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giovedì 8 giugno 2023

“I giovani non hanno più voglia di lavorare”. Quella storia (falsa) che i giornali scrivono da più di 60 anni. -

 

(di Charlotte Matteini – ilfattoquotidiano.it) – I giovani non hanno più voglia di lavorare. E’ ormai una delle affermazioni che ciclicamente impatta sul dibattito pubblico. Non passa giorno che sui media non sia presente un imprenditore che punta il dito contro questi presunti giovani che non vogliono più fare i camerieri, i cuochi, gli operai, gli artigiani, i commessi, gli scaffalisti e chi più ne ha più ne metta. Una tesi smentita da un recente rapporto Eures che racconta come fra gli under 35 domini il lavoro precario nel 67% dei casi e con retribuzioni decisamente più basse della media, meno di mille euro al mese per circa il 40% del campione. Non solo: secondo lo studio del think tank britannico Resolution Foundation, se i figli della generazione X (1966 -1980) hanno raggiunto i 30 anni con un reddito più alto del 30% rispetto ai baby boomers (1946-1965), per le generazioni successive il trend è totalmente invertito. Gli under 35 sono più poveri dei predecessori in media in ogni Paese Europeo. E in Italia questo gap è decisamente più marcato che altrove.

Lo studio di Fairie – Nonostante ogni studio a disposizione descriva una situazione drammatica per le nuove generazioni, la litania contro i giovani sfaticati sembra non avere fine, ma soprattutto sembra che fino a qualche hanno fa gli ex giovani, cioè i figli del baby boom o della generazione X, abbiano passato la loro vita a lavorare a qualsiasi condizione per il puro piacere di farlo, senza mai rifiutarsi. Ilfattoquotidiano.it ha dunque deciso di replicare l’esperimento del ricercatore Paul Fairie, che nell’estate 2022 pubblicò un lungo thread su Twitter raccontando “la breve storia del nessuno vuole più lavorare” attraverso gli screenshot di vecchi articoli giornalistici pubblicati nel corso dei decenni dalla stampa anglosassone. In questo caso la ricerca riguarda gli archivi storici de la Stampa e la Repubblica e il risultato non è diverso da quello di Fairie: già più di 60 anni fa i quotidiani accusavano le giovani generazioni di non aver alcuna predisposizione al duro lavoro. A quelle giovani generazioni appartengono i nostri nonni, i nostri zii, i nostri genitori.

“Nessuno vuole fare il cuoco” – L’8 settembre 1959, La Stampa pubblica un articolo intitolato “Pochi giovani vogliono apprendere l’oscura e raffinata arte del cuoco”, nel quale viene raccontato che i ragazzi in ambito alberghiero preferiscono fare i barman o i portieri d’albergo mentre gli aspiranti cuochi sono ormai una minoranza, nonostante sia un mestiere di estremo prestigio e con potenzialità di carriera non indifferenti. Facciamo un salto avanti fino al 29 ottobre 1977, sempre La Stampa lancia l’allarme: “In Italia sono 196 giovani disposti a lavorare in campagna”. Nell’articolo si racconta che su più di quarantaseimila posti disponibili, in tutto il Paese ci sarebbero solamente 196 giovani disposti a lavorare nei campi e che i mungitori, che possono guadagnare fino a 500mila lire il mese, arrivano dalla Jugoslavia. “A volte dicono di voler lavorare in campagna, poi si scopre che intendevano un lavoro da impiegato in qualche organizzazione agricola. Altri sono attratti da ragioni ideali, ma non immaginano le difficoltà, e al primo ostacolo scappano”, si legge.

“Garantiscono la scolarizzazione di massa” – Sempre nel 1977, viene pubblicato l’articolo: “I giovani premono per il posto ma in settori saturi”. “Non è vero che non ci sia offerta di lavoro da parte del sistema produttivo, ma è un tipo d’offerta che non s’incontra con la domanda, oggi costituita in massima parte da diplomati e laureati”, dichiarava all’epoca Renato Buoncristiani, vicepresidente di Confindustria. “Da anni vado dicendo che occorre una preparazione scolastica più adeguata alla vita. Invece si è garantita la scolarizzazione di massa, ma priva di prospettive, non programmata. Senza tanta demagogia, c’è un momento nella scuola in cui si dovrebbe imporre la selezione”, rilanciava il segretario nazionale della Cisl Luigi Macario.

