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giovedì 30 settembre 2021

Mutui a tasso zero, perché l’Italia è indietro rispetto a Francia e Germania. - Vito Lops

 

Gli italiani non stanno cogliendo appieno l’era dei tassi bassi che offre l’opportunità di utilizzare la casa per ottenere una liquidità aggiuntiva.

L’Italia è considerata un Paese «cicala» quanto a debito pubblico (160% del Pil). Se però si capovolge la prospettiva e ci si concentra sul debito privato l’immagine degli italiani cambia profondamente: diventiamo delle formichine. Con un rapporto tra indebitamento delle famiglie e reddito vicino al 60%, l’Italia è sotto della media dell’area euro che secondo gli ultimi dati elaborati dalla European mortgage federation e relativi a fine 2020 si spinge oltre il 90%, con punte oltre il 100% in Francia e Spagna.

Si arriva alla stessa conclusione analizzando lo stock di mutui, il valore dei finanziamenti in essere. In Italia è pari a 391 miliardi rispetto ai 1.136 miliardi di Francia e ai 1.666 del Regno Unito, due Paesi comparabili per popolazione. Spostandoci in Germania, anche se ha 20 milioni di abitanti in più (+25%), il confronto stride comunque dato che la terra dove la parola «debito» si confonde con la parola «colpa» (difatti «schuld» vuol dire entrambe le cose) ha uno stock di mutui quattro volte superiore.

Debito pubblico e debito privato

In sostanza gli italiani utilizzano molto meno la leva del debito privato rispetto ai vicini, magari più virtuosi (si veda la Germania e il suo 60% di debito/Pil pre-pandemico) se l’asse si sposta sulle finanze pubbliche. Ma chi sta sbagliando? Quei Paesi che sono formiche nel pubblico e cicale nel privato, oppure gli italiani, cicale in pubblico e formiche in privato? Per quanto possa sembrare controintuitivo in realtà in passato era piuttosto normale aspettarsi una relazione inversa tra debito pubblico e debito privato. Perché nel momento in cui il debito pubblico – per larga parte espresso attraverso titoli obbligazionari emessi dallo Stato – si trasforma in credito privato quando viene acquistato dai cittadini/investitori è evidente che il peso delle passività domestiche cala.

Oggi però le proporzioni stanno cambiando. La quota di BTp direttamente in mano alle famiglie è scesa drasticamente: siamo sotto il 5% rispetto al 20-30% degli anni Ottanta. Compriamo meno BTp che in passato (anche perché da tempo non offrono rendimenti accettabili) ma continuiamo a mantenere un atteggiamento guardingo quando c’è da utilizzare la leva finanziaria. Come si spiega questo atteggiamento?

Tutti i risparmi nella casa.

«Molto dipende da una vecchia mentalità, ancora radicata, che ha portato tanti ad investire tutti i risparmi nella casa. Questi risparmi poi si tramandavano con l’eredità rendendo meno necessario l’indebitamento per comprare una nuova casa – spiega Alessio Santarelli, direttore generale per la divisione broking di MutuiOnline.it -. Questa mentalità però è permeata così tanto che anche chi oggi si trova a dover acquistare una nuova casa, cerca di utilizzare il più possibile la propria liquidità e il meno possibile quella offerta dalla banca. Lo dimostra il fatto che solo il 54% delle compravendite immobiliari è oggi sostenuta da un mutuo. Inoltre – prosegue Santarelli – tra i Paesi europei siamo quelli che chiedono i mutui più bassi, con un loan to value di poco superiore al 60% a fronte di una media europea superiore all’80%».Insomma, pare che ci portiamo dietro un vecchio mindset, non più adeguato ai tempi moderni, quelli in cui i tassi sono straordinariamente bassi e i prezzi delle case, fatto 100 il valore nel 2010, valgono 78.

Educazione finanziaria, siamo dietro lo Zimbabwe.

«Oggi, abbinando il concetto di mutuo a quello di investimento, è possibile difatti stipulare un mutuo a tasso 0 – sottolinea l’esperto di MutuiOnline.it -. Ma molti non lo sanno. E questo è un problema di cultura finanziaria». Su questo fronte le statistiche sono impietose. Secondo una nota ricerca a «quattro mani» di Standard and Poor’s e Banca mondiale l’Italia si colloca al 63esimo posto nel mondo in termini di educazione finanziaria, dietro lo Zimbabwe. Se ci si sposta sui giovani studenti il quadro migliora, ma resta comunque opaco dato che l’indagine Pisa dell’Ocse su un campione di 20 Paesi europei posiziona l’Italia tra il 12esimo e il 13esimo posto. Sul lato mutui, l’educazione finanziaria «svela» che i tassi sono oggi tra i più bassi in Europa con un Taeg medio dell’1,25% (dati European mortgage federation).

Il mutuo e gli investimenti.

«Ciò vuol dire che se si guarda agli investimenti e ai mutui in modo congiunto è possibile chiedere, utilizzando la leva dell’ipoteca che permette di accedere al denaro a costi inferiori rispetto a un comune prestito, una liquidità aggiuntiva non da destinare alla casa ma agli investimenti», spiega Santarelli. «E con i frutti dell’investimento si può ridurre, fino ad abbattere, la quota interessi sul mutuo».

Insomma, date le condizioni di mercato, il mutuo potrebbe essere visto anche come un’occasione storica per accedere a costi bassissimi a una fonte di liquidità da utilizzare per gli investimenti. Se ci si focalizza solo sul debito non si riesce a compiere quel salto di mentalità su cui altri Paesi vicini, più preparati dal punto di vista finanziario, si sono elevati. «Questo non vuol dire che bisogna correre a super-indebitarsi. Tutt’altro – conclude Santarelli -. Ma allo stesso tempo conservare un atteggiamento da formiche, in questa fase storica ancora di più, è un’occasione sprecata per migliorare la qualità della vita».

ILSole24Ore

venerdì 10 settembre 2021

Stangata in vista su famiglie e imprese. Quadruplicati i costi di gas e luce. - Jacopo Gilberto

 

Sulla Borsa elettrica il prezzo medio all’ingrosso della corrente elettrica è passato dai 38 euro dell’anno scorso a 145 attuali.

