Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 30 novembre 2024
Beppe Grillo. - Editoriale di Marco Travaglio
giovedì 10 ottobre 2024
L’atlantista piangente - Marco Travaglio
In principio c’era l’atlantista vanaglorioso, tipo Rampini, che ringrazia l’Occidente di tutti i crimini e i disastri che ha seminato nel mondo. C’era l’atlantista fantasy, tipo Severgnini, che raccontava come Putin senza la Nato sarebbe già a Lisbona (o a Rimini: variante Di Bella).
C’era l’atlantista trionfalista, tipo Parsi, che da due anni e mezzo narra le travolgenti vittorie di Ucraina+Nato sul campo di battaglia, dove nessuno ne ha mai vista una. C’era l’atlantista da lista, tipo Riotta, che addita immaginari nemici dell’Occidente al soldo di Putin. C’era l’atlantista complottista, tipo Crosetto o Fubini, che vedeva Putin e i Wagner anche sotto il suo letto. Ora c’è una nuova sfumatura di Nato: l’atlantista piangente. Tipo il direttore del Corriere che ribalta il doppio standard usato dall’Occidente sulle guerre impunite di Netanyahu e su quelle punitissime di Putin lacrimando come una fontana, anzi un Fontana: “Perché tanto odio per Israele e tanta comprensione per Putin?”
Par di sognare: Putin è sotto sanzioni dal 2014, quando violò il diritto internazionale per riprendersi senza colpo ferire la Crimea, da sempre russa. Sanzioni centuplicate quando violò il diritto internazionale nel 2022 per invadere l’Ucraina e prendersi le regioni russofone che i governi nati da un’altra violazione del diritto internazionale – il golpe bianco-nero di Euromaidan per rovesciare un presidente eletto, ma inviso a Nato e Ue – bombardavano da otto anni. Da 31 mesi Nato e Ue armano Kiev (che non è né Nato né Ue) non solo per aiutarla a difendersi, ma anche per “sconfiggere la Russia” senza neppure dichiararle guerra.
E ora, salvo rare eccezioni, la autorizzano a invadere e bombardare la Russia con i loro missili. Chiudono gli occhi sulle sue attività terroristiche in Germania, Russia, Africa e persino Ucraina. E applaudono se la Corte dell’Aja spicca un mandato di cattura contro Putin, ma strillano se il procuratore lo chiede per Netanyahu (senza per ora ottenerlo) su crimini di guerra molto più gravi di quelli di Putin: 42 mila morti civili in un anno nella striscia di Gaza abitata da 2,5 milioni di persone e vasta 360 kmq (l’1,3% della Crimea), oltre a bombardamenti in Cisgiordania, Libano, Siria, Iran, Iraq e Yemen. L’atlantista piangente fa il finto tonto: perché i civili “morti il 7 ottobre e in Ucraina contano molto meno per tanti presunti democratici”?
Ma non è che contano molto meno: è che sono molti meno, sia in proporzione sia in termini assoluti. E poi chi manifesta in Occidente lo fa perché contesta la politica dei suoi governi, incoerenti con i principi che professano. Dai terroristi e dagli autocrati non si aspetta che diventino buoni per le sue proteste: lo spera da quelli che si spacciano per buoni quando gli chiedono il voto.
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giovedì 14 dicembre 2023
Gnè gnè (Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) –
mercoledì 8 novembre 2023
Menti malate. - Marco Travaglio
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – La tragedia di Gaza ne contiene altre due e non si sa quale sia peggio: purtroppo Netanyahu non ha un piano; e purtroppo Biden ha un piano. Il premier israeliano fa bombardare la Striscia alla cieca perché non sa che altro fare (sradicare Hamas è una pia illusione, come dimostrano i sette attacchi di Israele a Gaza negli ultimi 15 anni), ma deve mostrare di fare qualcosa (una mattanza che moltiplicherà adepti e kamikaze di Hamas, anche in Cisgiordania) e soprattutto sa che, finita la guerra, finirà la sua carriera politica (quindi la guerra deve durare il più possibile). Il presidente Usa, con la protervia ignorante tipica dei neocon e dei democrat, pensa di risolvere la questione paracadutando su Gaza l’ottantottenne Abu Mazen, più malandato e screditato di lui, indebolito dagli stessi americani e israeliani, e dicendo ad Hamas: “Scànsati che arriviamo noi”. È la geniale soluzione adottata in Afghanistan e in Iraq: arrivano i nostri, piazzano un fantoccio che piace a loro a decine di migliaia di chilometri, si illudono che per ciò stesso piaccia alla popolazione, poi scoprono che quella non gradisce e reagisce maluccio (in Iraq i sunniti spodestati dagli sciiti hanno fondato l’Isis, in Afghanistan i talebani si son bevuti in mezza giornata il famoso “esercito regolare” costato un occhio alla coalizione occidentale).