“Rifiutano i lavori offerti” – Passiamo al 4 novembre 1978, sempre La Stampa si domanda: “Perché molti giovani rispondono negativamente alle offerte di lavoro dell’Ufficio di collocamento?”. “A Roma ci sono quasi 63 mila giovani senza occupazione: eppure di fronte a 296 posti messi a disposizione dal Comune hanno risposto soltanto in 67”, racconta il quotidiano, ponendo l’accento sulle ragioni dei rifiuti: non è una questione di mancanza di voglia di lavorare, il problema sono le condizioni proposte. “Occorre modificare la concezione assistenziale della legge sull’occupazione giovanile. E vanno riviste anche le penali per chi rinuncia all’incarico perché attualmente se uno rifiuta il lavoro che gli viene offerto, tutto ritorna normale e a breve distanza di tempo può presentarsi un’occasione migliore, un posto più sicuro e redditizio”, spiegava il direttore generale dell’ufficio del lavoro Bartolomeo.

“Non vogliono fare sacrifici” – Surreale l’approfondimento pubblicato nel maggio del 1980: “Giovani, belli e mendicanti. I nuovi miserabili che al lavoro preferiscono l’elemosina”. “Rifiutano i sacrifici, restringono i consumi, si avvolgono in un malinteso egocentrismo”, scriveva la cronista Lidia Ravera nell’articolo dedicato ai giovani che avevano scelto di vivere da senzatetto. “Lavorare non è una cosa da persone. Guarda: lavorare ammazza. Fai una cosa di cui non ti frega niente, che non ti fa star bene. E in cambio di cosa?”. “Di soldi”. “E’ una cosa da stronzi, fare in cambio di soldi”. “Allora gli operai sono stronzi”. “No, nun è che so’ stronzi. E’ che so’ poveracci. Non sanno vivere. Operaista non lo sono mai stata, ma reprimo a stento la voglia di pigliare a calci il mio giovane interlocutore”, chiosava Ravera.

La fabbrica dei disoccupati – Passiamo al 1983, con l’articolo: “La fabbrica dei giovani disoccupati”. Nell’articolo un lungo j’accuse contro i giovani da parte degli imprenditori: “Adagiarsi nella routine è uno del difetti del nostro Paese: i giovani che hanno trovato un posto vogliono essere certi che a una certa ora si va a casa, che il weekend è sempre e comunque sacro e Inviolabile”. Dichiarazioni pressoché identiche a quelle rilanciate dalla stampa odierna ogni qualvolta viene data voce alle lamentele dell’imprenditore di turno. “Purtroppo, spesso ci si trova di fronte a due categorie di giovani: una di spocchiosi, quelli cioè che sono convinti di aver appreso tutto sui banchi dell’università: un’altra di disillusi e rinunciatari a causa del lungo peregrinare olla ricerca del primo impiego”, conclude l’articolo.

La soluzione? Rivedere i sussidi – Ma facciamo un balzo in avanti e passiamo al 1994. Anche in questo periodo uno dei principali allarmi rilanciati dai quotidiani nazionali è quello relativo alla disoccupazione di giovani e donne. La soluzione? Rivedere i sussidi. “Un triste primato: troppi disoccupati tra giovani e donne”, titola La Repubblica. I governi devono intervenire riformando, in senso restrittivo, il sistema dei sussidi di disoccupazione, che in alcuni casi svolgono il ruolo di disincentivo al lavoro”, dichiarava l’Ocse, aggiungendo che sarebbe stato necessario rivedere la “durata dei sussidi, l’importo e le condizioni che portano alla concessione dell’aiuto”. Anche in questo caso, numerose sono le analogie con la battaglia per l’abolizione del reddito di cittadinanza. Nel 2002 da Roma parte l’allarme dei ristoratori che non riescono più a trovare cuochi. Si legge su La Stampa: “Cuochi, meno male che ci sono gli immigrati” e proseguendo riporta le dichiarazioni di Giuseppe Sinigaglia, Direttore della scuola alberghiera Enalc e Presidente nazionale dell’Associazione maitre d’hotel di ristoranti e alberghi: “Roma non ha bisogno solo di colf e badanti extracomunitarie, ma anche di addetti alla ristorazione per mantenere viva la tradizione che. diversamente, rischia di morire. E’ ormai dagli anni Settanta che la gran parte degli allievi che hanno frequentato corsi di ristorazione non riesce a inserirsi nel mondo del lavoro per motivi diversi che riguardano sia il livello di scolarizzazione che le complessità insite nel mercato del lavoro. Così mancano cuochi e, paradosso, proprio in Italia patria della cucina, gli operatori sono costretti a ricorrere ai cuochi giovani facendoli venire dall’estero”.

