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lunedì 27 ottobre 2025

Il Palazzo di Re Ardashir I, Iran.

 

Il Palazzo di Re Ardashir I, situato nei pressi dell'antica città di Gor (l'odierna Firuzabad) in Iran, è una delle prime e più notevoli realizzazioni architettoniche dell'Impero Sasanide.

Costruito intorno al 224 d.C., poco dopo che Ardashir I rovesciò i Parti e fondò la dinastia Sasanide, il palazzo simboleggiava l'alba di una nuova potenza imperiale persiana.

Costruito con massicce mura in pietra e gesso, il palazzo fu progettato per stupire con le sue grandi dimensioni, le cupole monumentali e l'uso innovativo degli spazi a volta.

La sua caratteristica più sorprendente è la grande sala delle udienze sormontata da un'ampia cupola in mattoni, uno dei primi esempi di costruzione di cupole su larga scala nell'architettura iraniana.

Il design dell'edificio riflette una miscela di tradizioni partiche e nuovi principi architettonici sasanidi che avrebbero influenzato l'architettura persiana e islamica per secoli.

Circondato da giardini e alimentato da un sofisticato sistema idrico proveniente da una vicina sorgente, il palazzo era sia una residenza reale che un complesso cerimoniale.

Ardashir I utilizzò questo sito non solo come sua residenza, ma anche come affermazione politica e religiosa, sottolineando il suo diritto divino a governare come "Re dei Re".

La vicinanza del palazzo alla vicina città circolare di Gor dimostra l'enfasi sasanide sulla pianificazione urbana, sul simbolismo cosmico e sul potere reale.

Nonostante secoli di erosione e danni da terremoto, le imponenti cupole e le spesse mura della struttura evocano ancora la grandiosità dell'antica architettura sasanide.

Oggi, il Palazzo di Ardashir I è Patrimonio dell'Umanità UNESCO, a testimonianza dell'ingegno, dell'ambizione e della duratura eredità di uno dei più grandi imperi antichi dell'Iran.

https://www.facebook.com/photo/?fbid=122243727146083848&set=gm.1951867342338619&idorvanity=1355459141979445

giovedì 26 giugno 2025

Sul nucleare iraniano sterminati branchi di castronerie. - di Massimo Zucchetti

 Insegno al MIT un corso dal titolo: “Protect yourself at all times. Nuclear proliferation and control strategies through technology“.

Nonostante quello che mi hanno fatto, l’anno prossimo lo terrò anche al Politecnico di Torino, in un corso di dottorato.
La prima frase del titolo è quello che dicono gli arbitri ai due pugili prima dell’incontro.
Succede che il sottoscritto sia il maggior esperto italiano di disarmo nucleare. E’ un fatto, non una vanteria. C’è una classifichina internazionale piena di stranieri, perché in Italia – essendo un paese di servi asservito agli USA – pochi *tecnologi* se ne occupano. Sono, bontà loro, il primo italiano in codesto elenco, se si escludono colleghi che lavorano per la IAEA, ma quando sei lì rinunci naturalmente alla tua “nazionalità”.
Ho partecipato ai negoziati per l’accordo JPCOA con l’Iran nel 2015.
Leggo in questi giorni – da buoni e cattivi – castronerie a branchi. Sterminati branchi di castronerie.
Proviamo a smentirle, non si sa mai che uno su un milione capisca in quale oceano di bullshit lo stanno affogando.
1) L’Iran NON ha la bomba atomica. Non ci è neanche vicino, ad averla.
2) La IAEA ha ultimamente intensificato la frequenza delle sue ispezioni, dati i timori USA sulla non-adempienza dell’Iran ad alcune regolette, soprattutto sull’arricchimento dell’uranio. USA e Iran stavano facendo colloqui bilaterali, Trump al solito giocava sporco, mettendo avanti dei proclami ideologici del direttore della IAEA che purtroppo non è un El Baradei, ma un amico del “carota”. Gli Iraniani facevano notare che nei rapporti ufficiali degli ispettori IAEA non c’erano dati che giustificassero tutto il cancan di Trump, che però quando va in fissa, difficile farlo ragionare. Ma pian piano si sarebbe arrivati a un accordo.
3) La IAEA è fatta apposta per quei controlli: dato che abbiamo “convinto” gli iraniani a firmare il Protocollo Aggiuntivo del TNP, ha potere di intromissione totale nel nucleare iraniano: ispezioni a sorpresa, controlli distruttivi, etc. sappiamo davvero tutto, anche quante volte vanno al bagno.
4) In 80 anni, la tecnologia nucleare bellica ha fatto molti passi avanti, bimbi belli, non si parla più di “bombe atomiche” come ai tempi di Oppenheimer, ma di ordigni come minimo a tre stadi fusione-fissione-fusione termonucleare. La “bomba atomica” vecchio stile è solo più un innesco per le moderne bombe. E per queste, NON SERVE una bomba all’Uranio, ma al Plutonio weapons-grade a implosione: parlando come al tempo dei nonni, qualcosa di simile al Fat Man caduto su Nagasaki.
5) Quindi, tutte queste beghe sull’arricchimento dell’uranio sono senza senso, oggi la strada per dotarsi di un’arma termonucleare non passa più attraverso l’Uranio arricchito, ma attraverso il Plutonio: ln Iran in questo momento non c’è un grammo di Plutonio weapons-grade. I controlli sono così stretti che li teniamo letteralmente per le palle. Certamente, uno può in teoria pensare ancora a fabbricare una bomba all’uranio arricchito al 90% come Little Boy: è un vicolo cieco e da 70 anni non le fa più nessuno, però è sempre una atomica. L’Iran è lontanissimo da questo. Piccolo partitolare: 90% è l’arricchimento richiesto, la disputa USA-Iran riguardava se loro avessero superato il limite imposto dal JPCOA, intorno al 3,5%. Si noti che il JPCOA del 2015, per il quale si son sudate sette camicie, è stato denunciato proprio dagli USA. I quali per metterla in caciara hanno addirittura chiesto che l’Iran NON arricchisse più l’Uranio. Al che gli iraniani han chiesto: e i nostri reattori con cosa li facciamo funzionare? A brillantina?
6) Israele, che di punto in bianco si sostituisce alla IAEA e al TNP, al diritto internazionale a suon di bombe, sa bene queste cose. E comunque da che pulpito: Israele non ha mai sottoscritto il TNP (gli altri stati-canaglia come loro si contano sulle dita di una mano) perché “non vuole controlli” per “motivi di sicurezza“. Ed ha circa 150 ordigni termonucleari “mai dichiarati” e pronti all’uso.
7) La Russia, la Cina, la DPRK non aiuteranno mai l’Iran fornendo loro assistenza per sviluppare atomiche o addirittura dandogliele “chiavi in mano”; verrebbero beccate ALL’ISTANTE e sarebbero guai serissimi.
8 ) Anche se le installazioni nucleari iraniane sono state bombardate, non si tratta di esplosioni atomiche, ma di contaminazioni radioattive localizzate che sono davvero un piccolo problema rispetto a questo enorme casino.
Mi fermo qui.
Qualche volta sogno di aprire la TV e ascoltare un giornalista o un politico fare su questi argomenti un discorso sensato e privo di minchiate da ignoranti.
Esempio *per assurdo* di discorso “sionista”: “beh Israele vuole l’egemonia nell’area, è una potenza nucleare bellica, non tollera l’Iran, e ha deciso – vista l’impunità di cui gode, specie ultimamente – di infliggergli un’umiliazione cosmica, colpirlo nel loro punto di orgoglio, il loro programma nucleare. Che non è un pericolo: ma è dove abbiamo potuto dar loro una bella ridimensionata. Questo può portare all’escalation e alla guerra? Eccoci, siamo qua pronti. Siete solo chiacchiere e distintivo: chiunque ci dà un minimo fastidio, lo attacchiamo e lo facciamo a pezzi“.
Ecco. Nessun “erano a due settimane dall’aver la bomba“, “ci sentivamo minacciati“, “bombardiamo per la liberazione delle donne“…
Basta castronerie!
* docente di Radiation Protection, Tecnologie Nucleari, Storia dell’energia, Centrali nucleari al Politecnico di Torino, più volte componente delle missioni Onu di verifica del rispetto dei trattati di non proliferazione nucleare, indicato nella cinquina finale dei candidati al Premio Nobel per la Fisica nel 2015.

