso fra la lista d’acquisti per caffè, acqua minerale effervescente o naturale e tende con ricami, mister spending review Cottarelli ancora non ha toccato la pratica immobili di Chigi (o dei ministeri).
Dai 20 milioni di Berlusconi ai 13,4 milioni di Letta, che l’anno prossimo saranno 12: lo spreco diminuisce, però resta. Così non sarà credibile per un presidente del Consiglio, affiancato con seriosità dal ministro di turno, far notare che “il patrimonio pubblico è troppo, inutilizzato e va dismesso”. Non s’è mai visto un ricco immobiliarista che prende qua e là palazzi in affitto.

venerdì 15 novembre 2013

Tegola Ue per Letta: “Debito italiano troppo alto, no flessibilità su investimenti”.

Letta e Saccomanni


L'Ue boccia la Legge di Stabilità. Chiede a Letta e a Saccomanni di accelerare "i progressi" e dubita che il debito verrà ridotto nel 2014.

La mannaia di Bruxelles cala sul governo Letta. Non sarà concessa alcuna flessibilità sugli investimenti, il cosiddetto “bonus Ue” che aveva chiesto l’Italia, perché il debito italiano è troppo alto. La Commissione Ue dopo aver analizzato (e bocciato) la Legge di Stabilità ha infatti deciso che “l’Italia non ha accesso alla clausola per gli investimenti perché il debito non si è evoluto in modo favorevole”.
La notizia ha subito suscitato le reazioni dei mercati con i titoli di Stato italiani che hanno ricominciato a salire portando lo spead con il Bund tedesco a 240 punti base. Del resto le parole della Commissione pesano come macigni. “Per l’Italia c’è un rischio che, con i piani correnti, la regola della riduzione del debito non sarà rispettata nel 2014″, si legge ancora nella comunicazione sulla valutazione delle leggi di stabilità dei paesi dell’Eurozona. Bruxelles, quindi, “invita” le autorità italiane “a prendere le misure necessarie per assicurare che la Legge di Stabilità del 2014 rispetti pienamente il Patto di Stabilità e Crescita“.
Non solo. La Commissione chiede anche di “accelerare i progressi per attuare le raccomandazioni fiscali nell’ambito del semestre europeo”. Secondo le regole del Two-Pack, Bruxelles può chiedere un piano riveduto se ha individuato inosservanze particolarmente gravi negli obblighi della politica di bilancio previsti dal Patto di stabilità e crescita. Ma, si spiega dalla Commissione, “non è stato il caso in questo round”.
A questo punto la Commissione non può che far “molto” conto sugli impegni presi dal governo italiano in particolare “sulla spending review portata avanti da Carlo Cottarelli“, che Letta ha prelevato direttamente dalla terza gamba della Troika, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), dice il vicepresidente Olli Rehn parlando della situazione italiana. “Risultati chiari dalla spending review potrebbero permettere all’Italia di chiedere l’ammissione alla procedura per la clausola sugli investimenti, ha aggiunto il commissario Ue agli Affari economici.
”Non c’è bisogno di fare cambiamenti nella legge di bilancio”, ha risposto da Bruxelles il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, spiegando che “con le linee che abbiamo già programmato raggiungeremo il risultato” di ridurre il deficit 2014 al 2,5% ed essere in linea con i parametri. La Commissione Ue “non tiene conto di importanti provvedimenti annunciati dal governo, anche se non formalmente inseriti nella Legge di stabilità, e già in fase di attuazione per contrastare eventuali rischi su disavanzo e debito 2014″, ha aggiunto il dicastero dell’economia.
E ancora, le valutazione della Commissione secondo il Tesoro “discende da una stima di crescita del prodotto che, come è noto, non coincide con quella del governo italiano e comporta implicazioni per le proiezioni di finanza pubblica”. Via Nazionale sottolinea poi che “la crescita del debito in rapporto al Pil è la risultante della recessione che si è protratta fino al 2013 e del pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni (quasi 50 miliardi di euro in 12 mesi tra il 2013 e il 2014), operazione concordata con la Commissione europea. Anche il sostegno finanziario ai Paesi dell’area dell’Euro in difficoltà ha contribuito alla dinamica del debito”.
Quanto ai provvedimenti annunciati non formalmente inseriti nella Legge di stabilità e già in fase di attuazione, il ministero cita la spending review, “la riforma del sistema fiscale attraverso la delega che il Parlamento sta ormai per varare”, il programma di privatizzazioni, “il rientro dei capitali illecitamente detenuti all’estero”, la rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia. “Queste misure rafforzano il carattere innovativo della Legge di stabilità 2014 che, per la prima volta dopo diversi anni, avvia un percorso di riduzione della tassazione e di riqualificazione della spesa pubblica tagliando quella corrente ed aumentando la quota destinata agli investimenti, su un arco di tempo triennale, un periodo adeguato affinché gli interventi in essa contenuti possano estrinsecare pienamente i loro effetti”.
Il governo, in ogni caso, “condivide il giudizio della Commissione sull’esigenza di continuare a perseguire una strategia di consolidamento delle finanze pubbliche e di riduzione del debito e ritiene che le misure sopra indicate avranno effetti positivi sui conti pubblici, in linea con quanto richiesto dal Patto di Stabilità e Crescita, senza bisogno di ulteriori interventi”. Dopo il giudizio della Commissione, la Legge di stabilità sarà discussa dall’Eurogruppo il 22 novembre prossimo.

