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giovedì 21 dicembre 2017

Etruria, il mesto calvario di Boschi e Renzi. - Andrea Scanzi

Etruria, il mesto calvario di Boschi e Renzi

Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sono dei geni. E lo sapevamo. Ma forse non credevamo che lo fossero così tanto. Sogniamo con loro.
– Fanno di tutto per varare (in ritardo) una Commissione banche. Ci credono così tanto che, per presidente, ci mettono Pier Ferdinando Casini. La vogliono unicamente per dare un contentino ai media e farsi belli.
– La Commissione, che concretamente non servirà a nulla se non forse a far perdere le querele alla Boschi, si rivela l’ennesimo autogol renziano. Boschi e derivati temevano Federico Ghizzoni, ma prima di lui, che ovviamente conferma le parole di Ferruccio De Bortoli, arrivano le pietre tombali di Giuseppe Vegas,Vincenzo Consoli e Ignazio Visco. Persino Pier Carlo Padoan sparge sale sulle ferite. E’ gogna, è calvario. E’ torcida. Si vola.
– Ghizzoni ha citato anche  Marco Carrai, mentre Visco ha fatto capire che Renzi aveva una fissa per Arezzo. Il giglio magico aveva proprio una fissa per Banca Etruria. Daje.

– I renziani, come all’asilo, di fronte al diluvio fingono che ci sia il sole: “Visto? Consoli e Ghizzoni hanno confermato le nostre parole“. Idoli.
– Maria Elena Boschi si conferma il più grande parlamentare grillino di questa legislatura: nessuno come lei fa venire voglia di votare M5S (o chiunque tranne il Pd). E’ davvero la nuova Nilde Jotti. Per distacco.
– Mentre il Pd muore, nessuno tra i piddini non renziani muove foglia. Evidentemente son contenti così.
– I cortigiani, da LaVia alla Fusani fino al poro Cerasa, continuano a difendere il fortino. Sono meravigliosi.
– Nei sondaggi il Pd crolla: 20% o giù di lì. Lo stesso responsabile della comunicazione Matteo Richetti, convinto che negli incontri di partito non ci sia nessuno che lo filmi (genio), tratta ormai Renzi come il poro schifoso. E’ leggenda inesausta. – Ciò nonostante, a marzo Genny Migliore Presidente del Consiglio, Farinetti al Quirinale e Recalcati nuovo frontman dei Pearl Jam.

– Mary Hellen Woods continua a fare più danni della grandine e i sondaggi la accreditano di un potenziale di un milioni di voti: in meno, però. Eppure sta sempre lì. Nessuno, dentro il partito, osa attaccarla. Cosa diamine sa questa donna? Ha visto Sergio Mattarella rubare i Lego a Sandro Gozi? E’ venuta a sapere che da piccolo Orfini si vestiva da Mazinga alle feste in maschera di Drupi? Bah.
– Sono aretino, fiero di esserlo e innamorato della mia città: è bellissima. Per questo, ‘sta cosa che Arezzo sia citata quasi sempre per fatti così mesti mi fa venire un giramento di andrearomani che neanche immaginate.
– L’unico a salvarsi, in un tal dramma generalizzato, è Dario Nardella. Ma solo perché Egli è immanente. Egli non vive, bensì trascende. Egli si eleva fino a divenire puro spirito, Faro e Guida. Luce di noi tutti. A marzo lo voto. Forza Dario.

Buona catastrofe.

mercoledì 14 ottobre 2015

Cene di Renzi sindaco “con fatture a Palazzo Vecchio”, la Corte dei Conti apre un fascicolo: “Accertamenti sulle spese”. - Davide Vecchi




Lino Amantini, ristoratore fiorentino, domenica ha raccontato al Fatto che quando l'attuale premier stava a Palazzo Vecchio, le fatture dei pasti del primo cittadino venivano inviate direttamente alla sede comunale.

