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venerdì 14 gennaio 2022

I Ferri del mestiere. - Marco Travaglio

 

“Noi i nostri li cacciamo, i partiti i loro li coprono”. Ogni volta che Davigo ricorda l’impunità di gregge della politica, opposta al maggior rigore dei magistrati, le vergini violate del garantismo all’italiana insorgono come un sol uomo. Salvo poi fare di tutto per dargli ragione. Era accaduto un mese fa col doppio salvataggio di Renzi (Open) e Giggino ’a Purpetta (camorra) nella giunta del Senato. È riaccaduto giovedì alla Camera col salvataggio quasi unanime di Cosimo Ferri (contrari solo i 5Stelle e gli ex). Ferri è un magistrato in aspettativa, già leader di Magistratura Indipendente e presidente dell’Anm, prestato alla politica (che per fortuna non l’ha più restituito): sottosegretario tecnico alla Giustizia in quota FI nel governo Letta jr. e in quota Alfano-Verdini nei governi Renzi e Gentiloni, deputato Pd dal 2018 e poi Iv, è un presenzialista degli scandali: il suo nome saltò fuori, senza conseguenze penali per lui, in Calciopoli, nella P3 e nei traffici di B. con l’Agcom per cacciare Santoro. Poi fu beccato a far campagna elettorale, da via Arenula, per due amici alle elezioni del Csm. Si scoprì che nel 2013 aveva accompagnato il giudice Amedeo Franco a casa di B. per rinnegare la condanna definitiva, peraltro firmata anche da lui e in veste di relatore. Nel 2019 i pm di Perugia che indagavano su Luca Palamara per corruzione lo sorpresero all’hotel Champagne di Roma col magistrato inquisito, con Luca Lotti e con 5 membri del Csm, in una cena per decidere i nuovi procuratori di Roma (dov’era imputato Lotti) e Firenze (dove l’Innominabile aveva già mezza famiglia nei guai).

Sapete che fine han fatto i commensali del Champagne? Palamara è stato radiato dalla magistratura e i 5 consiglieri del Csm han dovuto dimettersi. Invece Lotti resta deputato del Pd (“autosospeso”, qualunque cosa significhi, dal 2019) e Ferri di Iv. Siccome Ferri resta magistrato, il Csm ha aperto un procedimento disciplinare in base alle intercettazioni indirette della famosa cena (il bersaglio del trojan era Palamara). Ma siccome è pure un politico, la casta gli ha eretto un impenetrabile muro protettivo: tutti i partiti di destra, centro e sinistra (eccetto il M5S) hanno negato al Csm l’autorizzazione a usare le captazioni in base alla privacy (come se si parlasse di malattie, e non di Procure) e – udite udite – al fumus persecutionis. Invano il grillino Saitta ha provato a far notare ai colleghi che è difficile perseguitare Ferri indagando Palamara: per non farsi perseguitare, bastava non andare a quella cena o fuggirne non appena fu chiaro che si stavano pilotando nomine di procuratori in barba alla separazione dei poteri. Ma è stato tutto inutile. La casta non si processa. Anzi la cosca.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/14/i-ferri-del-mestiere/6455387/

venerdì 7 gennaio 2022

A babbo morto. - Marco Travaglio

 

Su un decreto che pare uscito da un manicomio o da un cabaret o dagli alcolisti anonimi – infatti persino Draghi si vergogna e manda avanti tre scudi umani col favore delle tenebre – qualunque discorso coerente sarebbe troppa fatica e troppo onore. Solo pensieri sparsi alla rinfusa.

È soltanto un caso che Mario Draghi faccia partire le nuove norme a scoppio ritardato, o a babbo morto, cioè fra 40 giorni, quando spera ardentemente di non essere più al governo?

Posto che i decreti sono ammessi solo “in casi straordinari di necessità ed urgenza” (art. 99 Cost.), che urgenza possono avere delle norme varate il 5 gennaio per scattare il 15 febbraio?

