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domenica 18 luglio 2021

“Così hanno fatto la cresta sui soldi per curare i bimbi”. - Vincenzo Bisbiglia

 

Roma, Olbia, Bangui: nei verbali nuove “ombre” sul denaro destinato agli ospedali pediatrici. Dal Fondo calciatori al concerto di Baglioni.

C’è un filo rosso nelle carte dell’inchiesta sui fondi del Vaticano, quello legato ai soldi destinati agli ospedali pediatrici. Strutture spesso costrette a ricorrere a donazioni per acquistare macchinari o finanziare ricerche all’avanguardia per la cura dei bambini. Dalla Sardegna a Roma fino al Centrafrica, agli atti del Promotore di Giustizia d’Oltretevere ci sono due verbali chiave. Il primo riguarda gli interrogatori del 9 novembre e del 7 dicembre 2020 resi da Enrico Crasso, il contabile che per anni ha gestito i fondi della Segreteria di Stato vaticana, imputato per corruzione e peculato nell’ambito del processo che inizierà presso la Santa Sede il 27 luglio. L’altro risale al 31 agosto 2020 e contiene le dichiarazioni spontanee di monsignor Alberto Perlasca, l’ex braccio destro e oggi principale accusatore del cardinale Angelo Becciu, ex terza carica dello Stato vaticano, anche lui a processo con le accuse di peculato e abuso d’ufficio. Perlasca, inizialmente indagato, è stato invece prosciolto proprio in seguito alla collaborazione offerta ai pm.

Centro analisi soldi al fondo calciatori a costo triplicato.

Fra le accuse a Crasso c’è la sottoscrizione nel 2020 di un preliminare di vendita con la Sport Invest 2000 per l’acquisto di un immobile in via Gregorio VII a Roma, al costo di 3,9 milioni di euro, “a fronte di un valore effettivo di 1,3 milioni”, si legge nel capo d’imputazione. La Sport Invest gestisce un fondo denominato “Fondo calciatori a fine carriera”, in quel momento in grossa difficoltà economica. Crasso a verbale dichiara che “Perlasca mi segnalò l’esigenza di acquistare un immobile da adibire come laboratorio analisi per il Bambin Gesù”, il noto ospedale pediatrico romano. Quello che rilevano gli inquirenti è che Crasso era anche il gestore esterno del Fondo, dunque in potenziale conflitto d’interessi. “Sono miei clienti dal 1995 – ha ammesso il contabile – me li presentò il marito della professoressa Severino”, intesa Paola Severino, estranea all’inchiesta e avvocato rappresentante di parte civile della Santa Sede. L’affare non si concretizzerà.

Baglioni perlasca: “ombre sull’evento in aula nervi”.

Fondamentali, a detta degli inquirenti, per cristallizzare le accuse, sarebbero state le dichiarazioni di Perlasca, prelato diretto sottoposto di Becciu all’epoca in cui era Sostituto alla Segreteria di Stato. Fra le “ombre” gettate sulla gestione del cardinale emerge il concerto di beneficenza di Claudio Baglioni (totalmente estraneo all’inchiesta) il 16 dicembre 2016, in un’aula Nervi gremitissima, con quasi 12mila persone presenti. L’incasso doveva essere destinato al restauro di un ospedale pediatrico a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. “Alla Segreteria di Stato arrivarono 600 o 700.000 euro – scrive Perlasca nella memoria presentata ai pm vaticani – Non mancai di rappresentare a mons. Becciu tutta la mia delusione: tanto clangore per soli 700.000 euro!”. Ancora: “Non osai fare cattivi pensieri, ma le cose mi rimanevano ugualmente non chiare (…) I conti non tornano”. E poi: “La sig.ra Enoc (Mariella Enoc, direttrice del Bambin Gesù, ndr) continuava a insistere nel dire di darle i soldi, perché il Papa le aveva detto di aver dato alla Segreteria di Stato una certa cifra per l’ospedale. In ufficio risultavano però 2 milioni di euro di meno”. Secondo Perlasca, “sono stati rifatti i conti più e più volte” ma “non sono mai tornati e alla fine la cosa venne lasciata cadere”. Alla fine l’ospedale verrà realizzato con 3 milioni donati dal Papa, 750mila dalla Gendarmeria (l’incasso del concerto) e 1 milione da una donazione privata da Novara, città natia di Enoc.

Mater olbia “hanno lucrato sui fondi arrivati dal qatar”.

Perlasca sferra l’attacco diretto a Becciu su un altro tema, l’ospedale pediatrico Mater Olbia. Una storia travagliata, che inizia nel 2012, quando l’emiro del Qatar, Tamim Al Thani, decide di investire attraverso la Qatar Foundation per replicare in Sardegna il Bambin Gesù di Roma. Dice Perlasca a verbale: “Ci volevano 40 milioni per acquistare l’immobile e 40/45 milioni per renderlo funzionale. Mi si assicura che i fratelli Becciu fecero il loro sporco guadagno su quest’ultima cifra, mediante appalti e subappalti a ditte ogni volta più scadenti e opache, con ricarichi del 10/15 per cento”. Il riferimento è alla falegnameria di Giuseppe Becciu (non indagato), fratello del cardinale Angelo, che secondo le dichiarazioni a verbale di Perlasca, avrebbe lucrato su vari appalti, dall’abbellimento della Nunziatura Apostolica a Cuba (“voleva costruire un pronao davanti alla porta per fare in modo che gli ambasciatori non si bagnassero (…), ma a Cuba piove una volta l’anno”) fino al “restauro dell’appartamento cardinalizio in cui risiede il card. Becciu”, dice Perlasca il 31 agosto 2020.

Becciu difesa: “calunnie, smonteremo le accuse”.

Le accuse rese a verbale da Perlasca non sono state tutte tradotte dagli inquirenti in capi d’imputazione. Per questo gli avvocati dell’ex prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi le reputano “completamente infondate e sganciate dalla realtà storica”, rese “da chi rilasciava dichiarazioni da imputato senza obblighi di verità”. Ovvero: “Tutte calunnie”. Non solo. L’avvocato Fabio Viglione, che difende Becciu, assicura al Fatto che “i bonifici evidenziati dall’accusa” pagati dalla Segreteria di Stato alla Diocesi di Orzinuovi e poi alla Cooperativa Spes di Antonio Becciu (fratello di Angelo, ndr) “hanno una spiegazione perfettamente lecita e addirittura meritoria, finalizzati all’aiuto di persone gravemente bisognose. Daremo piena dimostrazione in aula”.

“Sistema marcio” Il petrolio e il palazzo di Londra.