Mentre Sleepy Joe invita l’amico Bibi a imparare dagli errori Usa nella “guerra al terrorismo” che lo moltiplica da vent’anni, è il primo a ricascarci. Altrimenti smetterebbe di giocare a Risiko col mondo e si porrebbe il problema numero uno, almeno per chi esporta democrazia in tutto il globo terracqueo: la volontà dei popoli. Se si votasse oggi a Gaza e in Cisgiordania, Hamas trionferebbe più che alle elezioni del 2006, le ultime. Certo, si può dire ai palestinesi che devono ciucciarsi Abu Mazen senza eleggerlo, sennò sbagliano di nuovo a votare. Ma così anche i meglio disposti capiscono che, per farsi sentire, non c’è che la lotta armata: e Abu Mazen dura quanto un gatto in tangenziale. L’idea che, dopo tutto l’odio e i massacri, i palestinesi accettino di buon grado una “leadership moderata” (quella che gli scegliamo noi) può uscire soltanto da una mente malata: infatti è venuta a Biden. Un leader di media intelligenza si attiverebbe per dare loro un buon motivo per non votare Hamas e scegliersi rappresentanti migliori. Cioè taglierebbe l’erba sotto i piedi di Hamas che campa di odio e miseria, eliminandone le cause. Come? Fermando la strage e varando un piano Marshall di ricostruzione e investimenti a Gaza e in Cisgiordania, per portare sviluppo, lavoro e infrastrutture. Affinché i palestinesi votino bene, devono stare bene. È l’unica soluzione ragionevole: infatti non ne parla nessuno.
mercoledì 13 settembre 2023
Mimmo. - Marco Travaglio
lunedì 28 agosto 2023
IL GIORNO DELLA MARMOTTA. - Marco Travaglio - 28 agosto 2023
giovedì 15 giugno 2023
La leggenda del santo corruttore. - Marco Travaglio
Il giorno di lutto nazionale e i sette di lutto parlamentare, più che a B., sono un omaggio a Fantozzi e ai funerali della madre del megadirettore naturale conte Lamberti, immaturamente scomparsa all’età di 126 anni. Ora mancano solo la Coppa Cobram di ciclismo da Arcore a Pinerolo e la statua del de cuius all’ingresso del fu Parlamento, con inchino forzato e craniata incorporata per i cari inferiori.
Le cascate di saliva che tracimano da ogni canale tv e da ogni giornale regalano perle inimmaginabili persino nei suoi anni d’oro. L’ex conduttore Mediaset intervista su La7 il suo editore ex Mediaset su quanto era buono e democratico l’editore precedente che stipendiava entrambi prima che lo mollassero perché era troppo buono e democratico. L’ex direttore del Corriere Paolo Mieli si pente in diretta dell’unico scoop della sua vita, sull’invito a comparire del ’94 a B. per le mazzette alla Guardia di Finanza, accusa i pm di non averlo torchiato a dovere per estorcergli le sue fonti che lui avrebbe senz’altro spiattellato in barba alla deontologia professionale, e comunque si scusa pubblicamente per aver pubblicato una notizia vera. Renzi, un Berlusconi che non ce l’ha fatta, saltella da una rete all’altra per leccare la bara a distanza, sperando di ereditare qualche briciola dal desco del caro estinto, peraltro invano (a parte i processi). Il rag. Cerasa, un Sallusti che non ce l’ha fatta, dipinge sul Foglio col pennino intinto nella bava il leader più estremista e populista mai visto in Europa come “argine all’estremismo e al populismo” e, siccome era culo e camicia con Putin, pure come “seduttore atlantista”. Attori, registi e soubrette “de sinistra” spendono capitali in necrologi piangenti per l’amico Silvio, sperando che pure gli eredi si ricordino degli amici. Francesco Gaetano Caltagirone svela finalmente chi fa i titoli e gli editoriali del suo Messaggero, firmandone finalmente uno al posto dei soliti nom de plume: “Un uomo che ha lasciato un’orma profonda”. Più che altro, un’impronta digitale. E un vuoto incolmabile nelle casse dell’Erario.
Il Corriere fa rivoltare nelle tombe Montanelli, Biagi e Sartori col titolo cubital-vedovile “L’Italia senza Berlusconi”, presidiato da una schiera di lingue erette sul presentat’arm e seguito dalla doverosa intervista all’editore Cairo, che parla alla sua tv ma anche al suo giornale, casomai qualcuno pensasse che il berlusconismo è morto con B.. La Moratti assicura che la sua Rai del ’94 era liberissima perché B. l’aveva nominata presidente, ma poi non fece mai pressioni (non ce n’era bisogno), così lei poté nominare direttori i berlusconiani Rossella, Mimun e Vigorelli a sua insaputa.
Le Camere Penali smentiscono persino Coppi (“B. perseguitato dai pm? Mai pensato”) e piangono comprensibilmente il cliente più illustre e munifico della categoria, “oggetto di una aggressione politico-giudiziaria che non ha precedenti nella storia della Repubblica”, visto che ha subìto “decine e decine di indagini e processi, con accuse fino alla collusione mafiosa e al ruolo di mandante di stragi, conclusesi con una sola condanna per elusione fiscale”. A parte il fatto che non fu per elusione né per evasione, ma per una frode fiscale pluriaggravata da 368 milioni di dollari, di cui 360 prescritti (come altri nove processi per gravissimi reati accertati, ma rimasti impuniti perché l’imputato aveva dimezzato i termini di decorrenza, senza dimenticare i fedelissimi finiti in galera al posto suo e i soldi alla mafia consacrati dalla sentenza Dell’Utri), le Camere Penose potrebbero vergare una nota identica per Al Capone: perseguitato con accuse di mafia, ma condannato “solo per elusione fiscale”.
