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giovedì 25 giugno 2020

Tutte le proposte del Piano: treni, green e meno contanti. - Patrizia De Rubertis

Tutte le proposte del Piano: treni, green e meno contanti

Il Piano di rilancio con le cifre ancora non c’è, ma gli obiettivi per rimettere in piedi l’Italia sono già tracciati dal governo: Alta velocità, pagamenti digitali, investimenti in ricerca e scuola, taglio del cuneo fiscale e l’addio al combustibile fossile. Il premier Giuseppe Conte ora avrà una settimana di tempo per tradurre le proposte raccolte durante gli Stati generali dell’economia in misure concrete per riuscire a “reinventare il Paese, affinché sia moderno, sostenibile e inclusivo”. Un piano che verrà poi presentato a settembre per ottenere le risorse del Recovery plan europeo. Ecco, in sintesi, le linee di intervento.
Iva. Ieri il premier Conte intervistato dal direttore de ilfatto.it Peter Gomez ha ribadito che si sta valutando l’eventualità che l’Iva possa essere abbassata per un breve periodo di tempo seguendo l’esempio della Germania che ha scelto di tagliarla dal 19 al 16% per 6 mesi. Il problema è il costo: ogni punto di aliquota vale 4,3 miliardi nel caso di un taglio dal 22% al 21% e 2,9 miliardi dal 10% al 9%. Sarebbe da finanziare con risorse in deficit. Per il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la riduzione andrebbe inserita in una riforma fiscale di ben più ampio respiro.
Cashless. È uno dei cavalli di battaglia del premier: il piano per i pagamenti digitali, e quindi tracciabili, che consentirà il contrasto al nero. E che in futuro potrebbe anche essere legato alla riduzione dell’Iva. Per ora la proposta, presentata in passato ma mai attuata, prevede di far pagare meno soltanto se si utilizza il bancomat o la carta di credito. Intanto restano su carta le due misure previste dalla legge di Bilancio 2020: il fondo da 3 miliardi del bonus Befana è finito tra le risorse del dl Rilancio e la lotteria degli scontrini è stata rinviata al 2021.
Cuneo fiscale. Un’altra ipotesi per rilanciare l’economia è quella di proseguire sulla linea del taglio del cuneo fiscale e, quindi, del costo del lavoro attraverso una riduzione del prelievo su certi scaglioni dell’Irpef. “Già a luglio avevamo predisposto una misura. È una direzione giusta che va perseguita”, ha detto Conte. La viceministra dell’Economia Laura Castelli ha promesso che nella prossima legge di Bilancio ci sarà un intervento più organico di riforma per la riduzione delle tasse, Irpef compresa.
Alta velocità. È uno dei progetti sui quali governo e maggioranza hanno siglato la tregua: le infrastrutture al Sud. Il primo traguardo potrebbe essere il via alla realizzazione di una linea di Alta velocità da Brindisi a Napoli. L’obiettivo che interessa a Conte è “quello pratico” che consente di accorciare i tempi di percorrenza e che permetta anche al Sud di avere “treni buoni, efficienti e funzionanti”.
Donne manager. C’è la proposta di un voucher per 500 donne per un master in Business administration executives dal valore di 35 mila euro, visto che tra i primi 100 manager più pagati in Italia le donne sono solo 4. La ministra dell’Innovazione tecnologica, Paola Pisano, ha spiegato che “è anche importante che la società aiuti le donne lavoratrici che sono anche madri”.
Green e Digitale. L’impianto del progetto prevede una spinta per la definitiva transizione energetica ed ecologica che punta ad abbandonare i combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili anche grazie ai progetti che verranno realizzati nei distretti dell’economia circolare. Vanno resi strutturali gli incentivi fin qui erogati che, nelle intenzioni del governo, porteranno l’Italia ad “avere l’energia blu e l’idrogeno integrati”. Il governo punta anche colmare il divario digitale esploso con la didattica a distanza e lo smart working. Per farlo va resa Internet accessibile a tutti.
Abuso d’ufficio. Il premier Conte ieri è tornato sulla riforma che già aveva annunciato a maggio: “La immagino per il fatto che i reati debbano essere legati alla certezza. Dobbiamo collegare l’abuso d’ufficio alle deviazioni delle condotte e non ai principi costituzionali”.
Povertà educativa. Reinventare il Paese passa anche per gli investimenti nell’università e nella scuola. C’è bisogno di risorse: per ora il governo ha stanziato 1,4 miliardi per fare ripartire la scuola, ma comunque non bastano.

mercoledì 5 aprile 2017

Corte dei Conti: il cuneo fiscale in Italia 10 punti oltre la media Ue.

