Visualizzazione post con etichetta clima. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta clima. Mostra tutti i post

mercoledì 21 luglio 2021

Dopo la Germania, l’apocalisse climatica colpisce la Siberia con incendi mai visti prima (e anche la Cina). - Sabrina Del Fico

 

La nube tossica che si è creata sulla città siberiana di Yakutsk, provocata dagli incendi di questi giorni, rappresenta uno degli eventi inquinanti peggiori al mondo. Ma non è solo la Russia ad essere colpita dai fenomeni estremi e distruttivi.

I tragici effetti dei cambiamenti climatici iniziano a vedersi in tutto il mondo, con fenomeni metereologici estremi e incontrollabili, che dopo il loro passaggio lasciano solo distruzione e morte. Lo abbiamo visto in Europa con i fenomeni alluvionali che hanno colpito soprattutto Germania e Belgio e che hanno provocato centinaia di vittime e miliardi di euro di danni. Anche il Canada e parte degli Stati Uniti, coperti da una cappa di calore record, subiscono lo scotto di incendi e assistono impotenti alla morte degli animali soffocati dal caldo.

Apocalisse di fuoco in Siberia.

Ma il calore si fa sentire anche in una delle regioni più fredde del mondo, la Siberia, dove ha causato incendi nella tundra e ha minacciato la città siberiana di Yakutsk con una densissima nube di fumo tossico ora monitorata dagli esperti. Gli alti livelli di particolato e di altri elementi chimici (come ozono, benzene e acido cianidrico) hanno creato uno degli eventi più inquinanti del mondo. Le autorità locali hanno invitato i 320 mila residenti dell’area a chiudersi in casa per evitare di respirare i fumi degli incendi.

Le analisi dei satelliti rivelano che i livelli in regione di PM2.5, piccole particelle che possono entrare nel flusso sanguigno e danneggiare gli organi umani, hanno superato la quantità di 1000 microgrammi per metro cubo i nei giorni scorsi – un livello 40 volte superiore a quello raccomandato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Si stima che tali livelli di agenti inquinanti possono avere effetti immediati e gravi sulla popolazione umana.

(Leggi anche: Un incredibile “tornado” di zanzare si è abbattuto sulla Siberia, oscurando persino il sole).

Gli scienziati vedono gli effetti dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo come un fattore molto importante nella formazione di questi incendi. Yakutsk, capitale della Repubblica di Sakha (nord-est della Russia), è generalmente la città più fredda al mondo ma a causa del riscaldamento globale le temperature estive nell’area sono aumentate 2,5 volte più velocemente rispetto alla media mondiale.

Lo scorso anno durante una prolungata ondata di calore nella regione siberiana le temperature sono rimaste più di 5 gradi superiori alla media nei mesi da gennaio a giugno, provocando lo scioglimento del permafrost l’arrivo di una primavera particolarmente calda e prematura non che lo scoppio di numerosi incendi boschivi in estate. Tuttavia il record si è superato questa primavera quando prima degli altri anni la taiga (la foresta boreale) ha preso fuoco molto facilmente perché fiaccata da siccità e calore estremo. 

Sono stati messi in campo piani militari per provare a spegnere questi incendi, e si è reso necessario il dispiegamento di più di 2000 uomini sul territorio: Si tratta della più importante operazione nell’area dalla fine dell’Unione Sovietica. Malgrado tutti questi sforzi, purtroppo, gli incendi continuano a sfuggire al controllo umano e, secondo il ministro per le emergenze della regione, attualmente sono attivi 250 incendi in un’area di 5,720 chilometri quadrati. 

La terribile alluvione in Cina. 

Anche l’altra parte del globo non sfugge ai fenomeni climatici estremi e devastanti: un’incredibile fenomeno alluvionale si sta abbattendo in queste ore sulla Cina, nella regione di Henan, distruggendo strade, abitazioni e collegamenti ferroviari. Per ora le vittime accertate del disastro sono 12, ma i dispersi sono ancora centinaia. L’alluvione è stata provocata da fenomeni piovosi eccezionali che hanno acuito i danni e portato all’evacuazione di 200.000 persone: le strade si sono trasformate in fiumi, con le macchine che hanno preso a muoversi spinte dalla corrente. Le città devastate dalla furia della natura sono più di una dozzina.

green-me

domenica 6 giugno 2021

Per la prima volta nella storia la società civile fa causa allo Stato italiano: “È inadempiente nel contrasto all’emergenza climatica”. - Luisiana Gaita

 

Il primo contenzioso climatico è portato avanti da 203 ricorrenti, tra associazioni e privati cittadini, tra cui il meteorologo Luca Mercalli: "Con una mano lo Stato promette transizioni verdi, con l’altra continua a sostenere le pratiche più perniciose per la natura".