martedì 24 giugno 2025

Perché gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iran?

 

23 Giu , 2025| | 2025 | Visioni

Alla fine, è accaduto. Il solstizio d’estate di quest’anno ha segnato non soltanto un passaggio stagionale, ma l’inizio di una nuova e drammatica stagione bellica.

Alle 2:10 iraniane della notte tra il 21 e il 22 giugno, dopo nove giorni di continui bombardamenti israeliani, sono intervenuti i velivoli bombardieri B-2 americani che, trovandosi la strada del cielo completamente spianata, hanno agito in profondità nel territorio nemico e sganciato le loro bombe sui siti nucleari di Fordow e Natanz. Contemporaneamente i sottomarini nucleari della U.S. Navy posizionati nel Mar Arabico colpivano con una ventina di missili da crociera Tomahawk il sito di Isfahan, nel quale è presente l’impianto in cui l’uranio naturale viene processato per poi essere trasferito nelle centrifughe di Natanz e Fordow.

I B-2 hanno, invece, attaccato Fordow e Natanz con le ormai famigerate bunker buster bombs, sganciandone un totale di 14, in quello che è il più importante raid aereo mai svolto con questo tipo di armamento.

Questa particolare e potente bomba che può essere trasportata e sganciata solo dai B-2 statunitensi, ha capacità di distruzione nel sottosuolo ed è, infatti, stata impiegata sui siti di Fordow, costruito all’interno di una montagna una novantina di metri sottoterra, e di Natanz, costruito parte in superfice e parte sotto.

Se una valutazione più precisa dei danni effettivi può essere fatta soltanto con il passare delle ore, le dichiarazioni iraniane e americane tendono a contraddirsi. Secondo Donald Trump l’attacco avrebbe completamente distrutto le centrali nucleari iraniane; mentre secondo fonti iraniane non ci sarebbe stata nessuna fuoriuscita di radiazioni, come per il momento ha confermato anche l’AIEA, ma ci sarebbero alcuni feriti e nessuna vittima. Il numero dei feriti e delle loro condizioni non è stato invece divulgato.

Apparentemente ad avere subito i danni maggiori sembra essere stata la centrale di Natanz, mentre la posizione di Fordow è più complicata da valutare, anche se membri delle istituzioni iraniane hanno dichiarato che tutto il materiale pericoloso era stato preventivamente evacuato e che la contraerea che si è efficacemente attivata ha evitato danni importanti a tutto l’impianto.

Ormai sembra quasi scontato dirlo, ma è sempre bene farlo, che questi attacchi americani, come i precedenti israeliani, sono stati compiuti in palese e aperta violazione del diritto internazionale. Nessuna risoluzione delle Nazioni Unite ha, infatti, autorizzato qualsivoglia operazione militare contro l’Iran.

È importante dirlo perché troppo spesso il diritto internazionale viene evocato a intermittenza, piegato alle necessità politiche contingenti. E gli attori che più frequentemente si ergono a difensori dell’ordine legale internazionale, come i paesi europei e l’Unione Europea, oggi o tacciono o sostengono apertamente questa violazione, così come hanno taciuto e sostenuto le continue violazioni israeliane prima in Palestina, Libano, Siria, Yemen e, infine, in Iran. E ciò avviene senza nessun tipo di remora, dato che lo stesso cancelliere tedesco Merz ha esplicitamente ringraziato Israele poiché “fa il lavoro sporco per noi”.

È evidente che dopo ciò, qualsivoglia argomentazione che includa la violazione del diritto internazionale, anche presunta, e che verrà nuovamente utilizzata per giustificare future aggressioni, condanne o sanzioni contro Stati considerati ostili all’Occidente, non potrà vantare alcuna legittimità.

