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giovedì 17 ottobre 2019

Clima, ecco le 20 aziende che producono un terzo delle emissioni mondiali. - Alberto Magnani

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Il 35% di tutte le emissioni di anidride carbonica e metano dal 1965 al 2017 è stato prodotto da 20 colossi del settore petrolchimico. In testa Saudi Armaco (il 4,38% del totale), la multinazionale statunitense Chevron (il 3,2% del totale) e la russa Gazprom (3,19%). Lo rivela un’indagine del Climate accountability institute rilanciata dal Guardian.

Oltre un terzo delle emissioni di anidride carbonica e metano, i cosiddetti gas serra, è stata prodotta da appena 20 colossi internazionali dell’oil&gas. Nel complesso si parla di 480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (una misura che indica l’impatto di gas serra diversi), pari al 35% di tutte le emissioni da combustili fossili e cemento prodotte su scala globale dal 1965 al 2017. Sul “podio” svettano la compagnia nazionale saudita Saudi Aramco (il 4,38% del totale), la multinazionale statunitense Chevron (il 3,2% del totale) e la russa Gazprom (3,19%), responsabili da sole di più di un decimo delle emissioni generate su scala internazionale negli ultimi 50 anni circa.

I dati emergono da un report pubblicato dal Climate accountability institute, un istituto di ricerca, e rilanciato dal quotidiano inglese Guardian. «Basandoci sulla teoria che i produttori di combustili fossili hanno una responsabilità per gli effetti negativi dei loro prodotti - si legge nel report - Abbiamo determinato in che misura i combustili fossili delle singole aziende abbiano contribuito all’aumento delle emissioni».
Le 20 aziende che producono più emissioni.


Quei miliardi tonnellate di CO2 e metano emessi in 50 anni.
480 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente attribuite alle 20 aziende in classifica, di cui 12 a controllo statale, incidono sul totale di 1.354 tonnellate prodotte nel periodo sotto esame (1965-2017) dalle stesse fonti. L’intera serie storica analizzata dall’istituto rivela che un totale 103 realtà aziendali ha prodotto il 69,8% di tutte le emissioni registrate dal 1751, con un’incidenza sul 30% netto delle emissioni solo da parte delle 20 società in cima al ranking. «Metà di tutte le emisisoni da combustibili fossili e cemento dal 1751 ad oggi - si legge nel report - sono state prodotte dal 1990 ad oggi. Queste aziende hanno significative responsabilità morali, finanziarie e legali sulla crisi climatica». Oltre alla triade Saudi Aramco, Chevron e Gazprom, la classifica include nomi come ExxonMobile (3,09%), National iranian oil (2,63%), Bp (2,51%) e Royal Dutch Shell (2,36%).

martedì 20 novembre 2018

Inceneritori, quello di Copenaghen non produce solo vapore acqueo. Lo dice la stessa azienda: “Emissioni al minimo”.

Inceneritori, quello di Copenaghen non produce solo vapore acqueo. Lo dice la stessa azienda: “Emissioni al minimo”

I fumi saranno ottimizzati, ma non è vero che l'impianto nella capitale danese emetterà solo vapore acqueo. La Babcock & Wilcox Vølund, azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione, assicura sulle "prestazioni avanzate" e sulla qualità dell'aria ma precisa che comunque emetterà un minimo di monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto.