Testa incassata fra le spalle e mandibole strette, prepariamoci alla botta. Prezzo medio all’ingrosso della corrente elettrica l’anno scorso: 38,92 euro per mille chilowattora. Ecco i dati della borsa elettrica italiana del Gestore dei Mercati Energetici: il 9 settembre per le forniture delle ore 20 la corrente elettrica all’ingrosso costa 174,23 euro per mille chilowattora. È il prezzo fissato l’8 settembre per le consegne del 9 settembre ai grossisti di elettricità.
Prezzo medio per oggi 145,03 euro, prezzo minimo 130,28 euro per mille chilowattora per le consegne elettriche delle 14.
In media, quattro volte tanto, spinti dai costi internazionali del metano e dalle speculazioni sui mercati europei Ets delle emissioni di CO2.

Ottobre bollente.

Il 1° ottobre è vicinissimo, e quel giorno come ogni tre mesi l’autorità dell’energia Arera aggiornerà le bollette di luce e gas. Le decisioni salvabollette su cui sta lavorando il Governo (si vedano sul Sole24ore gli articoli di Celestina Dominelli e Carmine Fotina del 5 settembre) potrebbero solamente attenuare una botta rintronante, peggio di quell’aumento scattato il 1° luglio con +9,9% per l’elettricità e +15,3% per il gas. 

Non basta. Sull’aggiornamento Arera si orientano anche i valori del mercato libero delle famiglie. Chi un anno fa aveva stipulato contratti a prezzo fisso con listini un quarto di quelli attuali potrebbe avere un rinnovo da cavar la pelle. 

Non basta. Il 1° ottobre comincia l’anno termico, cioè i contratti industriali di fornitura energetica durano dal 1° ottobre al 30 settembre, e in questi giorni molte aziende cominciano a chiamare per il rinnovo i fornitori di energia elettrica, metano, gasolio e così via. Ma in questi giorni molte telefonate tra clienti e fornitori hanno toni luttuosi.

Il pane e le brioche.

Non basta. L’energia, si sa, è alla base di un’infinità di consumi e di beni, come l’ossigeno ospedaliero, l’uva Italia, l’attività dei server dei motori di ricerca, il detersivo per piatti, i viaggi in treno o le vernici per legno. L’Assopanificatori ha dato un avviso sui rincari del prezzo più rappresentativo del ribollire della storia, brioche comprese: il pane.

In Europa gas ed elettricità.

Il tema non è solamente italiano e il rincaro autunnale dei costi dell’energia riguarda tutta Europa e in generale tutto il mondo.

Il metano sul mercato olandese Ttf, riferimento per tutta Europa, mercoledì 8 settembre ha raggiunto il prezzo da primato di 55 euro per mille chilowattora (sì, anche il gas si può misurare in termini di energia sviluppata).

I prezzi medi delle borse elettriche europee sono infiammati, il listino elettrico Epex rileva per giovedì 9 settembre quotazioni medie di 131,76 euro per mille chilowattora in Francia, 130,23 euro in Germania, 132 in Austria e così via.

Londra, un euro al chilowattora.

Ma in Inghilterra la media per le forniture elettriche del 9 settembre è 279,94 sterline, pari a 325 euro, con prezzi pazzeschi per stasera: 783 sterline per le 18 (911 euro), 867 per le ore 19 (1.009 euro), 687,55 sterline per mille chilowattora le consegne della sera alle 20 (800 euro).

Ripeto per i lettori più distratti: all’ingrosso per le forniture del 9 settembre la corrente in Inghilterra è quotata 1 euro al chilowattora.

L’industria: servono interventi.

Osserva Aurelio Regina, delegato Energia della Confindustria: «Bisogna intervenire in sede Ue sulla speculazione finanziaria nel mercato della CO2 che, assieme all’escalation dei prezzi del gas, è una delle cause principali dei rincari energetici».

Massimo Bello (Wekiwi), presidente dell’associatione dei grossisti e trader dell’energia Aiget, avverte che «tra le voci di rincaro la forte impennata del costo della CO2 non è un fenomeno transitorio e rischia di diventare strutturale. Difficile dire come contenere i prezzi; ed è un problema europeo, non italiano. Bisogna intervenite nella concentrazione e poca concorrenza delle materie prime? Nella struttura della formazione del costo della CO2? Nel creare nuova capacità? Nel favorire contratti pluriennali? Ci ha colpito — nota Bello — la scarsa attenzione data al fenomeno, e noi intermediari ci troviamo con l’esposizione al rischio dei pagamenti».

«Le aziende non si sono ancora rese conto», commenta Diego Pellegrino (Eroga Energia), presidente dell’associazione Arte che raccoglie circa 120 trader e rivenditori di elettricità e gas soprattutto di dimensioni medie o piccole. «Sarà una spallata per i settori energìvori, ad altissima intensità d’energia. Noi imprese energetiche in questi mesi abbiamo comprato a prezzo salatissimo e rivenduto al prezzo fisso stracciato e ora siamo assediati da fideiussioni pazzesche».

Gianni Bessi, analista politico dell’energia: «Bene l’azione del Governo sulle leve regolatorie delle tariffe. Non basta; serve una crescita strutturale per un Paese che non cresce dal 2008. Ecco perché gli attacchi al ministro Roberto Cingolani per una transizione ecologica che verte sul pragmatismo è mossa da un calcolo egoistico di partito o di una cultura asfittica alla crescita».

ILSole24Ore

mercoledì 21 luglio 2021

Dopo la Germania, l’apocalisse climatica colpisce la Siberia con incendi mai visti prima (e anche la Cina). - Sabrina Del Fico

 

La nube tossica che si è creata sulla città siberiana di Yakutsk, provocata dagli incendi di questi giorni, rappresenta uno degli eventi inquinanti peggiori al mondo. Ma non è solo la Russia ad essere colpita dai fenomeni estremi e distruttivi.

I tragici effetti dei cambiamenti climatici iniziano a vedersi in tutto il mondo, con fenomeni metereologici estremi e incontrollabili, che dopo il loro passaggio lasciano solo distruzione e morte. Lo abbiamo visto in Europa con i fenomeni alluvionali che hanno colpito soprattutto Germania e Belgio e che hanno provocato centinaia di vittime e miliardi di euro di danni. Anche il Canada e parte degli Stati Uniti, coperti da una cappa di calore record, subiscono lo scotto di incendi e assistono impotenti alla morte degli animali soffocati dal caldo.