Archivio © ANSA

Distorsioni in sistema fiscale, ridurre pressione su contribuenti.

Il cuneo fiscale è in Italia "di ben 10 punti" superiore a quello che si registra mediamente nel resto d'Europa: il 49% viene infatti prelevato "a titolo di contributi e di imposte". Così la Corte dei Conti nel Rapporto 2017 sulla finanza pubblica, parlando di "limiti e dispersioni" del sistema fiscale italiano. I magistrati contabili evidenziano l'esigenza di ridurre la pressione fiscale sottolineando che "un'esposizione tributaria tanto marcata non aiuta il contrasto all'economia sommersa e la lotta all'evasione".
"Nonostante le incertezze iniziali - rileva d'altra parte la Corte - l'andamento dell'economia italiana sembra aver segnato un'inversione di marcia verso un'espansione meno fragile e più qualitativa". Allo stesso tempo però il sentiero del risanamento finanziario è per l'Italia "più faticoso" rispetto agli altri Paesi europei, anche se "necessario considerato il maggior livello del debito".
Nelle ultime manovre - rileva ancora - il Governo ha previsto un "rilevante contributo" dalle misure di contrasto all'evasione. Tuttavia "le difficoltà di verifica in sede di consuntivo inducono cautela nell'utilizzare tali proventi, per loro natura incerti, per finanziare maggiori spese o riduzioni di entrata certe". 
"Il contributo  delle dismissioni - si evidenzia ancora - certamente necessario, potrà difficilmente risultare determinante nel breve-medio periodo. E d'altra parte in un contesto di crescita moderata, riduzioni rapide del debito potrebbero essere eccessivamente costose". Secondo la Corte, "occorre quindi porre il debito su un sentiero discendente, non troppo ripido ma costante, procedendo speditamente alle azioni di riforme strutturali per sostenere la crescita e migliorare, anche sotto questo profilo, le condizioni di sostenibilità della finanza pubblica".
Lo dico da tempo immemorabile, Il cuneo fiscale troppo alto non agevola l'espansione economica, la penalizza, perchè chi non ha soldi non può comprare ciò che si produce.

mercoledì 16 ottobre 2013

Legge di Stabilità, il taglio di cuneo fiscale promesso da Letta diventa una mancia. - Stefano Feltri

Legge di Stabilità, il taglio di cuneo fiscale promesso da Letta diventa una mancia

Il premier evita il temuto intervento sulla Sanità, ma lo stimolo all'economia si riduce a poche decine di euro all'anno. Ma Pd e Pdl sono contenti. Mentre la nuova Service Tax, Trise, colpirà anche gli inquilini oltre che i proprietari. Previste inoltre 500 milioni di tagli alle detrazioni e deduzioni.

