Chef pentastellato...
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martedì 22 agosto 2023
venerdì 29 novembre 2019
Jon Bon Jovi ha aperto due ristoranti dove le persone bisognose possono mangiare gratis. - Emma Taggart
Molte celebrità usano il loro status e la loro ricchezza per aiutare gli altri e rendere il mondo un posto migliore, ma Jon Bon Jovi porta la generosità al livello successivo. Sebbene sia noto per la sua musica, Bon Jovi è anche appassionato di cibo e aiuta le persone bisognose. Ecco perché ha aperto i suoi due ristoranti della comunità, JBJ Soul Kitchen , dove chiunque può mangiare gratuitamente.
Il primo ristorante di Bon Jovi è stato aperto nella zona di Red Bank nel New Jersey nell'ottobre 2011, e il secondo ha aperto i battenti nel 2016 vicino a Toms River, un'area che è stata gravemente danneggiata dall'uragano Sandy nel 2012. L'impresa alimentare del cantante è una delle tante progetti gestiti da The Jon Bon Jovi Soul Foundation , un'organizzazione benefica che mira a "rompere il ciclo della fame, della povertà e dei senzatetto".
Finora, Bon Jovi e il suo team di ristoranti hanno servito oltre 100.000 pasti a clienti paganti e bisognosi. Non ci sono prezzi nel menu, ma coloro che possono permettersi un pasto sono incoraggiati a donare $ 20. Per coloro che stanno lottando finanziariamente, possono mangiare gratuitamente e sono anche incoraggiati a fare volontariato al ristorante, aiutando a servire i pasti e lavorare in cucina. Dall'apertura dei ristoranti, il 54% dei pasti è stato pagato con donazioni e il 46% è stato guadagnato attraverso il volontariato.
I tavoli arrivano al primo arrivato, al primo servito, ma quelli che di solito non possono permettersi il lusso di un pasto caldo hanno la priorità. Ogni piatto è preparato con cura utilizzando prodotti coltivati nell'orto del ristorante. I clienti possono scegliere tra una fantastica selezione di piatti deliziosi come il pollo al sesamo allo zenzero arancione, il filetto di baccalà condito con l'anima e la quinoa di verdure arrosto. Soul Kitchen dice: "Tutti sono i benvenuti al nostro tavolo dove ingredienti, dignità e rispetto di provenienza locale sono sempre presenti nel menu".
https://mymodernmet.com/bon-jovi-soul-kitchen/?fbclid=IwAR0SnLZLUwVJC5Ep7KLs5n7toq2-ZFrOWRQdQqCW0DxJaTdc0u21NtUp694
sabato 13 gennaio 2018
Cibo ed etichetta d’origine: un regolamento Ue spazza via tutti i decreti italiani. - Federico Formica
Entro l’estate verrà varata la norma che farà decadere quelle italiane sull’origine di latte, riso, pasta e pomodoro. Per la trasparenza il rischio è che si tratti di un passo indietro.
Le recenti leggi che hanno introdotto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di pasta, riso, latte, formaggi e pomodoro saranno presto carta straccia. Nel giro di pochi mesi verranno spazzate via da un regolamento europeo tutt’altro che inatteso: la Commissione avrebbe dovuto vararlo già quattro anni fa, secondo quanto previsto da regolamento 1169/2011, entrato in vigore nel dicembre 2013. I consumatori italiani potrebbero avere molto da perdere. Mentre buona parte delle imprese alimentari del nostro Paese lamenta uno spreco di denaro.
Ora i tempi sembrano maturi: la Commissione ha sottoposto il testo a una consultazione pubblica che si chiuderà il prossimo primo febbraio. Potrebbe entrare in vigore poche settimane più tardi e si applicherà dall’aprile 2019. Tutti i decreti introdotti nel 2017 dall’Italia prevedevano questa circostanza: non appena Bruxelles approverà il testo comunitario, decadranno. Quel giorno sta per arrivare.
Cosa prevede il regolamento Ue. Il tema è l’origine dell’ingrediente primario: sarà obbligatorio indicarla se diversa da quella del prodotto finito. Ad esempio: un pacco di pasta lavorata in Italia dovrà indicare anche l’origine del grano, se questo proviene dal Canada. Stessa cosa per un prosciutto fatto in Italia con cosce suine tedesche. Così per tutti gli altri alimenti. A prima vista sembra cambiare poco rispetto ai decreti voluti dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, ma a ben leggere la bozza uscita da Bruxelles c’è poco da star tranquilli.