Apocalisse di fuoco in Siberia.

Ma il calore si fa sentire anche in una delle regioni più fredde del mondo, la Siberia, dove ha causato incendi nella tundra e ha minacciato la città siberiana di Yakutsk con una densissima nube di fumo tossico ora monitorata dagli esperti. Gli alti livelli di particolato e di altri elementi chimici (come ozono, benzene e acido cianidrico) hanno creato uno degli eventi più inquinanti del mondo. Le autorità locali hanno invitato i 320 mila residenti dell’area a chiudersi in casa per evitare di respirare i fumi degli incendi.

Le analisi dei satelliti rivelano che i livelli in regione di PM2.5, piccole particelle che possono entrare nel flusso sanguigno e danneggiare gli organi umani, hanno superato la quantità di 1000 microgrammi per metro cubo i nei giorni scorsi – un livello 40 volte superiore a quello raccomandato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Si stima che tali livelli di agenti inquinanti possono avere effetti immediati e gravi sulla popolazione umana.

(Leggi anche: Un incredibile “tornado” di zanzare si è abbattuto sulla Siberia, oscurando persino il sole).

Gli scienziati vedono gli effetti dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo come un fattore molto importante nella formazione di questi incendi. Yakutsk, capitale della Repubblica di Sakha (nord-est della Russia), è generalmente la città più fredda al mondo ma a causa del riscaldamento globale le temperature estive nell’area sono aumentate 2,5 volte più velocemente rispetto alla media mondiale.

Lo scorso anno durante una prolungata ondata di calore nella regione siberiana le temperature sono rimaste più di 5 gradi superiori alla media nei mesi da gennaio a giugno, provocando lo scioglimento del permafrost l’arrivo di una primavera particolarmente calda e prematura non che lo scoppio di numerosi incendi boschivi in estate. Tuttavia il record si è superato questa primavera quando prima degli altri anni la taiga (la foresta boreale) ha preso fuoco molto facilmente perché fiaccata da siccità e calore estremo. 

Sono stati messi in campo piani militari per provare a spegnere questi incendi, e si è reso necessario il dispiegamento di più di 2000 uomini sul territorio: Si tratta della più importante operazione nell’area dalla fine dell’Unione Sovietica. Malgrado tutti questi sforzi, purtroppo, gli incendi continuano a sfuggire al controllo umano e, secondo il ministro per le emergenze della regione, attualmente sono attivi 250 incendi in un’area di 5,720 chilometri quadrati. 

La terribile alluvione in Cina. 

Anche l’altra parte del globo non sfugge ai fenomeni climatici estremi e devastanti: un’incredibile fenomeno alluvionale si sta abbattendo in queste ore sulla Cina, nella regione di Henan, distruggendo strade, abitazioni e collegamenti ferroviari. Per ora le vittime accertate del disastro sono 12, ma i dispersi sono ancora centinaia. L’alluvione è stata provocata da fenomeni piovosi eccezionali che hanno acuito i danni e portato all’evacuazione di 200.000 persone: le strade si sono trasformate in fiumi, con le macchine che hanno preso a muoversi spinte dalla corrente. Le città devastate dalla furia della natura sono più di una dozzina.

green-me

sabato 17 luglio 2021

La Germania devastata dalle inondazioni, oltre 130 morti.

 

In totale i morti in Europa sono 157.


Si aggrava il bilancio delle vittime del maltempo che sta devastando in questi giorni Germania, Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera. Il Paese più colpito è la Germania dove il numero delle persone morte a causa delle alluvioni è salito a 133.

In totale i morti in Europa sono 153. Lo riferiscono fonti ufficiali tedesche. La polizia di Coblenza ha fatto sapere che "secondo le ultime informazioni disponibili 90 persone hanno perso la vita" nella regione della Renania-Palatinato, una delle più colpite. A queste si aggiungono le 43 vittime nella Renania Settentrionale-Westfalia e le 24 persone morte in Belgio. 

"Nessuno può dubitare che questa catastrofe dipenda dal cambiamento climatico". Lo ha detto il ministro dell'Interno Horst Seehofer, parlando allo Spiegel. "Un'alluvione con così tante vittime e dispersi io non l'ho mai vissuta prima". Il ministro ha promesso aiuti per le aree colpite, e sollecitato maggiore impulso alle politiche ambientali.

"I nostri pensieri sono con le famiglie delle vittime delle devastanti alluvioni in Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi e con coloro che hanno perso la casa. L'Ue è pronta ad aiutare". Così la Commissione europea in un tweet, precisando che "i paesi interessati possono rivolgersi al meccanismo di protezione civile dell'Unione europea".

Il commissario per la gestione delle crisi Janez Lenarčič ha dichiarato che "l'Ue è pienamente solidale con il Belgio in questo momento difficile e sta fornendo un sostegno concreto. Esprimiamo le nostre condoglianze alle famiglie che hanno perso i loro cari". L'Ue sta anche fornendo la mappatura satellitare di emergenza Copernicus con mappe di valutazione delle aree colpite.

Le vittime delle alluvioni che hanno colpito il Belgio salgono ad almeno 24. Lo hanno reso noto le autorità belghe, sottolineando la difficoltà di raggiungere un gran numero di persone a causa di blackout e interruzioni delle reti telefoniche. Dalla serata di ieri il tempo è migliorato in tutto il Belgio e il livello dei fiumi si sta abbassando. Sono circa 120 i comuni colpiti, principalmente nel sud e nell'est del Paese. Il primo ministro belga, Alexander De Croo, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si trovano ora nelle aree più colpite per incontrare residenti, soccorritori e funzionari locali.

