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sabato 17 luglio 2021

La Germania devastata dalle inondazioni, oltre 130 morti.

 

In totale i morti in Europa sono 157.


Si aggrava il bilancio delle vittime del maltempo che sta devastando in questi giorni Germania, Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera. Il Paese più colpito è la Germania dove il numero delle persone morte a causa delle alluvioni è salito a 133.

In totale i morti in Europa sono 153. Lo riferiscono fonti ufficiali tedesche. La polizia di Coblenza ha fatto sapere che "secondo le ultime informazioni disponibili 90 persone hanno perso la vita" nella regione della Renania-Palatinato, una delle più colpite. A queste si aggiungono le 43 vittime nella Renania Settentrionale-Westfalia e le 24 persone morte in Belgio. 

"Nessuno può dubitare che questa catastrofe dipenda dal cambiamento climatico". Lo ha detto il ministro dell'Interno Horst Seehofer, parlando allo Spiegel. "Un'alluvione con così tante vittime e dispersi io non l'ho mai vissuta prima". Il ministro ha promesso aiuti per le aree colpite, e sollecitato maggiore impulso alle politiche ambientali.

"I nostri pensieri sono con le famiglie delle vittime delle devastanti alluvioni in Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi e con coloro che hanno perso la casa. L'Ue è pronta ad aiutare". Così la Commissione europea in un tweet, precisando che "i paesi interessati possono rivolgersi al meccanismo di protezione civile dell'Unione europea".

Il commissario per la gestione delle crisi Janez Lenarčič ha dichiarato che "l'Ue è pienamente solidale con il Belgio in questo momento difficile e sta fornendo un sostegno concreto. Esprimiamo le nostre condoglianze alle famiglie che hanno perso i loro cari". L'Ue sta anche fornendo la mappatura satellitare di emergenza Copernicus con mappe di valutazione delle aree colpite.

Le vittime delle alluvioni che hanno colpito il Belgio salgono ad almeno 24. Lo hanno reso noto le autorità belghe, sottolineando la difficoltà di raggiungere un gran numero di persone a causa di blackout e interruzioni delle reti telefoniche. Dalla serata di ieri il tempo è migliorato in tutto il Belgio e il livello dei fiumi si sta abbassando. Sono circa 120 i comuni colpiti, principalmente nel sud e nell'est del Paese. Il primo ministro belga, Alexander De Croo, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si trovano ora nelle aree più colpite per incontrare residenti, soccorritori e funzionari locali.

ANSA

mercoledì 29 luglio 2020

Fontana, si indaga in Svizzera per risalire ai soldi (del 1997). - Davide Milosa

Fontana, si indaga in Svizzera per risalire ai soldi (del 1997)