L’obbligo, infatti, non varrà per le indicazioni geografiche protette Dop e Igp ma soprattutto non si applicherà ai marchi registrati che, a parole o con segnali grafici, indicano già di per sé la provenienza del prodotto. Una postilla che spalanca le porte a tutte quelle aziende che fanno dell’italian sounding il proprio cavallo di battaglia: basterà avere un marchio registrato con una bandiera tricolore o un richiamo al nostro Paese per essere esentati dall’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente principale, che molto spesso l’Italia non l’ha mai vista.
Questo problema di trasparenza già esiste negli altri Paesi dell’Unione, dove i consumatori fanno fatica a capire che un prodotto “simil-italiano” è in realtà fabbricato all’estero. Tra pochi mesi, però, l’italian sounding potrebbe ingannare gli stessi italiani perché nel nostro Paese le etichette faranno un passo indietro dal punto di vista della chiarezza dell’origine delle materie prime.
“In questo modo la Commissione europea tradisce non solo lo spirito del regolamento 1169 ma anche i consumatori. A servizio dei grandi gruppi industriali, anche italiani, che hanno interesse a occultare l’origine dell’ingrediente primario” spiega Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare e fondatore del sito Gift.
Restano però le tutele previste dal regolamento 1169. Tutti i marchi che evocano italianità nel nome o nella grafica, ma che italiani non sono, dovranno comunque precisare che il prodotto non è made in Italy.
Attenzione però: l’origine del prodotto indica il Paese in cui l’alimento ha subito l’ultima trasformazione sostanziale. Non c’entra nulla con l’ingrediente primario. “Se la suggestione di italianità è falsa, poiché il prodotto è realizzato altrove”, spiega ancora Dongo, “la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, dovrebbe in ogni caso riportare la dicitura ‘Made in Germany’. Ma le autorità di controllo negli altri Stati membri dolosamente omettono di sanzionare questi inganni, poiché realizzati da aziende che producono ricchezza nei loro territori”.
Ma, spiega ancora Dongo, “se la suggestione di italianità è limitata al marchio registrato, allora ecco che la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, può omettere di indicare la diversa provenienza della materia prima (ad esempio grano americano)”. Proprio in virtù del regolamento oggi in discussione.
Federalimentare difende però la norma sui marchi registrati, sostenendo che “vietare ad aziende italiane di utilizzare propri brand registrati, in alcuni casi, centinaia di anni fa contenenti i colori della bandiera italiana appare francamente ingiustificato ed inutile”. Il presidente Luigi Scordamaglia sostiene che l’esenzione sarà solo temporanea “ed è dovuta al fatto che esiste una normativa europea sul trademark”, includerli adesso avrebbe comportato un ulteriore allungamento dei tempi per avere un regolamento che “aziende e consumatori chiedono a gran voce da anni”. Insomma, nessun passo indietro secondo la federazione che rappresenta l’industria del cibo: “Per quanto poco, si avrebbe un quadro comune a livello europeo”.
Marcia indietro. Per le aziende alimentari italiane toccate dai decreti d’origine del 2017 si pone anche un problema concreto: nel giro di pochi mesi dovranno, per la seconda volta, cambiare tutte le etichette sulle centinaia di prodotti che escono dagli stabilimenti. “Le aziende più grandi hanno speso fino a 200.000 euro per modificare gli impianti e adeguarli alle nuove regole. E tra poco dovranno stamparne di nuove” dice Massimo Forino, direttore di Assolatte. Le etichette di origine per latte e formaggi hanno fatto la loro comparsa sugli scaffali nell’aprile del 2017. Potrebbero durare poco più di un anno. Riguardo alla clausola sui marchi registrati Forino è cauto: “Aspettiamo di vedere come verrà applicata la norma e se verrà modificata nel frattempo. Bisogna anche dire che al supermercato c’è talmente tanta scelta che il consumatore più esigente avrà sempre la possibilità di scegliere un prodotto 100% italiano”.
Una vita ancora più breve sarà quella dell’etichetta d’origine della pasta, che entrerà in vigore il prossimo 17 febbraio. “Abbiamo sempre detto che sarebbe stata una duplicazione inutile e costosa, tanto che Aidepi ha presentato ricorso al Tar contro il decreto voluto da Martina e Calenda, ma la sentenza non arriverà comunque prima dell’estate, costringendoci a cambiare l’etichetta per due volte in pochi mesi” dice Luigi Cristiano Laurenza, segretario pastai italiani di Aidepi.