Tuttavia, è importante cercare di capire cosa abbia spinto gli Stati Uniti a bombardare direttamente l’Iran, entrando con tutti e due i piedi nella guerra di Israele ed esponendosi ad un conflitto di proporzioni potenzialmente disastrose.

La bomba nucleare iraniana: il pretesto

Ogni guerra richiede il sostegno dell’opinione pubblica, e tale consenso è più facilmente ottenibile quando si fornisce una motivazione apparentemente razionale: una minaccia concreta che possa mettere in pericolo la sicurezza stessa delle popolazioni dei Paesi coinvolti. Serve, in altre parole, una giustificazione.
Il pretesto e la conseguente giustificazione di questo conflitto contro l’Iran è la minaccia nucleare. Secondo la narrazione israeliana e conseguentemente americana, l’Iran non può e non deve dotarsi dell’arma atomica. Questa linea è ovviamente condivisa anche dagli altri leader occidentali. D’altronde, cosa riesce a mobilitare l’opinione pubblica meglio del timore di una minaccia nucleare imminente?

Eppure, l’Iran non possiede armi nucleari, né risulta fosse prossimo a svilupparle. Tale posizione è stata esplicitata anche da Tulsi Gabbard, attualmente a capo dei servizi segreti statunitensi, durante un’audizione al Congresso tenutasi lo scorso marzo. Solo in seguito, nei giorni recenti, ha parzialmente ritrattato, affermando che “l’Iran potrebbe essere in grado di realizzarla”.

Al di là delle ambiguità retoriche e delle contraddizioni interne a queste dichiarazioni, vi sono alcuni elementi tecnici e politici che meritano una riflessione approfondita.

Anzitutto, benché raramente venga sottolineato, il programma nucleare iraniano è ufficialmente destinato alla produzione di energia a uso civile. Inoltre, il Paese non dispone delle risorse e delle tecnologie necessarie per sviluppare un’arma nucleare moderna. Le bombe nucleari moderne (specialmente le termonucleari a fusione) usano tipicamente plutonio-239 weapons-grade come materiale fissile o una combinazione di uranio arricchito e plutonio, risorsa, quest’ultima, che l’Iran appunto non possiede, come non possiede alcun reattore utilizzabile a questo scopo. E questo è un dato confermato da anni di monitoraggio da parte di enti internazionali.

Diverso, ma comunque distante da una minaccia concreta, è il discorso dell’atomica ad uranio arricchito al 90%, una bomba equiparabile a quella dell’Enola Gay, considerata oggi un’arma obsoleta e comunque complessa da mettere a punto, e infatti ciò richiederebbe parecchio tempo, mentre da più di 30 anni Netanyahu avverte il mondo che l’Iran sarebbe proprio a un passo dal costruirla.

Ma per realizzare un’atomica serve anche altro: un sistema di esplosione controllata estremamente sofisticato, che l’Iran non pare avere; e il vettore, ovvero un missile su cui montare la bomba che sia in grado di bucare le difese aeree nemiche.

In ogni caso, il pretesto bellico è stato accuratamente costruito.

Il giorno prima dell’inizio degli attacchi israeliani, l’AIEA – Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (in inglese International Atomic Energy Agency), un’organizzazione intergovernativa che promuove l’uso pacifico dell’energia nucleare e ne impedisce la proliferazione per scopi militari e che controlla che il programma nucleare iraniano rispetti gli accordi sottoscritti – ha approvato una relazione di dura condanna nei confronti dell’Iran, accusandolo di aver aumentato l’arricchimento dell’uranio fino al 60% e di aver incrementato in modo significativo la quantità di materiale stoccato.

La relazione è stata votata con una maggioranza di 19 favorevoli, ai quali si sono opposti 3 contrari (Russia, Cina, Burkina Faso) e ben 12 astenuti, mentre 2 paesi non hanno partecipato al voto, secondo la stampa.

Allo stesso tempo è fondamentale tenere presente gli stati promotori della relazione: Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania.

Non sorprende, dunque, che il giorno seguente alla pubblicazione del rapporto, Israele abbia dato il via agli attacchi contro l’Iran, con l’obiettivo dichiarato di smantellarne il programma nucleare e, al contempo, colpire in modo mirato infrastrutture militari strategiche. Tel Aviv ha inoltre rivendicato con fierezza l’eliminazione di diversi scienziati iraniani coinvolti nel programma nucleare, cioè civili, uccisi deliberatamente. Un’azione, come ampiamente e tristemente noto, non certo inedita nella politica militare israeliana.

In sostanza, la minaccia rappresentata da una bomba che non esiste ha innescato uno dei conflitti potenzialmente più pericolosi degli ultimi decenni. E benché, la stessa AIEA abbia detto per bocca del suo Segretario Generale che l’Agenzia ha la capacità di monitorare che l’Iran non arrivi mai all’arma atomica, ciò non è bastato per evitare le ostilità aperte.

È possibile, ma non definitivamente accertato, che l’Iran abbia deciso di arricchire dell’uranio (ma sicuramente non fino al livello necessario per ottenere la bomba), probabilmente per rafforzare la propria posizione negoziale nei colloqui con gli Stati Uniti e più difficilmente per arrivare a costruire un ordigno, ma il sospetto è sufficiente a scatenare una guerra? Sì, se non è la reale motivazione dietro ad essa.

Il ruolo di Israele

Per comprendere le motivazioni che hanno condotto gli Stati Uniti ad attaccare direttamente l’Iran, è necessario innanzitutto interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto Israele a dare il via alle ostilità.

La domanda è complessa e la risposta ugualmente necessita di tenere insieme diversi fattori.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu attraversava, nei mesi precedenti l’attacco, un periodo di crescente isolamento diplomatico. Le cancellerie europee avevano iniziato improvvisamente ad accorgersi che a Gaza stava succedendo qualcosa e avevano iniziato a chiedere ad Israele di morigerarsi, anche se nessun leader europeo di governo, o quasi, ha parlato espressamente di genocidio.

