Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 18 settembre 2025
mercoledì 17 settembre 2025
lunedì 15 settembre 2025
mercoledì 20 agosto 2025
Biancaneve e i 7 nani - Marco Travaglio
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martedì 12 agosto 2025
domenica 3 agosto 2025
domenica 13 luglio 2025
mercoledì 2 luglio 2025
martedì 1 luglio 2025
~ I russi russano ~
mercoledì 25 giugno 2025
martedì 24 giugno 2025
FORZA AGGRESSORE - Marco Tavaglio.
sabato 30 novembre 2024
Beppe Grillo. - Editoriale di Marco Travaglio
giovedì 10 ottobre 2024
L’atlantista piangente - Marco Travaglio
In principio c’era l’atlantista vanaglorioso, tipo Rampini, che ringrazia l’Occidente di tutti i crimini e i disastri che ha seminato nel mondo. C’era l’atlantista fantasy, tipo Severgnini, che raccontava come Putin senza la Nato sarebbe già a Lisbona (o a Rimini: variante Di Bella).
C’era l’atlantista trionfalista, tipo Parsi, che da due anni e mezzo narra le travolgenti vittorie di Ucraina+Nato sul campo di battaglia, dove nessuno ne ha mai vista una. C’era l’atlantista da lista, tipo Riotta, che addita immaginari nemici dell’Occidente al soldo di Putin. C’era l’atlantista complottista, tipo Crosetto o Fubini, che vedeva Putin e i Wagner anche sotto il suo letto. Ora c’è una nuova sfumatura di Nato: l’atlantista piangente. Tipo il direttore del Corriere che ribalta il doppio standard usato dall’Occidente sulle guerre impunite di Netanyahu e su quelle punitissime di Putin lacrimando come una fontana, anzi un Fontana: “Perché tanto odio per Israele e tanta comprensione per Putin?”
Par di sognare: Putin è sotto sanzioni dal 2014, quando violò il diritto internazionale per riprendersi senza colpo ferire la Crimea, da sempre russa. Sanzioni centuplicate quando violò il diritto internazionale nel 2022 per invadere l’Ucraina e prendersi le regioni russofone che i governi nati da un’altra violazione del diritto internazionale – il golpe bianco-nero di Euromaidan per rovesciare un presidente eletto, ma inviso a Nato e Ue – bombardavano da otto anni. Da 31 mesi Nato e Ue armano Kiev (che non è né Nato né Ue) non solo per aiutarla a difendersi, ma anche per “sconfiggere la Russia” senza neppure dichiararle guerra.
E ora, salvo rare eccezioni, la autorizzano a invadere e bombardare la Russia con i loro missili. Chiudono gli occhi sulle sue attività terroristiche in Germania, Russia, Africa e persino Ucraina. E applaudono se la Corte dell’Aja spicca un mandato di cattura contro Putin, ma strillano se il procuratore lo chiede per Netanyahu (senza per ora ottenerlo) su crimini di guerra molto più gravi di quelli di Putin: 42 mila morti civili in un anno nella striscia di Gaza abitata da 2,5 milioni di persone e vasta 360 kmq (l’1,3% della Crimea), oltre a bombardamenti in Cisgiordania, Libano, Siria, Iran, Iraq e Yemen. L’atlantista piangente fa il finto tonto: perché i civili “morti il 7 ottobre e in Ucraina contano molto meno per tanti presunti democratici”?
Ma non è che contano molto meno: è che sono molti meno, sia in proporzione sia in termini assoluti. E poi chi manifesta in Occidente lo fa perché contesta la politica dei suoi governi, incoerenti con i principi che professano. Dai terroristi e dagli autocrati non si aspetta che diventino buoni per le sue proteste: lo spera da quelli che si spacciano per buoni quando gli chiedono il voto.
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giovedì 14 dicembre 2023
Gnè gnè (Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) –
mercoledì 8 novembre 2023
Menti malate. - Marco Travaglio
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – La tragedia di Gaza ne contiene altre due e non si sa quale sia peggio: purtroppo Netanyahu non ha un piano; e purtroppo Biden ha un piano. Il premier israeliano fa bombardare la Striscia alla cieca perché non sa che altro fare (sradicare Hamas è una pia illusione, come dimostrano i sette attacchi di Israele a Gaza negli ultimi 15 anni), ma deve mostrare di fare qualcosa (una mattanza che moltiplicherà adepti e kamikaze di Hamas, anche in Cisgiordania) e soprattutto sa che, finita la guerra, finirà la sua carriera politica (quindi la guerra deve durare il più possibile). Il presidente Usa, con la protervia ignorante tipica dei neocon e dei democrat, pensa di risolvere la questione paracadutando su Gaza l’ottantottenne Abu Mazen, più malandato e screditato di lui, indebolito dagli stessi americani e israeliani, e dicendo ad Hamas: “Scànsati che arriviamo noi”. È la geniale soluzione adottata in Afghanistan e in Iraq: arrivano i nostri, piazzano un fantoccio che piace a loro a decine di migliaia di chilometri, si illudono che per ciò stesso piaccia alla popolazione, poi scoprono che quella non gradisce e reagisce maluccio (in Iraq i sunniti spodestati dagli sciiti hanno fondato l’Isis, in Afghanistan i talebani si son bevuti in mezza giornata il famoso “esercito regolare” costato un occhio alla coalizione occidentale).