La Procura vuole riannodare il filo dei 5,3 milioni di euro di eredità “scudati” nel 2015 dopo vent’anni alle Bahamas.
L’inchiesta milanese sui camici prima venduti alla Regione dal cognato del governatore Attilio Fontana poi trasformati, su indicazione dello stesso, in un tentativo di donazione mai formalizzata e che vede indagato anche il presidente della Regione, ora vira sui soldi. La caccia è iniziata dopo la scoperta di un conto svizzero aperto presso la Ubs riferibile al governatore e dal quale Fontana ha tentato un bonifico (poi fallito) da 250mila euro in favore del cognato Andrea Dini e della società Dama Spa protagonista della vicenda dei camici. Obiettivo del bonifico, secondo i pm: risarcire il parente della fornitura non pagata. La Procura di Milano ha già intrapreso colloqui informali con le autorità svizzere e sta valutando una rogatoria per capire meglio il giro del denaro. Il quadro non è semplice, per questo è stato acquisito agli atti il fascicolo dell’Agenzia delle entrate al quale è allegata anche la voluntary disclosure con cui nel 2015 Fontana ha fatto emergere 5,3 milioni di euro ereditati dalla madre. Denaro dichiarato e oggi gestito dalla società milanese Unione fiduciaria che opera su un conto svizzero. Il denaro per quanto ricostruito dai pm era gestito fino allo “scudo fiscale” da un doppio trust aperto alle Bahamas. Un sistema societario e di schermatura nato tra il 1997 e il 2005 e riferibile alla madre di Fontana, ex dentista allora ultraottantenne. Fin dal 1997, così, Fontana, secondo la Procura, risulta beneficiario di quel conto poi appoggiato su uno strumento finanziario aperto in un paradiso fiscale.
Insomma la storia dei 75mila camici che Dama doveva fornire ad Aria, la centrale acquisiti della Regione, per 513mila euro mai pagati, sta diventando un giallo finanziario con al centro il governatore Fontana al momento accusato di frode in pubbliche forniture. Reato legato, secondo la Procura, non al denaro svizzero, ma al mancato adempimento della fornitura che, stando a una mail di Andrea Dini inviata il 20 maggio all’ex dg di Aria Filippo Bongiovanni (entrambi indagati per turbata libertà del contraente e di frode come Fontana), si è fermata a 49mila camici facendo mancare all’appello gli altri 26mila che Dini ha poi provato a vendere a una società della provincia di Varese a 9 euro (tre in più rispetto all’offerta fatta ad Aria). A dare il la all’indagine è però sempre il denaro. L’inchiesta parte, infatti, dopo una segnalazione sospetta della Banca d’Italia il 22 maggio. Tre giorni prima, il 19, Fontana chiede al cognato di trasformare la fornitura in donazione e fa richiesta alla Unione fiduciaria di fare il bonifico da 250mila alla Dama con la causale generica sulla fornitura camici ad Aria.
L’8 luglio i magistrati hanno acquisito il materiale detenuto dall’Unione fiduciaria. Da qui ripartiranno per riannodare il filo. Che inizia nel 1997 e prosegue con la creazione di due trust appoggiati alle Bahamas di cui lo stesso presidente risulta beneficiario ed erede dopo la morte del genitore. Del resto l’uso dei trust sembra una abitudine nella famiglia allargata di Fontana. La stessa Diva Spa che detiene il 90% della Dama è a sua volta controllata dalla Credit Suisse Servizi Fiduciari che amministra il Trust Diva e che ha attirato l’attenzione della Procura. Sul fronte fornitura camici si delinea meglio il reato contestato a Fontana e legato, secondo i pm, alla richiesta del presidente di trasformare quella fornitura in donazione per evitare danni di immagine. Sappiamo che la donazione mai è stata formalmente accettata dalla Regione e che soprattutto all’appello mancano 26mila camici. Fontana, ieri, in Consiglio regionale ha confermato di aver chiesto al cognato di passare alla donazione. Inoltre ha spiegato di essere venuto a conoscenza del contratto di Dama il 12 maggio. Circostanza che invece Bongiovanni retrodata al 10 maggio, una domenica, quando la notizia atterra sul tavolo del capo della segreteria del presidente Giulia Martinelli, ex compagna di Matteo Salvini.

martedì 4 luglio 2017

Sulle Alpi svizzere il fossile di un rettile corazzato.

Ricostruzione artistica del rettile delle Alpi Eusaurosphargis dalsassoi (fonte: Beat Scheffold, Paleontological Institute and Museum, University of Zurich) © Ansa
Ricostruzione artistica del rettile delle Alpi Eusaurosphargis dalsassoi (fonte: Beat Scheffold, Paleontological Institute and Museum, University of Zurich)

Straordinariamente ben conservato, ha 241 milioni di anni.

Un fossile straordinariamente ben conservato scoperto sulle Alpi svizzere ha rivelato lo scheletro completo di un antico rettile corazzato, vissuto circa 241 milioni di anni fa. Descritto sulla rivista Scientific Reports, è un esemplare estremamente raro chiamato Eusaurosphargis dalsassoi e ha permesso al gruppo di ricerca coordinato dall'università svizzera di Zurigo e da quella britannica di Oxford di farsi un'idea molto chiara dell'anatomia e dello stile di vita.

Lungo circa 20 centimetri, il rettile aveva la maggior parte del corpo ricoperta da placche corazzate, con file spinose lungo i fianchi che lo proteggevano dai predatori. Questa struttura lo rende molto simile a una bizzarra specie di lucertola africana, chiamata Ouroborus cataphractus, che con il rettile delle Alpi non ha alcuna parentela e che ha evoluto in modo indipendente corazza e spine, probabilmente ispirando con il suo aspetto alcune leggende sui mitici draghi.