La Corte dei Conti ha aperto un fascicolo a seguito delle dichiarazioni del ristoratore fiorentino Lino Amantini, che domenica ha raccontato al Fatto Quotidiano come ai tempi di Matteo Renzi sindaco fosse abitudine inviare le fatture dei pasti del primo cittadino direttamente a Palazzo Vecchio. Domenica pomeriggio il premier aveva inviato al nostro giornale alcuni sms negando la ricostruzione del titolare della trattoria da Lino. L’uomo, da due giorni assediato da telecamere e cronisti, ha scelto di restare in silenzio: “Non rispondo ai giornalisti, non parlo con nessuno,non dico proprio nulla. E’ tutto il giorno che squilla questo telefono. Lasciatemi lavorare, per favore, lasciatemi in pace”, sono le sue sole parole, rilasciate all’agenzia Ansa.
I magistrati contabili – che già avevano acquisito parte della documentazione relativa alle spese di rappresentanza e alle assunzioni per chiamata diretta effettuate da Renzi quando era sindaco e già in corso di verifiche – hanno reso noto che acquisiranno ulteriore materiale dall’archivio amministrativo del Comune di Firenze per accertare tutte le spese dell’ex sindaco.
In giornata si è mossa anche l’opposizione di Palazzo Vecchio. Nel corso dell’odierno consiglio comunale, infatti, il consigliere Tommaso Grassi ha chiesto al sindaco Dario Nardella – presente in aula – di “rendere trasparenti le spese di questa amministrazione e della precedente”. Ha detto Grassi: “Abbiamo letto tutti stamani sui giornali che dopo le dimissioni del sindaco di Roma Ignazio Marino sono saliti agli onori della cronaca la questione degli scontrini e delle fatture del nostro presidente del Consiglio. Renzi noi lo conosciamo bene, ci ha mostrato già in Provincia ottime performance. Ma stamani ha risposto al Fatto Quotidiano che gli chiedeva di rendere pubblici i suoi scontrini di averli già messi per primo on line. Ebbene noi siamo andati a cercarli ma non ne abbiamo trovato uno, salvo qualche generica indicazione di spesa. Rispetto a quello che è stato fatto dall’ex sindaco Marino che ha indicato scontrini, data e compagnia con la massima trasparenza immaginabile. Io, che già ero consigliere quando Renzi era sindaco, ho già chiesto negli anni per ben quattro volte di avere copia di questa documentazione ma mi è stata sempre negata. Quindi ci uniamo alla richiesta del Fatto e le chiediamo di rendere gli scontrini tutti – sia quelli di Renzi sia i suoi, Nardella – trasparenti nel miglior modo possibile, visto che al momento online di trasparente sulle spese c’è ben poco”.

sabato 11 luglio 2015

Napolitano? “De Gennaro e Letta ce l’hanno per le palle, sanno di Giulio.” - Vincenzo Iurillo e Marco Lillo





L'intercettazione del febbraio 2014 fra Dario Nardella, vice di Renzi quando il premier era sindaco di Firenze, e Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della guardia di Finanza, evoca ombre su attività e "conflitti d'interesse" di Giulio Napolitano, figlio dell'allora presidente della Repubblica. "Sanno qualcosa di lui". Al centro la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Gdf da parte del governo Letta.