Un solo beneficato, Vittorio Feltri, ha il coraggio di dire la verità: “Non posso parlarne male perché mi ha fatto ricco”. Tutti gli altri ammantano le pompe funebri di “rivoluzione liberale” che “ha cambiato l’Italia”, anche se si scordano le 60 leggi ad personam e non riescono a citare uno straccio di sua riforma che abbia migliorato la vita di qualcuno che non fosse lui. Infatti vanno forte le corna a Caceres, il cucù alla Merkel, lo sguardo lubrico alla Obama e la spolverata alla sedia, come se uno statista si misurasse dal numero di guittate. Ma il ridicolo eccesso santificatorio non si deve solo al fatto che B. s’è comprato mezza Italia che conta e l’altra mezza avrebbe pagato per vendersi. Chi ha retto il sacco a un bandito per decenni ora deve dimostrare che era cosa buona e giusta. E chi vorrebbe delinquere anche lui in santa pace, avendo perso il grande alibi, cerca almeno un lasciapassare e un santo patrono. Oscar Wilde diceva che “certi uomini migliorano il mondo soltanto lasciandolo”. Ma, ora che ha raggiunto il paradiso (fiscale), possiamo dire senza tema di smentita che il padrone morto era molto meglio dei servi vivi.
mercoledì 17 maggio 2023
Il Rosiconista - Marco Travaglio
Non tutti sanno che c’è un giornale, più che altro un ciclostile, con un editore imputato, Alfredo Romeo, e un direttore editoriale imputato, Matteo Renzi: il Riformista. Però va detto che la linea editoriale non risente minimamente dello status dell’editore e del direttore editoriale: infatti si dedica precipuamente a bombardare i magistrati che processano l’editore e il direttore editoriale, ma anche, ad abundantiam, quelli che non processano l’editore e il direttore editoriale (o non ancora: hai visto mai). L’editore è coimputato del padre del direttore editoriale, perché aveva scritto su un pizzino la cifra che intendeva devolvergli mensilmente in cambio di aiutini per gli appalti Consip: “30mila per T.”. Purtroppo fu beccato prima del bonifico, ma ora potrà pagare legalmente il figlio direttore editoriale, a sua volta imputato per i finanziamenti illeciti alla fondazione Open. Costui però, allergico com’è ai conflitti d’interessi, sta bene attento a non confondere la sua veste di direttore editoriale da quella di imputato: ieri, per dire, ha scritto un editoriale (“Open to Meraviglia”) per avvisare gli eventuali lettori che “anche oggi mi presenterò in tribunale, a Firenze, nell’ambito del ‘processo Open’”, frutto di “un’inchiesta nata da un pregiudizio ideologico” e da “scandalosi sequestri show”. Ma solo per precisare che “il Riformista non seguirà questa udienza preliminare”, nata peraltro da “una indagine assurda”. Infatti “questo giornale non è il luogo della mia difesa. Mi difendo da solo”: sul giornale che non è il luogo della sua difesa.
“Il Riformista parlerà invece degli altri errori giudiziari, quelli che riguardano cittadini comuni”, tipo lui che, “citando lo straordinario discorso di Enzo Tortora, so di essere innocente e spero che lo siano anche i magistrati che mi indagano ingiustamente”. Ma, sia chiaro, “questo giornale non può servire per regolare i miei conti”. Dunque nessuno, sul Riformista, si azzardi a parlare di lui, a parte lui, che si limita a precisare di aver “denunciato i magistrati che ritenevo responsabili”. Silenzio stampa assoluto anche sui suoi libri: sì, è vero, il suo libro “Il Mostro è stato un best seller”, ma non sta certo a lui dirlo, tantomeno sul suo giornale. Quindi, ricapitolando: a parte l’editoriale dell’imputato, “questo giornale non si occupa del processo Open perché parla di tutto il resto”. Un esempio a caso di tutto il resto: “le vergognose indagini fiorentine” sul caso Open, che “sarà ricordato come uno dei tanti flop”, anzi “più grave degli altri” perché l’imputato è il direttore editoriale.
Però ora basta parlare di Open. Sennò qualcuno penserà che il Riformista si occupi di Open, che il direttore editoriale sia imputato e che non l’abbia presa proprio benissimo.