ANSA

martedì 1 settembre 2020

Le riforme degli altri. Anche in Europa provano a sforbiciare. - Giacomo Salvini

Le riforme degli altri. Anche in Europa provano a sforbiciare

L’Italia non è un unicum, anzi: l’obiettivo di ridurre il numero dei parlamentari è comune alle altre grandi democrazie europee. Non solo con il “sì” al referendum costituzionale il nostro Paese resterà al vertice in Ue per rappresentanza tra eletti ed elettori, ma si assimilerà a molti paesi simili: in mezza Europa fioccano proposte per ridurre il numero dei parlamentari. Quanto basta per far dire allo studioso Giacomo Delledonne, ricercatore di Diritto pubblico comparato all’Università Sant’Anna di Pisa che all’argomento ha dedicato un paper, che “la vicenda italiana più recente può essere letta come una declinazione particolare di un più vasto movimento europeo”. Partendo dalla stretta attualità, parallelamente alla campagna referendaria italiana c’è un’altra grande democrazia europea che sta provando a tagliare i parlamentari: la Germania.
Nella notte tra martedì e mercoledì la Grosse Koalition che sostiene Angela Merkel (Spd e Cdu) ha trovato un accordo dopo un’estenuante trattativa sulla riforma elettorale che avrà l’obiettivo di ridurre da 298 a 280 i distretti e, di conseguenza, tagliare anche molti parlamentari. Al momento infatti, il Bundestag (la Camera bassa tedesca, l’unica elettiva) è composto da un numero variabile di parlamentari: oggi sono ben 709 nonostante nel 1996 il governo ne avesse stabiliti 598. E questo per un complesso principio di mandati in eccedenza e mandati compensativi del sistema elettorale che fa sì che dal 2002 a oggi i componenti del Bundestag siano cresciuti esponenzialmente da 603 ai 709 attuali. E, secondo le previsioni, il prossimo parlamento tedesco potrebbe arrivare a 800 componenti, la seconda camera al mondo dopo la Cina: sarà il “Bundestag XXL” come lo hanno ribattezzato i giornali tedeschi. Ma considerata l’attenzione teutonica per costi e sprechi (il Bundestag è arrivato a 1 miliardo l’anno), la Germania sta correndo ai ripari: la riduzione dei distretti avverrà gradualmente già a partire dalle elezioni federali del prossimo anno e si completerà dopo quella del 2025.
Un’altra riforma sovrapponibile a quella italiana è quella del governo francese. Il progetto di riduzione degli eletti all’Assemblea Nazionale era uno dei punti principali del discorso di inizio mandato del Presidente Emmanuel Macron e da qui è nato il progetto di legge governativo presentato dal premier Philippe il 29 agosto 2019 che riduce il numero dei deputati di un quarto: da 577 a 404. In caso di approvazione, la Francia passerebbe da 0,9 deputati ogni 100.000 abitanti a 0,6 contro l’1 dell’Italia.
Infine anche il Regno Unito si sta muovendo per tagliare i componenti della House of Commons composta da 659 deputati contro gli 800 della Camera dei Lords (non eletti). Il progetto è partito nella legislatura 2010-2015 (governo Cameron) in cui conservatori e liberaldemocratici avviarono il processo di riforma: il Parliamentary voting system and Constituencies Act individuò a 600 il numero massimo di deputati, ma a oggi non è ancora stato trovato un accordo sulle nuove circoscrizioni elettorali. Per questo, conclude Delledonne, “non c’è nessun caso italiano e nessuna anomalia: “La tendenza è comune a molti altri Paesi europei”.

sabato 27 giugno 2020

Wirecard, lo schianto tedesco con il suo gioiello tecnologico. - Uski Audino

Wirecard, lo schianto tedesco con il suo gioiello tecnologico

La società dei pagamenti che sfidava i colossi del web imbarazza la Germania, tra coperture politiche ed errori della vigilanza.
“Tutte le strade portano al successo”, era scritto fino a ieri sul sito di Wirecard, la società di servizi finanziari e pagamenti elettronici finita al centro del più grande scandalo finanziario tedesco dalla Riunificazione. Ma tanto ottimismo non gli ha portato bene. Le strade ieri hanno portato il gioiello della finanza tecnologica a presentare richiesta di insolvenza al Tribunale di Monaco e l’ex ceo dell’azienda, Markus Braun, in una cella della procura con l’accusa di falso in bilancio e manipolazione di mercato. Dalle stelle del Dax alle stalle della bancarotta. Una prima assoluta nella storia tedesca. Braun è uscito dalla custodia cautelare grazie al pagamento di una cauzione da 5 milioni di euro, ma sulla sua testa pende un’accusa molto grave: truffa. Dal bilancio della società mancano all’appello 1,9 miliardi di euro (il 255 del totale) depositati in due banche delle Filippine. Sono scritti in bilancio, ma non ci sono estratti conto che ne confermino l’esistenza. Le somme sui conti fiduciari a favore di Wirecard per un totale di 1,9 miliardi di euro molto probabilmente non esistono”, ha detto la portavoce delle autorità inquirenti.
L’ipotesi è che Braun volesse “far apparire l’azienda finanziariamente più forte e più attraente per gli investitori e i clienti”, dicono dalla Procura. La scelta della società di presentare ieri “un procedimento di insolvenza per il rischio di incapacità di pagamento e sovraindebitamento” fa mormorare. Che l’ammanco sia maggiore? Due terzi delle vendite, dicono fonti vicine ai creditori, potrebbero essere state falsificate. I 15 istituti bancari che hanno prestato a Wirecard 1,85 miliardi fanno sapere di “non aver staccato la spina”. Quanto duri, non si sa. Intanto il titolo ha perso l’80% del valore in pochi giorni. Per avere un’idea del tonfo basti pensare che all’ingresso in Borsa nel settembre 2018 l’azienda valeva 24,6 miliardi e ora ne vale circa 3, mentre le azioni vendute a 190 euro, ieri erano scambiate a 9,96. Con buona pace dei piccoli azionisti.
Tutto comincia a inizio 2019 quando l’azienda, fondata nel 1999 nella periferia di Monaco dall’allora 30enne austriaco Braun, subisce una perquisizione nella sede di Singapore. In quell’occasione il Financial Times scrive che i conti sul mercato asiatico potrebbero essere stati “abbelliti”. Il risultato è che le azioni sprofondano da 160 a 99 euro. Braun grida al complotto. L’autorità di vigilanza bancaria tedesca, il Bafin, per tutta risposta vieta di scommettere contro le azioni di Wirecard per due mesi e, invece di aprire le indagini, querela i giornalisti. Nell’ottobre 2019 FT torna a scrivere dell’azienda e la scena si ripete. Questa volta la stampa finanziaria tedesca si allarma, aspetta che il Bafin intervenga, ma lo dice sottovoce per non turbare la sensibilità di chi vuole continuare ad andar fiero di quel gioiello tecnologico made in Germany in competizione con i colossi del web. Per allontanare le critiche Wirecard incarica come revisori la società Kpmg. In aprile il responso: “L’azienda non ha fornito tutti i documenti richiesti” e “non è stato possibile verificare in modo sufficientemente approfondito l’esistenza dei volumi delle transazioni nel periodo dal 2016 al 2018”. In parallelo Ernst & Young, che lavorano alla certificazione del bilancio 2019, giovedì non lo certificano. Le due banche filippine dicono di non avere tra i loro clienti Wirecard e che i documenti sono stati falsificati.
Il ministro tedesco dell’Economia, Peter Altmaier, si dice scioccato: “Ci saremmo aspettati una situazione del genere ovunque, ma non in Germania”. Il danno di immagine per il Paese è serio. Più mirata è la reazione del ministro delle Finanze, Olaf Scholz, che punta il dito contro la Vigilanza: “Dobbiamo chiarire rapidamente come modificare i nostri requisiti normativi per monitorare in modo completo, tempestivo e veloce anche le reti aziendali complesse”, “revisori e autorità di vigilanza non sono stati efficaci”. Felix Hufeld, presidente del Bafin, ammette “il completo disastro”. Ci vorrà più di un mea culpa nell’audizione in commissione Finanze il primo luglio.
La stampa tedesca ora si chiede come l’illusione Wirecard sia potuta durare tanto. “Per troppo è stata vista come una piantina fragile cresciuta in casa che doveva essere protetta”, ha detto il deputato tedesco Fabio De Masi. Era il sogno che la Germania voleva sognare: guardare i giganti Usa del web “all’altezza degli occhi”.