Il primo contenzioso climatico della storia d’Italia: con una causa di fronte al Tribunale Civile di Roma la società civile fa causa allo Stato italiano, rappresentato dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, affinché si assuma le sue responsabilità per l’assenza di politiche ambientali efficaci di fronte all’emergenza climatica. Tra i 203 ricorrenti, 24 sono associazioni, 17 minori (rappresentati in giudizio dai genitori) e 162 adulti. L’azione legale è promossa nell’ambito della campagna di sensibilizzazione intitolata evocativamente ‘Giudizio Universale’. Primo ricorrente è l’Associazione ‘A Sud’, da anni attiva nel campo della giustizia ambientale. “Dopo decenni di dichiarazioni pubbliche che non hanno dato seguito ad alcuna azione all’altezza delle sfida imposte dall’emergenza ambientale, la via legale è uno strumento formidabile per fare pressione sullo Stato affinché moltiplichi i suoi sforzi nella lotta al cambiamento climatico” spiega Marica Di Pierri, portavoce di ‘A Sud’ e curatrice del libro ‘La causa del secolo’ (Round Robin editrice) in uscita oggi. Tra i ricorrenti anche Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana. “Da decenni lo Stato italiano promette di ridurre il proprio impatto sul clima, di mitigare i rischi, di costruire resilienza verso le conseguenze del riscaldamento globale – sottolinea – ma alle parole non corrispondono i fatti, sempre insufficienti e sottodimensionati rispetto all’urgenza”. Non solo: “Mentre con una mano lo Stato promette transizioni verdi, con l’altra continua a sostenere le pratiche più perniciose per l’ambiente”. 

LA CAUSA – I ricorrenti sono stati assistiti da un team legale composto da avvocati e docenti universitari, fondatori della rete di giuristi Legalità per il clima. A patrocinare la causa gli avvocati Luca Saltalamacchia, esperto di tutela dei diritti umani e ambientali, e Raffaele Cesari, esperto di diritto civile dell’ambiente, assieme al professor Michele Carducci, dell’Università del Salento, esperto di diritto climatico. Questo giudizio si inserisce nel solco dei contenziosi climatici contro gli Stati che si stanno celebrando in tutto il mondo. Una quarantina i Paesi dove è stata avviata una causa. “Se la politica si rifiuta di proteggere il nostro diritto a un futuro vivibile, sarà la legge, attraverso la causa di Giudizio Universale, a obbligarla finalmente ad agire” commenta Filippo Sotgiu, portavoce di Fridays for Future Italia e ricorrente. 

LE RICHIESTE DEI RICORRENTI – L’obiettivo, dunque, è quello di chiedere al Tribunale di dichiarare che lo Stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica e che l’impegno messo in campo è insufficiente a centrare gli obiettivi. “Un’insufficienza – aggiungono i legali – che ha come effetto la violazione di numerosi diritti fondamentali”. Tra le argomentazioni della causa legale spicca, infatti, la relazione tra diritti umani e cambiamenti climatici e la necessità di riconoscere un diritto umano al clima stabile e sicuro. “Le conseguenze sanitarie delle variazioni climatiche hanno aspetti differenti in diverse aree geografiche ma coinvolgono tutti, indipendentemente dalla collocazione e dal livello economico o socio-culturale” spiega Agostino Di Ciaula, presidente Comitato scientifico ISDE Italia, secondo cui il risultato finale “è un progressivo incremento della vulnerabilità individuale e una progressiva riduzione delle capacità di resilienza, con le fasce più fragili della popolazione che pagano prima e più di altri costi elevatissimi”. Come spiegano gli avvocati, non si chiederà al giudice alcun risarcimento “ma piuttosto di ordinare allo Stato di abbattere le emissioni di gas serra per portarle ad un livello compatibile con il raggiungimento dei target fissati dall’Accordo di Parigi”. Nel dettaglio, con il ricorso si chiede che lo Stato sia obbligato “a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livello 1990, applicando il principio di equità e il principio di responsabilità comuni ma differenziate (Fair Share), ossia tenendo conto delle responsabilità storiche dell’Italia nelle emissioni di gas serra e delle sue attuali capacità tecnologiche e finanziarie attuali”. 