L’inceneritore di Copenaghen produce solo vapore acqueo? No, non è vero. Lo dice la stessa azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi. Che non saranno solo di vapore acqueo, come scrivono diversi media italiani tra i quali il Corriere della Sera. Certo, le emissioni sono ottimizzate, ma comunque dal camino usciranno monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto. L’inceneritore potrebbe diventare una delle maggiori attrazioni turistiche di Copenaghen e molti, in questi giorni di polemica su quel tipo di impianti, citano la struttura della città danese in fase di ultimazione come un modello da seguire. Famoso perché ospiterà sul suo tetto una pista da sci e percorsi di trekking e per le sue tecnologie all’avanguardia, l’impianto emette però qualcosa in più oltre al semplice vapore acqueo e per funzionare guarda all’immondizia in arrivo da altri Paesi. Ecco come funziona.
Energia dai rifiuti. Amager Bakke, rinominato anche Copenhill perché ambisce a rappresentare una collina verde, dentro la città danese, è stato costruito da una società di cinque Comuni. Ha iniziato a funzionare a settembre 2017 in sostituzione di un altro inceneritore arrivato a 45 anni di anzianità. Con due linee di combustione, brucia in totale 70 tonnellate di rifiuti all’ora: in un anno, può trattare circa 400mila tonnellate di spazzatura, prodotta da 550-700mila cittadini e 46mila imprese. L’energia sprigionata dalla combustione torna alle famiglie sotto forma di elettricità per 50mila utenze e calore per 120mila. Per avere un termine di paragone, l’impianto di Brescia, il più grande d’Italia con oltre 700mila tonnellate incenerite nel 2017 ma una tecnologia più datata, produce energia elettrica pari al fabbisogno di oltre 200mila famiglie e calore per oltre 60mila appartamenti.
Non proprio vapore acqueo. “Gli amanti dello sci hanno bisogno di non preoccuparsi per la qualità dell’aria sul versante dello stabilimento”, si legge in una brochure della Babcock & Wilcox Vølund, azienda danese che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi, per ridurre le emissioni inquinanti dell’impianto. L’azienda assicura che l’inceneritore di Amager Bakke “rispetto al vecchio impianto riduce del 99,5 per cento le emissioni sulfuree e minimizza quello degli ossidi di azoto a un decimo”. Prestazioni avanzate, è vero, anche se nel fumo che esce dall’altissimo camino non c’è solo vapore acqueo, come qualcuno arriva a dire in questi giorni. La Vølund assicura che l’impianto manterrà le emissioni degli ossidi di azoto entro i 15 mg/Nm3, il monossido di carbonio sotto i 50, ammoniaca non oltre i 3, così come il carbonio organico totale. Se si osservano i dati delle emissioni di forni italiani (anch’essi frutto di autodichiarazioni da parte degli impianti), si osserva che i vantaggi dell’impianto di Copenaghen riguardano soprattutto gli ossidi di azoto, composti associati alla combustione (compresa quella da traffico) molto dannosi per l’apparato respiratorio. Per fare un confronto con l’inceneritore del Gerbido di Torino, entrato in funzione nel 2013, in media nel mese di settembre 218 la linea 1 dell’impianto ha emesso 2 mg/Nm3 di ossido di carbonio, 0,1 di carbonio organico totale, 0,7 ammoniaca, ma quasi 26 mg/Nm3 di ossidi azoto.
Sciare sull’inceneritore. A far parlare molto dell’impianto prima ancora della sua apertura al pubblico prevista per la primavera 2019 sono però, oltre alle prestazioni ambientali, le attività che si possono fare sul tetto e su uno dei lati. Copenhill ospiterà una pista da sci, percorsi su cui correre e passeggiare, un’area verde per il pic nic, una parete di arrampicata alta 80 metri, oltre che un ristorante e un bar. Costato circa 500 milioni di euro, di grosse dimensioni per raggiungere alti livelli di efficienza, adesso Amager Bakke conta sui turisti e sui rifiuti in arrivo da fuori confine per ripagare il cospicuo investimento.
Modello danese? Mentre la Lega propone un inceneritore per provincia e il Movimento 5 stelle non ne vuole neanche uno, gli operatori del settore rifiuti ricordano che per chiudere il ciclo ad oggi serve anche l’incenerimento. Per far diventare realtà l’economia circolare bisognerà puntare su riduzione dei rifiuti e di imballaggi non riciclabili, riuso, riciclo, affrontando però di pari passo il problema della parte della spazzatura impossibile da rigenerare. Oggi nelle regioni del Sud senza inceneritori questi scarti raggiungono il Nord o vanno in discarica con punte dell’80 per cento in Sicilia e del 58 in Calabria. Ma di fronte alle richieste dell’Europa di non superare il 10 per cento di rifiuti interrati entro il 2035 diventa molto difficile fare a meno degli altri impianti di smaltimento, seppur brutti e inquinanti.
In questo quadro, la Danimarca può davvero essere un modello da replicare? Non più di tanto. Copenaghen ha sì un impianto di combustione considerato all’avanguardia, ma ha avviato solo di recente la raccolta dei rifiuti organici, che da soli rappresentano circa un terzo degli urbani e sono una risorsa per produrre biometano e biogas. Non solo.
Nel Paese che vuole raggiungere il 50 per cento di riciclo entro il 2022 e la cui capitale sogna di diventare a emissioni zero entro il 2025, c’è il problema opposto a quello italiano: una sovraccapacità di incenerimento, con 28 impianti attivi per meno di 6 milioni di abitanti. L’incenerimento, seppur a ridotte emissioni e alti livelli di accettazione da parte dei cittadini, qui non si ferma alla gestione dei rifiuti ma è anche una strategia di sviluppo industriale. Lo stesso Copenhill, ha spiegato il direttore Clima della città di Copenaghen Jorgen Abildgaard, è stato sovradimensionato per ottenere dei benefici in termini di efficienza e ora come gli altri 27 cercherà rifiuti sui mercati stranieri. Tra il 2013 e il 2015, si legge nel rapporto annuale sul tema del ministero dell’Ambiente danese, l’importazione di rifiuti per l’incenerimento è passata da 160mila a 350mila tonnellate: oggi rappresentano l’11 per cento della spazzatura bruciata nel Paese e arrivano soprattutto dalla Gran Bretagna. Ma lo spazio nei forni c’è e la Danimarca guarda a tutta l’Europa, Italia compresa. Così, mentre da noi si litiga, chissà che qualcuno a Copenaghen già non pensi ai treni di immondizia che potrebbero arrivare dalla penisola per far marciare gli impianti danesi.
Fonte: ilfattoquotidiano del 19.11.2018