martedì 19 maggio 2020

Francia e Germania ci copiano anche sul Recovery fund. Sì a un piano per la ricostruzione da 500 miliardi a fondo perduto. - Laura Tecce

MERKEL MACRON

Sul tavolo dell’Eurogruppo, che la scorsa settimana ha dato il via libera definitivo al piano Sure per la cassintegrazione e alle linee di credito del Mes, era rimasto il “piatto” più “gustoso” in termini di reale potenza economica: il Recovery Fund, vale a dire il nuovo fondo europeo per contrastare la crisi post pandemia finanziato attraverso l’emissione di obbligazioni garantite dal bilancio Ue aggiuntivo rispetto al Piano Finanziario pluriennale 2021-27. La proposta in merito della Commissione Ue è attesa tra dieci giorni, ma intanto dalla cancelliera Angela Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron è arrivata ieri una proposta congiunta di un piano di ricostruzione da 500 miliardi di euro. Che non dovranno essere rimborsati dai destinatari del prestito, bensì “dagli Stati membri”, come ha tenuto a precisare Macron.
Costituirà un supplemento straordinario, integrato nella decisione sulle risorse proprie del bilancio Ue, con un volume e una data di scadenza chiaramente specificati e sarà collegato a un piano di rimborso vincolante: si tratta di una vera e propria condivisione del debito. Ha vinto dunque linea dei “Nove”, cioè di quei Paesi che, con Francia e Italia in testa, sin dall’inizio avevano prospettato questa soluzione, riscontrando però la rigidità dei rigoristi del Nord, con l’Olanda – noto paradiso fiscale – sul piede di guerra. Ma la Germania, l’unico vero temibile ostacolo, alla fine ha fatto un passo indietro e Merkel, in video collegamento insieme al collega francese, ha parlato di “uno sforzo straordinario e unico che abbia come obiettivo la coesione dell’Europa”, ribadendo che la crisi del coronavirus ha colpito in modo diverso i Paesi europei e che dunque il Recovery Fund dovrà dare un contributo alla tenuta dell’Europa, assicurando che questa esca dalla crisi insieme e più forte di prima”.
In ogni caso l’ampliamento della cornice del bilancio europeo dovrà essere ratificata dai parlamento nazionali, ma rispetto alle nebbie che qualche giorno fa sembravano addensarsi all’orizzonte, quella di ieri è decisamente più che una schiarita. Creare un coordinamento più forte in Europa nell’ambito della salute “deve diventare una nostra priorità” ha affermato Macron, “I 500 miliardi di euro sono lì per rispondere alla crisi sanitaria ed economica e andranno a settori non solo tecnologici. È una forte risposta economica che aiuterà a combattere la disoccupazione nelle regioni più vulnerabili”. Finalmente si dà un valore reale alle parole “solidarietà” e “coesione”, finora rimaste abbastanza sulla carta, e anche Von der Leyen rassicura: “Accolgo con favore la proposta costruttiva fatta da Francia e Germania. Riconosce la portata e le dimensioni della sfida economica che l’Europa deve affrontare e giustamente pone l’accento sulla necessità di lavorare su una soluzione con il bilancio europeo al centro.
Ciò va nella direzione della proposta su cui sta lavorando la Commissione, che terrà conto anche delle opinioni di tutti gli Stati membri e del Parlamento europeo”. Grande soddisfazione, ovviamente, da parte del governo italiano: “Quanto appena dichiarato dal presidente Macron e dalla Cancelliera Merkel rappresenta un buon passo in avanti che va nella direzione sin dall’inizio auspicata dall’Italia per una risposta comune ambiziosa alla pandemia. Questa posizione è evidentemente il frutto del lavoro congiunto con altri partner europei, in primis l’Italia, in vista della proposta della Commissione Ue sul Recovery Fund e più in generale sugli altri temi evocati come salute, investimenti, ricerca, politica industriale e concorrenza, che rappresentano obiettivi prioritari”.

lunedì 20 aprile 2020

L'opinione (non richiesta) di Massimo Erbetti

Mes Italia Europa - ViaCialdini

5 maggio
"Ei fu. Siccome immobile,
dato il fatal sospiro,
stette la salma immemore
orba di tanto spiro... "