Mentre Sleepy Joe invita l’amico Bibi a imparare dagli errori Usa nella “guerra al terrorismo” che lo moltiplica da vent’anni, è il primo a ricascarci. Altrimenti smetterebbe di giocare a Risiko col mondo e si porrebbe il problema numero uno, almeno per chi esporta democrazia in tutto il globo terracqueo: la volontà dei popoli. Se si votasse oggi a Gaza e in Cisgiordania, Hamas trionferebbe più che alle elezioni del 2006, le ultime. Certo, si può dire ai palestinesi che devono ciucciarsi Abu Mazen senza eleggerlo, sennò sbagliano di nuovo a votare. Ma così anche i meglio disposti capiscono che, per farsi sentire, non c’è che la lotta armata: e Abu Mazen dura quanto un gatto in tangenziale. L’idea che, dopo tutto l’odio e i massacri, i palestinesi accettino di buon grado una “leadership moderata” (quella che gli scegliamo noi) può uscire soltanto da una mente malata: infatti è venuta a Biden. Un leader di media intelligenza si attiverebbe per dare loro un buon motivo per non votare Hamas e scegliersi rappresentanti migliori. Cioè taglierebbe l’erba sotto i piedi di Hamas che campa di odio e miseria, eliminandone le cause. Come? Fermando la strage e varando un piano Marshall di ricostruzione e investimenti a Gaza e in Cisgiordania, per portare sviluppo, lavoro e infrastrutture. Affinché i palestinesi votino bene, devono stare bene. È l’unica soluzione ragionevole: infatti non ne parla nessuno.
mercoledì 13 settembre 2023
Mimmo. - Marco Travaglio
lunedì 28 agosto 2023
IL GIORNO DELLA MARMOTTA. - Marco Travaglio - 28 agosto 2023
giovedì 15 giugno 2023
La leggenda del santo corruttore. - Marco Travaglio
Il giorno di lutto nazionale e i sette di lutto parlamentare, più che a B., sono un omaggio a Fantozzi e ai funerali della madre del megadirettore naturale conte Lamberti, immaturamente scomparsa all’età di 126 anni. Ora mancano solo la Coppa Cobram di ciclismo da Arcore a Pinerolo e la statua del de cuius all’ingresso del fu Parlamento, con inchino forzato e craniata incorporata per i cari inferiori.
Le cascate di saliva che tracimano da ogni canale tv e da ogni giornale regalano perle inimmaginabili persino nei suoi anni d’oro. L’ex conduttore Mediaset intervista su La7 il suo editore ex Mediaset su quanto era buono e democratico l’editore precedente che stipendiava entrambi prima che lo mollassero perché era troppo buono e democratico. L’ex direttore del Corriere Paolo Mieli si pente in diretta dell’unico scoop della sua vita, sull’invito a comparire del ’94 a B. per le mazzette alla Guardia di Finanza, accusa i pm di non averlo torchiato a dovere per estorcergli le sue fonti che lui avrebbe senz’altro spiattellato in barba alla deontologia professionale, e comunque si scusa pubblicamente per aver pubblicato una notizia vera. Renzi, un Berlusconi che non ce l’ha fatta, saltella da una rete all’altra per leccare la bara a distanza, sperando di ereditare qualche briciola dal desco del caro estinto, peraltro invano (a parte i processi). Il rag. Cerasa, un Sallusti che non ce l’ha fatta, dipinge sul Foglio col pennino intinto nella bava il leader più estremista e populista mai visto in Europa come “argine all’estremismo e al populismo” e, siccome era culo e camicia con Putin, pure come “seduttore atlantista”. Attori, registi e soubrette “de sinistra” spendono capitali in necrologi piangenti per l’amico Silvio, sperando che pure gli eredi si ricordino degli amici. Francesco Gaetano Caltagirone svela finalmente chi fa i titoli e gli editoriali del suo Messaggero, firmandone finalmente uno al posto dei soliti nom de plume: “Un uomo che ha lasciato un’orma profonda”. Più che altro, un’impronta digitale. E un vuoto incolmabile nelle casse dell’Erario.