FQ 13 maggio
giovedì 20 aprile 2023
Armarsi un po’. - Marco Travaglio
Noi simpatizzanti di Elly Schlein abbiamo ascoltato con religiosa attenzione la sua prima conferenza stampa. Finora non avevamo colto la differenza fra il suo Pd, quello di Letta tracollato alle elezioni e quello che avrebbe messo su Bonaccini. Ma non siamo siamo rimasti delusi. Schlein è favorevole al Pnrr: “Non possiamo mancare l’appuntamento, tifiamo per l’Italia”. Parole sante. È antifascista e giudica il 25 Aprile “una “celebrazione importante e sentita”. Un libro stampato. Invece è contraria al dl Cutro, “peggio dei decreti Salvini”. Perbacco. E la sanità, come la vuole? “Pubblica” (infatti l’Emilia-Romagna da lei viceamministrata fino all’altroieri foraggia i privati). La “guerra ai poveri” del governo contro il Rdc è deplorevole: “uno spezzatino”. Brutta anche “la precarietà”. E l’utero in affitto? “Personalmente sono favorevole, ma non l’abbiamo inserito nella mozione perché c’è una piena disponibilità al confronto con tutti i femminismi e tutte le associazioni che vogliono confrontarsi”. Con quelle che non vogliono, niente confronto.
Elly è anche favorevole, nell’ordine, a: “giustizia sociale, salario minimo, riscatto della dignità del lavoro, battaglie legate all’emergenza climatica”. A proposito: chi attendeva una parola chiara sull’inceneritore di Roma, specie ora che la giunta Pd di Livorno lo chiude perché ciuccia troppa acqua, è stato soddisfatto: “Siccome esistono sensibilità diverse nel partito, mi impegno a promuovere un confronto” (sempre con chi vuole confrontarsi). Sì, ma qual è la sua sensibilità non di passante, ma di segretaria del Pd? “Ereditiamo scelte già fatte e non è sul terreno delle scelte già fatte che si misura come noi proviamo a costruire ciò che c’è nella piattaforma congressuale”. E lei come giudica le scelte già fatte, visto che può disfarle votando gli ordini del giorno di M5S e Avs? “Non li ho visti, ma immagino che voteremo contro”. Non li ha visti, ma immagina. E le armi per l’escalation in Ucraina? Dài che qui arriva una bella svolta rispetto alla linea Letta-Bonaccini: “Abbiamo votato (il decreto Meloni, ndr) confermando il supporto al popolo ucraino. L’ho confermato ieri all’ambasciatore. Nel nostro gruppo c’è chi ha votato diversamente, ma non ho visto cambiamenti”. Neppure noi, ma è solo un’impressione. Invece sul riarmo al 2% del Pil è “molto perplessa”: gliele canta chiare. Poi sfodera tutto il suo empito ambientalista con una difesa appassionata di mamma orsa: “Saranno le autorità preposte a decidere cosa fare. Sono molto attenta a capire il perché della sentenza del Tar”. E qui il nostro cuore sussulta e si surriscalda come non accadeva dall’ultima tribuna politica di Forlani: lo spericolato uno-due fra “autorità preposte” e “Tar” è da pelle d’oca.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/04/20/armarsi-un-po-2/7136120/
venerdì 14 aprile 2023
Aridateci Aigor. - Marco Travaglio
domenica 11 dicembre 2022
Rimozione forzata. - Marco Travaglio
Mezzo milione cash nella cassaforte di casa, sacchi di contanti nel soggiorno, un padre che tenta la fuga con valigioni pieni di banconote, ferie da favola a sbafo, carte di credito intestate a prestanome. Le scene svelate dall’inchiesta sugli eurodeputati a libro paga del Qatar non sono che l’antipasto di uno scandalo gigantesco. Salvo pensare che per comprarsi il Mondiale più scandaloso della storia i munifici emiri si siano accontentati di ungere i papaveri della Fifa, un sindacalista italiano, un ex eurodeputato italiano, il suo portaborse e la fidanzata greca di quest’ultimo, vicepresidente del Parlamento europeo, più alcuni socialisti belgi. La destra esulta con la consolazione dei dannati (“Evviva, ruba pure la sinistra!”). E la sinistra, mentre tuona contro il cash libero e le altre salva-evasori meloniane, tace o balbetta. Come sui 24 mila euro nella cuccia del cane di Cirinnà & Montino a Capalbio: nulla di penalmente rilevante, ma eticamente forse sì. Come su Nicola Oddati, membro della direzione nazionale del Pd e responsabile delle “Agorà” di Letta, beccato a gennaio alla stazione Termini dalla Polizia con 14 mila euro in tasca: indagato per associazione per delinquere e corruzione su vari appalti fra la Campania e la Puglia (era pure commissario a Taranto), si dimise dagli incarichi e non se ne parlò più.
