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venerdì 30 agosto 2019

La pianta più importante per l’umanità? Il fico d’India. 5 aspetti poco conosciuti dei frutti del futuro.



Perché i fichi d’India ci salveranno dalla fame e dai cambiamenti climatici. I fichi d’India resistono alla siccità, assorbono l’anidride carbonica, sono nutrienti e possono essere un ottimo mangime per gli animali da allevamento. Per la FAO sono il cibo del futuro.

Il cibo del futuro sarà la pianta del fico d’India (Opuntia ficus-indica), che grazie alle sue peculiari proprietà – sia nutritive che di adattamento – potrà fornire sostentamento a milioni di persone nelle zone più aride del pianeta, oltre che al bestiame. A stimarlo è stata la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che ha riunito un pool di esperti internazionali per condividere tutte le informazioni più recenti su questa pianta succulenta: dal profilo genetico alle vulnerabilità ai parassiti, passando per i terreni prediletti alla fisiologia.
Ma perché questi ‘cactus’ sono così importanti per l’alimentazione del futuro? Con i cambiamenti climatici che avanzano inarrestabili, la desertificazione e il boom demografico, che porterà la popolazione umana a quasi 10 miliardi di individui nel 2050, le fonti di cibo tradizionali diverranno sempre più scarse, e sarà necessario rivolgersi a prodotti più ‘virtuosi’ e in grado di adattarsi meglio alle nuove condizioni. Non è un caso che dal 2018 anche in Europa si potranno consumare gli insetti. Ma torniamo al fico d’india. Originaria del Messico, questa pianta ha innanzitutto una spiccata resistenza alla siccità, grazie a un metabolismo peculiare che la protegge dalla dispersione dei liquidi. Basti pensare che in un ettaro di coltivazione questi cactus possono conservare nelle loro pale fino a 180 tonnellate di acqua.
La proprietà si accompagna alla capacità di assorbire concentrazioni elevate di anidride carbonica, il principale gas serra responsabile dei cambiamenti climatici. Un ettaro di coltivazione riesce a eliminare sino a 5 tonnellate di CO2 dall’atmosfera. Sempre da un ettaro di coltivazione si riescono a ottenere ben 20 tonnellate di frutta, come avviene in Italia, e dove vengono utilizzati sistemi di irrigazione si può arrivare anche a 50 tonnellate. Ma il delizioso frutto non rappresenta l’unica parte commestibile della pianta; in Messico, ad esempio, sono molto apprezzate le foglie giovani e i germogli, i cosiddetti nopalitos, sfruttati per numerosi piatti come frittate, zuppe, insalate e altro ancora.
Coltivazioni di queste piante, considerate “umili”, se opportunamente rivalutate potrebbero dunque sfamare milioni di persone nelle aree più povere e aride del pianeta, quelle già esposte agli effetti più drammatici dei cambiamenti climatici. Se ciò non bastasse, dai fichi d’India si possono ottenere ottimi mangimi per gli animali da allevamento; non solo bovini (un ettaro produce acqua sufficiente per sostenere cinque mucche adulte), ma anche insetti, anch’essi considerati cibo del futuro, oltre che materia prima per alcuni coloranti. Per tutte queste ragioni la FAO ha messo a punto uno studio chiamato Crop Ecology, Cultivation and Uses of Cactus Pear” dove ha indicato tutti i vantaggi dei fichi d’India.

lunedì 4 marzo 2019

Perché i fichi d’India ci salveranno dalla fame e dai cambiamenti climatici.. - Andrea Centini



I fichi d’India resistono alla siccità, assorbono l’anidride carbonica, sono nutrienti e possono essere un ottimo mangime per gli animali da allevamento. Per la FAO sono il cibo del futuro.

Il cibo del futuro sarà la pianta del fico d'India (Opuntia ficus-indica), che grazie alle sue peculiari proprietà – sia nutritive che di adattamento – potrà fornire sostentamento a milioni di persone nelle zone più aride del pianeta, oltre che al bestiame. A stimarlo è stata la FAO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, che ha riunito un pool di esperti internazionali per condividere tutte le informazioni più recenti su questa pianta succulenta: dal profilo genetico alle vulnerabilità ai parassiti, passando per i terreni prediletti alla fisiologia.