mercoledì 16 ottobre 2013

Legge di Stabilità, il taglio di cuneo fiscale promesso da Letta diventa una mancia. - Stefano Feltri

Legge di Stabilità, il taglio di cuneo fiscale promesso da Letta diventa una mancia

Il premier evita il temuto intervento sulla Sanità, ma lo stimolo all'economia si riduce a poche decine di euro all'anno. Ma Pd e Pdl sono contenti. Mentre la nuova Service Tax, Trise, colpirà anche gli inquilini oltre che i proprietari. Previste inoltre 500 milioni di tagli alle detrazioni e deduzioni.

Enrico Letta riesce nel suo obiettivo principale: non scontentare nessuno nel passaggio più difficile di queste settimane, l’approvazione della legge di Stabilità, un intervento di politica economica che prevede oneri per lo Stato di 11,9 miliardi in tre anni (fino al 2016) e nel complesso smuove 27,3 miliardi. “La manovra non toglie nulla alla Sanità e fa scendere tasse per famiglie e imprese”, annuncia in una conferenza stampa convocata a metà della riunione del Consiglio dei ministri, in tempo per i tg della sera. Al suo fianco torna Angelino Alfano, vicepremier del Pdl, felice di poter vantare i risultati del suo ruolo di“sentinella delle tasse”. Sono tutti contenti: la stangata diventa una spolverata di rigore con accenni di spesa per scavallare almeno la scadenza della mezzanotte, termine per mandare la bozza della legge di Stabilità alla Commissione europea a Bruxelles che farà un’esame preliminare prima del Parlamento.
Letta aveva preso un impegno: questa legge di stabilità dovrà essere ricordata per un forte intervento sul cuneo fiscale, cioè sul carico di tasse e contributi che pesa sulla busta paga del dipendente e sul datore di lavoro. Nelle simulazioni della vigilia si parlava di 4-5 miliardi all’anno con benefici – a spanne – di 200 euro a lavoratore. Ma l’intervento sarà minimalista: 10 miliardi in tre anni, nel 2014 soltanto 2,5 così ripartiti: 1,5 per ridurre l’Irpef per le fasce di reddito medio basse (e si capirà più avanti quali), cifra che sale a 1,7 e 1,8. Ci sono poi 40 milioni per ridurre l’Irap quota lavoro e 1 miliardo a vantaggio delle imprese, come intervento sui contributi sociali. Alla fine il beneficio per i lavoratori sarà di poche decine di euro all’anno, a meno che la platea dei beneficiari venga così ridotta da rendere il regalo fiscale più consistente anche se riservato a pochi intimi. Comunque l’impatto sull’economia sarà poco percepibile, infatti protestano sia la Confindustria che i sindacati, entrambi concordi sul fatto che lo stimolo alla crescita non produrrà effetti sensibili.
Ma non importa, perché riducendo le ambizioni sul cuneo, Letta è riuscito a evitare i tagli alla Sanità di cui si parlava nelle bozze della manovra: 4,5 miliardi di euro che avevano fatto protestare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e tutte le categorie coinvolte. Niente tagli, dunque, con il Pd che si tranquillizza perché l’effetto si sarebbe sentito soprattutto nelle Regioni del centro-nord, come Toscana ed Emilia (c’è però un miliardo di euro di riduzione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni, un taglio che secondo il premier peserà soltanto sulle spese di funzionamento, cioè sulla “macchina”). In quota centrosinistra vanno anche tutti gli interventi sociali: il blocco dell’aumento dell’Iva per le cooperative e il rifinanziamento dei fondi per la non autosufficienza (250 milioni). Nel 2014, dice il documento del governo, ci saranno 6,4 miliardi di euro per “azioni sociali, progetti di investimento e impegni internazionali”.