Nel 2012 la Santa Sede voleva investire circa 250 milioni in Falcon Oil, trust partner di Eni impegnato nella ricerca del petrolio in Angola. L’affare poi è saltato e i soldi sono stati destinati all’acquisto di un prestigioso edificio nel quartiere Chelsea a Londra: il valore del palazzo è crollato e la gestione è stata oggetto di una presunta truffa con ricatto ai danni del Vaticano e – ipotizzano i pm – nonostante l’intervento diretto di Papa Francesco. Da questo episodio è nata l’inchiesta che il 3 luglio scorso ha portato al rinvio a giudizio di 10 persone, accusate a vario titolo di corruzione, peculato, abuso d’ufficio, truffa e estorsione. Fra loro diversi alti prelati funzionari della Segreteria di Stato del Vaticano, fra cui il reggente dell’ufficio documentazione, Mauro Carlino e, soprattutto, l’ex Sostituto agli Affari Generali, Angelo Becciu, quest’ultimo accusato di peculato e abuso d’ufficio. Fu proprio Becciu, nel 2012, ad avviare la valutazione del maxi-investimento nel blocco 15/06 offshore in Angola, su proposta del suo contatto Antonio Mosquito. Ma dopo una prima valutazione positiva, la due diligence affidata al finanziere Raffaele Mincione diede esito negativo. Mincione spinse così la Santa Sede, nel 2014, a impegnare parte di quei fondi nell’acquisto del palazzo in Sloane Avenue, ex magazzino di Harrods, attraverso la partecipazione al fondo Athena Capital, sempre riconducibile a Mincione. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, quando l’immobile iniziò a svalutarsi e la Segreteria di Stato spinse per uscire dall’affare, entrò in gioco il broker molisano Gianluigi Torzi, che nel frattempo – sempre per i pm – aveva rifilato azioni carta straccia al Vaticano, ottenendo a inizio 2019 una buonuscita da 15 milioni, oggetto della presunta estorsione, per chiudere la partita.

ILFQ

giovedì 24 giugno 2021

Ddl Zan, Draghi: 'L'Italia è uno Stato laico, rispettate tutte le garanzie'.

 

'Le Camere sono libere di discutere' dice Draghi. La Santa Sede ha chiesto "informalmente" al governo di modificare il disegno di legge contro l'omofobia. Letta: "Pronti al dialogo sui nodi". Ostellari: "Sediamoci per confronto".


Durante la replica in Senato il premier Mario Draghi  sgombra il campo dagli equivoci sul ddl Zan. ' " L'Italia è uno stato laico.  Il Parlamento è certamente libero di discutere e non solo.

Il nostro ordinamento contiene tutte garanzie per rispettare gli impegni internazionali tra cui il concordato. Ci sono controlli preventivi nelle commissioni parlamentari. Ci sono controlli successivi nella Corte costituzionale". Lo ha detto il premier Mario Draghi nella replica al Senato. "Il governo non entra nel merito della discussione. Questo è il momento del Parlamento, non è il momento del governo". Lo dice il premier Mario Draghi nella replica in Aula al Senato sul ddl Zan.

"La segreteria di Stato rileva che alcuni contenuti dell'iniziativa legislativa" del ddl Zan, "particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi 'fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere' - avrebbero l'effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario". E' quanto si legge nella nota verbale indirizzata il 17 giugno dalla segreteria di Stato vaticana all'ambasciata d'Italia presso la Santa sede, che l'ANSA ha potuto visionare. "Ci sono espressioni della Sacra Scrittura e delle tradizioni ecclesiastiche del magistero autentico del Papa e dei vescovi, che considerano la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina". E' quanto si legge nella nota verbale sul ddl Zan indirizzata il 17 giugno dalla segreteria di Stato vaticana all'ambasciata d'Italia presso la Santa sede. "Tale prospettiva - prosegue la nota verbale - è infatti garantita dall'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di Revisione del concordato lateranense, sottoscritto il 18 febbraio 1984'". 

Qualcuno lo vede come un intervento a gamba tesa, altri come una occasione per riaprire il dialogo tra i vari fronti opposti sulla questione. La Santa Sede ha ufficialmente chiesto al governo italiano di ripensare, "rimodulare" è la parola usata Oltretevere, il ddl Zan perché, così com'è ora, potrebbe configurare una violazione del Concordato, mettendo a rischio "la piena libertà" della Chiesa cattolica. Un appunto che mons. Richard Gallagher, il diplomatico vaticano che tiene i rapporti con gli Stati, ha fatto pervenire sul tavolo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il premier Mario Draghi interverrà sulla questione domani. "Sarò in Parlamento tutto il giorno, mi aspetto che me lo chiedano e risponderò in maniera ben più strutturata di oggi. E' una domanda importante", ha assicurato rispondendo ai giornalisti. Un commento arriva anche dalla Presidente Ue Ursula von der Leyen: "I Trattati europei proteggono la dignità di ogni singolo essere umano e proteggono la libertà di parola, tra altri valori. E portare questi valori in equilibrio è un lavoro quotidiano nella nostra Ue", ha detto pur non entrando nella diatriba tutta italiana.

"Il Parlamento è sovrano, i parlamentari decidono in modo indipendente quello che vogliono votare. Il Ddl Zan è già passato alla Camera e adesso e' in Senato, noi come Parlamento non accettiamo ingerenze. Il Parlamento e' sovrano e tale rimane sempre", ha detto il presidente della Camera Roberto Fico ad Agorà su Raitre.

La maggioranza giallo-rossa difende a spada tratta la legge, da M5s al Pd. Il segretario Enrico Letta però lascia anche uno spiraglio al confronto: "Siamo pronti a guardare i nodi giuridici, siamo disponibili al dialogo, ma sosteniamo l'impianto della legge che è una legge di civiltà". Letta con il Pd vuole vedere approvata la legge, lo conferma anche oggi, e da una parte avrebbe attivato canali 'diplomatici' con il Vaticano per disinnescare il contenzioso, ma dall'altra si è subito confrontato con Di Maio. Italia Viva, che ha sempre auspicato un confronto più ampio, oggi, per bocca di Ettore Rosato, manda un segnale: "Proviamo ad ascoltarle queste obiezioni di merito che sono arrivate, non solo dal mondo cattolico". E anche dal fronte della Lega arrivano parole nella direzione di una apertura al confronto, senza il muro contro muro: "Sul ddl Zan io sono pronto a incontrare Letta, anche domani", dice Matteo Salvini. Una convergenza che fa scrivere ad Avvenire, il quotidiano dei vescovi: "Dal dibattito sul Concordato lo spunto per il dialogo". Quello che aveva chiesto il presidente della Cei, il card. Gualtiero Bassetti, anche sfidando l'anima più conservatrice della Chiesa italiana che ha fatto del ddl Zan un totem da abbattere. Sta di fatto, comunque, che è la prima volta che il Vaticano sfodera l' 'arma' del Concordato per chiedere la revisione di una legge italiana. La preoccupazione è che la libertà di espressione venga compressa dalle nuove norme e che "non si possa più svolgere liberamente l'azione pastorale, educativa, sociale".