I DATI A SOSTEGNO – La percentuale di riduzione delle emissioni è stata calcolata da Climate Analytics, organizzazione indipendente per la ricerca sul cambiamento climatico, che ha realizzato uno specifico report per ‘A Sud’ sulla valutazione dei trend di riduzione delle emissioni nel nostro Paese. Secondo quanto emerge dal rapporto, seguendo l’attuale scenario delle politiche italiane, ci si attende che le emissioni al 2030 siano del 26% inferiori rispetto ai livelli del 1990. “Stando a queste proiezioni del governo – è la conclusione – l’Italia non riuscirà a raggiungere il suo modesto obiettivo di ottenere una riduzione del 36% entro il 2030 come stimato dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec). Tra i paesi europei che pianificano il passaggio dal carbone al gas, per esempio, l’Italia ha il più alto consumo di gas pianificato per gli anni 2020. E sebbene il nostro Paese stia puntando a una quota del 30% di energia rinnovabile nel consumo finale lordo di energia entro il 2030 “non ha attualmente le politiche in atto per raggiungere questo obiettivo”. Secondo i ricorrenti l’attuale obiettivo dell’Italia rappresenta un livello di ambizione così basso “che, se altri paesi dovessero seguirlo, porterebbe probabilmente a un riscaldamento globale senza precedenti di oltre 3°C entro la fine del secolo”.

IlFQ

giovedì 24 settembre 2020

Lotta a difesa del clima: non abbiamo più scuse. - Luca Mercalli - 17 settembre 2020












Alla prossima emergenza climatica non si dica, come per la pandemia da coronavirus, che non si erano fatti per tempo piani di intervento e valutazioni dei rischi. È da decenni che se ne producono in tutto il mondo da parte dell’Onu-Ipcc (Intergovernmental Panel on climate change), della Banca Mondiale, dell’Unione europea. E pure qui da noi con la presentazione del rapporto “Analisi del rischio cambiamenti climatici in Italia” del CMCC di Lecce (Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), abbiamo ora una fotografia aggiornata sugli impatti che il riscaldamento globale imporrà alla nostra società e alla nostra economia.

È un lavoro che ha coinvolto trenta ricercatori, basato sulla miglior conoscenza scientifica disponibile. Il clima italiano entro metà secolo si riscalderà, ma possiamo ancora decidere di quanto: da un paio di gradi in più, con danni moderati a cui possiamo far fronte, a cinque gradi in più se non si farà nulla, con calamità straordinarie e irreversibili.

Avremo più siccità estive, minore produzione agricola, più incendi boschivi, più ondate di calore soprattutto nelle zone urbane, meno neve d’inverno, più eventi meteorologici estremi (che negli ultimi vent’anni sono già cresciuti del 9 per cento), un aumento del livello dei mari con rischio di inabitabilità delle zone costiere. Recita il rapporto che “i cambiamenti climatici hanno un imponente costo economico. Il loro impatto da qui a fine secolo può arrivare fino all’8 per cento del prodotto interno lordo pro capite. Senza interventi per arrestare la marcia del riscaldamento climatico aumenterà anche la diseguaglianza economica Nord-Sud e tra fasce di popolazione più povere e più ricche”. Turismo, agricoltura e infrastrutture saranno i settori più colpiti, ma non bisogna sottovalutare che non tutto è monetizzabile, come la sofferenza delle persone.

Il rapporto CMCC spiega dove investire per diminuire i rischi e dimostra che una politica della prevenzione creerà anche nuove opportunità di lavoro, in sintonia con il Green Deal promosso dalla Commissione Ue.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/17/lotta-a-difesa-del-clima-non-abbiamo-piu-scuse/5934314/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=fatto-for-future&utm_term=2020-09-22

giovedì 17 ottobre 2019

Clima, ecco le 20 aziende che producono un terzo delle emissioni mondiali. - Alberto Magnani

Risultati immagini per clima


Il 35% di tutte le emissioni di anidride carbonica e metano dal 1965 al 2017 è stato prodotto da 20 colossi del settore petrolchimico. In testa Saudi Armaco (il 4,38% del totale), la multinazionale statunitense Chevron (il 3,2% del totale) e la russa Gazprom (3,19%). Lo rivela un’indagine del Climate accountability institute rilanciata dal Guardian.