Il Pdl può intestarsi la “vision della manovra”, come dice Alfano, cioè “meno spesa e meno tasse”. Letta usa la sua ormai consolidata tattica di comunicazione retorica: l’elenco. Cita tutto, incluse misure solo futuribili come la tassazione dei capitali italiani in Svizzera sulla base del lavoro della commissione guidata dal pm Francesco Greco, il cui lavoro è pronto da mesi ma finora ignorato dall’esecutivo, e un piano di privatizzazioni i cui contenuti sono sempre vaghi. Glissa invece con una certa abilità sui dettagli della tassazione immobiliare: è ormai chiaro che la Service Tax, che ora si chiamaTrise, sarà pesante, che colpirà anche gli inquilini oltre che i proprietari e che dovrebbe coinvolgere anche la prima casa (nessuno sa, inoltre, da dove arriveranno i 2,4 miliardi necessari a evitare il pagamento della rata Imu di dicembre). Ma al Pdl l’argomento non è congeniale, quindi Letta evita di approfondire. E i 500 milioni di tagli alle tax expenditures, cioè detrazioni e deduzioni, si potrebbero anche chiamare “aumenti delle tasse”, ma Letta non usa formule così brutali.
“Le ultime misure dell’Italia sembrano andare nella direzione giusta”, aveva detto il commissario europeo Olli Rehn alla vigilia del Consiglio dei ministri, a marcare una certa benevolenza dell’Europa. Lo dimostra il fatto che Letta si impegna a spendere 3 miliardi senza coperture. Lui e Saccomanni lo presentano come una mossa frutto dell’uscita dalla procedura d’infrazione europea, un premio ai nostri sforzi. In realtà si tratta semplicemente di spesa in deficit, quella che abbiamo fatto per decenni: il deficit in rapporto al Pil nel 2014 salirà da 2,3 a 2,5. E così si trovano 3 miliardi. Ma la procedura d’infrazione non c’entra molto, il merito è del governo di Mario Monti che ha lasciato in eredità un deficit 2014 abbastanza lontano dalla soglia di guardia del 2,9 per cento da lasciare spazio per interventi di spesa come quello voluto da Letta.
Dietro gli slogan restano molte domande. La prima è se l’Europa riterrà sufficienti le coperture. L’altra – sollevata da Confindustria – è se questi interventi sono sufficienti a spingere la crescita. Il ministro Saccomanni si sbilancia: “Non cresceremo a ritmi cinesi, ma possiamo arrivare al 2 per cento”. Sembra tanto, ma il governo aveva già stimato prima della manovra un Pil a + 1,7 per cento nel 2015 e + 1,8 nel 2016. Quindi, di fatto, anche Saccomanni ammette che la manovra non servirà a molto.

domenica 29 settembre 2013

Lacrime da coccodrillo. - Marco Travaglio



Da qualche tempo a questa parte, appena prende la parola, il che gli accade ormai di continuo, in una logorrea esternatoria senza soste, anche due volte al giorno, prima e dopo i pasti, il presidente della Repubblica piange. 
È una piccola variante sul solito copione: il monito con lacrima. 
A questo punto mancano soltanto le scuse al popolo italiano, unico abilitato a disperarsi per lo schifo al quale è stato condannato da istituzioni e politici irresponsabili. Cioè responsabili dello schifo. L’altro giorno, mentre Letta Nipote garantiva agli americani che il suo governo era stabile e coeso come non mai e B. raccoglieva le firme dei suoi 188 servi in Parlamento per minacciare di rovesciarlo, Napolitano definiva “inquietante” la pretesa del Caimano di condizionarlo per fargli sciogliere le Camere e interferire nei processi giudiziari. E lo dice a noi? Sono anni e anni che lui, non noi, corre in soccorso dell’Inquietante non appena è in difficoltà.