Quanto alla necessità: posto che i precedenti quattro decreti anti-Covid in un mese, tutti basati sull’equazione “vaccinati=sani, non vaccinati=malati”, dovevano ridurre i contagi, i ricoveri e i morti, che invece si sono moltiplicati, possiamo immaginare gli effetti del quinto, che corre dietro ai soliti No Vax (ormai meno del 10%) anziché far qualcosa per i 18 milioni di Sì Vax senza terza dose? La vera necessità contro il Covid non sarà cancellare i cinque decreti sbagliati e farne uno giusto?

Posto che il vaccino non riesce a farselo neppure chi vuole (solo il 42% dei bivaccinati ha la terza dose), per i 5 mesi di ritardo del governo sui booster, si spera che l’obbligo non convinca nessuno dei 2,2 milioni di No Vax over 50 a vaccinarsi, sennò il sistema – già in tilt oggi di suo – collassa. L’unica chance di far funzionare il decreto è che nessuno lo rispetti.

Il 22 luglio Draghi spiegò il Green pass come “garanzia di essere tra persone non contagiose”: corbelleria scientifica, visto che Delta e ancor più Omicron contagiano vaccinati e non. Così come i tamponi ai turisti stranieri per bloccare Omicron alla frontiera. Ora il Super Green pass rafforzato per over 50 e il modello base per andare sui mezzi o in banca o dal barbiere non è più per fermare i contagi, che dei vaccini se ne fottono, ma per “salvare la vite” ai No Vax (quella dei vaccinati è salva per definizione). Lodevole proposito, ma allora perché non vietare per legge pure il suicidio? Il fatto che chi vuol salvare la vita ai No Vax contro la loro volontà pretenda contemporaneamente una legge per il suicidio assistito (omicidio del consenziente) aggiunge al tutto un tocco di surrealismo.

Siccome le code al gelo sono ancora poche, si sentiva giusto la mancanza di quelle fuori dalle banche e dalle poste per controllare i Green pass o i tamponi.

Per gli over 50 disoccupati sorpresi a zonzo senza vaccino, multa di 100 euro: sempre meno di un tampone molecolare.

Trovata sul web: “Una delle più importanti differenze tra gli uomini e gli animali è che gli animali non permettono al più idiota di diventare capobranco”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/07/a-babbo-morto/6447617/

sabato 9 ottobre 2021

Brescia è in Ungheria. - Marco Travaglio

 

Non auguro a Piercamillo Davigo di finire sotto processo per rivelazione di segreto a Brescia, dove peraltro è un habitué. Però, da spettatore, non vedo l’ora di assistere a un processo che si annuncia meglio di uno spettacolo di cabaret. L’accusa, nell’avviso di conclusione delle indagini che prelude alla richiesta di giudizio, è nota: nell’aprile 2020 Davigo, allora al Csm, suggerì al pm milanese Paolo Storari di scrivere ai capi il suo dissenso per la mancata iscrizione dei reati emersi dai verbali dell’avvocato esterno dell’Eni Piero Amara sulla presunta Loggia Ungheria, datati dicembre 2019. Poi se ne fece consegnare una copia Word per segnalare il tutto al Csm, visto che Amara ne accusava due consiglieri. Cosa che fece a maggio, avvertendo il vicepresidente Ermini e gli altri due membri del Comitato di presidenza, Curzio e Salvi, cinque consiglieri, le sue due segretarie e il presidente dell’Antimafia (tutti tenuti al segreto d’ufficio, purtroppo violato – secondo l’accusa – da una delle segretarie).