Appena evochi la “questione morale” di Berlinguer, salta sempre su qualcuno a irridere la sua “diversità” da Craxi (che lui chiamava “il gangster”) e a parlare dei rubli da Mosca (paralleli ai dollari da Washington a Dc&C). Un modo per buttare la palla in tribuna, perché Berlinguer e i berlingueriani erano davvero “diversi”. Nel 1983 Diego Novelli, sindaco di Torino, appena seppe da un imprenditore che pagava mazzette e mignotte ai suoi assessori socialisti, lo fece scortare in Procura a denunciarli. Scattarono gli arresti, la giunta rossa cadde e Novelli fu cazziato da Giuliano Amato per non aver “risolto politicamente la questione”. “Moralista” e “manettaro” (“giustizialista” ancora non si usava). Fra la linea Berlinguer-Novelli e la linea Amato, a sinistra molto prima che a destra, vinse la seconda. Centinaia di scandali, mai un dibattito serio e autocritico. Tanto, dall’altra parte, c’era B., il grande alibi e parafulmine che oscurava tutti gli scandali della sinistra. La pacchia, per i figli illegittimi di Berlinguer, finì con l’arrivo dei 5Stelle, che la legalità, oltre a predicarla, finora l’hanno praticata nelle leggi e nelle condotte personali; e con il declino del Caimano, che lascia la sinistra affarista e furbastra nuda come mamma l’ha fatta. Chissà se, di qui al congresso, almeno uno dei candidati o degli 87 saggi spenderà due parole o due righe su un dettagliuccio rimosso da oltre 40 anni: la questione morale.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/12/11/rimozione-forzata/6901598/
giovedì 8 dicembre 2022
La Spazzaonesti. - Marco Travaglio
L’altroieri, mentre Meloni si proclamava “garantista durante le indagini e giustizialista dopo le condanne”, la sua maggioranza con ruota di scorta renziana incorporata depennava i reati contro la Pa da quelli “ostativi” ai benefici penitenziari. Traduzione: la Spazzacorrotti di Bonafede, il miglior Guardasigilli degli ultimi 30 anni, votata da 5Stelle e Lega nel 2019 (Conte-1), diventa Spazzaonesti. A furia d’inventare scappatoie svuotacarceri, sconti, benefici, permessi premio, liberazioni anticipate, semilibertà, servizi sociali, domiciliari e altre “alternative”, entrare in galera senza ammazzare qualcuno o iscriversi a una cosca o trafficare chili di droga o essere senza tetto, è difficilissimo: anche chi si impegna allo spasimo a delinquere viene respinto alle porte del penitenziario e rispedito a casa. Gli anni di reclusione scritti nella sentenza sono finti. Ma questo fa incazzare gli onesti. E i politici, per non perdere voti, si sono inventati una lista di “reati ostativi” ai benefici penitenziari, che aggiornano a ogni “emergenza” criminale. Sono partiti con mafia e terrorismo, poi hanno proseguito con altri reati di “allarme sociale”: violenze sessuali, sequestri di persona, traffico d’esseri umani e di droga, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, prostituzione minorile, pedopornografia, persino contrabbando. E fin lì, trattandosi perlopiù di delitti da strada e non da colletti bianchi, nessuno ha mai eccepito nulla. Nemmeno sull’applicazione “retroattiva” della norma a chi aveva commesso il delitto prima che diventasse ostativo: i condannati restavano (e restano) dentro per il tempo stabilito dalla condanna.
Poi il M5S pensò ingenuamente che fossero un’emergenza anche corruzioni, concussioni, truffe, peculati e altre razzie di denaro pubblico. E aggiunsero alla lista i reati contro la Pa. Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi ma convinto di non fare un giorno di galera perché aveva compiuto 70 anni, finì dentro. Apriti cielo. Un colletto bianco detenuto per scontare una pena detentiva: scandalo! Provvide la Consulta dell’apposita Cartabia a bocciare l’applicazione della norma ai reati contro la Pa (e solo quelli, of course) commessi prima che divenissero ostativi. Formigoni intanto era già uscito dopo 5 mesi (su 70) perché un giudice carino aveva anticipato la Corte. Restava un grosso problema per la Casta degli impuniti: chi ha svaligiato la Pa dopo la Spazzacorrotti o intende farlo in futuro rischia il carcere vero. Martedì FdI, Lega, FI e Iv (astenuto l’ottimo Pd) hanno ripristinato il carcere finto: quello vero resta per i contrabbandieri e gli altri, ma non per i corrotti e gli affini. È la certezza della pena modello Meloni&C.: se ti condannano per aver rapinato lo Stato, hai la certezza di farla franca.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/12/08/la-spazzaonesti/6898978/
martedì 6 dicembre 2022
Ticket restaurant. - Marco Travaglio
La manovra Meloni è già stata bocciata da Bankitalia e Corte dei Conti, Istat, Cnel e Upb, docenti e studenti, sanitari e pazienti, sindacati e Confindustria, cattolici e atei, pensionati e giovani ma anche gente di mezza età, Ue e italiani, Nord e Sud. E sta sulle palle persino a Meloni (“il tetto al Pos può scendere”). Ma almeno a due categorie piace: gli evasori fiscali e Ollio&Ollio, alias Renzi&Calenda. La coppia più comica del momento aveva chiesto i voti per il Draghi-2, previsto al massimo in primavera perché “Meloni cadrà in sei mesi”. Ora i pochi elettori che se l’erano bevuta vedono il capocomico Carletto, travestito da Caligola sovrappeso, cazziare FI perché non sostiene Meloni e sostenerla lui al posto loro. Intanto la spalla rignanese annuncia che “nel 2024 farò cadere Meloni e saremo il primo partito”. È “il polo della serietà”. Si aprirebbe un certo spazio per l’opposizione vera, ma il Pd ha il “percorso costituente precongressuale” che richiede tempo perché – si era detto – “prima le idee e poi i nomi”. Purtroppo le idee non si sono trovate (le stanno cercando 87 “saggi”, con rabdomanti e sanbernardo). E si parla solo di nomi. Nomi avvincenti però, che scaldano il cuore degli elettori passati, presenti e futuri. Molto vari, ecco.