Lo fece nel novembre 2010, quando Fini presentò la mozione di sfiducia al governo B. e lui ne fece rinviare il voto di un mese, dando il tempo all’Inquietante di comprarsi una trentina di deputati. Lo rifece nel novembre 2011, quando B. andò a dimettersi per mancanza di voti alla Camera, e lui gli risparmiò le elezioni anticipate, dando il tempo all’Inquietante di far dimenticare i suoi disastri quando i sondaggi lo davano al 10 per cento. Lo rifece quest’anno, dopo la batosta elettorale di febbraio (6,5 milioni di voti persi in cinque anni): prima mandò all’aria ogni ipotesi di governo diverso dall’inciucio, tappando la bocca ai 5Stelle che chiedevano un premier fuori dai partiti; poi accettò la rielezione al Quirinale, sostenuta fin dal primo giorno proprio da B., quando ancora Bersani s’illudeva di liberarsi della sua tutela; infine impose le larghe intese, in barba alle promesse elettorali di Pd e Pdl, e nominò premier Letta Nipote che, come rivela Renzi nel suo libro, era stato scelto da B. prim’ancora che dal Pd.

L’idea di consultare gli elettori gabbati per sapere che ne pensavano (come si appresta a fare l’Spd con un referendum fra i suoi elettori prima di andare a parlare con la Merkel), non sfiorò nessuno. Tanto i giornaloni di destra, centro e sinistra suonavano i violini e le trombette sulla “pacificazione” dopo “vent’anni di guerra civile”. E B., semplicemente, ci credette: convinto che Napolitano e Pd l’avrebbero salvato un’altra volta. Il Fatto titolò: “Napolitano nomina il nipote di Gianni Letta”. Apriti cielo. A Linea notte Pigi Battista tuonò contro quel titolo “totalmente insensato, eccentrico, bizzarro, non certo coraggioso” perché “non riconoscere che Enrico Letta sia una figura di spicco del Pd e scrivere che la sua unica caratteristica è essere nipote di Gianni Letta è una scemenza. Non vorrei che passasse l’idea che ci siano giornali, come il Corriere su cui scrivo, accomodanti e trombettieri, e altri che dicono la verità, sono coraggiosi, stanno all’opposizione”. Ieri il coraggioso Corriere su cui scrive Battista pubblicava le foto di Enrico e Gianni Letta imbalsamati che sfrecciano sulle rispettive auto blu dopo l’incontro al vertice di venerdì, quando “a Palazzo Chigi arriva anche lo zio di Enrico, Gianni Letta. Incontri non risolutori, che preparano il colloquio delle 18 al Quirinale”. C’era da attendersi un puntuto commento del coraggioso Battista per sottolineare quanto fosse insensata, eccentrica, bizzarra questa simpatica riunione di famiglia fra il premier e lo zio, sprovvisto di qualunque carica pubblica, o elettiva, o partitico, che ne giustificasse la presenza a Palazzo Chigi.

L’indomani Napolitano lacrimava alla Bocconi perché B. ha “smarrito il rispetto istituzionale”. Perché, quando mai in vent’anni l’ha avuto? Per smarrire qualcosa, bisognerebbe prima possederla. Intanto il ministro Franceschini , in Consiglio dei ministri, si accapigliava con Alfano: “Voi volete solo salvare Berlusconi!”. Ma va? E quando l’ha scoperto? Infine ieri, mentre tutti parlavano di fine del governo e di “punto di non ritorno”, Napolitano dimostrava che il punto di non ritorno non esiste, la trattativa Stato-Mediaset è più che mai aperta.

Infatti chiedeva, eccezionalmente a ciglio asciutto, “l’indulto e l’amnistia”. Ma sì, abbondiamo. Così sparirebbero per incanto i processi Ruby-1 e Ruby-2, De Gregorio, Tarantini, Lavitola, la sentenza Mediaset e tutti i reati commessi da B. ma non ancora scoperti. I detenuti perbene dovrebbero dissociarsi e rifiutare di diventare gli scudi umani per B.& N., a protezione del sistema più marcio della storia. Essi sì avrebbero diritto a versare qualche lacrimuccia. Invece in Italia lacrimano solo i coccodrilli: chi è causa del nostro mal, piange al posto nostro.