Ma perché questi ‘cactus' sono così importanti per l'alimentazione del futuro? Con i cambiamenti climatici che avanzano inarrestabili, la desertificazione e il boom demografico, che porterà la popolazione umana a quasi 10 miliardi di individui nel 2050, le fonti di cibo tradizionali diverranno sempre più scarse, e sarà necessario rivolgersi a prodotti più ‘virtuosi' e in grado di adattarsi meglio alle nuove condizioni. Non è un caso che dal 2018 anche in Europa si potranno consumare gli insetti. Ma torniamo al fico d'india. Originaria del Messico, questa pianta ha innanzitutto una spiccata resistenza alla siccità, grazie a un metabolismo peculiare che la protegge dalla dispersione dei liquidi. Basti pensare che in un ettaro di coltivazione questi cactus possono conservare nelle loro pale fino a 180 tonnellate di acqua.

La proprietà si accompagna alla capacità di assorbire concentrazioni elevate di anidride carbonica, il principale gas serra responsabile dei cambiamenti climatici. Un ettaro di coltivazione riesce a eliminare sino a 5 tonnellate di CO2 dall'atmosfera. Sempre da un ettaro di coltivazione si riescono a ottenere ben 20 tonnellate di frutta, come avviene in Italia, e dove vengono utilizzati sistemi di irrigazione si può arrivare anche a 50 tonnellate. Ma il delizioso frutto non rappresenta l'unica parte commestibile della pianta; in Messico, ad esempio, sono molto apprezzate le foglie giovani e i germogli, i cosiddetti nopalitos, sfruttati per numerosi piatti come frittate, zuppe, insalate e altro ancora.

Coltivazioni di queste piante, considerate “umili”, se opportunamente rivalutate potrebbero dunque sfamare milioni di persone nelle aree più povere e aride del pianeta, quelle già esposte agli effetti più drammatici dei cambiamenti climatici. Se ciò non bastasse, dai fichi d'India si possono ottenere ottimi mangimi per gli animali da allevamento; non solo bovini (un ettaro produce acqua sufficiente per sostenere cinque mucche adulte), ma anche insetti, anch'essi considerati cibo del futuro, oltre che materia prima per alcuni coloranti. Per tutte queste ragioni la FAO ha messo a punto uno studio chiamato “Crop Ecology, Cultivation and Uses of Cactus Pear” dove ha indicato tutti i vantaggi dei fichi d'India.

https://scienze.fanpage.it/perche-i-fichi-d-india-ci-salveranno-dalla-fame-e-dai-cambiamenti-climatici/

sabato 13 gennaio 2018

Cibo ed etichetta d’origine: un regolamento Ue spazza via tutti i decreti italiani. - Federico Formica

Cibo ed etichetta d’origine: un regolamento Ue spazza via tutti i decreti italiani

Entro l’estate verrà varata la norma che farà decadere quelle italiane sull’origine di latte, riso, pasta e pomodoro. Per la trasparenza il rischio è che si tratti di un passo indietro.

Le recenti leggi che hanno introdotto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di pastarisolatte, formaggi e pomodoro saranno presto carta straccia. Nel giro di pochi mesi verranno spazzate via da un regolamento europeo tutt’altro che inatteso: la Commissione avrebbe dovuto vararlo già quattro anni fa, secondo quanto previsto da regolamento 1169/2011, entrato in vigore nel dicembre 2013. I consumatori italiani potrebbero avere molto da perdere. Mentre buona parte delle imprese alimentari del nostro Paese lamenta uno spreco di denaro.

Ora i tempi sembrano maturi: la Commissione ha sottoposto il testo a una consultazione pubblica che si chiuderà il prossimo primo febbraio. Potrebbe entrare in vigore poche settimane più tardi e si applicherà dall’aprile 2019. Tutti i decreti introdotti nel 2017 dall’Italia prevedevano questa circostanza: non appena Bruxelles approverà il testo comunitario, decadranno. Quel giorno sta per arrivare.

Cosa prevede il regolamento Ue. Il tema è l’origine dell’ingrediente primario: sarà obbligatorio indicarla se diversa da quella del prodotto finito. Ad esempio: un pacco di pasta lavorata in Italia dovrà indicare anche l’origine del grano, se questo proviene dal Canada. Stessa cosa per un prosciutto fatto in Italia con cosce suine tedesche. Così per tutti gli altri alimenti. A prima vista sembra cambiare poco rispetto ai decreti voluti dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, ma a ben leggere la bozza uscita da Bruxelles c’è poco da star tranquilli.

L’obbligo, infatti, non varrà per le indicazioni geografiche protette Dop e Igp ma soprattutto non si applicherà ai marchi registrati che, a parole o con segnali grafici, indicano già di per sé la provenienza del prodotto. Una postilla che spalanca le porte a tutte quelle aziende che fanno dell’italian sounding il proprio cavallo di battaglia: basterà avere un marchio registrato con una bandiera tricolore o un richiamo al nostro Paese per essere esentati dall’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente principale, che molto spesso l’Italia non l’ha mai vista. 