Ma il pensiero del Papa è anche per quelle scuole cattoliche per i quali i genitori pagano una retta e che invece si dovrebbero 'adeguare' a nuovi eventi e programmi legati, sì, all'omofobia e anche al gender e ad una concezione della famiglia che non coincide con la dottrina della Chiesa. "Certamente c'è preoccupazione nella Santa Sede", ha confermato il card. Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici e la Famiglia. Sul piede di guerra le associazioni Lgbt: "Il tentativo esplicito e brutale è quello di sottrarre al Parlamento il dibattito sulla legge e trasformare la questione in una crisi diplomatica, mettendola nella mani del Governo Draghi per far si che tutto venga congelato", denuncia l'Arcigay. Franco Grillini, ex parlamentare e storico esponente del movimento gay italiano, chiede invece di "abolire definitivamente" proprio il Concordato, "questo retaggio fascista. La pretesa vaticana di dettare legge all'Italia interferendo con la sua attività legislativa è irricevibile".

"La questione è molto semplice, il ddl Zan da oggi non è più solo una questione parlamentare ma governativa". Una fonte dell'esecutivo, al termine di una giornata a dir poco tesa dentro e fuori la politica, descrive così il delicatissimo compito che, da qui alle prossime ore, il premier Mario Draghi avrà di fronte a sé. Il capo del governo, parlando alle Camere, non entrerà comunque "in tackle" su un tema che per lui, si ragiona in ambienti parlamentari della maggioranza, era e resta parlamentare. Fonti di primo piano della maggioranza spiegano che il suo sarà un intervento più che altro "procedurale" accompagnato da un sostanziale appello per una condivisione parlamentare più ampia e meditata. Fonti di Palazzo Chigi interpellate al riguardo non entrano nel merito chiarendo che il premier sta approfondendo la questione e si esprimerà parlando alle Camere dopo aver fatto tutte le valutazioni. Quella di Draghi, insomma, sarà un'iniziativa morbida.

Il premier non vuole e non può andare oltre, si rileva sempre in ambienti di maggioranza, soprattutto parlando da un "palco" come quello delle comunicazioni del presidente del Consiglio alle Camere prima del Consiglio europeo. Spetta ai partiti di maggioranza trovare la giusta quadra per portare avanti una legge che è di iniziativa parlamentare. Certo, nel governo un timore c'è: quello dell'impugnazione del Concordato da parte della Santa Sede una volta che il ddl Zan diventerà legge.

E il rischio, spiegano fonti parlamentari di rango, è che la protesta della segreteria di Stato abbia radicalizzato le posizioni di chi vuole la legge al più presto. La protesta da Oltretevere è stata consegnata all'ambasciata italiana presso la Santa Sede e gli uffici diplomatici l'hanno a loro volta inviata al Quirinale. Si tratta di una nota verbale, che nel linguaggio delle feluche è una forma di corrispondenza tra ambasciate o tra una missione diplomatica stabilita in uno Stato accreditatario e il ministero degli Esteri dello Stato medesimo. E' redatta in terza persona e non è firmata. E di prassi non viene diffusa ai media, cosa che nella maggioranza ha seminato il sospetto di una "manina" che abbia disvelato la nota. Che arriva come un fulmine a ciel sereno nel giorno in cui, da Cinecittà, Draghi e Ursula von Der Leyen celebrano il sì dell'Ue al Recovery italiano. In realtà, come dimostra l'articolata replica della presidente della commissione Ue ad una domanda sul tema in conferenza stampa allo studio 10, von der Leyen era ampiamente a conoscenza della protesta vaticana. E, nella sua risposta, usa una formula che, concettualmente, Draghi potrebbe "girare" alle forze parlamentari: quella di trovare un equilibrio tra la tutela della diversità e quella della libertà di parola, entrambi valori protetti dai Trattati Europei. Del resto, in Ue, le tematiche Lgbt non sono meno foriere di polemiche e chissà che non sfiorino anche il prossimo Consiglio.

Lo dimostra il no dell'Uefa allo "stadio arcobaleno" proposto dal sindaco di Monaco di Baviera per la partita Germania-Ungheria. O l'iniziativa di 13 Paesi Ue contro la legge ungherese anti Lgbtiq, alla quale solo in serata si aggiunge l'Italia. In Parlamento il rischio è che l'intervento vaticano "affossi" il ddl Zan. Una modifica in versione soft di alcune sue parti - come quella sulla partecipazione delle scuole a iniziative contro l'omofobia - sarebbe nell'ordine delle cose. E l'intesa a non vedersi all'orizzonte. La maggioranza è spaccata ma anche all'interno dei partiti emergono divisioni, a cominciare dal Pd, dove Enrico Letta è costretto a mediare tra le sensibilità dei cattolici e quelle più vicine all'attivismo Lgbtq. Anche negli M5S - schierato finora al fianco del Pd per la legge - potrebbero emergere divisioni, visti anche i cordiali e stretti rapporti che, nel suo premierato, Giuseppe Conte ha intessuto con la Chiesa. Del resto, basterebbe ricordare cosa accadde per la legge sulle unioni civili del maggio 2016, approvata dopo mesi e mesi di tensione tra i partiti della maggioranza di Matteo Renzi e all'interno degli stessi Dem. Sono passati 5 anni e 4 governi e queste tematiche, nella politica italiana, restano esplosive.

ANSA

martedì 22 giugno 2021

Omofobia: il Vaticano contro il ddl Zan, 'viola il Concordato'. L'obiettivo "non è bloccare ma rimodulare" il ddl.

 

La Santa Sede ha chiesto "informalmente" al governo italiano di modificare il disegno di legge contro l'omofobia. Letta: "Pronti al dialogo sui nodi". Ostellari: "Sediamoci per confronto".

"Certamente c'è la preoccupazione della Santa Sede e di ciascuno di noi": così il card. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, rispondendo, nel corso di una conferenza stampa sugli anziani, ad una domanda sull'intervento della Santa Sede sul ddl Zan. 

Il Vaticano ha chiesto al governo italiano di modificare il ddl Zan, il disegno di legge contro l'omofobia.