Oltre un terzo delle emissioni di anidride carbonica e metano, i cosiddetti gas serra, è stata prodotta da appena 20 colossi internazionali dell’oil&gas. Nel complesso si parla di 480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (una misura che indica l’impatto di gas serra diversi), pari al 35% di tutte le emissioni da combustili fossili e cemento prodotte su scala globale dal 1965 al 2017. Sul “podio” svettano la compagnia nazionale saudita Saudi Aramco (il 4,38% del totale), la multinazionale statunitense Chevron (il 3,2% del totale) e la russa Gazprom (3,19%), responsabili da sole di più di un decimo delle emissioni generate su scala internazionale negli ultimi 50 anni circa.

I dati emergono da un report pubblicato dal Climate accountability institute, un istituto di ricerca, e rilanciato dal quotidiano inglese Guardian. «Basandoci sulla teoria che i produttori di combustili fossili hanno una responsabilità per gli effetti negativi dei loro prodotti - si legge nel report - Abbiamo determinato in che misura i combustili fossili delle singole aziende abbiano contribuito all’aumento delle emissioni».
Le 20 aziende che producono più emissioni.


Quei miliardi tonnellate di CO2 e metano emessi in 50 anni.
480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente attribuite alle 20 aziende in classifica, di cui 12 a controllo statale, incidono sul totale di 1.354 tonnellate prodotte nel periodo sotto esame (1965-2017) dalle stesse fonti. L’intera serie storica analizzata dall’istituto rivela che un totale 103 realtà aziendali ha prodotto il 69,8% di tutte le emissioni registrate dal 1751, con un’incidenza sul 30% netto delle emissioni solo da parte delle 20 società in cima al ranking. «Metà di tutte le emisisoni da combustibili fossili e cemento dal 1751 ad oggi - si legge nel report - sono state prodotte dal 1990 ad oggi. Queste aziende hanno significative responsabilità morali, finanziarie e legali sulla crisi climatica». Oltre alla triade Saudi Aramco, Chevron e Gazprom, la classifica include nomi come ExxonMobile (3,09%), National iranian oil (2,63%), Bp (2,51%) e Royal Dutch Shell (2,36%).

mercoledì 2 ottobre 2019

Il gamberetto verde che non cambia più sesso per il cambiamento climatico. - Pasquale Raicaldo



crostacei,invertebrati,tirreno,cambiamento climatico,mediterraneo
Fotografia di Valerio Zupo.

Gli studi della stazione Anton Dohrn sull’Hippolyte inermis, a Ischia, indicano che l’acidificazione oceanica incide sulle microalghe e sul loro rapporto con i piccoli invertebrati.


Il gamberetto di prateria (Hippolyte inermis) rischia di non riprodursi più: i cambiamenti climatici cui il pianeta va incontro potrebbero impedirgli di cambiare sesso, come invece accade regolarmente nel caso di questo invertebrato che si mimetizza tra le foglie delle piante marine.

E’ quanto emerge dall’ultima scoperta del centro di ricerca di Ischia della Stazione Zoologica Anton Dohrn, impegnata da sempre nello studio degli effetti dell’acidificazione marina, legata nel mare dell’isola ai “vents”, l’emissione di anidride carbonica effetto del vulcanesimo secondario dell’effervescente sottosuolo ischitano.

A Ischia, in soldoni, si creano naturalmente le condizioni a cui gli oceani vanno incontro per effetto delle emissioni di anidride carbonica. E sotto la lente di ingrandimento dei ricercatori è finito il rapporto tra un gamberetto e le microalghe delle quali si nutre, le diatomee epifite tipiche degli ambienti costiere, in particolare il genere Cocconeis, fondamentali per la vita, lo sviluppo, l’inversione sessuale e la riproduzione di molti piccoli animali invertebrati.

L'ambiente dei vents a Ischia, dove le emissioni di CO2 portano all'acidificazione del mare. Fotografia di Pasquale Vassallo.