Questo problema di trasparenza già esiste negli altri Paesi dell’Unione, dove i consumatori fanno fatica a capire che un prodotto “simil-italiano” è in realtà fabbricato all’estero. Tra pochi mesi, però, l’italian sounding potrebbe ingannare gli stessi italiani perché nel nostro Paese le etichette faranno un passo indietro dal punto di vista della chiarezza dell’origine delle materie prime.

“In questo modo la Commissione europea tradisce non solo lo spirito del regolamento 1169 ma anche i consumatori. A servizio dei grandi gruppi industriali, anche italiani, che hanno interesse a occultare l’origine dell’ingrediente primario” spiega Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare e fondatore del sito Gift.

Restano però le tutele previste dal regolamento 1169. Tutti i marchi che evocano italianità nel nome o nella grafica, ma che italiani non sono, dovranno comunque precisare che il prodotto non è made in Italy. 

Attenzione però: l’origine del prodotto indica il Paese in cui l’alimento ha subito l’ultima trasformazione sostanziale. Non c’entra nulla con l’ingrediente primario. “Se la suggestione di italianità è falsa, poiché il prodotto è realizzato altrove”, spiega ancora Dongo, “la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, dovrebbe in ogni caso riportare la dicitura ‘Made in Germany’. Ma le autorità di controllo negli altri Stati membri dolosamente omettono di sanzionare questi inganni, poiché realizzati da aziende che producono ricchezza nei loro territori”.

Ma, spiega ancora Dongo, “se la suggestione di italianità è limitata al marchio registrato, allora ecco che la pasta ‘Miracoli’, che è tedesca, può omettere di indicare la diversa provenienza della materia prima (ad esempio grano americano)”. Proprio in virtù del regolamento oggi in discussione.

Federalimentare difende però la norma sui marchi registrati, sostenendo che “vietare ad aziende italiane di utilizzare propri brand registrati, in alcuni casi, centinaia di anni fa contenenti i colori della bandiera italiana appare francamente ingiustificato ed inutile”. Il presidente Luigi Scordamaglia sostiene che l’esenzione sarà solo temporanea “ed è dovuta al fatto che esiste una normativa europea sul trademark”, includerli adesso avrebbe comportato un ulteriore allungamento dei tempi per avere un regolamento che “aziende e consumatori chiedono a gran voce da anni”. Insomma, nessun passo indietro secondo la federazione che rappresenta l’industria del cibo: “Per quanto poco, si avrebbe un quadro comune a livello europeo”.

Marcia indietro. Per le aziende alimentari italiane toccate dai decreti d’origine del 2017 si pone anche un problema concreto: nel giro di pochi mesi dovranno, per la seconda volta, cambiare tutte le etichette sulle centinaia di prodotti che escono dagli stabilimenti. “Le aziende più grandi hanno speso fino a 200.000 euro per modificare gli impianti e adeguarli alle nuove regole. E tra poco dovranno stamparne di nuove” dice Massimo Forino, direttore di Assolatte. Le etichette di origine per latte e formaggi hanno fatto la loro comparsa sugli scaffali nell’aprile del 2017. Potrebbero durare poco più di un anno. Riguardo alla clausola sui marchi registrati Forino è cauto: “Aspettiamo di vedere come verrà applicata la norma e se verrà modificata nel frattempo. Bisogna anche dire che al supermercato c’è talmente tanta scelta che il consumatore più esigente avrà sempre la possibilità di scegliere un prodotto 100% italiano”.

Una vita ancora più breve sarà quella dell’etichetta d’origine della pasta, che entrerà in vigore il prossimo 17 febbraio. “Abbiamo sempre detto che sarebbe stata una duplicazione inutile e costosa, tanto che Aidepi ha presentato ricorso al Tar contro il decreto voluto da Martina e Calenda, ma la sentenza non arriverà comunque prima dell’estate, costringendoci a cambiare l’etichetta per due volte in pochi mesi” dice Luigi Cristiano Laurenza, segretario pastai italiani di Aidepi.

Febbraio sarà anche il mese in cui farà il suo debutto l’etichetta d’origine del riso mentre quella del pomodoro potrebbe anche non vedere mai la luce: il decreto non è ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale.