Secondo la Segreteria di Stato violerebbe "l'accordo di revisione del Concordato". E' stata per questo consegnata all'ambasciata italiana presso la Santa Sede una nota a firma del Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati monsignor Paul Richard Gallagher. Lo scrive il Corriere della Sera. Il Corriere della Sera ricorda che l'intervento del Vaticano sul governo italiano per il ddl Zan è "un atto senza precedenti nella storia del rapporto tra i due Stati". Mai la Santa Sede è infatti intervenuta nell'iter di approvazione di una legge italiana esercitando formalmente le facoltà che le derivano dai Patti Lateranensi. Un atto che va ben oltre la 'moral suasion' che spesso la Chiesa ha usato per leggi controverse. Nella nota consegnata da monsignor Gallagher si evidenzia che "alcuni contenuti della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dall'articolo 2, commi 1 e 3 dell'accordo di revisione del Concordato". Tra le questioni sollevate c'è il fatto che le scuole cattoliche non sarebbero esentate dall'organizzazione della futura Giornata nazionale contro l'omofobia, ma si evidenziano anche timori più generali per la "libertà di pensiero" dei cattolici e anche delle possibili conseguenze giudiziarie nell'espressione delle proprie idee. "Chiediamo che siano accolte le nostre preoccupazioni", scrive la Santa Sede al governo italiano.

"La Nota Verbale della Segreteria di Stato è stata consegnata informalmente all'Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede il 17 giugno 2021", precisa la sala stampa Vaticana confermando all'ANSA l'intervento sul ddl Zan. L'intervento della Santa Sede sul governo italiano ha l'obiettivo "non di bloccare" il ddl Zan ma di "rimodularlo in modo che la Chiesa possa continuare a svolgere la sua azione pastorale, educativa e sociale liberamente". E' quanto spiegano fonti vaticane. 

"Noi sosteniamo la legge Zan e, naturalmente, siamo disponibili al dialogo. Siamo pronti a guardare i nodi giuridici ma sosteniamo l'impianto della legge che è una legge di civiltà". Lo ha detto il segretario del Pd Enrico Letta a 'Radio anch'io' su Radio Rai 1 a proposito della notizia di una iniziativa della Santa Sede contro il disegno di legge Zan.

"Abbiamo letto indiscrezioni oggi sul Corriere e attendiamo quindi di vedere i contenuti della Nota della Santa Sede lì preannunciata. Ma abbiamo fortemente voluto il ddl Zan, norma di civiltà contro reati di odio e omotransfobia e confermiamo il nostro impegno a farla approvare". Così il segretario Pd Enrico Letta su twitter.

"Aspettiamo di vedere i testi e leggerli. Ma rimaniamo convintamente a sostegno del ddl Zan". Così fonti del Nazareno, interpellate dall'Ansa, chiariscono la posizione del Pd dopo l'intervento del Vaticano e dopo le parole del segretario del Pd Enrico Letta.

"Sul ddl Zan io sono pronto a incontrare Letta, anche domani, per garantire diritti e punire discriminazioni e violenze, senza cedere a ideologie o censure, e senza invadere il campo di famiglie e scuole". Lo annuncia su twitter il leader della Lega, Matteo Salvini.

"La mia proposta è sempre valida. Riuniamo i presidenti dei gruppi del Senato e i capigruppo in commissione e sediamoci a un tavolo. Le audizioni si possono ridurre. Inauguriamo, finalmente, una fase di confronto, leale e costruttivo. Letta dia seguito a questa apertura e il Pd si sieda al tavolo". Così il senatore leghista, Andrea Ostellari, presidente della commissione giustizia a palazzo Madama dopo che il segretario dem si è detto pronto al dialogo sui nodi. "Sentita la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ho fatto richiesta formale di acquisire il testo della rilevante nota che lo Stato Vaticano ha inviato alla Farnesina. Ai fini del lavoro che sta compiendo la Commissione Giustizia del Senato, è fondamentale conoscere e valutare i rilievi sollevati dalla Santa Sede", ha aggiunto Andrea Ostellari. 

"L'attivazione della diplomazia Vaticana con l'utilizzo del Concordato per cercare di bloccare l'iter della legge Zan al Senato è un qualcosa senza precedenti nelle relazioni tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, il tentativo esplicito e brutale è quello di sottrarre al Parlamento il dibattito sulla Legge e trasformare la questione in una crisi diplomatica, mettendola nella mani del Governo Draghi per far si che tutto venga congelato". Lo dichiara Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay.

ANSA

I Diversi esistono e provano emozioni, Dio li ha fatti così, ma la chiesa non li accetta. Oltretutto, lo Stato Pontificio non può decidere interferendo sulle leggi emanate da un altro stato, come l'Italia non interferisce sulle leggi che lo S.P. emette, e che chiude entrambi gli occhi sulla pedofilia praticata in gran misura da chi pretende di non riconoscere i "Diversi" creati da Dio.
cetta

mercoledì 14 ottobre 2020

Vaticano, arrestata a Milano Cecilia Marogna: ordine di cattura internazionale per la “dama del cardinale” Becciu.

 

La 39enne, originaria di Cagliari titolare di una società di missioni umanitarie con sede in Slovenia, è diventata nota per aver ricevuto 500mila euro dalla Segreteria di Stato, per volontà dell’allora sostituto Angelo Becciu, al quale il Papa ha recentemente tolto i diritti connessi al cardinalato. Bloccata dagli uomini della Guardia di Finanza.

A una settimana dalla sua comparsa nelle cronache sempre più ingarbugliate del caso Angelo Becciu è stata arrestata a Milano, con un ordine di cattura internazionale, Cecilia Marogna, denominata la dama del cardinale. La 39enne, originaria di Cagliari titolare di una società di missioni umanitarie con sede in Slovenia, è diventata nota per aver ricevuto 500mila euro dalla Segreteria di Stato, per volontà dell’allora sostituto Angelo Becciu, al quale il Papa ha recentemente tolto i diritti connessi al cardinalato. Ufficialmente il denaro elargito da Becciu a Marogna aveva lo scopo di sostenere missioni umanitarie in Africa e in Asia. Ma i soldi sono stati usati per rinnovare il guardaroba e l’arredamento di casa: borse, scarpe, accessori lussuosi, tra i quali una costosissima poltrona in pelle. L’accusa nei confronti di Marogna è peculato per distrazione di beni. La donna sarà estradata e messa a disposizione dell’autorità giudiziaria vaticana.

Ma c’è di più. La “dama del cardinale”, come è stata subito ribattezzata nei sacri palazzi, poteva contare su una presentazione su carta intestata della Segreteria di Stato: “Il sottoscritto, Sua Eccellenza monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, dichiara di conoscere la signora Cecilia Marogna e di riporre in lei fiducia e stima per la serietà della sua vita e della sua professione. La signora Marogna presta servizio professionale come analista geopolitico e consulente relazioni esterne per la Segreteria di Stato-sezione affari generali”. Il cardinale, però, sostiene di essere stato all’oscuro dei rapporti di Marogna. La donna, infatti, ha ammesso legami con faccendieri in odore di servizi segreti, coinvolti nei misteri dell’ultimo mezzo secolo. Come Flavio Carboni , che Marogna ha sostenuto di aver “voluto conoscere per avere informazioni sulla storia dell’Anonima sequestri”. Di Francesco Pazienza, il collaboratore del Sismi negli ’70 e 80, invece, ha detto: “Sono la figlia che non ha mai avuto”. Nel 2010 Marogna era stata denunciata per appropriazione indebita, mentre nel 2002 per furto: precedenti di cui Becciu era all’oscuro.