Il fossile delle Alpi è stato trovato a 2.740 metri di altitudine, nella località di Ducanfurgga, ed è il secondo di questa specie ad essere descritto: il primo risale al 2003, scoperto in Italia sul Monte San Giorgio, ma si trattava di un esemplare incompleto. L'animale era venuto alla luce insieme a molti fossili di pesci e rettili marini, portando gli scopritori a credere che anche il rettile corazzato rinvenuto potesse essere un animale acquatico, ipotesi smentita dallo studio più recente, che ha potuto avere a disposizione uno scheletro perfettamente integro.

venerdì 27 gennaio 2017

Paesi isolati, da Svizzera per liberarli.

 © ANSA

Volontari e frese dal Canton Ticino a Castelli e Pietracamela.


ANSA) - CASTELLI (TERAMO), 25 GEN - Cinquanta persone fra autisti e pompieri, otto frese trasportate su sei camion appositamente allestiti, generatori di corrente, pale da neve e viveri: una macchina della solidarietà che si è mossa dalla Svizzera, per la precisione dal Canton Ticino, e in poche ore ha raggiunto, nell'Abruzzo martoriato dalla nevicata della settimana scorsa e dal terremoto, prima la patria della ceramica, Castelli, poi la vicina Pietracamela, nel Teramano, isolate da metri di neve e senza energia elettrica
"'Ci sono cumuli di neve fino a 4 metri'. Abbiamo fatto presente a uno dei volontari coinvolti, che da undici anni lavora sul Passo del San Gottardo, e lui ha risposto 'ma io sposto anche cumuli di 10, che problema c'è?". A raccontare all'ANSA com'è nato in poche ore, grazie al tam tam sulla rete, il 'Convoglio solidarietà Ticino in Abruzzo' è Danilo Cau, sardo di nascita, titolare di una piccola ditta di trasporti nella valle locarnese. 
Dieci gli autotrasportatori, compresi lui e Joe Palmieri, che si sono messi a disposizione facendosi carico di spese di carburante e pedaggi autostradali. "Non sono mai stato in Abruzzo, ma per noi lavorare in mezzo alla neve è normale. Quando mi ha chiamato Joe, abituato a lavorare a 1500 metri di quota su strade a rischio slavina, e mi ha detto che la notte pensava all'emergenza in Abruzzo, non ci ho pensato due volte". Il primo di tre convogli è partito il 21 all'alba, sta rientrando in queste ore in Svizzera. 
"Ci siamo organizzati in poche ore. Abbiamo utilizzato tutti mezzi di scorta, per non lasciare sguarnito il nostro territorio - racconta Cau che dalla sua azienda ha coordinato le operazioni - alle 12 di giovedì 19 eravamo pronti con 11 persone e quattro veicoli (due camion, uno per trasporto eccezionale che ha portato una fresa per sgombero neve più grande, un furgone della protezione civile locale e un fuoristrada con spazzaneve), ma abbiamo atteso il pomeriggio del 20 per avere il via libera dalla dogana, dopo un'ordinanza del Comune di Castelli che autorizzava il nostro ingresso in Italia per aiuti a seguito di calamità naturale. 
Siamo partiti alle 5 del 21, arrivati alle 18 a Isola del Gran Sasso, un'ora dopo eravamo operativi". "Sul posto ci siamo resi conto che l'emergenza era stata determinata dalla disorganizzazione - osserva Cau - solo nella notte fra lunedì e martedì, sempre per tempi burocratici, è potuto partire il secondo convoglio che ha operato con frese cingolate a Pietracamela e Prati di Tivo e, completato lo sgombero della neve, dovrebbe ripartire domani; il terzo convoglio è all'opera da stamattina". Quale sarebbe stato il costo di un'operazione simile, se ci fosse stato un committente? La stima è circa 30mila euro, considerando le spese vive, l'ammortamento dei mezzi e le giornate di lavoro. Domattina partiranno dalla valle locarnese due furgoni con cibo per animali. Era già pronto il quarto convoglio. "Non servirà - fa sapere Cau - mi hanno chiamato da Arsita che era sotto 4 metri di neve ma ora pare la situazione sia migliorata". "L'operazione - comunica Danilo a tutti i suoi sostenitori su Facebook - invece di circa due giorni si è conclusa in mezza giornata. Quindi l'intervento volge verso la conclusione e Joe e banda sono già in viaggio verso il Ticino. Grazie veramente a tutti per questo successo, anche quelli che non sono partiti, ma che si sono messi a disposizione!". (ANSA)

giovedì 26 novembre 2015

Ordine francescano e speculazioni finanziarie: investiti 50 milioni in resort e hotel di lusso in Africa e in Medio Oriente. - Antonio Massari