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venerdì 30 agosto 2013

Imu seconde case, B. furibondo con i suoi. Cgia: “Aumento Iva penalizza i poveri”.

Imu seconde case, B. furibondo con i suoi. Cgia: “Aumento Iva penalizza i poveri”

Il Cavaliere non ha digerito l'ingorgo fiscale sulle abitazioni di villeggiatura: colpito elettorato Pdl. Il centro studi di Mestre spiega come l'innalzamento di un punto dell'imposta sui valori aggiunti colpisca la fascia meno abbiente della popolazione. E sull'Imu attacco del Financial Times: "Vince Berlusconi, perde l'Italia".

Pace apparente. I giorni successivi alla cancellazione della tassa sulla prima casa non sono come i partiti delle larghe intese vogliono far credere. Se all’orizzonte del governo, infatti, si prefigura già il prossimo scontro tra Pd e Pdl sull’aumento di un punto di Iva a ottobre, sul fronte interno alle forze che compongono l’esecutivo Letta le tensioni si sprecano. Specie nel Popolo della Libertà, dove si parla di un Berlusconi furibondo con i suoi per i contenuti del provvedimento di abolizione dell’Imu. Al Cavaliere, infatti, non è assolutamente andata giù la questione delle seconde case, per cui i proprietari ora dovranno pagare sia l’Imu che l’Irpef. Una beffa per l’ex premier, che così vede colpita una buona parte del suo elettorato, ovvero quella media borghesia proprietaria delle case di villeggiatura, spesso sfitte o disabitate d’inverno, per cui al momento si dovrà versare una doppia tassazione. Da Arcore, parlano di un Berlusconi imbufalito con Alfano e Brunetta, i quali – secondo la ricostruzione di Libero – hanno detto al presidente del Pdl di non aver mai trattato la questione delle seconde case. Sempre a sentire il quotidiano di Belpietro, poi, il vicepremier e gli altri ministri in quota Pdl dopo la strigliata del capo si sarebbero rivolti direttamente a Letta, raccogliendo la solidarietà e l’approvazione del premier sull’iper tassazione delle seconde case. “Quell’articolo deve saltare” avrebbe detto il capo del governo, avvalorando la tesi del “noi non sapevamo nulla” con la quale Alfano e Brunetta hanno cercato di difendersi dall’ira funesta di Berlusconi, che ora inizia a dubitare dell’affidabilità dei suoi.
La Cgia di Mestre: “Con aumento Iva penalizzate famiglie meno abbienti”
Questo per quanto riguarda il Pdl. Ma è sull’esecutivo delle larghe intese nel suo complesso che si abbattono nuove critiche e altrettante polemiche. In tal senso, infatti, mentre Dario Franceschini parla di un “governo che ha fatto molte cose di sinistra”, la Cgia di Mestre prefigura l’esatto contrario per quanto riguarda la questione dell’imposta sul valore aggiunto. “Con l’aumento dell’Iva le famiglie meno abbienti saranno quelle più penalizzate” sostiene il centro studi, secondo cui, pur se all’apparenza saranno i ricchi a pagare di più, l’eventuale aumento dell’imposta Iva peserà maggiormente sulle retribuzioni più basse e meno su quelle più elevate. A parità di reddito, inoltre, i nuclei famigliari più numerosi subiranno gli aggravi maggiori. “Bisogna assolutamente trovare la copertura per evitare questo aumento – esordisce Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre – Nel 2012 la propensione al risparmio è scesa ai minimi storici. Se dal primo ottobre l’aliquota ordinaria del 21% salirà di un punto, subiremo un’ulteriore contrazione dei consumi che peggiorerà ulteriormente il quadro economico generale. E’ vero che l’incremento dell’Iva costa 4,2 miliardi di euro all’anno, ma questi soldi vanno assolutamente trovati per non fiaccare la disponibilità economica delle famiglie e per non penalizzare ulteriormente la domanda interna”.