Bonaccini è un renziano sostenuto dai renziani. Ricci era renziano, ma piace alla sinistra interna (a quella esterna, meno). De Micheli era sottosegretaria dei renziani Renzi e Gentiloni, ma ce l’ha con Renzi. Schlein è la vice del renziano Bonaccini in Emilia-Romagna ed è appoggiata da Franceschini e Orlando, ex ministri del governo Renzi, però è la più antirenziana su piazza, anche perché non è iscritta al Pd che si candida a guidare. Poi c’è Nardella, renziano al Plasmon e sindaco di Firenze per grazia renziana ricevuta: pareva si candidasse pure lui, poi fu in corsa per un “ticket” con Schlein per alleviarne l’antirenzismo, invece farà ticket con Bonaccini per incrementarne il renzismo: è come il ficus, dove lo metti sta. L’idea del “ticket” è arrapante, anche se nessuno sa cosa voglia dire: in 15 anni il Pd ha avuto 10 segretari che sbagliavano da soli, mai in coppia. Quindi che succede se vince Bonaccini? Fa un po’ per uno con Nardella? O Nardella, oltre al sindaco a tempo perso, fa il presidente del Pd? Ma il presidente del Pd non conta nulla: l’ha fatto pure Orfini. L’attuale, Valentina Cuppi, nessuno sa chi sia: nemmeno Letta, che s’è pure scordato di farla eleggere. Ora Renzi intima al Pd di appoggiare Moratti in Lombardia e di ritirare Majorino, che deve “accettare il ticket con lei”: cioè le porterà caffè e cornetto ogni mattina. Il fatto che Majorino combatta Moratti da quando aveva i calzoni corti è un dettaglio superabile: “Ticket” è la parola magica che fa evaporare le idee. E gli elettori.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/12/06/ticket-restaurant/6896886/
domenica 4 dicembre 2022
Mamma mia che impressione. - Marco Travaglio
Lo spettacolo francamente indecoroso di un leader – uno a caso: Giuseppe Conte – fra la povera gente affamata dal governo fornisce al Commentatore Unico del Giornale Unico lo spunto per spiegare finalmente come si fa la vera opposizione.
1. “Conte è stato presidente del Consiglio e vederlo nella piazza di Scampia fa una certa impressione… Stride” (Minzolini, Giornale).
Chi è stato premier deve reclutare mignotte nelle sue ville; frodare centinaia di milioni al fisco; incontrare agenti segreti negli autogrill; farsi pagare da tagliagole sauditi in cambio di lodi al loro Rinascimento.
Così evita di fare una certa impressione e di stridere.
2. “A Scampia c’è il più alto tasso di fruitori del reddito di cittadinanza e il M5S ha avuto il 64% alle elezioni…” (Minzolini).
Chi ha preso il Rdc ha votato Conte perché era l’unico a difenderlo, mentre gli altri volevano abolirlo (incluso Salvini che lo votò) o si erano opposti (incluso il Pd che ora lo difende): se l’avessero difeso tutti, i percettori avrebbero votato per tutti. In ogni caso, non si incontrano gli elettori dopo le elezioni: semmai prima, per chiedere i voti, poi si scappa per cinque anni.
3. “…una sorta di voto di ‘scambio’” (Minzolini). Promettere nel 2018 una misura di giustizia sociale che esiste in tutta Europa, realizzarla nel 2019 e venire premiati dagli elettori nel 2022 è “voto di scambio”.
Invece chiedere voti agli evasori, poi varare condoni fiscali che non esistono in alcun altro Paese a spese dello Stato, dei poveri e degli onesti è Politica con la P maiuscola.
4. “La campagna di Conte come ‘avvocato dei poveri’… è una linea estremista… spregiudicata… che cerca di scaricare sul governo il malessere sociale” (Massimo Franco, Corriere).
In effetti è strano che, con un governo che toglie ai poveri per dare ai ricchi e agli evasori, l’opposizione si opponga.
Di solito collabora alla rapina. A meno che non sia “estremista”.
5. “Ma punta soprattutto a mettere nell’angolo il Pd… Una sfida non tanto al governo, ma a sinistra” (Franco).
Ecco perché Conte attacca Meloni: perché ce l’ha col Pd.
Per non avercela col Pd, dovrebbe elogiare Meloni.
E, siccome il Pd s’è messo in coma farmacologico fino a marzo, deve entrare in coma pure lui in attesa che il Pd ne esca: muoversi mentre l’altro dorme è poco sportivo.