In base a una circolare del Csm, Davigo ritiene che il segreto non sia opponibile ai membri del Csm e che trasmettere quelle carte per le vie ufficiali avrebbe significato avvisare tutti i consiglieri, compresi i due accusati da Amara. Infatti il Pg Salvi – titolare dell’azione disciplinare – non gli contestò alcuna violazione, anzi chiamò il procuratore di Milano, Greco, che iscrisse gl’indagati del caso Ungheria. Ora i pm bresciani accusano Davigo di aver violato il segreto insieme a Storari, ma solo un po’: non quando avvisò Curzio e Salvi; solo quando avvertì il terzo membro del Comitato di presidenza, Ermini, e tutti gli altri. Ma, se il segreto fosse intermittente, sarebbe un guaio pure per Ermini. Che corse ad avvertire Mattarella, presidente del Csm. E neppure Mattarella obiettò nulla, né il suo consigliere giuridico Erbani, che parlò della cosa con Davigo qualche settimana dopo. Se Davigo viola il segreto avvertendo Ermini, come fanno a non violarlo Ermini avvisando Mattarella e chi poi avvisa Erbani? Ermini, sentito a Brescia come testimone (ma non violò anche lui il segreto?), conferma che si fece pure consegnare da Davigo le copie dei verbali di Amara, ma poi le distrusse inorridito. E qui i pm dovrebbero sobbalzare: se quelle carte erano la prova del reato di Davigo, Ermini distruggendole commise favoreggiamento e andrebbe sentito come indagato, non come teste. Per molto meno (non aver iscritto Vannoni nell’inchiesta Consip), Woodcock finì davanti al Csm vicepresieduto da Ermini. Che ora potrebbe doversi occupare dei pm bresciani che non iscrissero Ermini indagando sui pm milanesi che non iscrissero il caso Amara. Non so voi, ma io per un processo così pagherei pure il biglietto.

ILFQ

venerdì 8 ottobre 2021

Carletto La Qualunque. - Marco Travaglio

 

Guardando Carlo Calenda che si limonava da solo a Otto e mezzo, abbiamo temuto per Giuseppe Conte. Con tutti i guai che ha coi 5Stelle gli mancava soltanto un benvenuto di Calenda nel “nuovo Ulivo”, che poi è la vecchia Unione prodiana da Mastella a Turigliatto, naufragata nel 2008 dans l’espace d’une année. Un endorsement di Calenda porta buono almeno quanto un endorsement di Ferrara, che infatti aveva endorsato Calenda. Ma Conte l’ha scampata: il noto frequentatore di se stesso l’ha riempito di insulti e annunciato che con i 5Stelle non si alleerà mai. Se Letta soffre della sindrome di Stoccolma, visto che si ripiglia due campioni di lealtà come Calenda e Renzi, Carletto Rolex è affetto dalla sindrome della mosca cocchiera, che si posa sul cavallo e si convince di essere lei a trainare il carro. Nessuno gli ha spiegato che Roma non è l’Italia, dove i sondaggi lo danno in zona Iv. Lì ha preso il 19,8% perché molti elettori di destra ridevano all’idea di Michetti sindaco. E han deciso giustamente che il vero candidato di destra era lui (ex Confindustria, ex Montezemolo, ex Monti, ex Renzi, autore col Pd di un furto con destrezza di voti da manuale: prendi il seggio europeo da 18mila euro al mese e scappa). Evento difficilmente ripetibile su scala nazionale, visto che a destra c’è già un discreto affollamento di leader, e purtroppo tutti più popolari di lui (persino B.). Una rondine non fa primavera e un Calenda non fa capoluogo.