Una stoccata arriva anche da Federalimentare, che queste associazioni le rappresenta: “L'anomalia è rappresentata dai decreti nazionali e non dal fatto che essi decadranno all'entrata in vigore della proposta. Si dovrebbero garantire norme uguali per tutti, senza avvantaggiare chi non produce nel proprio territorio nazionale, come invece avviene per i decreti nazionali” dice Scordamaglia.


http://www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/diritti-consumatori/2018/01/12/news/cibo_ed_etichetta_d_origine_un_regolamento_ue_spazza_via_tutti_i_decreti_italiani-186230046/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1

venerdì 14 settembre 2012

Ecco Cosa Vedo.



Ogni anno vengono sprecate 1.300.000.000 di tonnellate di cibo, circa un terzo della produzione globale, solo perché una gestione migliore delle risorse non "conviene economicamente".
Intanto nel mondo si muore di fame...




Il Denaro non è una Risorsa - MARCO CANESTRARI 


La qualità della nostra vita dipende dall’ambiente, dalla casa in cui viviamo, dalla nostra alimentazione, dai nostri sistemi di trasporto, dai nostri vestiti, da alcuni beni materiali e soprattutto affettivi. E’ data dalla serenità e libertà con cui godiamo di tutto ciò. Anche le conoscenze e le competenze degli uomini della terra possono essere considerate una risorsa utile allo sviluppo di una vita felice, sana ed equilibrata. Il denaro invece non è una risorsa, non crea energia di per sé, fa solo da misura di scambio fra due risorse reali esistenti in precedenza. La banconota ha convenzionalmente quel valore di scambio fintanto che noi abbiamo fiducia che venga accettata da chi ci vende un servizio. Non ha un valore determinato da Dio o dalle leggi fisiche. Il Sole è un esempio di risorsa suprema dall’inizio dei secoli, la banconota invece non è simile alla Natura. Non possiamo mangiare una banconota e difficilmente con essa ci possiamo proteggere dal freddo, al massimo può essere utile per accendere il camino…
Zappiamo la terra, innaffiamo, seminiamo e poi raccogliamo i frutti. Abbiamo organizzato le risorse per creare energia. Studiamo, acquisiamo conoscenze e competenze, ci scambiamo informazioni, facciamo esperimenti e scopriamo un farmaco che guarisce da una malattia prima incurabile, questa conoscenza la diffondiamo all’umanità: Stiamo organizzando energia nel migliore dei modi.
Ma cosa accade se invece di vedere il denaro come una meccanica misura di scambio lo consideriamo un valore a sé? Cosa accade se chi trae profitto da questi modi di vedere il mondo utilizza il suo potere e i Media per influenzare intere generazioni? Cosa accade a tutti quegli aspetti della vita che non portano un guadagno economico ma sono fondamentali per il nostro benessere, come ad esempio la scuola o la sanità? Se ad esempio l’industria che investe per la ricerca dei farmaci lo fa solo per un guadagno economico e poi limita l’accesso a quei farmaci solo a chi può permetterselo economicamente? Accade che ogni persona è costretta ad avere sempre più denaro per avere accesso alle risorse, e quindi è costretto a impegnare la sua unica vita per produrre e guadagnare sempre di più. Infine, l’unica spinta per le attività umane diventa la massimizzazione del guadagno. Con queste enorme pressioni economiche inizia la paura di rimanere senza risorse sicure e il conseguente sfruttamento da parte di chi  ha più denaro verso chi ne ha di meno. Si perde di vista il senso reale dell’esistenza: vivere con felicità.
Impariamo a conoscere l’intera struttura sociale: la terra ha sempre dato frutti indipendentemente dal denaro e i motivi per esprimere le nostre potenzialità sono sempre esistiti in noi da prima dell’invenzione del denaro. La voglia di conoscenza, l’amore, la sensibilità e l’intelligenza sono una fonte inesauribile di energia. La vera sicurezza verrà trovata solamente quando si ragionerà in termini di umanità e non più guardando solo fino al recinto del proprio orticello. Cerchiamo di organizzare le risorse nella maniera più efficiente per il mondo intero tenendo bene presente l’unico vero senso dell’uomo: massimizzare la propria qualità della vita, la propria serenità fisica e mentale. Tutto il resto è un accessorio.
Iniziamo occuparci di quello che ci fa stare bene e che sentiamo sia giusto, anche senza avere un ritorno economico. Oltre a vivere la nostra esistenza con più pienezza, contribuiremo a fare girare energie e risorse che non costringono nemmeno i più deboli a limitare la propria vita al “guadagnare per sopravvivere”.