Ordine francescano e speculazioni finanziarie: investiti 50 milioni in resort e hotel di lusso in Africa e in Medio Oriente

Tre frati di san Francesco avevano affidato a un faccendiere il tesoretto per ottenere il 13,5% di interessi, che però non sono mai arrivati. E i soldi sono andati in fumo. Quattro gli indagati nelle inchieste che si svolgono in Italia e Svizzera e che sono partite dopo la denuncia dei nuovi vertici dell'ordine.

I soldi destinati alle opere religiose si sono trasformati in resort di lusso sparsi tra l’Africa e il Medio Oriente. Non solo. I frati li avevano affidati a un faccendiere – parliamo di circa 50 milioni di euro – per pura speculazione: intendevano ricavarne il 13,5 per cento di interessi. Ma nulla è andato secondo i programmi. Anzi. Ieri mattina tre frati e un faccendiere sono stati perquisiti, le indagini si svolgono in Italia e in Svizzera, sono stati eseguiti sequestri per 5 milioni di euro. E soprattutto: le operazioni svolte ieri dalla Guardia di finanza e dalla Polizia elvetica portano in calce la firma simbolica di Papa Francesco. Il motivo è semplice: perquisizioni e indagini nascono proprio dalla denuncia dell’ordine francescano e, per la precisione, dai vertici attuali della Casa Generalizia, della Provincia Lombarda e della Conferenza dei ministri provinciali dell’ordine.
In altre parole: sono stati gli uomini vicini al Papa a denunciare l’ammanco di ben 49,5 milioni di euro dalle casse degli enti religiosi e a mettere la procura di Milano sulle tracce degli indagati.Parliamo dell’ex economo della curia generalizia dei frati minori, frate Giancarlo Lati, del suo omologo nella Provincia Lombarda, frate Renato Beretta, e infine dell’economo della Conferenza dei ministri provinciali, frate Clemente Moriggi. I tre sono accusati di concorso in appropriazione indebita. Secondo l’accusa – sostenuta dai pm di Milano Adriano Scudieri, Sergio Spadaro e Alessia Miele – hanno trasferito milioni di euro, senza alcuna autorizzazione e per di più violando le finalità religiose, nelle casse di Leonida Rossi, nato in Italia e residente in Kenya. L’obiettivo – davvero poco francescano – era quello di ottenere una speculazione del 13,5 per cento sulle somme in questione. Rossi è il quarto indagato: è accusato, infatti, di aver impiegato denaro di provenienza illecita. L’uomo, secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, nella notte tra ieri e oggi si è ucciso, impiccandosi nella sua villa.
Ma c’è dell’altro. I frati infatti, puntando a ottenere il 13,5 per cento di interessi sui milioni in questione, non si sono affidati a una banca o a un mediatore finanziario. Rossi risulta amministratore unico della Anycom srl, di cui detiene il 95 per cento, in società con Denise Denoyelle (non indagata, ndr). L’oggetto sociale della Anycom srl è piuttosto generico: “Importazione, esportazione, commercio di prodotti e manufatti ogni genere. Assunzione di partecipazioni in altre società”. Insomma, i tre frati affidano decine di milioni di euro a un uomo che si occupa, sulla carta, di import export. E infatti, non avendo alcun titolo per raccogliere denaro ed esercitare il credito, Rossi è anche indagato per aver svolto abusivamente un’attività finanziaria. Il faccendiere depositava il denaro sui suoi conti personali, a Lugano, nella filiale della Credit Suisse.
L’operazione inizia nel 2007 e, secondo l’accusa, Rossi non ha mai restituito la gran parte dei soldi che i frati gli hanno affidato. Il denaro prende altre vie. Decine di milioni, destinati alle finalità religiose, vengono utilizzati per realizzare resortalberghivillaggi turistici in mezzo mondo. Rossi li reinveste per realizzare strutture turistiche tra l’Africa e il Medio Oriente. I frati provano a richiedere gli interessi pattuiti e la somma versata ma, a partire dal 2011, non vedono più un centesimo. Non solo. Lo scorso anno Rossi avrebbe ammesso di non essere più in grado di restituire nulla. Eppure nel frattempo – tra il 2010 e il 2012 – il faccendiere riesce a incassare altri 680mila euro, questa volta non dai frati francescani, ma dall’Opera don Bosco per le missioni. E tutto questo potrebbe essere soltanto il filo iniziale della matassa, che potrebbe essere ben più complessa, considerato che gli investigatori sospettano altri flussi di denaro verso le casse della Fortis Bank. Le indagini della procura di Milano e della Guardia di finanza sembrano solo all’inizio. Di certo c’è che i nuovi vertici dell’Ordine francescano, da tempo sull’orlo del crac finanziario, hanno denunciato le irregolarità avvenute dal 2007 al 2014. Le loro testimonianze sono risultate fondamentali per avviare l’inchiesta. È altrettanto certo, secondo gli investigatori, che la vicenda riguardi anche altri ordini religiosi, come i missionari dell’Opera don Bosco. Infine, non risulta che, tra le opere caritatevoli, san Francesco avesse messo al primo posto un tasso d’interessi del 13,5 per cento o la realizzazione di villaggi turistici. Ma questa è una certezza che non riguarda soltanto il diritto penale.