In una intervista a "Libero" Carboni ha sostenuto di non conoscere Becciu: “Il Papa si sta occupando, con notevole rigore, di alcuni movimenti finanziari e non solo, ovviamente nell’ambito del suo Stato. Di questo nuovo rigore, credo che il cardinale Becciu stia pagando il prezzo più alto. Eppure, fino a qualche tempo fa, di lui sentivo parlare un gran bene. Il cardinale Becciu, nella gerarchia vaticana, era praticamente il numero 3, un papabile. Ora alla gogna, un crucifige mediatico senza pietà, ancor prima di un qualunque esito giudiziario. Io ne so qualcosa e mi fa rabbia assistere a tale bestiale accanimento, che va via aumentando senza che nessuno intervenga per cercare, quantomeno, di contenere l’orda scatenata che vuole sbranare una preda quando ormai gli è impossibile ogni difesa”, sottolinea Carboni. Poi, parlando di Cecilia Marogna, ha affermato: “Cosa posso dire di una persona che ho visto due volte alcuni anni fa? Ricordo di averla incontrata nel mio ufficio romano, su segnalazione del mio amico Gianmario Ferramonti, affinché l’aiutassi a procurarle un lavoro. Ma, in quel periodo, non potevo assumere nessuno e oberatissimo di lavoro come ero, neanche ebbi modo di occuparmene presso altri. Forse a Roma oppure in Sardegna, ma non ne sono certo, la incontrai una seconda volta e sempre per lo stesso motivo. L’impressione che ne ebbi, nonostante la brevità degli incontri, fu abbastanza positiva. In questa giovane signora, notai una certa disinvoltura nel parlare, sicura di sé, di buone maniere e di un certo buon gusto nel vestire”.

Becciu, dopo aver fatto sapere di sentirsi “truffato” e pronto a sporgere denuncia nei confronti della signora, ha anche precisato, attraverso il suo legale, l’avvocato Fabio Viglione, che “i contatti con Cecilia Marogna attengono esclusivamente questioni istituzionali”. Quanto a lei, ha rivendicato “il risultato di aver costruito una rete di relazioni in Africa e Medio Oriente per proteggere Nunziature e Missioni da rischi ambientali e da cellule terroristiche”, spiegando che “i fondi in Slovenia erano di garanzia per le operazioni in Africa”. E sulle spese in beni di lusso ha chiarito alle Iene: “Era una po’ una restituzione degli anticipi che io avevo utilizzato come mie risorse…”. D’altra parte, “svolgo una professione sensibile, particolare, non è che noi paghiamo via bonifico o ritenuta d’acconto…”, e, nei “due anni prima” dei bonifici, “ho anticipato risorse per 220mila pound…

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/13/vaticano-cecilia-marogna-arrestata-a-milano-dalla-finanza-con-ordine-di-cattura-internazionale/5965206/

venerdì 2 ottobre 2020

Caso Becciu, intrighi e dossier: lo scandalo finanziario è una resa dei conti tra prelati. E spuntano 700mila euro finiti in Australia. - Francesco Antonio Grana

 

Accuse di dossieraggi fabbricati ad arte con lo scopo di mettere alla gogna mediatica i propri nemici: in Vaticano è iniziata una stagione di veleni. A parlare è uno degli indagati, monsignor Alberto Perlasca, coinvolto nell’inchiesta sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue: ha deciso di collaborare coi magistrati vaticani puntando il dito contro il cardinale Angelo Becciu, al tempo degli avvenimenti contestati sostituto della Segreteria di Stato, ovvero suo diretto superiore.

Dagli intrighi finanziari alla stagione dei veleni. L’inchiesta sugli scandali economici della Segreteria di Stato si infittisce e appare sempre più come una vera e propria resa dei conti all’interno del Palazzo Apostolico Vaticano. Accuse di dossieraggi fabbricati ad arte con lo scopo di mettere alla gogna mediatica i propri nemici. A parlare è uno degli indagati, monsignor Alberto Perlasca, coinvolto nell’inchiesta sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenueall’epoca dei fatti capo ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato. Licenziato e cacciato via dal servizio diplomatico della Santa Sede, il prelato, però, non è tornato nella sua diocesi di Como e ha deciso di collaborare coi magistrati vaticani puntando il dito contro il cardinale Angelo Becciu, ex prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ma al tempo degli avvenimenti contestati sostituto della Segreteria di Stato, ovvero diretto superiore di Perlasca.

Immediata la replica del porporato che, attraverso il suo legale, ha fatto sapere che “esprime estremo stupore e dolore, denunciandone la plateale falsità. Pur compatendolo, umanamente e cristianamente, per il difficile momento personale che sta attraversando a causa dell’indagine che lo vede coinvolto ed in relazione alla quale con tali presunte dichiarazioni si starebbe difendendo, Sua Eminenza respinge decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa, che si vorrebbero utilizzati a fini diffamatori nei confronti di alti prelati. Trattandosi di fatti scopertamente falsi, – ha aggiunto il legale di Becciu – ho ricevuto espresso mandato di denunciarne la diffamatorietà da qualunque fonte provengano, a tutela del suo onore e della sua reputazione, innanzi alle competenti sedi giurisdizionali”. Il segnale eloquente che ormai la guerra, anche fra gli indagati, ha raggiunto l’apice.

Ma non è tutto. Ai magistrati del Papa, infatti, Perlasca ha parlato anche di un bonifico di 700mila euro su un conto australiano effettuato proprio mentre il cardinale George Pell, ex prefetto della Segreteria per l’economia, veniva processato per pedofiliaAccusa dalla quale l’Alta Corte del suo Paese lo ha assolto all’unanimità. Ad ammettere, però, che qualcosa, nella gestione delle finanze vaticane, non è andata è proprio il successore di Pell, l’attuale prefetto della Segreteria per l’economia, padre Juan Antonio Guerrero Alves. “È possibile – ha spiegato il sacerdote gesuita – che, in alcuni casi, la Santa Sede sia stata, oltre che mal consigliata, anche truffata. Credo che stiamo imparando da errori o imprudenze del passato. Ora si tratta di accelerare, su impulso deciso e insistente del Papa, il processo di conoscenza, trasparenza interna ed esterna, controllo e collaborazione tra i diversi dicasteri. Abbiamo inserito nei nostri team professionisti di altissimo livello. Oggi esiste comunicazione e collaborazione fra i dicasteri di contenuto economico per affrontare queste questioni. La collaborazione è un grande passo in avanti. Segreteria di Stato, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e Segreteria per l’economia collaborano di buon grado. Possiamo certamente commettere errori, sbagliare o essere truffati, ma mi sembra più difficile che questo accada quando collaboriamo e agiamo con competenza, trasparenza e fiducia fra noi”.