Le simulazioni realizzate dalla Cgia, del resto, riguardano tre tipologie famigliari: single, lavoratore dipendente con moglie e un figlio a carico, lavoratore dipendente con moglie e 2 figli a carico. Per ciascun nucleo sono stati prese in esame 7  fasce retributive: in relazione alla spesa media risultante dall’indagine Istat sui consumi delle famiglie italiane, su ognuna è stato misurato l’aggravio di imposta in termini assoluti e l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva su ogni livello retributivo. In queste simulazioni si sono tenute in considerazione le detrazioni e gli assegni familiari per i figli a carico, le aliquote Irpef e le addizionali regionali e comunali medie nazionali. A seguito dell’aumento dell’aliquota Iva al 22%, si è ipotizzata una propensione al risparmio nulla per la prima fascia di reddito, pari al 2,05% per il redditoannuo da 20mila euro, del 4,1% per quella da 25mila euro e dell’8,2% per le rimanenti fasce di reddito. Quest’ultima percentuale corrisponde al dato medio nazionale calcolato dall’Istat nell’ultima rilevazione su base nazionale. In buona sostanza si è ipotizzato che a fronte dell’aumento dei prezzi di beni e servizi, a ridurre le spese saranno principalmente le fasce di reddito medio-alte. Infine, l’analisi della Cgia non ha considerato eventuali spinte inflazionistiche che una scelta di questo tipo potrebbe produrre.
Financial Times: “Imu, vince Berlusconi, perde l’Italia”
Oltre all’avvertimento del centro studi veneto, Enrico Letta è costretto a incassare anche le critiche che arrivano dalla stampa estera. Durissime, infatti, le parole usate dal Financial Times per descrivere l’abolizione dell’Imu sulla prima casa: ”Non è un buon affare” recita l’editoriale del quotidiano britannico, secondo cui “l’Italia ne esce perdente con la vittoria di Berlusconi” sull’Imu. “Col compromesso con il Pdl di Berlusconi, la fragile coalizione di governo ha schivato un’altra minaccia, ma l’accordo segna anche il trionfo di obiettivi politici di breve termine sugli interessi di lungo termine dell’Italia” spiega il giornale della City, secondo cui che le elezioni anticipate sono ora “improbabili”. Tuttavia, a sentire il Financial Times, “la stabilità politica ha un prezzo alto” da pagare e spiega che “ora il governo si ritrova con un buco di almeno 3 miliardi di euro ed ha messo in pericolo il piano per portare il deficit di bilancio sotto il 3%” del Pil. Morale della favola? Il quotidiano londinese non ha dubbi: “Il Cavaliere, come al solito, ha giocato in modo intelligente la partita politica. Ma mentre egli può rivendicare la vittoria contro i rivali, l’Italia ancora una volta ne esce sconfitta“. Così non è: dopo la mancata abolizione dell’Imu anche sulla seconda casa, neanche il Cavaliere ha di che festeggiare.
Sondaggio Swg: “Per 64% italiani, meglio abolizione parziale”
E mentre il dibattito politico continua a tenere banco, da sottolineare l’esito di un sondaggio realizzato dall’istituto Swg in esclusiva per Agorà (Rai Tre), secondo cui oltre la metà degli italiani (64%) ritiene che un’abolizione parziale dell’Imu – al fine di poter disporre di più risorse per altri scopi – sia preferibile all’abolizione totale (36%). Nel dettaglio, a essere favorevole all’abolizione parziale dell’imposta è un’ampia fascia degli elettori di centrosinistra (86%) e del Movimento 5 Stelle (72%), contro il 28 per cento del centrodestra. In quest’ultimo bacino elettorale prevale l’appoggio all’abolizione totale dell’Imu (72%), auspicabile per il 28 percento dei sostenitori 5 Stelle e per il 14 percento del centrosinistra
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http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/30/imu-berlusconi-furibondo-con-suoi-per-seconde-case-cgia-iva-penalizza/695999/

Già...., salvaguardati i proprietari di case, supertartassati gli inquilini, che oltre a pagare l'affitto, considerato evidentemente un reddito, dovranno pagare un tassa supplementare. 
L'aumento dell'Iva, infine, darà la mazzata finale a quelle famiglie già in difficoltà economica.
E tutto sempre grazie al decerebrato, quello che commette reati per istinto personale, che tiene il governo sotto scacco per chissà quale recondito motivo.
E vorrebbero anche farci credere che si stanno adoperando per risollevarci dalla crisi economica....c'è da pensare che o non ne capiscono nulla o sono degli emeriti farabutti!