domenica 18 gennaio 2015

Franco svizzero, la sottile linea tra protezione e bolla speculativa. - Alberto Bagnai

La decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di sganciare il franco dall’euro, determinandone un brusco rincaro, ha colto tutti di sorpresa. Gli industriali svizzeri già se ne lamentano: per valutare il significato di questa mossa è quindi utile ricordarne motivazioni e conseguenze.
Già a fine 2008 lo sconquasso causato dalla Lehman Brothers aveva spinto al rialzo la valuta svizzera, classico “bene rifugio”. Dopo una fase di relativa stabilità, nel 2010 lo scoppio della crisi dei debiti sovrani, che sembrava minacciare la sopravvivenza dell’euro, aveva alimentato gli acquisti di franchi, facendogli guadagnare un ulteriore 18 per cento fino all’autunno del 2011. 
Nata come operazione difensiva, l’acquisto di franchi stava diventando una vera e propria bolla speculativa (la situazione in cui gli investitori acquistano uno strumento finanziario solo perché si aspettano che il prezzo salga, e domandandolo contribuiscono a farne crescere il prezzo, convalidando così le proprie aspettative).
Con buona pace di chi vede nella Svizzera solo un paradiso fiscale, l’incidenza del manifatturiero sul valore aggiunto è più alta in Svizzera che in Italia (rispettivamente, 19 per cento e 15 per cento del valore aggiunto totale). Escludendo chi vede nella svalutazione una piaga biblica sempre e comunque, sarà facile agli altri capire che all’industria svizzera un franco così alto non faceva comodo, perché penalizzava le esportazioni. Da qui la decisione di arrestarne l’ascesa al livello di 0.80 euro per franco.
La situazione si è mantenuta stabile fino giovedì. L’annuncio della BNS che non avrebbe più “difeso” la parità ha spinto in apertura il franco ad apprezzarsi del 25 per cento sull’euro, per poi stabilizzarsi intorno a 0.96 euro per franco. Il fatto è che il mantenimento della parità, se da un lato tutelava le imprese svizzere, dall’altro aveva conseguenze negative sulla composizione del portafoglio di investimenti esteri del paese.  
Per mantenere il cambio stabile, la BNS doveva soddisfare la domanda di franchi, vendendoli in cambio di dollari ed euro. La Svizzera si era così trovata ad avere uno stock di riserve ufficiali spropositato, classificandosi quarta dopo Giappone, Cina e Arabia Saudita (paesi esportatori di ben altre dimensioni), con un rapporto riserve/Pil vicino all’80 per cento (negli altri paesi avanzati questo rapporto normalmente è a una cifra).
Nell’economia generale di un paese essere così ricchi di valute pregiate (o supposte tali) non è una cosa così buona come sembra, perché l’investimento in valute è meno redditizio di altri investimenti esteri. Inoltre, restando agganciato all’euro il franco ne stava condividendo il triste destino nei confronti del dollaro, perdendo quasi il 15 per cento rispetto a quest’ultimo nell’ultimo anno.  
Si sostiene, credo con fondamento, che la BNS abbia voluto anticipare gli effetti del quantitative easing di Draghi, il programma di acquisto di titoli di Stato che ci si attende contribuisca a un ulteriore indebolimento dell’euro rispetto al dollaro. Le conseguenze sarebbero state una ulteriore flessione rispetto al dollaro (che avrebbe compromesso lo status di valuta “forte” del franco), e un’ulteriore fuga dall’euro verso il franco (che avrebbe costretto la BNS a imbottirsi ulteriormente di una valuta come l’euro, soggetta a una tendenza ribassista, e forse, chissà, a rischio di estinzione).
L’improvviso rincaro del franco è un segnale che dovrebbe scongiurare queste due eventualità. Sarà interessante seguire la vicenda.