Il riferimento, nemmeno tanto velato, è alla rete di finanzieri che hanno lucrato sugli investimenti della Segreteria di Stato. Un giro di affari di milioni di euro tra consulenze fittizie, società aperte per far lievitare i costi, soldi portati in Svizzera, truffe, ricatti e corruzioni. Per i pm della Santa Sede, un personaggio chiave è sicuramente Fabrizio Tirabassi, all’epoca dei fatti minutante dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato e poi licenziato durante l’inchiesta. Per l’accusa, è lui che “ha fornito il suo contributo alla realizzazione dell’operazione Gutt Sa che si è conclusa con un esborso di 15 milioni di euro senza alcuna plausibile giustificazione economica”. È lui ad aver seguito in prima persona le manovre della società lussemburghese posseduta da Gianluigi Torzi e i magistrati non gli credono quando sostiene di essere stato raggirato.

Perché Tirabassi, da 30 anni al servizio del Vaticano, è un commercialista competente, oltre a essere “molto attivo nel proporre investimenti con i fondi della Segreteria di Stato ai vari gestori patrimoniali, stabilendo con essi attività anche a titolo personale”. Un funzionario con tanto di conto allo “Ior (saldo pari a 700mila euro) alimentato esclusivamente dagli emolumenti a lui liquidati dalla Santa Sede ma che egli non ha mai movimentato”. Disponibilità patrimoniali che, per i magistrati, “non solo appaiono sproporzionate rispetto alla retribuzione a lui erogata dalla Segreteria di Stato, ma che, alla luce delle investigazioni, rendono plausibile l’ipotesi che Tirabassi abbia commesso il reato di corruzione o concorso in appropriazioni indebite”. A cui si aggiunge quello di peculato, perché “sono evidenti le collusioni con Enrico Crasso, con il quale era certamente d’accordo per utilizzare i fondi per finalità diverse da quelle istituzionali”. Ed è proprio Crasso a introdurre, nel 2012, il finanziere Raffaele Mincione in Vaticano. Secondo i pm, “nonostante la Segreteria di Stato sia stata messa in guardia nell’ultimo anno circa l’attività di Crasso, continua a dargli fiducia e a non togliergli la delega a operare sui propri conti correnti”.

Un giro di finanzieri che, all’ombra del Cupolone, speculava sui soldi della Segreteria di Stato, compresi quelli dell’Obolo di San Pietro destinato alla carità del Papa. Intanto, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha pagato l’ultima tranche di 45 milioni, su 150, per riscattare il palazzo di Sloane Avenue. Ciò mentre, come ha spiegato padre Guerrero Alves, la Segreteria di Stato “ha portato tutti i suoi fondi allo Ior e all’Apsa e parteciperà al processo di centralizzazione degli investimenti, con una gestione più tecnica e professionale”. Precisando che non è esatto parlare di “perdita del portafoglio” da parte della Segreteria di Stato: “La gestione sarà fatta in altro modo, come accade agli altri dicasteri che hanno un portafoglio. In questi mesi ho visto che in Vaticano, come nel resto della Chiesa, c’è un sacro rispetto per la destinazione dei fondi, per la volontà espressa dai donatori. Quando una donazione è stata accettata per uno scopo specifico, questo viene rispettato. Molti dei fondi gestiti dalla Segreteria di Stato sono stati ricevuti per uno scopo specificato, sempre naturalmente legato alla nostra missione. Se i fondi saranno gestiti da un altro ente, dovranno rimanere associati a quello scopo, con gli stessi beneficiari”.

Twitter: @FrancescoGrana

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/02/caso-becciu-intrighi-e-dossier-lo-scandalo-finanziario-e-una-resa-dei-conti-tra-prelati-e-spuntano-700mila-euro-finiti-in-australia/5951883/

martedì 10 dicembre 2019

Vaticano, come sono investiti i 700 milioni di euro di offerte e donazioni. - Mario Gerevini e Fabrizio Massaro

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Gli affari più o meno loschi della Santa Sede con la carità dei fedeli.

Da circa sei anni il Vaticano ha un capitale enorme congelato in un prestigioso palazzo a Chelsea, nel cuore di Londra. Si tratta di un investimento da 200 milioni di dollari, ed è una delle più grandi, ma anche controverse, operazioni finanziarie mai realizzate dalla Santa Sede. Tornando dal Giappone Papa Francesco ha dichiarato che «È la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro e non da fuori».


L’Obolo di San Pietro.
I soldi provengono dalla cassa della Segreteria di Stato che gestisce anche l’Obolo di San Pietro, cioè le offerte che ogni 29 giugno dal profondo della comunità cattolica salgono fino al Papa. Anche se sempre meno. Dai 70-80 milioni del 2013 si è scesi a circa 50 milioni. Non esiste una rendicontazione, ma la stima del patrimonio complessivo della Segreteria è intorno ai 700 milioni di euro. È una parte rilevante del tesoro (mobiliare e immobiliare) attribuibile alla Santa Sede e alla Città del Vaticano: 11 miliardi, secondo le stime più recenti, di cui circa 5 in titoli e 6 in immobili «non funzionali» all’attività istituzionale. Il patrimonio della Chiesa nel mondo è invece valutato oltre 2 mila miliardi, scuole, ospedali e università compresi.

Il potere del Sostituto.
A gestire cassa e Obolo, dentro la Segreteria di Stato guidata dal 2013 da Pietro Parolin, è la sezione Affari Generali, affidata dal 2011 al 2018 a Monsignor Giovanni Angelo Becciu (oggi cardinale). Da ottobre dello scorso anno poteri e portafoglio sono passati nelle mani del nuovo responsabile, il venezuelano Edgar Peña Parra. La Segreteria è il dicastero più importante della Santa Sede e più vicino al Papa. Ed è centrale nelle decisioni di investimento, come quella di puntare al palazzo di Londra.

2012: Angola e petrolio.
Tutto comincia nel 2012 dall’Angola, cioè il paese africano in cui Becciu per molti anni è stato nunzio apostolico. Un imprenditore locale suo amico, Antonio Mosquito, gli propone di investire 200 milioni di dollari nella sua compagnia petrolifera Falcon Oil. Una scelta estremamente rischiosa, in uno dei Paesi più corrotti al mondo, e sconcertante per le modalità del progetto, rimaste finora riservate: si trattava di diventare di fatto soci di minoranza (5%) nello sviluppo di una piattaforma petrolifera offshore in consorzio con l’Eni e la compagnia nazionale Sonangol. Il Vaticano avrebbe dovuto coprire il debito di Mosquito verso il consorzio. Dalle carte consultate dal Corriere della Sera, di quei 200 milioni 35 sarebbero andati direttamente a Mosquito per rimborsare un suo precedente prestito a Falcon Oil. Inoltre l’investimento era a lungo termine: per guadagnarci qualcosa sarebbero serviti almeno 8 anni. Sempre che il prezzo del petrolio non fosse nel frattempo precipitato, come poi avvenuto. «In un primo momento sembrava attraente, ma dopo uno studio approfondito la proposta non fu accolta». Parole di Becciu.