Le pressioni internazionali cominciavano a farsi pesanti per Israele e la sua reputazione globale ha subito negli ultimi mesi un repentino e drastico calo. D’altronde non poteva essere diversamente con la trasmissione in diretta globale degli attacchi missilistici, dei bombardamenti e dell’invasione via terra di Gaza che non ha risparmiato i civili, poco importa che fossero uomini, donne, anziani, malati o bambini.

In questo contesto, a Netanyahu serviva un’operazione che potesse avere un duplice scopo comunicativo: a) ritornare tra le grazie degli alleati; b) togliere l’attenzione da Gaza per poter continuare l’operazione militare contro i civili palestinesi senza interferenze esterne e mascherare le difficoltà e i limiti di un conflitto ancora lontano dall’essere risolto.

L’assist (volontario? È naturale chiederselo) fornito dalla relazione presentata all’AIEA da Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito ha dato vita all’attacco cominciato la notte tra il 12 e 13 giugno che ha effettivamente raggiunto entrambi gli obiettivi.

Il bisogno di una svolta dal punto di vista dell’immagine e delle pressioni internazionali si è, però, coniugato anche con la strategia di potenza.

Colpire l’Iran significa colpire il pesce grosso nel Medio Oriente, significa dare una spallata agli equilibri egemonici nella regione e assumere influenza maggiore. Dopo aver completamente decapitato la macchina paramilitare di Hezbollah e di Hamas e aver contribuito in maniera determinante al progressivo e definitivo logoramento del regime di Bashar al-Assad in Siria, Netanyahu, che per rimanere a galla sembra necessitare della guerra perpetua, ha deciso di puntare Teheran per tentare il colpo che possa chiudere la partita con i nemici storici dello Stato d’Israele. Un tentativo, appunto, perché il rischio, senz’altro accuratamente calcolato, è quello di un’ostilità lunga.

La capacità di Israele di colpire nel cuore dello stato iraniano è stata ampiamente certificata, non soltanto in questi giorni (basti pensare all’uccisione dell’ex presidente iraniano Raisi). Il livello di infiltrazione dei servizi israeliani all’interno anche delle stesse forze armate iraniane è profondo. Israele ha, infatti, subito colpito con facilità diversi obiettivi militari, pur non eliminando completamente la capacità operativa dell’Iran. Ha colpito in superficie anche i siti nucleari, però senza arrecare eccessivi danni.

L’obiettivo più probabile, in questo scenario, è la demilitarizzazione dell’Iran, perché uno Stato che non è capace di proteggere i suoi cittadini è uno Stato che può essere spinto verso un cambiamento di regime dall’interno. Una prospettiva, sicuramente presa in considerazione da Israele, che appare favorita dal costante lavoro di intelligence svolto dai servizi americani e israeliani negli ultimi anni al fine di fomentare proprio un cambio di regime. Tuttavia, i processi politici non sono equazioni matematiche e spesso non seguono logiche lineari: una popolazione sottoposta a bombardamenti stranieri può, al contrario, ritrovarsi compatta attorno alla propria leadership, anche in presenza di disaccordi politici pregressi.

L’incapacità di Israele di riuscire ad arrivare all’obiettivo pubblicamente dichiarato, invece, ovvero annientare il programma nucleare iraniano è, in definitiva, il motivo principale che ha visto entrare in questa guerra gli Stati Uniti. Sarà da valutare successivamente se l’entrata in guerra si limiterà a questa singola azione, come ribadito da più parti dell’amministrazione americana, o avrà un suo seguito anche in base alle eventuali risposte iraniane e internazionali.

Malgrado le relazioni tra Netanyahu e Trump non siano esattamente idilliache, il rapporto tra Stati Uniti e Israele trascende la politica contingente, ma è strutturalmente stretto, fraterno. Per gli Stati Uniti non è ammissibile in alcun modo che Israele venga visto fallire dal mondo intero, inoltre le pressioni interne ed esterne su Washington per non lasciare solo lo Stato ebraico hanno fatto il resto, insieme alla necessità americana di riportare ai fasti la propria immagine di superpotenza dopo l’impotenza percepita in altri scenari, in particolare proprio mediorientali.

Il calcolo geopolitico

L’egemonia e le sfere d’influenza giocano un ruolo fondamentale nel quadro della geopolitica.

Se da una parte Donald Trump è probabile che non sia entusiasta di impantanare nuovamente gli Stati Uniti in una guerra in Medio Oriente, pur a suon di missili piuttosto che “stivali sul terreno”, è sempre vero che dalla contingenza l’obiettivo è di strappare il miglior risultato possibile, e anche in Medio Oriente si gioca la partita dell’egemonia globale e della sfida americana al multipolarismo con lo scopo di rimanere leader del mondo.

Trump preferirebbe concentrare le sue forze nella sfida ben più complessa dell’Indo-Pacifico, nel confronto con la Cina, e in questo senso va anche il progressivo, seppur altalenante, spostamento e ritiro dei contingenti americani anche dai teatri come il Medio Oriente. Ritiro che diventa, ovviamente, impossibile in caso di guerra e piani che quindi slittano nel tempo. In questo senso, va letta la fretta nelle brevissime dichiarazioni del Presidente americano fatte dopo l’attacco, dove ha invitato l’Iran a fare la pace, ribadendo che l’attacco serviva a distruggere il programma nucleare iraniano e non a scatenare una guerra più ampia. Certo, affermazioni singolari, addobbate di contraddizioni e pure di riferimenti evocativi agli attacchi militari, quasi come se si trattasse di un film di Hollywood, ma che rendono l’idea dei piani nella testa dell’attuale Presidente. La guerra all’Iran non sembra tanto essere una guerra di Trump, ma una guerra americana con volontà bipartisan, al quale nessun inquilino della Casa Bianca si sarebbe potuto sottrarre. Da non dimenticare che Kamala Harris in campagna elettorale disse esplicitamente che “l’Iran è il più grande avversario degli Stati Uniti”. La differenza, piuttosto, la possono fare le tempistiche con le quali si sceglie di impegnarsi nel conflitto e la qualità degli attacchi.