6. “Bisogna aspettarsi ‘piazze’ agitate… (Conte) radicalizza ogni conflitto sociale; difende i lavoratori precari…
Una ‘deriva francese’ da sinistra minoritaria” (Franco).
L’opposizione maggioritaria difende i miliardari,
va a Confindustria e all’ambasciata Usa a prendere ordini,
vive fissa fra le prime della Scala, i forum di Cernobbio e Leonardo, i salotti e le terrazze, senza mai uscire dalla Ztl.
Ed evita accuratamente le piazze: i poveri, fra l’altro, puzzano.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/12/04/mamma-mia-che-impressione/6895284/
domenica 24 luglio 2022
Non c’è il 2 senza il 3. - Marco Travaglio
Il nuovo video di Grillo ha finalmente toni giusti e contenuti ragionevoli. Ma con un elemento mancante e uno di troppo. Mancano le scuse per l’errore fatale di aver scambiato Draghi per “grillino” ed esserglisi arreso senza neppure far valere la maggioranza relativa per fissare ministeri chiave e punti programmatici irrinunciabili. A quell’errore, a cascata, ne seguirono altri: l’attacco sgangherato a Conte dopo avergli offerto la leadership, le telefonate con Draghi per spingere ministri e parlamentari a votare le controriforme che stracciavano le bandiere 5Stelle, il ritardo nel denunciare gli inviti del premier a far fuori Conte e financo ad appoggiare la scissione Di Maio, la pervicacia nel difendere fino all’ultimo un governo indifendibile. Così l’identità è sbiadita e il M5S, senza più entusiasmo, è diventato una pentola in perenne ebollizione fra guerre per bande e defezioni, intaccando alla lunga il consenso personale di Conte. L’elemento di troppo nel video viene da sé: il limite dei due mandati come dogma. In condizioni normali, lo sarebbe, la politica non è un mestiere dalla culla alla tomba. Ma le condizioni non sono normali, anche per colpa di Grillo: si vota fra due mesi, ci sono pochi giorni per formare le liste e lui stesso riconosce che “abbiamo tutti contro”. Quindi à la guerre comme à la guerre. Pertini diceva: “A brigante, brigante e mezzo”.
Per combattere ad armi pari con gli altri, l’unica soluzione sono le liste miste. Giusto privilegiare candidati con uno o zero mandati. Ma, in cima alle liste, Conte dovrebbe potersi avvalere di altre figure riconoscibili, purché gl’iscritti le approvino: le bandiere dell’identità evaporata appresso a Draghi. Il doppio mandato, se svolto con disciplina e onore, può portare anche al terzo (non di più). Parliamo di Bonafede, Fico, Fraccaro, Taverna, Dadone e pochi altri, che non possono mancare accanto ai big al primo giro (tipo Patuanelli, Catalfo, Costa e Di Battista) e alle ex sindache Appendino e Raggi (che già hanno la deroga). Non solo per premiare chi ha combattuto e pagato a caro prezzo: nel migliore dei casi, il dileggio e il linciaggio; nel peggiore, le minacce criminali e la scorta. Ma anche per rivendicare riforme e condotte che corrispondono a quei nomi, apprezzate anche da tanti che non votavano M5S o hanno smesso quando li han visti in quel governo contro natura. Quei nomi, poi, garantiscono impegno e attaccamento alla maglia molto più di nuovi peones che, alla prima sirena, potrebbero voltare gabbana. Come disse Gianroberto Casaleggio a Di Battista nel 2016 per convincerlo a lasciare la Camera e a correre come sindaco di Roma in barba alle norme interne, “le regole sono al servizio del Movimento, non viceversa”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/07/24/non-ce-il-2-senza-il-3/6740573/
sabato 16 luglio 2022
C’è vita oltre Draghi. - Marco Travaglio
Unendoci al cordoglio delle prefiche inconsolabili che strillano per la prematura dipartita di Mario Antonietta, partecipiamo alle esequie con due domandine facili facili.
1. Posto che il capo dello Stato scioglie anzitempo le Camere solo quando non c’è più una maggioranza per formare un governo, in che senso “dopo Draghi c’è solo il voto”? Con l’astensione M5S, il governo Draghi ha appena avuto la fiducia dalla maggioranza assoluta di entrambi i rami del Parlamento. Ma, siccome è capriccioso, o s’è stufato, o teme i forconi, o ha pilates, il premier s’è dimesso. Mattarella ha respinto le dimissioni e l’ha rispedito alle Camere per mercoledì. E lì l’unico rischio che non corre è non avere la fiducia: avrà quella extralarge col M5S se accoglierà le 9 proposte di Conte; o quella più ridotta, ma comunque sufficiente, con tutti gli attuali alleati senza M5S. In questo caso dovrebbe fare ciò che si fa sempre: sostituire i ministri 5Stelle e continuare a governare. Ma potrebbe pure ritentare la fuga con dimissioni irrevocabili. Però la maggioranza esisterebbe comunque, salvo che un altro partitone (la Lega?) si sfilasse: nel qual caso, fine della maggioranza e della legislatura. Ma, se nessuno a parte il M5S si sfila, non si vede perché l’addio di Draghi porti alle urne. Mattarella dovrebbe proporre un altro premier alla maggioranza e lasciar decidere al Parlamento. Se i 5Stelle sono inaffidabili e infrequentabili, che aspettano gli altri a fare un governo senza di loro? Non ci pare di aver letto nella Costituzione che l’unico italiano su 59 milioni abilitato alla premiership sia Draghi: anzi, la Carta non fa proprio nomi.