venerdì 16 gennaio 2015

Cosa è successo oggi al franco svizzero

snb

La Svizzera ha abbandonato la soglia minima nel tasso di cambio con l’euro – che vuol dire? – e questo potrebbe essere un problema per le esportazioni svizzere

La Banca Centrale Svizzera (SNB) ha rinunciato alla sua politica di difesa del tasso di cambio di 1,20 franchi svizzeri per euro, mantenuta negli ultimi tre anni per evitare che la sua valuta aumentasse troppo di valore rispetto alla moneta europea e al dollaro. L’annuncio ha sorpreso buona parte degli analisti e degli investitori, che appena un mese fa erano stati rassicurati dai responsabili della SNB con promesse sul mantenimento della politica di blocco del franco svizzero. La borsa di Zurigo è arrivata a perdere fino al 10 per cento prima di recuperare; il valore al cambio del franco svizzero è aumentato rapidamente.
Nel 2011 la Banca Centrale Svizzera aveva deciso, unilateralmente e assumendosene tutte le responsabilità (come disse la Banca Centrale Europea all’epoca), di istituire un limite minimo di cambio a 1,20 franchi per euro, temendo che la sua valuta potesse rafforzarsi troppo rispetto alle altre monete. Era il periodo della grande instabilità economica e finanziaria dovuta alla crisi di alcuni paesi europei, Italia compresa, e molti investitori ritenevano che in Europa solo il franco svizzero potesse dare buone garanzie per la tenuta dei loro investimenti. La domanda per la valuta continuava ad aumentare e di conseguenza il suo valore: la SNB intervenne per evitare che aumentasse troppo, cosa che avrebbe potuto danneggiare le esportazioni (chi compra dall’estero beni prodotti in un altro paese deve di solito fare i conti con il cambio, e se è troppo sfavorevole spesso si rivolge altrove).
Dopo essere rimasto fermo a un minimo di 1,20, oggi alla rimozione del blocco da parte della SNB il franco svizzero ha aumentato sensibilmente il suo valore fino al 39 per cento circa rispetto all’euro e al dollaro, poi è sceso stabilizzandosi intorno al 14 per cento. Questo significa che con 1 euro si ottengono 1,03 franchi e non più 1,20 come era in precedenza. Il principale indice azionario della borsa di Zurigo ha perso il 10 per cento, e in molti casi le aziende che sono andate peggio sono state quelle che basano buona parte dei loro affari sulle esportazioni.
grafico-chf-euroIl limite di 1,20 era stato accolto positivamente dagli esportatori, che in questo modo avevano una garanzia sul fatto che il franco svizzero non potesse apprezzarsi più di tanto rispetto ad altre valute. Nick Hatek, amministratore delegato di Swatch, uno dei più grandi esportatori di orologi della Svizzera, ha detto che la decisione della SNB equivale a uno “tsunami per le esportazioni e per il turismo, e di conseguenza per l’intero paese”. Le azioni di Swatch hanno perso fino al 16 per cento in borsa. Anche i titoli bancari hanno sofferto, con UBS e Credit Suisse – due delle principali banche svizzere – che hanno perso fino all’11 per cento.
La Banca Centrale Svizzera ha motivato la sua decisione ricordando che la sua “misura eccezionale e temporanea ha protetto l’economia della Svizzera che rischiava di subire seri danni”. Per mantenere la soglia minima nel tasso di cambio, infatti, la SNB si era impegnata negli ultimi anni ad acquistare enormi quantità di euro per controbilanciare la domanda di franchi svizzeri, tanto da spingere alcuni detrattori a contestare questa politica. A novembre dello scorso anno era stato bocciato un referendum che se fosse passato avrebbe obbligato la SNB a convertire in oro parte delle sue riserve, cosa che secondo i sostenitori della consultazione avrebbe permesso di rendere la sua politica economica più stabile e sicura.
Comunicando la fine della soglia minima, la SNB ha inoltre spiegato che il dollaro ha aumentato ultimamente il proprio valore, cosa che in parte dovrebbe attenuare gli effetti della sua decisione. La Banca ha anche portato a -0,75 per cento il tasso di interesse che viene applicato ai fondi delle banche che sono depositati presso la stessa SNB. Il principale tasso di riferimento sul franco, il LIBOR, è stato aggiustato verso il basso ed è ora a -1,25 e -0,25 per cento (fino a ora era stato a -0,75 e a +0,25 per cento).
http://www.ilpost.it/2015/01/15/fine-soglia-minima-franco-svizzero/