Così scriveva Manzoni nel 1821, dopo aver appreso della morte di Napoleone. Ma il 5 maggio potrebbe anche essere la morte definitiva dell'Unione Europea per mano della Corte Costituzionale tedesca.
La Germania, o meglio la Corte Costituzionale tedesca ha già per ben due volte, spinta dal ricorso di 35 deputati della Cdu di Angela Merkel, da sempre ostili a qualsiasi forma di condivisione del debito su scala europea, e perciò favorevoli solo al Mes, ha provato a bloccare qualsiasi iniziativa che prevedesse piani di salvataggio dell'euro che non fossero il MES. La prima volta cerco di bloccare le operazioni Omt (Outright monetary transactions), poi il Quantitative easing, cioè l'acquisto di titoli pubblici dei paesi dell'eurozona in difficoltà.
In entrambi i casi la Corte europea ha precisato che la Bce può svolgere la propria politica monetaria senza ricorrere al Mes.
Il 5 maggio 2020, ci sara una ulteriore sentenza della Corte Costituzionale in merito all'adozione di misure che non siano il MES, se il parere della Corte dovesse essere negativo, la Germania non appoggerà nessuna misura differente dal Mes, nessun eurobond o coranabond...niente di niente e sarà la morte definitiva dell'Unione Europea e dell'euro stesso. Altro che solidarietà europea, altro che unione solidale, l'Europa ha un solo unico nemico: la Germania di Angela Merkel. Per cui anche se il 23 aprile il consiglio dei capi di governo dovesse trovare un accordo per gli eurbond, per i recoverybond e comunque anche per l'emissione di nuova moneta, il tutto potrebbe essere vanificato dal parere della Corte Costituzionale tedesca...eh si perché i tedeschi sono furbi, non basta il voto del parlamento, no, loro si sono tutelati, loro hanno pensato bene di fare un passaggio ulteriore, il che è positivo per il popolo tedesco, ma lo è altrettanto per l'Europa? Si può entrare in una unione pensando solo al proprio profitto? Si può essere parte di qualcosa solo per aumentare il proprio predominio? Non è certo questo lo spirito da cui era nata l'idea di Europa unita...5 maggio 2020..il giorno della nascita di una nuova Europa o il giorno della sua morte definitiva?

giovedì 9 aprile 2020

La Germania guadagna dagli spread. Per questo non vuole gli eurobond. - Enrico Grazzini



In Europa, e nell’Eurozona in particolare, si litiga sugli eurobond, le obbligazioni comuni europee che verrebbero garantite con i soldi della Banca centrale europea: la cosa buffa (apparentemente) è però che i soldi non costano nulla alla Bce.

La moneta è fatta al 95% di bit che costano zero, e al 5% di carta che costa quasi nulla. Stampare moneta è gratis ma la moneta ha un formidabile potere magico: può fare ripartire l’economia, l’occupazione e i redditi. La Bce potrebbe stampare tutta la moneta necessaria per rilanciare l’economia europea che si avvia verso una recessione a precipizio.

Invece è frenata e congelata dalla Germania che ha tutto l’interesse all’austerità monetaria. Infatti, più i Paesi mediterranei cadono in recessione, più i capitali fuggono verso Deutschland. Così lo spread – il differenziale del costo del debito con la Germania – sale per i Paesi più fragili. In questo modo l’economia tedesca può avvantaggiarsi dalla speculazione finanziaria e indebitarsi a tassi negativi o irrisori.


Prima della moneta unica, se i capitali fuggivano verso il marco questo si rivalutava, e la corrispondente svalutazione della lira faceva sì che l’Italia rimanesse a galla grazie all’aumento dell’export. Ora invece, con la moneta unica, la pressione di mercato sui titoli del debito pubblico fa sì che i Paesi periferici dell’euro – come l’Italia – rischiano di non potersi più finanziare e di fallire, o di dovere ricorrere alle “amorevoli cure” della Troika.


Questo accade nell’eurozona. Intanto il governo cinese prevede di stanziare 7500 miliardi di yuan, pari a 1000 miliardi di euro, per coprire gli investimenti pubblici necessari a rilanciare l’economia dopo la crisi coronavirus. Negli Usa la Fed, la banca centrale americana, stamperà circa 2000 miliardi di dollari per lo stesso scopo.


Rashida Tlaib, la parlamentare socialista seguace di Bernie Sanders, ha proposto che il Tesoro emetta altri 2 trilioni di monete legali di platino in modo che tutti i cittadini degli Stati Uniti abbiano immediatamente 2000 dollari caricati su carta bancomat del Tesoro, e poi altri mille ogni mese. Infatti, in base a un’antica legge americana, la Fed ha il monopolio della carta moneta ma il Tesoro può emettere (senza limiti) monete metalliche legali. La moneta del Tesoro non costituirebbe neppure debito pubblico. Mutatis mutandis, una cosa del genere si potrebbe fare in Italia con i Titoli di Sconto Fiscale. Essi funzionerebbero come “quasi-moneta” legale senza aumentare il debito pubblico nazionale.


Comunque, gli europei sono gli unici che hanno paura a monetizzare gli enormi debiti (per molte centinaia di miliardi) che gli stati dovranno fare per uscire dal baratro della crisi. È vero che la Bce ha già emesso 750 miliardi di euro per acquistare titoli di stato nazionali ma pochi sanno che questi miliardi non servono per l’economia reale, bensì (quasi) solo alle banche.


Infatti la Bce compra titoli di stato dalle banche per alimentare le loro riserve liquide: ma non è detto che poi le banche prestino soldi alle economie in difficoltà. Per esempio, se mio cugino ha un milione di euro di riserva non è detto che mi presti dei soldi quando io ho dei problemi. Anzi: il business delle banche è tipicamente pro ciclico: prestano tanto se va bene, prestano poco o nulla se va male. È per questo motivo che occorrono gli eurobond.


Gli eurobond verrebbero emessi da un ente europeo – come la Banca Europea degli Investimenti, il Meccanismo Europeo di Stabilità, o un altro ente creato apposta – e sarebbero obbligazioni sicure che gli investitori privati comprerebbero applicando bassi interessi perché sono coperti dalla Bce. Così gli stati avrebbero direttamente i miliardi da spendere per sollevare l’economia reale. Il problema è che, mentre Cina e Usa hanno già programmato di stampare trilioni, l’Eurozona stenta a trovare fondi comuni anche solo per pochi centinaia di milioni di dollari.


Ha ragione il premier Giuseppe Conte (che si sta dimostrando un vero statista). Siamo ad una svolta della storia d’Europa. O l’Unione Europea emette titoli di debito comuni – un po’ come il Tesoro americano emette i Treasury bond – oppure l’Europa (e l’euro) morirà nella crisi frantumandosi in tanti pezzi. La cosa paradossale è che la Bce potrebbe “stampare” tutta la moneta che vuole per comprare gli eurobond, senza togliere un centesimo ai contribuenti europei. Anzi, ci guadagnerebbero tutti. Ma non può.