Valutando ciò, si potrebbe pensare che gli attacchi americani della notte scorsa possano essere stati un modo per accontentare Netanyahu e per cercare di chiudere subito la questione, facendo credere di aver raggiunto l’obiettivo, con l’Iran che dovrebbe soltanto fare “la parte del morto” per reggere il gioco e cessare, almeno per ora, le ostilità.

Certo, potrebbe essere un’opzione, ma allo stesso tempo potrebbero essere stati anche un modo per testare la volontà iraniana di difendersi e di eventuali altri attori internazionali di alzare la voce. Non è oltretutto detto che ciò fermi Israele, e in questo caso Trump sarà pronto ad andare fino in fondo e far cadere un altro alleato di Russia e Cina cercando, in qualche modo, di strappare alla loro influenza un altro pezzo importante di Medio Oriente, senza rischiare di subire reazioni.

Possibili conseguenze

È improbabile che la Federazione Russa o la Repubblica Popolare Cinese rispondano con un’azione militare diretta in difesa dell’Iran, sebbene Teheran faccia formalmente parte dei BRICS+. Questi ultimi appaiono più come un’alleanza di natura tattica ed economica che non come una coalizione strategica dotata di coesione militare, politica e ideologica.

Seppure i rapporti tra Teheran e Mosca siano solidi e la Russia abbia recentemente perso un alleato rilevante nello scacchiere mediorientale e non può permettersi di vedere ulteriormente compromessa la propria rete d’influenza nella regione, l’impegno militare sul fronte ucraino, che continua a logorare risorse, rende poco plausibile un coinvolgimento diretto in un secondo teatro di guerra ad alta intensità. Analogamente, la Cina sembra non avere alcuna intenzione di esporre la sua forza militare, malgrado l’Iran rappresenti un partner strategico e abbia contribuito lei stessa allo sviluppo di parte del programma nucleare iraniano fornendo tecnologie.

Ciò non toglie il fatto che saranno svolti altri tipi di tentativi, potenzialmente anche decisi, da parte delle due potenze per evitare un’ulteriore escalation. Tanto che nella mattinata odierna è previsto un incontro a Mosca tra il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e il Presidente russo Putin, dal quale difficilmente gli iraniani torneranno senza aver ottenuto una qualche forma di supporto.

Dal canto suo l’Iran, che ha già risposto colpendo pesantemente Israele, come già minacciato, potrebbe decidere di reagire chiudendo lo stretto di Hormuz mandando completamente in crisi l’economia europea e globale. Da quel corridoio marittimo fondamentale tra Iran e Oman, infatti, passa circa 1/5 del commercio globale di idrocarburi. Certo, questa decisione porterebbe a un importante aumento della tensione e all’estensione quasi certa della guerra, che in questo caso non si fermerebbe senz’altro. D’altronde, però, questa arma geografica è a disposizione di Teheran e se ritenesse gli attacchi di Israele e degli Stati Uniti una minaccia esistenziale, avrebbe tutta la facoltà di disporne.
Allo stesso tempo, la flotta statunitense al largo del Bahrein potrebbe diventare un obiettivo di Teheran, qualora decidesse di replicare con tutte le sue forze, così come le numerose basi americane dislocate nei vari paesi del Medio Oriente.

Se è difficile prevedere ciò che succederà perché dipenderà da numerosi fattori e dalle mosse delle prossime ore, quello che appare ormai certo è che le azioni di Israele e Stati Uniti, con il placido assenso dell’UE, stanno alimentando non poco la fiamma del disordine globale, con conseguenze che rischiano di essere a dir poco incendiarie.

Perché gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iran?
Cartina rappresentante lo Stretto di Hormuz – fonte TRT World
https://www.lafionda.org/2025/06/23/perche-gli-stati-uniti-hanno-attaccato-liran/

FORZA AGGRESSORE - Marco Tavaglio.

 

Fanno tenerezza le frasi roboanti dei leader Nato e Ue del 24.2.2022 sull’aggressione della Russia contro l’Ucraina, confrontate ai loro pigolii e balbettii di oggi sull’aggressione di Israele&Usa contro l’Iran.
E il fatto che l’intervento russo fosse stato provocato per 15 anni e che le armi atomiche da piazzare sotto le finestre di Putin la Nato le avesse davvero, mentre l’Iran non le ha per minacciare Israele (che le ha da quasi mezzo secolo), aggiunge un tocco di surrealismo
ai famosi “valori” dell’Occidente.
Ecco il segretario Nato Jens Stoltenberg il 24.2.22: “Condanno fermamente l’attacco sconsiderato della Russia all’Ucraina. È una grave violazione del diritto internazionale e una seria minaccia alla sicurezza euro-atlantica. Invito la Russia a cessare immediatamente la sua azione militare e a rispettare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Siamo col popolo ucraino in questo momento terribile”.
Ed ecco il segretario Nato Mark Rutte ieri: “Non sono d’accordo con chi ritiene l’attacco degli Usa in Iran in contrasto col diritto internazionale. La mia principale paura è che Teheran possa avere l’atomica”.
Poi c’è il mitico cancelliere Merz: “Non c’è alcuna ragione di criticare gli attacchi americani all’Iran”, sempre nell’ambito del
“lavoro sporco per tutti noi”.
Intanto la Von der Leyen chiede non agli aggressori Israele e Usa, ma all’Iran aggredito, di “fermarsi” e “impegnarsi in una soluzione diplomatica credibile” perché “il tavolo dei negoziati è l’unico luogo in cui porre fine a questa crisi”:
il tavolo dove gli iraniani erano regolarmente seduti, in Oman e a Ginevra, quando prima Netanyahu e poi Trump l’hanno fatto saltare a suon di bombe.
Tutti gli altri acconsentono tacendo, ma ripetendo che “l’Iran non deve avere l’atomica”, a partire da Macron e Starmer che ce l’hanno.
Nessuno condanna la violazione del diritto internazionale e/o propone sanzioni (l’unico sanzionato è l’Iran, dal 1979), né tantomeno invii di armi e aiuti a Teheran. Il mantra “aggressore e aggredito”, ripetuto allo sfinimento per Russia e Ucraina, è evaporato.
I nostri “valori” sono quelli del Marchese del Grillo: io so’ io e voi non siete un cazzo; noi e i nostri amici possiamo, tutti gli altri no.
Una menzione speciale per i finti anti-trumpiani che fino all’altroieri, quando Trump invocava e organizzava negoziati su Ucraina e Medio Oriente, lo lapidavano come traditore dell’Occidente: ora che bombarda i negoziati, sono tutti più trumpiani di lui.
Ci ordina di buttare il 5% del Pil in armi? Sì, buana.
Poi tutti a menare Conte e le piazze “pacifinte” che “vogliono farci uscire dalla Nato”.
Poi si scopre che basta dire no per ottenere flessibilità, come la Spagna di Sánchez, che vuol fermarsi al 2,1% e resta nella Nato.
Vergogniamoci per loro.