Su loro è incentrato un lavoro pubblicato sulla rivista scientifica “Plos One” da Mirko Mutalipassi, in collaborazione con Valerio Mazzella e il ricercatore Valerio Zupo. In sostanza, il metabolismo della microalga del genere Cocconeis viene condizionato dall’acidificazione – naturale a Ischia, indotta dall’uomo nel pianeta – e inizia a non produrre i composti, o produrre in modo meno significativo, i composti che servono ai gamberetti, e ad altri organismi marini, per sopravvivere.


Diatomea, fotografia di Valerio Zupo

«Proprio così – conferma Zupo – perché l’alterazione dei rapporti chimici tra organismi e l'ambiente porta la modifica dei metaboliti secondari, con un impatto sul sistema di chemio-recezione degli organismi marini».

L’acidificazione del mare genera un effetto a catena, di cui i gamberetti sono solo alcune delle possibili vittime: con soli esemplari maschi, la specie rischierebbe l’estinzione. Ed è uno degli effetti sistemici più significativi sin qui scoperti dal Dohrn, che proprio con Valerio Zupo porta avanti anche un promettente studio sull’efficacia di un metabolita prodotto dalla diatomea su alcune tipologie di cancro. Ma l’acidificazione, a quanto pare, potrebbe ostacolare, insieme alla riproduzione del piccolo Hippolyte inermis, anche l’identificazione delle molecole più interessanti per gli scopi farmacologici.


Un primo piano del gamberetto di prateria. Fotografia di Valerio Zupo

Quel che è certo, grazie all’ultimo studio, è che il gambero sia una specie-sentinella in grado di mostrare come i rapporti tra organismi cambino, in modo drastico, in relazione ai cambiamenti climatici. Un tema sul quale la stazione Anton Dohrn è particolarmente attenta: a Ischia, come anticipato dal presidente Roberto Danovaro, aprirà infatti un Centro di ricerca sull’impatto dei cambiamenti globali sugli ecosistemi marini. E del resto “l’acidificazione del mare è l’altra faccia del problema dell’immissione di CO2 in atmosfera e del cambiamento climatico: una minaccia sempre più seria per le specie che popolano gli oceani e per gli ecosistemi”, spiega Maria Cristina Gambi, che con Nuria Teixido studia da anni l’adattamento delle specie animali all’acidificazione.


Ambiente dei vents a Ischia. Fotografia di Pasquale Vassallo

Stress ambientali che influiscono diversamente da specie a specie. «Non tutte le specie – conferma il biologo Marco Munari, che coordina il centro ischitano del Dohrn - rispondono allo stesso modo agli agenti di stress ambientali: è importante quindi studiarne gli effetti su più specie e non solo, ma anche come possono cambiare le interazioni tra le diverse specie, e quindi il funzionamento stesso di un ecosistema, per prevedere e prevenire danni sia di tipo ecologico che economico». Come quelli di un piccolo gamberetto verde che potrebbe smettere di riprodursi.

http://www.nationalgeographic.it/natura/animali/2019/09/25/news/il_gamberetto_verde_che_non_cambia_piu_sesso_per_il_cambiamento_climatico-4558458/

sabato 28 settembre 2019

Stornarella, a 12 anni manifesta da solo in piazza per il clima: il plauso di Emiliano.

Stornarella, a 12 anni manifesta da solo in piazza per il clima: il plauso di Emiliano

Si chiama Potito, ha 12 anni, e con un cartellone su cui ha disegnato una torta farcita con la plastica, questa mattina ha manifestato da solo in piazza a Stornarella contro i cambiamenti climatici, in occasione del Fridays for future.
A raccontare della protesta «isolata» di Potito è Massimo Colia, il sindaco del paese in provincia di Foggia. Sul proprio profilo Facebook il primo cittadino ha scritto: «È ammirevole vedere quanto sia sensibile un bambino di 12 anni che da solo si è appostato in piazza per manifestare contro i cambiamenti climatici, così come stanno facendo migliaia di studenti, oggi, in tutta Italia per aderire al terzo Global Strike For Future».

L'immagine può contenere: 1 persona


La protesta del 12enne ha attirato anche l’attenzione del governatore pugliese Michele Emiliano il quale, rilanciando il post del sindaco su Facebook, ha scritto: «Potito è il mio eroe pugliese di questo #Fridaysforfuture».
«Potito - aggiunge il primo cittadino di Stornarella - ha disegnato su un cartellone una mano tesa che regge una torta farcita di plastica. Mi sono fermato a complimentarmi con lui e gli ho chiesto le ragioni che lo hanno portato ad aderire a questa iniziativa. Mi ha risposto: 'noi siamo figli di questa terra e con il nostro comportamento la stiamo avvelenando, e non può esistere che un figlio avveleni sua madre». «Dovremmo - chiosa Colia - prendere esempio da Potito».