Troppo speculativo.
A spiegare alla Segreteria che l’operazione non gira è il finanziere italiano, con base a Londra, Raffaele Mincione, allora semisconosciuto, che entra nella partita grazie al Credit Suisse, nei cui conti svizzeri confluisce l’Obolo. Il custode della cassa vaticana è un dirigente dell’istituto, Enrico Crasso, banchiere di riferimento della Santa Sede. «Gli ho detto – racconta Mincione – volete raddoppiare i soldi? Vi propongo un mio palazzo al centro di Londra». L’immobile è ubicato al numero 60 di Sloane Avenue, già sede di Harrods. E gli uomini di chiesa affidano i 200 milioni al Fondo Athena, gestito da Mincione. Il fondo ha un solo cliente-sottoscrittore: il Vaticano.

L’immobile e le azioni.
A giugno 2014 il Fondo Athena usa la maggior parte di quei soldi del Vaticano per comprare il 45% della società che possiede il palazzo, che è anche gravato da un mutuo di circa 120 milioni con Deutsche Bank. Mincione investe il resto dei soldi in speculazioni di Borsa su Carige, Retelit e Tas. Il piano del finanziere – che è rimasto proprietario del 55% – è di trasformare il palazzo da uffici a residenze, aumentarne la cubatura, creare 44 appartamenti e rivendere tutto per incassare 600-700 milioni di sterline. Gli affitti nel frattempo sono stati tutti scontati in cambio di uno sfratto rapido in vista dell’avvio dei lavori. Solo che i permessi arrivano solo a dicembre 2016, sei mesi dopo la Brexit. E la sterlina è crollata. Insomma, il Vaticano comincia a perdere tanti soldi.

Spunta il broker molisano.
Settembre 2018: il Fondo Athena in 5 anni ha perso oltre 20%. Nel frattempo a Roma monsignor Becciu è stato promosso cardinale. Al suo posto alla Sezione Affari Generali arriva Peña Parra e la strategia cambia. L’ordine è: «Smontare l’investimento dal fondo per prendere tutto il palazzo». Dopo lunghe trattative, e 44 milioni di conguaglio a Mincione, l’accordo si trova. Ma a chi si affidano in Vaticano per una manovra finanziaria di questo calibro? Non a una banca d’affari o a intermediari di primo piano. La scelta cade su Gianluigi Torzi, sconosciuto broker molisano trapiantato a Londra, che ha condiviso già altri affari con Mincione, svelto e capace nel suo lavoro di trader ma con qualche piccola pendenza penale e la scia di un paio di fallimenti societari in Italia.

Da Londra a Lussemburgo e ritorno.
Il 23 novembre 2018 si firma l’accordo quadro. Il palazzo passa da Mincione alla Gutt, una società lussemburghese costituita e amministrata da Torzi. Un minuto dopo la firma del contratto in Segreteria però si rendono conto di aver affidato tutti i poteri gestionali al broker che detiene solo lo 0,1% di Gutt. Inizia dunque la trattativa per smontare l’accordo e convincere Torzi a farsi da parte. A maggio 2019 il 100% del palazzo di Londra finisce in una nuova società, la London 60, questa volta controllata al 100% dalla Segreteria di Stato vaticana.

Quanto ha perso il Vaticano.
Alla fine di tutta la vicenda il Vaticano ha dovuto sborsare a Torzi 10 milioni, 16 milioni a Mincione per la gestione degli investimenti e altri 44 per liquidare il fondo e infine almeno 2 per consulenze. Nelle casse del Papa invece, dopo sette anni, non è entrato un euro di guadagno. Il Pontefice ha parlato di «Corruzione, e si vede!» nella gestione del patrimonio della Segreteria. E su questo sta indagando la magistratura vaticana. Cinque persone sono finite sotto inchiesta: un ex potente della Segreteria come monsignor Mauro Carlino, il direttore dell’Aif (l’antiriciclaggio) Tommaso di Ruzza e tre dipendenti della Segreteria: Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi e Caterina Sansone. Intanto a Londra è in corso un progetto di ristrutturazione del palazzo, affidato all’ingegnere Luciano Capaldo, per creare nuovi uffici. Insomma si vogliono far fruttare tutti quei milioni fermi da troppi anni. Come? L’ha spiegato lo stesso Papa Francesco, giorni fa: «Affittare e poi vendere». Perché i soldi dell’Obolo, ha sottolineato, vanno investiti ma poi anche spesi. Senza imbrogliare.

500milioni affidati ad Azimut.
Il palazzo di Sloane Avenue è il singolo maggiore investimento effettuato con le disponibilità della Segreteria: tecnicamente si è trattato di un prestito di 200 milioni del Credit Suisse con a garanzia asset della stessa Segreteria. Un contratto più tipico da private banking che da fondo sovrano. Ma dove sono gli altri fondi (centinaia di milioni)? Depositati sempre presso il Credit Suisse. A occuparsene è il consulente di riferimento Enrico Crasso che nel 2014, lasciata la banca svizzera, si mette in proprio e si fa carico di investire i 500 milioni della Segreteria, naturalmente con adeguate provvigioni. Lo fa per un paio d’anni attraverso la sua Sogenel Holding di Lugano ma nel 2016 vende il «cliente» Vaticano – circostanza mai emersa prima – ad Az Swiss del gruppo Azimut, colosso della gestione di fondi quotato in Borsa. Crasso però diventa contestualmente dirigente di Az Swiss ed entra in consiglio di amministrazione continuando a gestire, sotto l’ombrello Azimut, il mezzo miliardo del Papa. Quest’anno ha lasciato entrambe le cariche e sulle provvigioni sarebbe in corso una revisione da parte della stessa Segreteria.

Soldi a Malta.
Tuttavia nel 2016, dopo aver venduto ad Azimut, Crasso ha creato un fondo tutto suo a Malta per gestire in proprio circa 50 milioni della Segreteria. È il fondo Centurion e ha investito quei soldi del Vaticano in varie direzioni: 6 milioni nella società di occhiali di Lapo Elkann, Italia Independent; circa 10 milioni nella galassia Giochi Preziosi dell’imprenditore patron del Genoa Calcio, Enrico Preziosi; altri 4,7 milioni per entrare nelle acque minerali (Acqua Pejo e Goccia di Carnia); 1,2 milioni per una quota di minoranza del sito Abbassalebollette; oltre 16 milioni per rilevare un immobile in una sede italiana della multinazionale ABB; 4,3 milioni in bond per finanziare i film «Rocketman», biografia di Elton John, e l’ultimo «Men In Black» infine 4,5 milioni prestati a una piccola società di costruttori romani, la Bdm Costruzioni e Appalti. Affari oculati? Non proprio. Nel 2018 il fondo Centurion ha perso il 4,61%. Ai manager però sono andati quasi 2 milioni di commissioni.