sabato 21 giugno 2025

Peggio per noi - Di Marco Travaglio.

Se Trump interverrà nella guerra privata di Netanyahu contro l’Iran senza ragioni né sbocchi, sarà peggio per lui e per gli americani, ma soprattutto per noi europei.

Peggio per lui perché l’ansia di apparire protagonista dappertutto e purchessia, anche in un conflitto che non voleva e tentava di evitare con un negoziato intelligente e promettente troppo presto abbandonato, lo trasformerà nell’attendente di Bibi, che lo trascinerà in una lunga avventura di cui nessuno conosce l’esito finale, ma tutti sanno che sarà disastroso.

Peggio per gli americani perché ripiomberanno nell’incubo delle guerre neocon per esportare democrazia, che hanno esportato morte, instabilità e terrorismo e importato migliaia di bare di soldati morti per nulla. E a ripiombarveli sarà Trump, quello del Maga e dell’America First, che appena un mese fa pronunciava a Riad il suo miglior discorso di sempre dinanzi ai satrapi del Golfo: “Gli interventisti occidentali vi hanno impartito lezioni su come vivere o come governare i vostri affari. Ma le scintillanti meraviglie di Riad e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti ‘costruttori di nazioni’, dai ‘neoconservatori’ o dalle Ong ‘progressiste’, che hanno speso miliardi di dollari per non sviluppare Kabul, Baghdad e tante altre città… I cosiddetti ‘costruttori di nazioni’ hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite e gli interventisti hanno ingerito in società complesse che neppure comprendevano… Troppi presidenti americani sono stati affetti dall’idea che sia nostro compito giudicare l’anima dei leader stranieri e dispensare giustizia per i loro peccati… Giudicare è compito di Dio: il mio compito è difendere l’America e promuovere gli interessi fondamentali di stabilità, prosperità e pace”. Per questo era stato rieletto: non certo per ricominciare a impicciarsi nei fatti altrui come un Clinton, un Bush jr., un Obama, un Biden o una Harris qualsiasi.

Ma, se Trump smentirà Donald, sarà soprattutto peggio per noi europei. Quando l’Iran diventerà un nuovo Vietnam / Jugoslavia / Afghanistan / Iraq / Siria / Libia / Ucraina, gli Usa fuggiranno come sempre oltre Oceano, lasciandoci le consuete e scontate ondate di profughi e di terrorismo. Il che rende ancor più tragicomica la postura dei vertici Ue e dei governi europei, che non muovono un dito per sanzionare Israele e straparlano di “autodifesa” dell’aggressore dall’aggredito. E sotto sotto pensano ciò che il più demente di tutti (ma è una bella gara), il tedesco Merz, dice in chiaro: “Netanyahu sta facendo il lavoro sporco per tutti noi”. Sono troppo impegnati a montare di vedetta a Est contro l’immaginaria invasione russa, per vedere la vera invasione in arrivo da Sud.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2025/06/19/peggio-per-noi/8031846/

martedì 13 maggio 2025

Qanat, Iran. - Nicolas Kess Jighu

 

Oltre 3.000 anni fa, nel cuore del deserto, i persiani compirono un miracolo.
In uno dei luoghi più aspri e aridi della Terra, gli antichi ingegneri persiani escogitarono una soluzione ingegnosa a un problema di vita o di morte: come portare l'acqua nel deserto. La risposta furono i qanat, uno straordinario sistema di gallerie sotterranee che sfruttava la sola gravità per trasportare l'acqua dalle lontane sorgenti montane alle città, alle fattorie e ai villaggi attraverso l'arido paesaggio. Nessuna pompa, nessun macchinario: solo ingegneria ingegnosa, strumenti semplici e determinazione.
Queste gallerie in leggera pendenza, alcune delle quali si estendevano per oltre 50 chilometri, incanalavano silenziosamente acqua dolce sotto la terra bruciata. Il risultato? Oasi verdi sbocciarono dove un tempo c'era solo sabbia sterile.
Città come Yazd, Nishapur e Gonabad crebbero attorno a queste importanti arterie sotterranee, diventando vivaci centri di commercio, cultura e vita quotidiana nell'Impero Persiano. I qanat alimentavano i giardini, irrigavano le colture, rifornivano i bagni pubblici e contribuivano persino a plasmare alcuni dei primi esempi di progettazione urbana.
Uno dei qanat più antichi ancora in funzione esiste ancora a Gonabad, in Iran. Con oltre 2.700 anni di storia, attinge acqua da un pozzo profondo 300 metri e scorre ancora oggi. Questo lo rende più antico di Roma e continua a svolgere la sua funzione.
L'UNESCO ha dichiarato i qanat iraniani Patrimonio dell'Umanità, non solo per la loro incredibile storia, ma anche come esempio senza tempo di gestione sostenibile delle risorse idriche. In un mondo che si trova ad affrontare una crescente scarsità d'acqua, questi antichi sistemi possono offrire preziosi insegnamenti per il nostro futuro. 

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martedì 5 novembre 2024

Il simbolo della libertà è lei: Ahou Daryaei, la giovane studentessa iraniana.

 

Il simbolo della libertà di pensiero, il coraggio di sfidare il potere teocratico iraniano per mettere in evidenza l'ingiustizia alla quale viene sottoposta giornalmente. 