martedì 26 marzo 2013

La Padania? A Sud della Svizzera. Italiani vittime del razzismo elvetico. - Fabio Sebastiani



Due anni e mezzo fa furono ritratti come topi ('Bala i ratt'), ora, con le comunali che si avvicinano,l’immagine che simboleggia l’accusa di essere “ladri di lavoro” è un manifesto con un gruppo di uomini in mutande. Siamo a Lugano, nel “Sud della Svizzera”, in uno dei luoghi simbolo della Padania. A difendere i lavoratori c'è il sindacato Unia che sottolinea la loro insostituibilità. 
Ad interpretare i “neri” sono ottomila lavoratori italiani che ogni giorno attraversano la frontiera per racimolare reddito. Ironia della sorte, il partito che porta avanti l’odiosa campagna si chiama Udc. Niente a che vedere con il “democristo” Pier, ovviamente. Diciamo che sono un po’ più a destra sui temi sociali. Ma il trattamento razzista a due passi dalla casa della Lega fa ugualmente impressione.
Come nella campagna dei 'ratti' anche in questo caso fra i promotori oltre all'Udc vi e' la stessa agenzia pubblicitaria che nel 2010 ideo' l'immagine dei grossi topi che rosicchiavano formaggio emmenthal. "I nostri lavoratori sono messi sotto pressione dagli accordi bilaterali, soprattutto nel settore terziario. Sempre piu' sostituiti da lavoratori frontalieri, i nostri disoccupati tendono inesorabilmente ad aumentare" spiega l'Udc ticinese. Le elezioni comunali si terranno a Lugano, Mendrisio e Terre di Pedemonte il 14 aprile
Le campagne dell'Udc, note in tutta la Svizzera per i toni violenti e xenofobi, hanno precedenti anche in Ticino. Nel caso della campagna "Balairatt" (ballano i ratti) delle legislative, furono raffigurati tre ratti (italiani e romeni) intenti a divorare il formaggio svizzero.
Quest'anno l'attenzione più che sulle fabbriche punta sul terziario e denuncia una sorta di sostituzione tra personale ticinese e italiano, a minor costo, a volte fino al 40% inferiore. I cartelloni chiedono "un po' di lavoro anche per i nostri..."
Il lavoro degli stranieri in Svizzera viene difeso dal sindacato Unia, che nei giorni scorsi ha lanciato una campagna contro la xenofobia distribuendo cartoline e bandiere da esporre sul balcone di casa. Il sindacato mette in evidenza come la Svizzera non possa più funzionare senza le lavoratrici e i lavoratori migranti. Infatti, senza frontalieri e lavoratori stranieri residenti in Svizzera, non sarebbe praticamente possibile costruire case, produrre cioccolata, curare i malati o fare ricerca e innovazione. Basti pensare che il 69 % dei lavoratori edili non ha il passaporto svizzero come pure circa il 60 % delle ricercatrici e dei ricercatori e del personale addetto alla produzione di cioccolato.


http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2013/3/26/32185-la-padania-a-sud-della-svizzera-italiani-vittime-del/

Ecco spiegato l'innaturato razzismo dei leghisti...adottano con i loro concittadini lo stesso metodo utilizzato dai loro denigratori d'oltralpe.