Lui però se la sente calda: “Voto Gualtieri, ma la mia non è una dichiarazione di voto urbi et orbi” (testuale). Si definisce “socialista-democratico”, “liberalsocialista”, “liberaldemocratico”, “erede del Partito d’Azione” solo perché il suo partito si chiama Azione. Se gli domandano qualcosa di più preciso, dice “basta con fascismo e comunismo, berlusconismo e antiberlusconismo”, manco fossero la stessa cosa: un Cetto La Qualunque dei Parioli. E ora che fa? Un bel centrino con Renzi, Bentivogli e FI? “No, mi fa schifo”. Ah. E quindi? Una grande alleanza con i “popolari come la Carfagna” (sic) e pure con Fratoianni, “anche se dice un sacco di idiozie”. Ecco. Però, sia chiaro, “ho una pregiudiziale sui 5Stelle, populisti e trasformisti”: “Conte non so cos’è” e “ha governato con la Lega e col Pd”; e “Di Maio al Mise ha fatto un disastro epocale, in un Paese serio venderebbe i giornali”. Gli è forse sfuggito che Conte è il premier che ha gestito la pandemia e portato a casa il Recovery Fund. E Di Maio, al Mise, spuntò da Mittal molti meno esuberi di quelli avallati da lui. Quanto al trasformismo, lui è stato eletto nel Pd, i suoi tre parlamentari nel Pd, in FI e nel M5S, e Azione sostiene un governo con dentro M5S, Lega e Pd contemporaneamente. Quando arriva l’ambulanza?

ILFQ

sabato 10 luglio 2021

Prescrizione, l’intervento di Davigo: “Un’amnistia di fatto che non riduce il carico sui tribunali”. - Piercamillo Davigo

 

Il termine di due anni (salve eccezioni) per la fase di appello, dopo i quali scatta l’improcedibilità, significa far prescrivere (o meglio dichiarare improcedibili, ma l’effetto è lo stesso) quasi tutti i processi in cui sia proposto appello. Infatti, poiché i nuovi processi che arriveranno in appello andranno in coda a quelli pendenti (salvo quelli con imputati detenuti), per quasi tutti scatterà l’improcedibilità. Sostanzialmente si avranno gli effetti di un’amnistia senza neppure i benefici che le amnistie avevano di eliminare i processi.

In un precedente articolo (pubblicato sul Fatto Quotidiano del 10 giugno 2021 con il titolo “La perversione della prescrizione”) citavo la relazione della Commissione ministeriale di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale che affermava: “La Commissione muove dalla premessa che lentezza del processo e prescrizione del reato sono due problemi diversi, che si alimentano reciprocamente. Processi lenti favoriscono la prescrizione; la prospettiva della prescrizione favorisce processi lenti”. La stessa Commissione rilevava che, a oggi, l’arretrato delle Corti d’appello è pari al doppio dei processi definiti ogni anno, sicché tali Corti impiegherebbero due anni solo a smaltire l’arretrato se non arrivasse loro più nessun processo. Questa, essendo la situazione (non secondo me, ma secondo la Commissione ministeriale) prevedere, come sembra voler fare il disegno di legge di iniziativa governativa, un termine di due anni (salve eccezioni) per la fase di appello, dopo i quali scatta l’improcedibilità, significa far prescrivere (o meglio dichiarare improcedibili, ma l’effetto è lo stesso) quasi tutti i processi in cui sia proposto appello.

Infatti, poiché i nuovi processi che arriveranno in appello andranno in coda a quelli pendenti (salvo quelli con imputati detenuti), per quasi tutti scatterà l’improcedibilità. Sostanzialmente si avranno gli effetti di un’amnistia senza neppure i benefici che le amnistie avevano di eliminare i processi, perché comunque dovranno essere celebrati tutti i giudizi di primo grado.