Un esempio da imitare e fare proprio per far capire a chi non vuol capire che le differenze alle quali dobbiamo dare il giusto valore non sono quelle del colore della pelle, o della lingua che si parla, o del luogo in cui si nasce, o il sesso della persona umana, ma quelle che determinano il comportamento della persona.

Io si, sono razzista, ma solo verso chi non rispetta il prossimo comportandosi in modo ingiustificato, prevaricando o trattando male il prossimo, perché penso che tutti siamo uguali nel mondo in cui viviamo, tutti abbiamo peculiarità da manifestare, aspirazioni da concretizzare, tutti dobbiamo avere diritti dei quali avvalerci e doveri da assolvere e per farlo non è necessario avere differenze riferite a colore della pelle, lingua parlata, e tanto meno parti del corpo differenti.

Lei non è una semplice studentessa, è un GIGANTE rispetto a chi le gira intorno!

cetta. 

domenica 3 novembre 2024

Meymand, villaggio di 13mila anni patrimonio Unesco. Iran - di Davood Abbasi

 

Meymand, villaggio troglodita della regione del Kerman, nel sud-est dell’Iran, proclamato patrimonio dell’Unesco, in cui la presenza umana risale a 13mila anni fa.

Meymand culla della civiltà ariana

Qui nella provincia di Kerman, 13mila anni fa gli uomini iniziarono a vivere sulle montagne di Payè; nel 6000 a.C., alcuni dei primi gruppi di ariani che si trasferirono in Iran dall’Asia centrale, si stanziarono qui e scavarono nella roccia le loro caverne e secondo la leggenda, quando si stancavano, si facevan forza bevendo vino (Mey in persiano) e da qui il nome del villaggio, “Meymand”. Il villaggio, 3.600 anni fa, diventa un santuario zoroastriano, anche perchè le zone elevate (Meymand è a 2240 metri di altezza), erano scelte dagli zoroastriani per realizzarci i templi del fuoco. Gli zoroastriani tenevano e tengono tutt’ora nei loro templi del fuoco, un braciere acceso che viene tenuto vivo perennemente.

A Meymand scopriamo la radice antropologica di questo rito religioso. Il tempio del fuoco, dove il Mogh (il sacerdote zoroastriano, da questo nome proviene la parola mago), teneva sempre il fuoco acceso, era sinonimo di sopravvivenza per il villaggio. Nella stagione fredda, se si spegneva il fuoco in una caverna abitata, i proprietari potevano andare a prenderne un po’, persino a mani nude, dal fuoco centrale del villaggio tenuto sempre acceso. Si prendeva un po’ di cenere in mano e poi sopra si metteva un po’ di fuoco vivo e si correva nella propria caverna per non bruciarsi. Ancora oggi, il modo di dire, è rimasto nella lingua persiana; se un amico viene alla porta di casa ma non accetta di entrare, gli dici: “Perchè hai fretta? Sei venuto a portare il fuoco?”.

Il piacere di essere “cavernicoli”

Le caverne scavate nella roccia sono di due tipi; quelle fresche, utilizzate in estate, ma poi soprattutto quelle invernali, che rimangono calde. A Meymand si visita l’antico tempio del fuoco, l’edificio più antico esistente, del periodo pre-islamico. Poi vi è il fantastico hammam, dove si accendeva un fuoco sotto l’acqua del fiume, e dove si usava per l’illuminazione un lucernario con delle pietre particolari, che immagazzinano la luce di giorno e che si illuminano di notte. L’hammam veniva usato di mattina dalle donne e di notte dagli uomini. La grotta più moderna del villaggio è la moschea, scavata 200 anni fa, con un Mihrab rustico ed un tappetino particolare, messo accanto ad esso, con l’immagine di Khomeini. Nelle caverne non entrano serpenti e scorpioni poichè la cenere sparsa sulle pareti ed il tetto, allontana insetti ed animali in maniera naturale.

Nelle caverne, ancora oggi, c’è lo spazio per accendere il fuoco. Turisti, soprattutto stranieri, raggiungono il minuscolo villaggio di 12 chilometri quadrati per trascorrere una notte. Gli abitanti del posto sono tradizionalmente vegetariani, ed oggi vivono soprattutto grazie all’apicultura, la vendita di erbe medicinali e di melograni, mele, mele cotogne e fichi, che crescono divinamente ed ovunque a Meymand.

https://ilfarosulmondo.it/meymand-villaggio-13mila-anni-patrimonio-unesco/

sabato 19 ottobre 2024

Meshgin-shahr - Iran

 

Meshgin-shahr nel nord-ovest dell'Iran ospita una notevole meraviglia naturale conosciuta come Columnar Basalt. Questa formazione geologica si distingue per le sue colonne distintive, che assomigliano a strutture verticali. Il fenomeno si verifica quando il flusso di lava dalle eruzioni vulcaniche si raffredda e si contrae.
Il rapido raffreddamento della lava basaltica provoca restringimento e screpolazione, che dà origine a una rete di colonne verticali interconnesse. Queste colonne presentano tipicamente una forma esagonale, anche se le loro dimensioni e forme possono variare. Possono raggiungere altezze impressionanti, che vanno da pochi metri a decine di metri, e si possono trovare in prossimità o con qualche distanziamento tra di loro.
Il basalto colonnare si forma mentre la lava si raffredda verso l'esterno dai bordi verso il centro. Questo processo di raffreddamento provoca contrazioni e fratture lungo percorsi di minore resistenza. Di conseguenza, le colonne risultanti mostrano un modello geometrico regolare che riflette la naturale tendenza del basalto alla frattura durante il processo di raffreddamento.
Formazioni di basalto colonnar possono essere osservate in diverse parti del mondo, come la Giant's Causeway in Irlanda del Nord, la Devil's Tower negli Stati Uniti, la Fingal's Cave in Scozia e l'Organ Pipes National Park in Tasmania, Australia.

venerdì 11 ottobre 2024

La guerra in Iran, il cane e la coda. - Tommaso Merlo

 