Quando un illustre economista della Bocconi, come Roberto Perotti, declama che la Germania ha ragione a non volere gli eurobond perché non ne ha bisogno e perché pagherebbe di più il suo debito, dimostra di pensare più da ragioniere che da economista. L’Italia non deve chiedere aiuto a nessuno. Deve solamente far capire che essere uniti nella crisi serve a tutti. Se cade l’euro, anche la Germania va in crisi.


Questa volta Conte può vincere perché Francia e Germania, i due pilastri dell’Euro e della Ue, sono schierati su fronti opposti. Per la prima volta la Francia dell’ex banchiere Emmanuel Macron si è alleata con Italia e Spagna. E Macron ha in mano la carta vincente che si chiama Bce, l’unica istituzione europea che conta forse più del Bundestag perché ha il monopolio della moneta europea.


Alla Bce la presidente francese Christine Lagarde sarà costretta a finanziare sempre e comunque i debiti nazionali per non fare cadere l’euro: la Francia, l’Italia e la Spagna non sono la Grecia. Per questo la Germania alla fine potrebbe essere costretta a cedere sugli eurobond. A meno che non sia follemente miope e non voglia la rovina dell’euro.



venerdì 6 marzo 2020

La signora di Shanghai in Germania - coronavirus.

File:Quentin Metsys - Les usuriers.jpg
Quentin Metsys - Gli Usurai

Se la signora di Shanghai che ha portato il virus in Germania era asintomatica, è assurdo pensare che lo fosse perchè vaccinata a priori e inviata in giro per il mondo per propagare l'infezione?
Tutta la storia del coronavirus, attingendo alle notizie - sempre se vere - che vengono diramate, provoca perplessità sempre più pungenti.
Se, effettivamente, si tratta di un virus prodotto in laboratorio, come si ventila sempre più insistentemente, è possibile pensare che chi ha prodotto il virus abbia prodotto anche un antidoto? Anticamente, per acquisire lo spazio vitale, si facevano guerre armate, dove, però, in campo di battaglia morivano anche i condottieri che divenivano eroi; oggi, i novelli condottieri, che nulla hanno in comune con gli antichi eroi, seduti comodamente sulle loro poltrone hanno ben altri sistemi per abbattere e ridurre parte della popolazione aumentata in modo esponenziale: gli basta schiacciare un pulsante o fare una semplice telefonata e poco importa se non verranno acclamati eroi, perchè ciò che hanno intascato dall'"eroico" gesto, assicurerà a loro ed ai loro successori un buon posto nelle alte sfere della società ed una vita più che agiata.
E non che le guerre fossero un bene, ma uccidere nascondendo la mano oserei dire che sia il massimo del peggio...
Ma forse sbaglio perché l'uomo ha dimostrato di essere capace di stupirci con effetti speciali e che al peggio che potrebbe produrre, non c'è mai fine.

Le società cambiano...in peggio.
La furbizia diventa una virtù, fare il bene comune diventa cialtroneria e, a volte, criminalità.
Meditate genti, meditate.
C. 


martedì 8 ottobre 2019

Germania, divario tra ricchi e poveri ai massimi storici. - Isabella Bufacchi

(Marka)

La disuguaglianza dei redditi è ai massimi storici in Germania. Nonostante dieci anni di crescita e un boom economico segnato dall’aumento dei salari, cresce il divario tra ricchi e poveri. Lo dice un rapporto uscito oggi della Fondazione Hans-Böckler.

La disuguaglianza dei redditi, il divario tra ricchi e poveri ha toccato un nuovo massimo storico in Germania. Dieci anni di crescita, un boom economico e l’aumento dei salari non sono riusciti ad arrestare la tendenza di una crescente disparità di reddito. Secondo un rapporto uscito oggi dell’Istituto Ricerca Economica e Sociale WSI della Fondazione Hans-Böckler vicina al mondo dei sindacati e della DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund, la maggiore confederazione dei sindacati in Germania), la disparità di reddito disponibile ha continuato ad allargarsi tra il 2005 e il 2016: alla fine del 2016, il coefficiente di Gini, il noto metro per misurare la disuguaglianza, era superiore del 2% rispetto al 2005. Le famiglie povere sono sempre più al di sotto della soglia di povertà, si evidenzia inoltre nel rapporto. «Sempre più persone sono colpite dalla povertà in Germania», afferma WSI.

Due fattori spiegano il divario più ampio
Sono due i fattori principali, secondo i ricercatori, che hanno contribuito all’aumento della disuguaglianza negli ultimi anni: le persone ad alto reddito hanno tratto maggiore beneficio dai profitti aziendali e dai rialzi delle azioni in Borsa, «mentre la stragrande maggioranza delle famiglie in Germania è rimasta indietro». Il 40% delle famiglie con i redditi più bassi non è riuscito a tenere il passo con l’aumento della ricchezza delle famiglie più benestanti. Secondo il rapporto - che tiene conto del mercato del lavoro con una disoccupazione ai minimi storici e un’occupazione piena, della crescita economica dal 2010 e degli aumenti salariali - il reddito disponibile è salito per il ceto medio ma non per i più poveri, con grandi disparità di trattamento tra chi percepisce regolarmente lo stipendio e chi no.

Dorothee Spannagel, tra gli autori del rapporto WSI, riconosce che la disuguaglianza sta crescendo a un ritmo molto più lento rispetto all’inizio del 2000, perchè chi percepisce regolarmente uno stipendio ha avuto un aumento del reddito disponibile, al netto dell’inflazione. Ma anche il divario tra ceto medio e classi più povere sta aumentando. «Nonostante questa tendenza positiva, la polarizzazione in Germania continua - sostiene Spannagel.- Il settore delle retribuzioni molto basse continua ad essere molto ampio, mentre i super ricchi, cioè i multimilionari e miliardari, hanno tratto più beneficio dal boom della Borsa, dall’impennata dei prezzi nel mercato immobiliare, dagli alti profitti aziendali. La disuguaglianza riduce la partecipazione sociale e politica e compromette il funzionamento dell’economia sociale di mercato». La crescita economica degli ultimi anni non è dunque servita a ridurre la disparità tra ricchi e poveri: uno sviluppo macroeconomico positivo non è sufficiente per ridurre le disuguaglianze e la povertà, secondo Spannagel.