In un precedente articolo (pubblicato sempre su questa testata il 3 giugno 2021 con il titolo “Non sono riforme, ma cure palliative”) ricordavo che la stessa Commissione aveva scritto: “È noto da sempre che la chiave del successo di un impianto accusatorio è rappresentata da un efficace compendio di riti alternativi, in grado di assorbire un’elevata percentuale di procedimenti, per riservare il dibattimento, articolato e ricco di garanzie, a un numero circoscritto di casi. È altrettanto noto che questa previsione – espressamente formulata dal legislatore del 1988 – è quella risultata maggiormente inattuata negli oltre trent’anni di applicazione del nuovo codice di procedura penale, nonostante i numerosi interventi che hanno tentato di potenziare l’appetibilità dei procedimenti speciali”. Proprio per incentivare i riti alternativi era stato cambiato l’art. 79 della Costituzione (con legge costituzionale 6 marzo 1992, n.1) prevedendo per le leggi di amnistia e indulto la maggioranza dei due terzi. Era ed è evidente che un imputato sceglierà di “patteggiare” solo se gli conviene, altrimenti no. Se, aspettando, arrivava l’amnistia o l’indulto (in media nei 50 anni precedenti l’entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988 i provvedimenti di quel tipo si erano susseguiti al ritmo di uno ogni anno e mezzo) nessuno patteggia, perché nessuna pena è sempre preferibile a una pena ridotta. Ma una improcedibilità generalizzata in Appello otterrà gli stessi effetti di disincentivare i riti alternativi con la conseguente impossibilità di far funzionare il processo accusatorio. Se approvata, questa riforma ci esporrà a rilievi dell’Unione europea, già desumibili da pronunzie della Corte di Giustizia.

Perché una scelta in plateale contrasto con i presupposti stessi da cui la Commissione muove? Forse si pensa a una normativa transitoria che renda applicabili le nuove disposizioni solo dopo la drastica riduzione delle pendenze in Appello (come del resto già suggerito dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati). Può anche darsi che, essendovi una larga maggioranza, si pensi a un’amnistia per azzerare la pendenza delle Corti d’appello. Così però si radicherà ancora di più l’idea che chi non cerca di guadagnare tempo è uno sciocco e quindi si affosserà definitivamente le possibilità di funzionamento del processo penale.

In ogni caso, un’eventuale amnistia e il rinvio dell’entrata in vigore di queste disposizioni presuppongono l’idea che nel frattempo vi sia un forte calo delle impugnazioni, in modo da ridurre la pendenza delle Corti d’appello. Allo stato, però, questa rimane un’illusione, dal momento che le proposte di modifica dell’Appello non sembrano tali da ridurre in modo considerevole il numero degli atti di Appello. Forse la reale spiegazione può essere ricercata nella convinzione (ovviamente non dichiarabile) della classe dirigente che l’Italia non possa reggere una giustizia seria, cioè – in altri termini – che non possa essere un Paese serio. Credo invece che questo nostro Paese sia anche pieno di persone perbene, che rispettano la legge e che prima o poi potrebbero pure seccarsi di vedere che chi invece le leggi le viola se la cava quasi sempre.