Il Corriere fa rivoltare nelle tombe Montanelli, Biagi e Sartori col titolo cubital-vedovile “L’Italia senza Berlusconi”, presidiato da una schiera di lingue erette sul presentat’arm e seguito dalla doverosa intervista all’editore Cairo, che parla alla sua tv ma anche al suo giornale, casomai qualcuno pensasse che il berlusconismo è morto con B.. La Moratti assicura che la sua Rai del ’94 era liberissima perché B. l’aveva nominata presidente, ma poi non fece mai pressioni (non ce n’era bisogno), così lei poté nominare direttori i berlusconiani Rossella, Mimun e Vigorelli a sua insaputa.
Le Camere Penali smentiscono persino Coppi (“B. perseguitato dai pm? Mai pensato”) e piangono comprensibilmente il cliente più illustre e munifico della categoria, “oggetto di una aggressione politico-giudiziaria che non ha precedenti nella storia della Repubblica”, visto che ha subìto “decine e decine di indagini e processi, con accuse fino alla collusione mafiosa e al ruolo di mandante di stragi, conclusesi con una sola condanna per elusione fiscale”. A parte il fatto che non fu per elusione né per evasione, ma per una frode fiscale pluriaggravata da 368 milioni di dollari, di cui 360 prescritti (come altri nove processi per gravissimi reati accertati, ma rimasti impuniti perché l’imputato aveva dimezzato i termini di decorrenza, senza dimenticare i fedelissimi finiti in galera al posto suo e i soldi alla mafia consacrati dalla sentenza Dell’Utri), le Camere Penose potrebbero vergare una nota identica per Al Capone: perseguitato con accuse di mafia, ma condannato “solo per elusione fiscale”.
Un solo beneficato, Vittorio Feltri, ha il coraggio di dire la verità: “Non posso parlarne male perché mi ha fatto ricco”. Tutti gli altri ammantano le pompe funebri di “rivoluzione liberale” che “ha cambiato l’Italia”, anche se si scordano le 60 leggi ad personam e non riescono a citare uno straccio di sua riforma che abbia migliorato la vita di qualcuno che non fosse lui. Infatti vanno forte le corna a Caceres, il cucù alla Merkel, lo sguardo lubrico alla Obama e la spolverata alla sedia, come se uno statista si misurasse dal numero di guittate. Ma il ridicolo eccesso santificatorio non si deve solo al fatto che B. s’è comprato mezza Italia che conta e l’altra mezza avrebbe pagato per vendersi. Chi ha retto il sacco a un bandito per decenni ora deve dimostrare che era cosa buona e giusta. E chi vorrebbe delinquere anche lui in santa pace, avendo perso il grande alibi, cerca almeno un lasciapassare e un santo patrono. Oscar Wilde diceva che “certi uomini migliorano il mondo soltanto lasciandolo”. Ma, ora che ha raggiunto il paradiso (fiscale), possiamo dire senza tema di smentita che il padrone morto era molto meglio dei servi vivi.
mercoledì 17 maggio 2023
Il Rosiconista - Marco Travaglio
Non tutti sanno che c’è un giornale, più che altro un ciclostile, con un editore imputato, Alfredo Romeo, e un direttore editoriale imputato, Matteo Renzi: il Riformista. Però va detto che la linea editoriale non risente minimamente dello status dell’editore e del direttore editoriale: infatti si dedica precipuamente a bombardare i magistrati che processano l’editore e il direttore editoriale, ma anche, ad abundantiam, quelli che non processano l’editore e il direttore editoriale (o non ancora: hai visto mai). L’editore è coimputato del padre del direttore editoriale, perché aveva scritto su un pizzino la cifra che intendeva devolvergli mensilmente in cambio di aiutini per gli appalti Consip: “30mila per T.”. Purtroppo fu beccato prima del bonifico, ma ora potrà pagare legalmente il figlio direttore editoriale, a sua volta imputato per i finanziamenti illeciti alla fondazione Open. Costui però, allergico com’è ai conflitti d’interessi, sta bene attento a non confondere la sua veste di direttore editoriale da quella di imputato: ieri, per dire, ha scritto un editoriale (“Open to Meraviglia”) per avvisare gli eventuali lettori che “anche oggi mi presenterò in tribunale, a Firenze, nell’ambito del ‘processo Open’”, frutto di “un’inchiesta nata da un pregiudizio ideologico” e da “scandalosi sequestri show”. Ma solo per precisare che “il Riformista non seguirà questa udienza preliminare”, nata peraltro da “una indagine assurda”. Infatti “questo giornale non è il luogo della mia difesa. Mi difendo da solo”: sul giornale che non è il luogo della sua difesa.