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/foggia/1175573/stornarella-a-12-anni-manifesta-da-solo-in-piazza-per-il-clima-il-plauso-di-emiliano.html

giovedì 26 settembre 2019

Scioglimento dei ghiacciai, oceani sempre più caldi e cicloni: l’allarme dell’Onu sul riscaldamento climatico. - Sara Gandolfi

Scioglimento dei ghiacciai, oceani sempre più caldi e cicloni: l'allarme dell'Onu sul riscaldamento climatico

Il rapporto dell’Ipcc avverte che i mari rischiano di salire di oltre un metro entro fine secolo. In alcune regioni montuose, rischia di sparire l’80 per cento dei ghiacciai.

A due giorni dal vertice sul clima dell’Onu, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha pubblicato un nuovo drammatico rapporto, dedicato agli oceani e alla criosfera — le parti congelate del pianeta — intitolato Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate. Annunciato al termine di una sessione plenaria di quattro giorni, nel Principato di Monaco, il rapporto è una sintesi di 7000 papers scientifici di 36 paesi diversi, e non lascia margine al dubbio sulla crisi climatica in atto. Oceani sempre più caldi e acidi, ondate di calore, piogge e cicloni più devastanti, isole sommerse.

L’innalzamento del livello del mare (finora + 16 cm) sta accelerando: senza un drastico taglio delle emissioni climalteranti, gli oceani entro il 2100 si alzeranno oltre dieci volte più velocemente di quanto sia avvenuto nel XX secolo. Ovvero 15 millimetri all’anno contro i 3,6 mm annui di oggi e l’1,4 mm del secolo scorso. Significa che il mare potrebbe sollevarsi di altri 84 centimetri entro fine secolo (secondo le stime più catastrofiche, addirittura 1,1 metri). Nello scenario migliore, con drastici tagli alle emissioni, si potrebbe limitare tale innalzamento a 43 cm.

I ghiacciai perderanno in media più di un terzo della loro massa nello scenario più grave (alte emissioni); alcune catene montuose potrebbero perdere oltre l’80 per cento dei propri ghiacciai entro fine secolo e molti sparirebbero completamente. Il ritiro dei ghiacciai di montagna modifica la disponibilità e la qualità dell’acqua a valle, con pesanti implicazioni per l’agricoltura e l’energia idroelettrica da cui dipendono le comunità locali.

La vita marina, già colpita duramente dal riscaldamento degli oceani, continuerà a declinare, anche se un taglio delle emissioni potrebbe ridurre il danno. Gli oceani si sono riscaldati senza interruzione dal 1970 e hanno assorbito più del 90% del calore in eccesso del sistema climatico. Dal 1993, il tasso del riscaldamento dell’oceano è più che raddoppiato. Tra l’84 e il 90 per cento di tutte le ondate marine di calore è oggi attribuibile alla crisi climatica: e le ondate sono due volte più frequenti, più calde e di maggior durata rispetto al periodo pre-anni Ottanta. La loro frequenza sarà di 20 volte più elevate se nel 2100 l’aumento delle temperature si fermerà a 2 ° C rispetto ai livelli preindustriali. Ma sarebbe 50 volte maggiore se le emissioni continuassero ad aumentare. Il riscaldamento dell’oceano riduce la miscelazione tra gli strati d’acqua e, di conseguenza, l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive per la vita marina.

L’oceano ha assorbito tra il 20 e il 30% delle emissioni di biossido di carbonio indotte dall’uomo dagli Anni ‘80, causando l’acidificazione degli oceani, destinata ad aumentare negli anni a venire. Il pH potrebbe crollare di altri 0,3 gradi entro il 2100, e questo implicherebbe un aumento dell’acidità di circa il 150 per cento. Fino all’80 per cento della parte superiore dell’oceano potrebbe perdere ossigeno già intorno al 2050. In conseguenza di ciò, la massa totale degli animali nell’oceano potrebbe diminuire del 15 per cento e la capacità massima di pesca crollare fino al 24 per cento entro fine secolo. I coralli sono particolarmente a rischio, anche nello scenario più roseo. Il riscaldamento e l’acidificazione degli oceani, la perdita di ossigeno e i cambiamenti nelle scorte di nutrienti stanno già influenzando la distribuzione e l’abbondanza della vita marina nelle zone costiere, in mare aperto e sul fondale marino.