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mercoledì 23 ottobre 2019

“Il Vaticano è a rischio fallimento finanziario”: tra malumori e tradimenti, come è fallita la rivoluzione promessa da Papa Francesco. - Francesco Antonio Grana

“Il Vaticano è a rischio fallimento finanziario”: tra malumori e tradimenti, come è fallita la rivoluzione promessa da Papa Francesco

In 'Giudizio Universale' (edito da Chiarelettere) il giornalista Gianluigi Nuzzi svela i documenti riservati che testimoniano la difficile situazione economica in cui versano le casse della Santa Sede. Sullo sfondo, il clima torbido che si vive nei sacri palazzi e che emerge nelle carte segrete pubblicate dall'autore del libro.
Il Vaticano è a rischio default. Se entro il 2023 i conti non saranno risanati la Santa Sede potrebbe essere travolta da un crac finanziario. È quanto emerge dai documenti pubblicati nel nuovo libro di Gianluigi NuzziGiudizio universale, edito da Chiarelettere. Un volume che, proprio come i precedenti scritti dal giornalista sul Vaticano, svela retroscena inediti e a dir poco inquietanti della vita dei sacri palazzi. Un testo che arriva mentre il Papa è alle prese con il Sinodo speciale dei vescovi sull’Amazzonia che il 26 ottobre 2019 sarà chiamato a decidere se dare il via libera ai cosiddetti “viri probati. Ovvero uomini sposati che vengono ordinati preti senza lasciare la loro famigliaMa anche dall’indagine immobiliare che ha travolto la Segreteria di Stato e ha già costretto alle dimissioni l’ormai ex comandante della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani.
“La situazione – spiega Nuzzi – è sicuramente peggiorata rispetto a quando il predecessore di Francesco, Benedetto XVI, ha deciso di fare un passo indietro. Tutti i parametri sono precipitati, per esempio all’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, ndr) i parametri dei risultati operativi presentano crolli anche oltre il 60 per cento. Però io credo che il Santo Padre sia determinato a invertire la china rispetto a quella che non è una ferita ma una emorragia. Come? Gli strumenti che ha sono insufficienti. Secondo me siamo di fronte a un collasso del management della Curia, gli strumenti sono vetusti, lo dicono i documenti, ancora si utilizzano trascrizioni manuali dei numeri in epoca di intelligenza artificiale, c’è una parcellizzazione delle competenze e c’è inadeguatezza della classe dirigente, questo lo dicono loro stessi”.
Secondo il giornalista “c’è anche una situazione economica negativa perché le offerte sono precipitate ed è evidente dalle carte l’inefficienza della gestione del patrimonio immobiliare. All’Apsa, ad esempio, il 40 per cento non dà reddito, un dato che sarebbe insopportabile per qualunque tipo di finanza. Quella annunciata rivoluzione della gestione delle case non si è realizzata”. Per Nuzzi “la situazione è tale per cui di recente, nel 2018, si era deciso di vendere gioielli di famiglia, vendere ad esempio alle porte di Roma, la proprietà di Santa Maria di Galeria, 424 ettari, e il Papa ha detto che c’era un problema reputazionale, ha detto, sono contrario a un utilizzo speculativo del territorio finalizzato alla mera massimizzazione dei profitti. Qui rientra la dottrina della Chiesa, il rischio, la paura di un danno reputazionale ha portato a congelare quella operazione”.
Nel volume non c’è solo economia. Nuzzi riesce a dare al lettore una fotografia del clima torbido che si respira in Vaticano. L’insoddisfazione per le politiche di Bergoglio, non solo in campo finanziario, hanno creato negli ultimi anni del pontificato numerosi malumori e tradimenti da parte dei più stretti collaboratori del Papa. In questo senso è abbastanza significativa la ricostruzione che il giornalista fa, sempre documenti alla mano, della vicenda della lettera taroccata di Benedetto XVI. Vicenda che ha portato alle dimissioni del primo prefetto del Dicastero per la comunicazione, monsignor Dario Edoardo Viganò, sostituito da Paolo Ruffini, primo laico al vertice di un organismo della Curia romana.
“Caro Dario hai fatto purtroppo un pasticcio molto grande. Mi dispiace. GG”, scrive a Viganò monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare di Benedetto XVI. Puntuale la replica: “Ma come? Ho letto il pezzo su cui avevamo preso accordi agli esercizi. Questo dimostra anzi come questa gente non voglia bene a Benedetto e lo usino come bandiera. Mi dispiace che tu pensi così. Abbiamo fatto bene i passi insieme e condiviso cosa fare. Perché mi dici questo? Comunque ora sono verso aeroporto ma domani torno e se credi ci sentiamo. D”. Al che Gänswein risponde: “Ne parleremo. La ‘manipolazione’ della foto della lettera ha creato guai. Questo non abbiamo concordato. Buon viaggio, a domani. GG”. Al Papa e alla Segreteria di Stato monsignor Viganò scrive di aver letto la lettera di Benedetto XVI “nella modalità concordata” con monsignor Gänswein e aggiunge: “È evidente che se Sua Eccellenza fosse intervenuto per spiegare che non era stata compiuta nessuna mistificazione avrebbe chiuso il caso”.
Nuzzi, attraverso il suo legale, ha voluto depositare al promotore di giustizia della Santa Sede la prima copia di Giudizio universale affinché valuti se i fatti raccontati nel libro hanno rilievi penali. Nel 2015 il giornalista fu processato in Vaticano, insieme al collega Emiliano Fittipaldi, proprio perché entrambi avevano pubblicato due volumi con alcuni documenti riservati della Santa Sede. Dopo nove mesi di processo, entrambi furono prosciolti per difetto di giurisdizione. Alla vigilia della prima presentazione di Giudizio universale c’è stato anche chi Oltretevere ha sollevato un vero e proprio “caso diplomatico”. Tra i relatori, infatti, era previsto il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio. Una presenza non gradita nei sacri palazzi che, secondo alcune persone vicine a Casa Santa Marta, la residenza di Bergoglio, avrebbe addirittura potuto minare le relazioni tra l’Italia e la Santa Sede. Lo staff di Di Maio ha fatto sapere che il capo della Farnesina sarà assente perché impegnato nel Consiglio dei ministri. Con buona pace del Vaticano.