2. L’indispensabilità di Draghi nasce da bizzarre leggende metropolitane sui suoi poteri taumaturgici al governo (in 17 mesi non ha combinato quasi nulla e quel poco era sbagliato, dalla giustizia al Covid, dalla guerra al riarmo al 2% del Pil stoppato da Conte) e sui mercati (lo spread è più basso ora che s’è dimesso di quando era in carica). Ma è stata smentita da lui stesso a Natale quando, per un altro capriccio, annunciò che la sua missione era compiuta e, da “nonno al servizio delle istituzioni” (o viceversa), ambiva a traslocare al Quirinale. E tutta la stampa, che fino ad allora voleva imbullonarlo al governo in saecula saeculorum, prese a bombardarci le palle per spedirlo a tagliar nastri lassù. Tanto, per Palazzo Chigi, uno valeva uno: andava bene pure tal Daniele Franco. Conte e Salvini si opposero perché un governo-ammucchiata guidato da altri era improbabile, se non impossibile. E furono lapidati. Ora, di grazia, com’è che il nonnetto che tutti volevano sloggiare da Palazzo Chigi e imbalsamare sul Colle è l’unico italiano su 59 milioni in grado di fare il presidente del Consiglio?
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/07/16/ce-vita-oltre-draghi/6663345/
mercoledì 15 giugno 2022
Morte presunta. - Marco Travaglio
Diciamo la verità: i 5Stelle non sono mai esistiti neppure quando prendevano il 25,5% e il 32,7 alle Politiche del 2013 e del ’18, o arrivavano primi in Sicilia nel 2012 e nel ’17, o piazzavano i loro sindaci a Parma, Livorno, Torino, Roma. Li cercavi e non li trovavi: niente sedi né strutture né soldi. Solo i quattro amici al bar dei Meetup. E, sopra, i frontman Grillo e Casaleggio padre, seguiti da Di Maio. Ma soprattutto le idee (altro che “vaffa e proteste”), che in quattro anni hanno cambiato l’Italia in meglio, grazie anche al premier per caso Conte: reddito, spazzacorrotti, taglio dei parlamentari, Recovery, bonus 110%, manette agli evasori, cashback, green new deal ecc. Infatti nel 2021 scattò il trappolone per cacciarli da Palazzo Chigi prima che fosse troppo tardi. I media, troppo occupati a criminalizzarli (non rubano), non si sono mai domandati come sia riuscito quel non partito di non politici a fare molto meglio dei partiti politici (a Roma e Torino, Gualtieri e Lorusso fan già rimpiangere Raggi e Appendino).
Ora, dopo l’ennesima disfatta alle Comunali, i 5Stelle sono dati per morti. E può darsi che lo siano, dopo 13 anni di vita (Renzi e Salvini ne son durati 2 o 3). Anzi, vien da augurarselo per risparmiarsi il solito dibattito sulla morte del M5S, sempre uguale dalla nascita. Ma lo sapremo alle Politiche quando – accanto ai voti controllati, scambiati e comprati – torneranno in gioco i voti d’opinione, oggi in gran parte annegati nell’astensione: gli unici a cui può aspirare chi non ha posti o favori da spartire. Allora gl’italiani si porranno una sola domanda: voglio essere governato da Letta, Meloni o Conte? E la risposta sarà diversa da quella delle Comunali, dove si confrontano candidati locali e di solito vince chi poi perde le Politiche. Per arrivarci vivo, Conte dovrà supplire al suo vero deficit: che non è di “linea” o di idee, anzi (salario minimo, ambientalismo radicale, multilateralismo e pacifismo, oggi in bocca a tanti, erano solo nel programma M5S): è di organizzazione. I delegati territoriali sono un buon inizio, sia pur tardivo. Il resto dell’opera è recuperare credibilità tra gli esclusi (in Francia Mélenchon sfonda), divincolandosi dal Pd e dal trappolone in cui Grillo e Di Maio han cacciato i 5S: quello che li penalizza sia se scaricano Draghi (sfasciano tutto in piena guerra!), sia se restano con lui (sono incoerenti per tenersi le poltrone!). L’unica via d’uscita è mollare il governo (ritiro dei ministri), ma non la maggioranza (appoggio esterno, almeno sulle leggi utili). È vero: Di Maio non lascerà mai la Farnesina. Ma, se lo votassero gl’iscritti, dovrebbe scegliere fra Ministero e Movimento. E il famoso chiarimento interno fra governisti e movimentisti sarebbe cosa fatta.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/06/15/morte-presunta/6627426/