Ormai a Biden gli raccontano le filastrocche tra un pisolino e l’altro mentre alle sue spalle si decidono i destini del mondo. Sul tavolo c’è la reazione alla sventagliata di missili iraniani che potrebbe far detonare una guerra su larga scala. Se fosse per i falchi della lobby pro Israele sgancerebbero subito l’atomica su Teheran così tagliano la testa al toro, ma a Washington c’è chi frena. Una situazione complicata perché Biden non riesce più a decidere nemmeno se andare in bagno o meno mentre la Harris è l’unica cosa che riesce a decidere. Pare che i soli adulti della situazione si trovino al Pentagono dove sono stanchi di guerre a vanvera e avvertono che prendersela con l’Iran non è uno scherzo soprattutto oggi che vola di tutto. Le vulnerabili basi americane sparse nel Golfo finirebbero nel mirino missilistico dei pasdaran in un baleno. A suggerire cautela è proprio l’esito dell’ultima sventagliata, checché ne dicano i giullari di corte, i sistemi antimissili Made in Occidente hanno intercettato qualche missile giusto per sbaglio mentre quelli atterrati han fatto danni eccome. E in cantina gli iraniani conservano suppostone ancora più deleterie. Ed è questo che conta nel mondo della guerra, avere un elmetto per ogni clava. L’Iran sembra poi fare sul serio, ne hanno abbastanza d’ingoiare rospi e quello di Nasrallah non va giù. Ma c’è oltre. Iran e Russia hanno un ottimo rapporto e la passione comune per le armi. Si scambiano i pezzi preziosi delle rispettive collezioni e Putin gli sta installando un sistema antimissile nuovo di pacca. Quanto all’annosa questione del nucleare iraniano, pare che l’Ayatollah in passato abbia espresso qualche perplessità in merito ma gli sia passata di recente. L’atomica è la clava per cui non esiste nessun elmetto. Al pericoloso Iran è sempre stata negata mentre quel mite statista di Netanyahu ne possiede un centinaio. Rinomata coerenza occidentale. Ma una guerra con l’Iran seccherebbe anche la Cina, il suo immenso motore produttivo gira soprattutto grazie al petrolio iraniano e se vengono colpiti i pozzi anche il prezzo del greggio schizzerebbe alle stelle e potrebbe causare una recessione globale. E questo in un momento già delicato. L’Occidente non accetta il sorpasso tecnologico cinese e sta ricorrendo ad una meschina guerra di dazi. Falli di frustrazione che potrebbero alimentare un conflitto commerciale. A breve si riunisce poi il Brics, per la prima volta nella storia potrebbe nascere una alternativa al dollaro, vero pilastro del decrepito impero americano. Cose grosse, l’Occidente sul viale del tramonto. E se non bastasse siamo pure a tre settimane dalle elezioni statunitensi. e una guerra con l’Iran potrebbero essere la pietra tombale per una Kamala Harris già inguaiata di suo. I sondaggi la danno incredibilmente alla pari col vecchio Trump. Annunciata come una Obama in gonnella, la Harris si è rivelata una ventriloqua dell’establishment. E non c’è di peggio coi tempi che corrono. Ha ricevuto palate di endorsement di lusso, ha tutti i media a favore, ha raccolto una valanga di soldi eppure niente, anche negli Stati Uniti i cittadini vogliono cambiamento radicale e non ipocrita perbenismo lobbistico. Per dirla all’americana, la guerra all’Iran dipenderà da chi è il cane e chi la coda. Se sono cioè gli Stati Uniti a guidare la loro politica estera oppure la lobby pro Israele. Una guerra non è negli interessi americani né occidentali e servirebbe solo a coronare i deliri sionisti di Netanyahu ma il potere ha le sue dinamiche. Nell’ultimo anno Biden non ha fatto che firmare assegni in bianco e passerà ai posteri come lo sponsor del genocidio del secolo. Uno scandalo a metà tra crisi democratica e circonvenzione d’incapace, ma davanti ad una guerra di tale entità ed impatto, gli adulti del Pentagono ma anche le rare menti libere sopravvissute in quel di Washington, potrebbero trovare un compromesso intelligente o almeno pare ci stiano provando. Del resto nel mondo della guerra contano anche le tempistiche e le conseguenze strategiche e non solo chi ha la clava più letale. Quanto al mondo della pace, rimane tutto da fare.

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giovedì 22 agosto 2024

Yakhchal o "Pozzo di ghiaccio" nel deserto. - Iran

 

Creazione del ghiaccio durante l'Impero persiano in mezzo al deserto: lo Yakhchal o "Pozzo di ghiaccio" è un metodo architettonico usato per produrre ghiaccio e conservare il cibo. I Persiani stavano già facendo tonnellate di ghiaccio e cibo congelato nel deserto 2.400 anni fa.
1- Progettazione della struttura: lo Yakchal aveva una forma a cupola con pareti spesse realizzate in mattoni e argilla. Questa costruzione ha aiutato a mantenere una temperatura fresca all'interno del caveau.
2- Raccolta dell'acqua: durante l'inverno, l'acqua veniva raccolta dai fiumi o dalla neve sciolta in montagna. Quest'acqua era diretta verso lo Yakchal attraverso i canali.
3- Processo di congelamento: l'acqua era distribuita in piccoli stagni o piscine all'interno della volta. Durante la notte e nelle ore più fredde del giorno, l'acqua si gela a causa delle basse temperature del deserto di notte.
4- Deposito del ghiaccio: una volta congelato, il ghiaccio è stato tagliato in blocchi e conservato nella parte più bassa dello Yakchal, dove la temperatura era più fredda. La forma a cupola e l'isolamento naturale delle pareti hanno aiutato a mantenere il ghiaccio congelato per molti mesi.
5- Uso successivo: durante l'estate, il ghiaccio conservato veniva usato per raffreddare le bevande, conservare il cibo o anche per scopi medici, se necessario. In breve, lo Yakchal ha sfruttato il freddo naturale delle notti nel deserto per creare e preservare il ghiaccio, utilizzando semplici ma efficaci tecniche di conservazione e isolamento termico.