ILFQ

martedì 30 giugno 2020

Premier forti e governi deboli ai tempi del Coronavirus. - Antonio Padellaro

Conte: «Basta classi pollaio». Azzolina: lezioni anche in cinema ...
Com’è possibile tenere insieme la popolarità di Giuseppe Conte (il 60% costante in tutti i sondaggi) con le fragilità del rapporto tra Pd e 5Stelle? E come può sopravvivere un governo alla cui stabilità si affidano pur sempre sei italiani su dieci (Ilvo Diamanti, Demos &Pi) con il progressivo sfaldamento del gruppo M5S che al Senato rischia di mettere in crisi maggioranza ed esecutivo?
Certo, di premier forti e di governi deboli la politica italiana (ma non solo) ne ha conosciuti parecchi. Uno per tutti, Romano Prodi disarcionato due volte, nel 1998 e nel 2008, da manovre di palazzo, con il conseguente doppio tracollo del centrosinistra, e doppio trionfo di Silvio Berlusconi. Rispetto al passato esiste però una sostanziale differenza: l’Italia messa in ginocchio dallo tsunami coronavirus. Una catastrofe senza precedenti che dovrebbe fare seriamente riflettere: tale è la gigantesca responsabilità che pesa sulle spalle della politica, ma soprattutto dei singoli comportamenti. Imperdonabili se mossi da semplici, e a maggior ragione sciagurate, convenienze personali.
Per carità, alla larga dai cosiddetti uomini della Provvidenza (soprattutto se autoproclamati) ma per i profeti del Conte bollito e praticamente fritto (da quando, si può dire, il nostro fece udire i primi vagiti in quel di Volturara Appula) un governo vale l’altro, e dunque gli italiani se ne facciano una ragione. Infatti cosa può esserci di più opportuno, mentre la trattativa con l’Europa per i 172 miliardi del Recovery Fund (di cui 81 a fondo perduto) entra nella fase decisiva, di una bella crisi al buio, magari ferragostana? Per rinsaldare nei nostri alleati l’idea di un’Italietta inaffidabile, incasinata, perennemente alla deriva?
Siamo convinti che nella quotidiana consultazione dei divani (vuoti) di Montecitorio, gli aruspici della imminente caduta di Conte abbiano già nei loro taccuini le soluzioni belle che pronte. Finalmente avremo quel governissimo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, del resto da mesi fremente sulla soglia del casale umbro in attesa della convocazione al Quirinale. O se no, ancora meglio l’immediato ritorno alle urne auspicato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, elezioni precedute neanche a dirlo da una serena campagna elettorale al profumo di Covid-19. Nel tripudio delle masse avide di duelli televisivi mentre il Pil sprofonda e forse anche la democrazia.
Non conosciamo infine i nomi dei grillini che a sentire Salvini sarebbero in procinto di passare alla Lega, con le conseguenze che sappiamo. Speriamo di non conoscerli mai. Per non ripetere la famosa frase di Churchill: mai così tanti dovettero così tanto a così pochi. Solo che lui parlava di eroi. Non di traditori.

venerdì 22 maggio 2020

Il fine giustifica I mezzi? - Massimo Erbetti

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A quanto pare per alcuni si, il fine giustifica i mezzi e non parlo solo di quanto accaduto ieri in senato, dove è andata in onda una delle scene più assurde della repubblica italiana, dove le opposizioni hanno votato due mozioni di sfiducia al Ministro Bonafede, il che non sarebbe poi così strano se non fosse per il fatto che le due mozioni erano praticamente l'una l'opposto dell'altra. Una praticamente diceva che il Ministro doveva dimettersi perché scarcerava troppo e l'altra troppo poco, ma "chissenefrega" lo scopo era far cadere il governo, mica far cadere Bonafede, per cui il fine giustifica sicuramente i mezzi e allora votare tutto e il contrario di tutto ha un senso. 
Come ha un senso, ma forse questo è sfuggito ai più, perché distratti appunto dalla mozione di sfiducia, un altro fatto: "Germania e Francia propongono un piano da 500 miliardi" e cosa fanno i sovranisti "de noantri"? Stanno in silenzio per circa un giorno...non commentano...nemmeno una parola...silenzio assoluto...poi magicamente dicono che sono troppo pochi...ma come troppo pochi? Non avete votato per il Recovery Fund. Non lo avete votato e adesso dite che sono pochi 500 miliardi? Volete meno Europa, anzi non la volete proprio e quando l'Europa da qualcosa dite che è poco? Che ne volete di più? Tutto e il contrario di tutto...sfiducia a Bonafede perché scarcera troppo o troppo poco? Contro l'Europa che non da niente o da? Fate alleanze con i sovranisti UE che ci lascerebbero morire di fame e che dicono che quei soldi li rivogliono tutti, fino all'ultimo centesimo? Per voi va bene tutto, vendereste l'anima al diavolo per arrivare ad avere il potere. Il fine giustifica i mezzi, alla faccia degli italiani, quelli che voi mettete al primo posto..."prima gli italiani", ma anche qui vi contraddite perché una volta c'era prima il Nord, poi prima gli italiani, e ora prima i siciliani...aspetto con ansia il momento in cui direte "prima l'Africa"...perché a voi non interessa né il nord, né l'Italia, né la Sicilia, né l'Africa...una sola cosa vi interessa: il potere! E per raggiungerlo usate ogni mezzo.