Febbraio sarà anche il mese in cui farà il suo debutto l’etichetta d’origine del riso mentre quella del pomodoro potrebbe anche non vedere mai la luce: il decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale.
Una stoccata arriva anche da Federalimentare, che queste associazioni le rappresenta: “L'anomalia è rappresentata dai decreti nazionali e non dal fatto che essi decadranno all'entrata in vigore della proposta. Si dovrebbero garantire norme uguali per tutti, senza avvantaggiare chi non produce nel proprio territorio nazionale, come invece avviene per i decreti nazionali” dice Scordamaglia.
http://www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/diritti-consumatori/2018/01/12/news/cibo_ed_etichetta_d_origine_un_regolamento_ue_spazza_via_tutti_i_decreti_italiani-186230046/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
domenica 3 luglio 2016
Bar, ristoranti e stabilimenti balneari: è boom lavoratori in nero.
Non sono in regola la metà degli addetti, quota salita del 10% in un anno.
Bar, ristoranti e stabilimenti balneari, nelle località turistiche, puntano tutto sull'incasso estivo. A luglio e agosto si giocano il 70-80% del fatturato annuale e non possono fallire. Così, con l'alta stagione, cresce la necessità di manodopera, che arriva in molti casi a triplicarsi rispetto al resto dell'anno. Il problema è che cresce anche la quantità di lavoratori in nero: si calcola che siano in media il 50% di quelli impiegati in questo periodo e che la quota di personale non in regola sia salita almeno del 10% rispetto alla scorsa estate.
E' quanto emerge da un'indagine dell'Adnkronos che ha interpellato associazioni di categoria e rappresentanti sindacali nelle principali località turistiche italiane.
Il fenomeno è diffuso in tutta Italia ma registra punte di sommerso vicine all'80% in diverse realtà meridionali. Si segnalano, in particolare, aree di grande evasione contributiva in Campania e Calabria. In queste realtà sono comunque frequenti i controlli e le sanzioni da parte della Guardia di Finanza, così come è costante l'azione degli ispettori del ministero del Lavoro su tutto il territorio nazionale. Ma, segnalano i sindacati, non basta. Per fronteggiare veramente il sommerso, fanno notare, servirebbe una maggiore disponibilità a denunciare lo sfruttamento, sia da parte dei lavoratori sia da parte degli operatori onesti, che subiscono una concorrenza sleale.
D'altra parte, a incidere sul fenomeno, secondo quanto ritengono le associazioni di categoria, sono anche i margini di guadagno ridotti dalla crisi e il peso delle tasse che gli esercenti continuano a lamentare. Né le ultime novità normative sembrano essere risolutive. Nella quota del lavoro nero vanno considerati anche quei lavoratori che hanno solo una piccolissima parte della retribuzione che percepiscono coperta dai voucher, lo strumento introdotto dal Jobs Act per assicurare una corretta formalizzazione al lavoro occasionale. Lo schema che si ripete, segnalano i sindacati, è piuttosto semplice: con un voucher ogni tanto si pensa di rispettare le regole, quando invece l'80-90% di quanto viene percepito dal lavoratore resta sommerso.
mercoledì 11 maggio 2016
LE STAZIONI ABBANDONATE DELLA METROPOLITANA DI PARIGI DIVENTANO PISCINE, TEATRI E RISTORANTI. - Annalisa Guerisoli
I luoghi abbandonati sono sempre ricchi di fascino e di bellezza, lo sono ancora di più se questi spazi riescono ad esser recuperati e donati nuovamente alla comunità.
A Parigi è successo che il recupero e la trasformazione delle stazioni della metro abbandonate o mai utilizzate siano parte del programma di Nathalie Kosciusko-Morizet, candidato sindaco del partito politico di centrodestra dell’ex presidente Nicolas Sarkozy.
Il candidato ha commissionato allo studio OXO Associates di creare dei rendering delle stazioni riproposte come piscine, ristoranti, musei, teatri o giardini.
Ci sono 16 stazioni in disuso della metropolitana di Parigi, molte delle quali chiuse tra 1930-1970. Un piccolo numero è stato costruito ma mai aperto. Alcune stazioni sono state utilizzate come set temporanei per campagne pubblicitarie o film.
Riuscire a recuperare questi luoghi è una grandissima opportunità soprattutto per arricchire dei quartieri della città a cui mancano determinati servizi.
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