Enrico Letta riesce nel suo obiettivo principale: non scontentare nessuno nel passaggio più difficile di queste settimane, l’approvazione della legge di Stabilità, un intervento di politica economica che prevede oneri per lo Stato di 11,9 miliardi in tre anni (fino al 2016) e nel complesso smuove 27,3 miliardi. “La manovra non toglie nulla alla Sanità e fa scendere tasse per famiglie e imprese”, annuncia in una conferenza stampa convocata a metà della riunione del Consiglio dei ministri, in tempo per i tg della sera. Al suo fianco torna Angelino Alfano, vicepremier del Pdl, felice di poter vantare i risultati del suo ruolo di“sentinella delle tasse”. Sono tutti contenti: la stangata diventa una spolverata di rigore con accenni di spesa per scavallare almeno la scadenza della mezzanotte, termine per mandare la bozza della legge di Stabilità alla Commissione europea a Bruxelles che farà un’esame preliminare prima del Parlamento.
Letta aveva preso un impegno: questa legge di stabilità dovrà essere ricordata per un forte intervento sul cuneo fiscale, cioè sul carico di tasse e contributi che pesa sulla busta paga del dipendente e sul datore di lavoro. Nelle simulazioni della vigilia si parlava di 4-5 miliardi all’anno con benefici – a spanne – di 200 euro a lavoratore. Ma l’intervento sarà minimalista: 10 miliardi in tre anni, nel 2014 soltanto 2,5 così ripartiti: 1,5 per ridurre l’Irpef per le fasce di reddito medio basse (e si capirà più avanti quali), cifra che sale a 1,7 e 1,8. Ci sono poi 40 milioni per ridurre l’Irap quota lavoro e 1 miliardo a vantaggio delle imprese, come intervento sui contributi sociali. Alla fine il beneficio per i lavoratori sarà di poche decine di euro all’anno, a meno che la platea dei beneficiari venga così ridotta da rendere il regalo fiscale più consistente anche se riservato a pochi intimi. Comunque l’impatto sull’economia sarà poco percepibile, infatti protestano sia la Confindustria che i sindacati, entrambi concordi sul fatto che lo stimolo alla crescita non produrrà effetti sensibili.
Ma non importa, perché riducendo le ambizioni sul cuneo, Letta è riuscito a evitare i tagli alla Sanità di cui si parlava nelle bozze della manovra: 4,5 miliardi di euro che avevano fatto protestare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e tutte le categorie coinvolte. Niente tagli, dunque, con il Pd che si tranquillizza perché l’effetto si sarebbe sentito soprattutto nelle Regioni del centro-nord, come Toscana ed Emilia (c’è però un miliardo di euro di riduzione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni, un taglio che secondo il premier peserà soltanto sulle spese di funzionamento, cioè sulla “macchina”). In quota centrosinistra vanno anche tutti gli interventi sociali: il blocco dell’aumento dell’Iva per le cooperative e il rifinanziamento dei fondi per la non autosufficienza (250 milioni). Nel 2014, dice il documento del governo, ci saranno 6,4 miliardi di euro per “azioni sociali, progetti di investimento e impegni internazionali”.
Il Pdl può intestarsi la “vision della manovra”, come dice Alfano, cioè “meno spesa e meno tasse”. Letta usa la sua ormai consolidata tattica di comunicazione retorica: l’elenco. Cita tutto, incluse misure solo futuribili come la tassazione dei capitali italiani in Svizzera sulla base del lavoro della commissione guidata dal pm Francesco Greco, il cui lavoro è pronto da mesi ma finora ignorato dall’esecutivo, e un piano di privatizzazioni i cui contenuti sono sempre vaghi. Glissa invece con una certa abilità sui dettagli della tassazione immobiliare: è ormai chiaro che la Service Tax, che ora si chiamaTrise, sarà pesante, che colpirà anche gli inquilini oltre che i proprietari e che dovrebbe coinvolgere anche la prima casa (nessuno sa, inoltre, da dove arriveranno i 2,4 miliardi necessari a evitare il pagamento della rata Imu di dicembre). Ma al Pdl l’argomento non è congeniale, quindi Letta evita di approfondire. E i 500 milioni di tagli alle tax expenditures, cioè detrazioni e deduzioni, si potrebbero anche chiamare “aumenti delle tasse”, ma Letta non usa formule così brutali.
“Le ultime misure dell’Italia sembrano andare nella direzione giusta”, aveva detto il commissario europeo Olli Rehn alla vigilia del Consiglio dei ministri, a marcare una certa benevolenza dell’Europa. Lo dimostra il fatto che Letta si impegna a spendere 3 miliardi senza coperture. Lui e Saccomanni lo presentano come una mossa frutto dell’uscita dalla procedura d’infrazione europea, un premio ai nostri sforzi. In realtà si tratta semplicemente di spesa in deficit, quella che abbiamo fatto per decenni: il deficit in rapporto al Pil nel 2014 salirà da 2,3 a 2,5. E così si trovano 3 miliardi. Ma la procedura d’infrazione non c’entra molto, il merito è del governo di Mario Monti che ha lasciato in eredità un deficit 2014 abbastanza lontano dalla soglia di guardia del 2,9 per cento da lasciare spazio per interventi di spesa come quello voluto da Letta.
Dietro gli slogan restano molte domande. La prima è se l’Europa riterrà sufficienti le coperture. L’altra – sollevata da Confindustria – è se questi interventi sono sufficienti a spingere la crescita. Il ministro Saccomanni si sbilancia: “Non cresceremo a ritmi cinesi, ma possiamo arrivare al 2 per cento”. Sembra tanto, ma il governo aveva già stimato prima della manovra un Pil a + 1,7 per cento nel 2015 e + 1,8 nel 2016. Quindi, di fatto, anche Saccomanni ammette che la manovra non servirà a molto.