Ricchi più ricchi.
La stampa tedesca cita anche un recente studio dell'Istituto tedesco di ricerca economica DIW secondo il quale la ricchezza in Germania è distribuita in modo molto disomogeneo: l’1% dei tedeschi più ricchi ha quasi un quinto del patrimonio netto nazionale, il 10% ha il 56 per cento. Il 50% della popolazione è il ceto più povero, circa 40 milioni di persone. Tuttavia secondo DIW la disuguaglianza di ricchezza non è aumentata negli ultimi dieci anni in Germania.

Le soluzioni. Dorothee Spannagel della Fondazione Böckler indica tra le tante soluzioni, una tassazione più alta per la popolazione con i redditi più elevati e un aumento dei salari minimi.
Il coefficiente di Gini. La ricerca tiene conto del coefficiente di Gini, l’indicatore più comune della distribuzione del reddito con valori compresi tra zero (tutte le famiglie hanno lo stesso reddito) e uno (una singola famiglia ha l'intero reddito nel Paese). Alla fine del 2016, il coefficiente Gini del reddito familiare disponibile in Germania era di 0,295 con un aumento del 19% della disuguaglianza rispetto alla fine degli anni '90 quando il Gini era poco meno di 0,25 e comunque in aumento rispetto allo 0,289 del 2005. La disuguaglianza in Germania è aumentata molto rapidamente alla fine degli anni '90 e nella prima metà degli anni 2000.

martedì 26 febbraio 2019

Euro, studio tedesco: “La Germania ci ha guadagnato più di tutti. Per gli italiani perdita di 73mila euro pro capite”.




Un rapporto del Centrum für europäische Politik stima in 23mila euro pro capite l'impatto positivo della moneta unica per i tedeschi tra 1999 e 2017. Seguono gli olandesi con 21mila euro di guadagni. Roma e Parigi guidano invece la classifica dei "perdenti". I numeri sono ricavanti confrontando l'andamento del pil con quello di altri Stati che non hanno adottato l'euro e che in precedenza avevano performance economiche simili.


La Germania e i Paesi Bassi hanno tratto enormi benefici dall’euro nei vent’anni trascorsi dalla sua introduzione, mentre per quasi tutti gli altri membri la moneta unica ha rappresentato un freno alla crescita economica. E l’Italia è il Paese in cui la moneta unica ha avuto i maggiori effetti negativi: senza l’euro, tra 1999 e 2017 il pil del Paese sarebbe aumentato di 4.300 miliardi di euro in più, pari a 73.600 euro pro capite. Sono le conclusioni a cui arriva lo studio 20 years of the euro: winners and losers del think tank tedesco Centrum für europäische Politik(Cep), secondo cui i Paesi membri che hanno promosso l’ortodossia di bilancio e criticato il salvataggio dei Paesi più indebitati sono stati i maggiori beneficiari della valuta unica. Dietro l’Italia nella classifica dei più penalizzati c’è la Francia, con una perdita di 56mila euro pro capite. Al contrario, i tedeschi grazie all’ingresso nell’Eurozona si ritrovano più ricchi di 23mila euro pro capite e gli olandesi di 21mila.

Vantaggi e perdite stimati con il metodo del “controllo sintetico” – Il report, firmato da Alessandro Gasparotti e Matthias Kulas, stima i guadagni e le perdite di pil determinati dall’ingresso nell’area euro con un metodo definito “controllo sintetico“. In pratica si tratta di confrontare le performance dei Paesi che sono entrati con quelle di diversi altri Stati (gruppo di controllo) che non hanno adottato l’euro e negli anni precedenti avevano registrato trend economici molto simili a quelli del Paese considerato. Lo studio si concentra otto paesi su 19 dell’area euro, quelli in cui c’è stato un lungo gap tra ingresso nella Ue e introduzione dell’euro, perché negli altri casi il risultato avrebbe potuto essere “distorto dall’ingresso nellUe e nel suo mercato unico”. I ricercatori specificano che il metodo non tiene conto di eventuali riforme messe in campo nei Paesi considerati. 








“L’Italia non ha capito come essere competitiva” – Per l’Italia il gruppo di controllo è costituito da Gran Bretagna (con un peso del 63,2%), Australia (31%), Israele (3,8%) e Giappone (2%), scelti perché nel periodo pre euro avevano pil pro capite non troppo diversi da quelli italiani. L’economia tedesca è stata invece messa a confronto con un paniere che comprendeva il Bahrain, il Giappone e la Gran Bretagna. “In nessun altro Paese tra quelli esaminati”, si legge nella scheda sulla Penisola, “l’euro ha causato simili perdite di prosperità. Questo è dovuto al fatto che il pil pro capite italiano ha ristagnato da quando è stato introdotto l’euro. L’Italia non ha ancora trovato un modo per essere competitiva all’interno dell’Eurozona. Nei decenni prima dell’euro il Paese a questo fine svalutava la sua moneta. Dopo l’introduzione dell’euro questo non è stato più possibile. Sarebbero state necessarie riforme strutturali. La Spagna mostra come queste riforme possano ribaltare il trend negativo”.
Nel 2017 impatto positivo di 280 miliardi per la Germania– Nel solo 2017, sostiene lo studio, il fatto di far parte dell’Eurozona ha avuto un impatto positivo di 280 miliardi per la Germania e un impatto negativo di 530 miliardi per l’Italia, pari a 8.700 euro pro capite. Gli effetti cumulati sulla prosperità nel periodo 1999-2017 – il 1999 è l’anno di debutto dell’euro sui mercati finanziari, anche se come moneta sarebbe entrato in circolazione solo nel 2002 – sono calcolati sommando i dati pro capite di ogni anno e “moltiplicando i risultati per il tasso di consumo medio nazionale del Paese” nel periodo prima dell’ingresso nell’euro.
La Grecia, si legge nel rapporto, “ha guadagnato molto nei primi anni dopo l’introduzione dell’euro, ma dal 2011 ha sofferto enormi perdite. Sull’intero periodo, il bilancio è lievemente positivo, per 2 miliardi o 190 euro per abitante”.