“Il Riformista parlerà invece degli altri errori giudiziari, quelli che riguardano cittadini comuni”, tipo lui che, “citando lo straordinario discorso di Enzo Tortora, so di essere innocente e spero che lo siano anche i magistrati che mi indagano ingiustamente”. Ma, sia chiaro, “questo giornale non può servire per regolare i miei conti”. Dunque nessuno, sul Riformista, si azzardi a parlare di lui, a parte lui, che si limita a precisare di aver “denunciato i magistrati che ritenevo responsabili”. Silenzio stampa assoluto anche sui suoi libri: sì, è vero, il suo libro “Il Mostro è stato un best seller”, ma non sta certo a lui dirlo, tantomeno sul suo giornale. Quindi, ricapitolando: a parte l’editoriale dell’imputato, “questo giornale non si occupa del processo Open perché parla di tutto il resto”. Un esempio a caso di tutto il resto: “le vergognose indagini fiorentine” sul caso Open, che “sarà ricordato come uno dei tanti flop”, anzi “più grave degli altri” perché l’imputato è il direttore editoriale.
Però ora basta parlare di Open. Sennò qualcuno penserà che il Riformista si occupi di Open, che il direttore editoriale sia imputato e che non l’abbia presa proprio benissimo.
FQ 13 maggio
giovedì 20 aprile 2023
Armarsi un po’. - Marco Travaglio
Noi simpatizzanti di Elly Schlein abbiamo ascoltato con religiosa attenzione la sua prima conferenza stampa. Finora non avevamo colto la differenza fra il suo Pd, quello di Letta tracollato alle elezioni e quello che avrebbe messo su Bonaccini. Ma non siamo siamo rimasti delusi. Schlein è favorevole al Pnrr: “Non possiamo mancare l’appuntamento, tifiamo per l’Italia”. Parole sante. È antifascista e giudica il 25 Aprile “una “celebrazione importante e sentita”. Un libro stampato. Invece è contraria al dl Cutro, “peggio dei decreti Salvini”. Perbacco. E la sanità, come la vuole? “Pubblica” (infatti l’Emilia-Romagna da lei viceamministrata fino all’altroieri foraggia i privati). La “guerra ai poveri” del governo contro il Rdc è deplorevole: “uno spezzatino”. Brutta anche “la precarietà”. E l’utero in affitto? “Personalmente sono favorevole, ma non l’abbiamo inserito nella mozione perché c’è una piena disponibilità al confronto con tutti i femminismi e tutte le associazioni che vogliono confrontarsi”. Con quelle che non vogliono, niente confronto.
Elly è anche favorevole, nell’ordine, a: “giustizia sociale, salario minimo, riscatto della dignità del lavoro, battaglie legate all’emergenza climatica”. A proposito: chi attendeva una parola chiara sull’inceneritore di Roma, specie ora che la giunta Pd di Livorno lo chiude perché ciuccia troppa acqua, è stato soddisfatto: “Siccome esistono sensibilità diverse nel partito, mi impegno a promuovere un confronto” (sempre con chi vuole confrontarsi). Sì, ma qual è la sua sensibilità non di passante, ma di segretaria del Pd? “Ereditiamo scelte già fatte e non è sul terreno delle scelte già fatte che si misura come noi proviamo a costruire ciò che c’è nella piattaforma congressuale”. E lei come giudica le scelte già fatte, visto che può disfarle votando gli ordini del giorno di M5S e Avs? “Non li ho visti, ma immagino che voteremo contro”. Non li ha visti, ma immagina. E le armi per l’escalation in Ucraina? Dài che qui arriva una bella svolta rispetto alla linea Letta-Bonaccini: “Abbiamo votato (il decreto Meloni, ndr) confermando il supporto al popolo ucraino. L’ho confermato ieri all’ambasciatore. Nel nostro gruppo c’è chi ha votato diversamente, ma non ho visto cambiamenti”. Neppure noi, ma è solo un’impressione. Invece sul riarmo al 2% del Pil è “molto perplessa”: gliele canta chiare. Poi sfodera tutto il suo empito ambientalista con una difesa appassionata di mamma orsa: “Saranno le autorità preposte a decidere cosa fare. Sono molto attenta a capire il perché della sentenza del Tar”. E qui il nostro cuore sussulta e si surriscalda come non accadeva dall’ultima tribuna politica di Forlani: lo spericolato uno-due fra “autorità preposte” e “Tar” è da pelle d’oca.
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