I cambiamenti in atto negli oceani a loro volta generano fenomeni meteorologici estremi, destinati a peggiorare. Cicloni, uragani e tifoni diventeranno più potenti anche in un mondo a +2 C, causando maggiori danni alle coste, secondo il rapporto degli esperti Onu sul clima. L’«intensità media» dei cicloni tropicali e la percentuale dei cicloni di categoria 4 e 5, che è già aumentata negli ultimi decenni, «dovrebbe aumentare», anche se i cicloni in generale non dovrebbero essere più frequenti. Le correnti atlantiche – o Atlantic Meridional Overturning Circulation – che hanno un ruolo chiave nella redistribuzione del calore sul pianeta, sembrano destinate a indebolirsi, con il rischio di un aumento delle tempeste nell’Europa del Nord, di maggiori siccità in Sahel e Asia del Sud, e livelli del mare più alti nel nord est dell’America settentrionale.

Lo scioglimento del permafrost e del ghiaccio marino potrebbe provocare un aumento del riscaldamento marino, in un circolo vizioso che si auto-alimenta. Sta già avvenendo. Il disgelo in Groenlandia e Antartico sta rilasciando oltre 400 miliardi di tonnellate d’acqua all’anno. E a Nord l’area dell’Artico coperta dalla neve in estate si restringe di oltre il 13 per cento a decennio. Lo scongelamento del permafrost potrebbe rilasciare enormi quantità di diossido di carbonio e metano in atmosfera. Senza un drastico taglio delle attuali emission, si teme il rilascio di decine o centinaia di miliardi di tonnellate di CO2 entro fine secolo, con un’ulteriore accelerazione del riscaldamento climatico. Stessa conseguenza per lo scioglimento della neve e del ghiaccio.

Alcune isole sono destinate a diventare inabilitabili a causa dell’innalzamento degli oceani. Nello scenario peggiore, anche molte regioni costiere sono ad altissimo rischio: entro il 2300 il livello del mare potrebbe arrivare a +5,4 metri. Entro il 2050, molte megalopoli costiere e piccole nazioni insulari subiranno ogni anno catastrofi climatiche, anche con un’aggressiva riduzione delle emissioni di gas serra. Costruire una protezione contro l’innalzamento del livello dell’acqua potrebbe ridurre il rischio di inondazioni da 100 a 1.000 volte, se si investisse «da decine a centinaia di miliardi di dollari all’anno»,ma gli stati insulari non ne avranno i mezzi.

«L’oceano non può sostenere all’infinito il nostro attuale stile di vita — commenta Rebecca Hubbard di «Our Fish» — Stiamo spingendo ben oltre i limiti. L’Unione europea può lanciare un nuovo Green Deal prendendo subito misure per porre fine all’overfishing». E il sindaco di Parigi Anne Hidalgo, che presiede il gruppo C40 Cities, contro il cambiamento climatico le ha fatto eco: «Il rapporto è una lettura scioccante. Le coste del pianeta sono la casa di circa 1,9 miliardi di persone e di oltre la metà delle megacittà del mondo, e tutte sono in grave pericolo se non agiamo subito per impedire l’innalzamento delle temperature e del livello del mare».

L’oceano e la criosfera svolgono un ruolo fondamentale per la vita sulla Terra. Un totale di 670 milioni di persone nelle regioni di alta montagna e 680 milioni di persone nelle zone costiere dipendono direttamente da questi sistemi. Quattro milioni di persone vivono permanentemente nella regione artica, e gli Stati in via di sviluppo delle piccole isole ospitano 65 milioni di persone. «Il mare aperto, l’Artico, l’Antartico e le alte montagne possono sembrare lontani a molte persone», ha dichiarato Hoesung Lee, presidente dell’IPCC. «Ma dipendiamo da loro e ne siamo influenzati direttamente e indirettamente in molti modi: per tempo e clima, cibo e acqua, energia, commercio, trasporti, attività ricreative e turismo, per la salute e il benessere, per la cultura e l’identità».