Il 5 febbraio 2014, quando già la staffetta era matura, alla Taverna Flavia di Roma pranzano in quattro: il vicesindaco (poi sindaco) di Firenze Dario Nardella, il generale della Guardia di Finanza allora a capo di Toscana ed Emilia-Romagna Michele Adinolfi, oggi comandante in seconda della Gdf, il presidente dei medici sportivi Maurizio Casasco e l’ex capo di gabinetto del ministro Tremonti nonché presidente di Invimit, società di gestione del risparmio che amministra immobili pubblici ed è di proprietà del ministero dell’Economia, Vincenzo Fortunato.
I carabinieri del Noe guidati dal colonnello Sergio De Caprio intercettano il colloquio con una cimice sotto il tavolo. Due le partite: la nomina a sorpresa del generale Saverio Capolupo, anziché di Adinolfi, al vertice della Finanza da parte del morituro governo Letta. E la staffetta tra questi e Renzi, amico dei commensali. In questo contesto l’attuale numero due della Guardia di Finanza dice che il figlio di Napolitano Giulio oggi a Roma è potente, è tutto”. Poi sembra dire che il capo dello Stato sarebbe ricattabile perché “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e (Enrico, ndr) Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella non fa una piega, anzi.
Scrive il Noe: “Nardella dice che la strada è più semplice. Bisogna fare la legge elettorale e andare alle elezioni anticipate”. Poi dice che Letta gli sembra “andreottiano” e “attaccato alla seggiola”. E allude malizioso: “A meno che non ci sia anche da coprire una serie di cose, come uno nomina sei mesi prima il comandante, perché… a me è venuta la Santanchè pensa, che dice tanto tutti sanno qual è la considerazione di Giulio Napolitano. Prima o poi uscirà fuori”. Insomma, il segreto non sarebbe più tale. “Se lo sa la Santanchè, vabbè ragazzi”.
Adinolfi resta sul tema: “Giulio oggi a Roma è tutto o comunque è molto. Giusto? Tutto, tutto… e sembra che… l’ex capo della Polizia … Gianni De Gennaro e Letta ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”. Nardella commenta criptico: “A quello si aggiunge, quello è il colore…”, seguono parole incomprensibili. Fortunato pensa al potere del figlio del presidente: “Comunque lui è un uomo, c’ha studi professionali, interessi. Comunque tutti sanno che lui ha un’influenza col padre. Come è inevitabile… ha novant’anni c’ha un figlio solo”. Nardella concorda: “È fortissimo!”. Adinolfi: “Non è normale che tutti sappiano che bisogna passare da lui per arrivare” e Nardella sembra accennare a un possibile conflitto di interesse: “Consulenze, per dire consulenze dalla pubblica amministrazione”.
A conferma dell’ipotetica relazione tra la nomina di Capolupo e una presunta ricattabilità di Giulio Napolitano c’è una telefonata del giorno seguente. Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e delegato per la Legalità di Confindustria nazionale, parla con Adinolfi. Mentre aspetta Montante confida a qualcuno vicino: “Perché è stato prorogato… chissà perché… Figlio di puttana ha beccato ha in mano tutto del figlio di Napolitano, tutto… me l’ha detto Michele… ha tutto in mano sul figlio di Napolitano”. Dove Michele, secondo i carabinieri, è Adinolfi.
Non è chiaro, dalla registrazione, cosa abbia in mano Capolupo. Potrebbero essere parole in libertà ma una democrazia non tollera ombre. Anche Giorgio Napolitano non esce bene dalle intercettazioni, come quella di una conversazione tra Fabrizio Ravoni, già al Giornale dei Berlusconi e poi a Palazzo Chigi con Berlusconi e Fortunato. Il Noe definisce “interessante” la conversazione del 5 febbraio 2014 in cui il burocrate più potente ai tempi di Tremonti, “in contrasto con l’attuale governo Letta sente il bisogno di esternare circa un ruolo anomalo di Giulio Napolitano.
Il discorso – prosegue il Noe – parte da Fortunato che racconta a Ravoni le sue considerazioni sull’azione del Presidente della Repubblica, che avrebbe favorito provvedimenti favorevoli al figlio Giulio imponendo il rigore su altri: ‘Guarda è un uomo di merda io so’ convinto da tempo… prima ha fatto cadere questo poi ha spostato il rigore a parole perché tra l’altro quando si trattava di far passare i provvedimenti per l’Università che gli stavano al cuore al figlio era il primo a imporci le norme di spesa ma comunque poi ha imposto a tutto il paese un anno di governo Monti al grido rigore, rigore, rigore…’”. E il Noe ricorda che Napolitano jr. è professore ordinario a Roma tre.
di Vincenzo Iurillo e Marco Lillo
da Il Fatto Quotidiano del 10 luglio 2015
*Riceviamo e pubblichiamo:
“Il Fatto Quotidiano di oggi riferisce di una conversazione da taverna fra una serie di persone, da me mai frequentate, le quali, per spiegare il loro mancato ottenimento di vantaggi e nomine sostengono che ciò sarebbe dovuto al fatto, risibile e assurdo, che io sarei “ricattato” o “ricattabile”.
Nei nove anni di presidenza di mio padre ho sempre assunto un profilo pubblico e professionale volutamente in disparte, rifiutando moltissimi incarichi che anche indirettamente avrebbero potuto riverberarsi negativamente sulla attività e la immagine del presidente della Repubblica. 
Tant’è che i commensali, nei cui confronti valuterò le azioni da intraprendere, non riescono ad evidenziare un solo fatto, evento, provvedimento che in qualche modo mi avrebbe favorito.
Rimane una domanda di fondo: come sia possibile che conversazioni manifestamente irrilevanti, per la loro forma e il contenuto, siano potute entrare nella carte di un procedimento penale che riguarda tutt’altre vicende e da qui diffuse ad arte. Ma si tratta di malattia antica che va ben oltre il maldestro tentativo di gettare fango sulla mia persona”.
Giulio Napolitano