“Non vogliono lasciare casa” – Sempre nel 2002, esce il ritratto dei giovani romani in età da lavoro: “Vuole un “posto fisso”, è attaccato alle proprie abitudini, alla famiglia e agli amici, ha oltre 26 anni e cerca un lavoro. E’ il profilo del giovane di Roma e provincia. Conosce il computer e l’inglese, ma non vuole lavorare all’estero”, sosteneva il rapporto elaborato da Euraction. Nel maggio 2002 esce un rapporto Censis che dipinge in maniera ben poco gradevole i giovani degli anni 2000, ovvero gli attuali 40enni e dintorni: “I giovani italiani hanno sempre meno voglia di lavorare. Non è un pregiudizio ma il risultato di un accurato studio del Censis. Il patologico immobilismo dei giovani nei confronti del lavoro si celano fenomeni diversi intrecciati fra loro. Ad esempio la paura per una condizione strutturale d’ incertezza. Ma anche l’adagiarsi sul salvagente famigliare. In ogni caso la disponibilità a lasciare la cuccia calda del proprio circondario è molta bassa”, si legge su Repubblica.

Infine, per terminare questo breve excursus storico, concludiamo con le lamentele del preside di un istituto salesiano, diffuse da Repubblica nel 2003: “Non è un problema solo di mercato, ma di mentalità dei giovani che, in molti casi, non sanno accontentarsi del primo impiego per poi guardarsi attorno”, dichiarava Paolo Zuccarato, preside dell’ Edoardo Agnelli, storico istituto torinese. “Chi non ha un diploma, ha poche possibilità. L’importante è però entrare, accettare anche se non corrisponde subito alle proprie aspirazioni, magari come orario o salario. Dopo si fa sempre in tempo a cambiare”, concludeva.

https://infosannio.com/2023/06/08/i-giovani-non-hanno-piu-voglia-di-lavorare-quella-storia-falsa-che-i-giornali-scrivono-da-piu-di-60-anni/

sabato 25 marzo 2023

Studiare e lavorare all’estero,


"Studiare e lavorare all’estero, la guida completa per scegliere il Paese giusto nel 2023. State pensando di studiare all’estero? Dalle superiori fino all’università, le opportunità non mancano: Erasmus, scambi internazionali, università straniere. Tutte le informazioni utili per scegliere la destinazione giusta nella guida di 80 pagine che si può scaricare all’interno di questo articolo." (IlSole24Ore)

Quanti di noi hanno figli che lavorano all'estero? Siamo tantissimi, ormai.
E una volta varcato il confine non fanno più ritorno se non per le vacanze estive.
E non hanno torto, fuori da questo guazzabuglio che è diventato l'Italia, tutto è diverso, è come vivere in un altro mondo: un mondo dove il lavoro c'è e viene retribuito adeguatamente, dove tutto funziona quasi alla perfezione, dove hanno anche il tempo e la possibilità di godere dei frutti del lavoro svolto, perché è chiaro che non si può vivere solo di lavoro ma anche di tempo libero.
Qui non c'è neanche quello, il lavoro, e se c'è è mal retribuito;
tanto tempo fa a lavorare ci andavano solo i capofamiglia e si viveva discretamente, poi un solo introito non bastò più perchè il costo della vita era aumentato a dismisura, e a lavorare bisognava essere in due.
Fortunatamente il lavoro c'era, si trovava ed era retribuito quasi adeguatamente, ma sorgevano altre spese, ad esempio quelle di asili nido o di babysitteraggio, quindi, parte degli introiti femminili finivano li', in altri termini funzionò come il gatto che si morde la coda. Si parlò di aiuti alle donne con asili nido in seno all'azienda in cui lavoravano, ma, come sempre succede, se ne parla e basta, quindi, non se ne fece mai nulla.
Poi si paventò un aiuto alle aziende e il parlamento legiferò producendo la famigerata legge Biagi che stravolgeva il mondo del lavoro.
Da li' in poi fu il caos.

cetta

giovedì 9 marzo 2023

Giorgia dei miracoli. - Massimo Erbetti

 

Il lavoro in Italia non c'è? Assolutamente falso, da quando è arrivata Giorgia di lavoro ce ne sta così tanto che non si sa più a chi darlo…

Non ci credete? Beh fate male, molto male…guardate qui:
"Francesco Lollobrigida: “Fino a 500 mila posti di lavoro per immigrati formati in patria”
(La Stampa 1 marzo 2023)

Per cui ben 500 mila posti ci sono…giusto? Ma non finisce qui…

"La ministra Calderone e la Mia al posto del reddito di cittadinanza: "Così taglieremo il sussidio ai single per darlo alle famiglie"
(Open 9 marzo 2023)

A parte il titolo di cui parlerò in seguito…perché mica vorremo tralasciare l'ennesima discriminazione fatta da sta gente, no? Scrivevo…a parte il titolo, se leggiamo all'interno dell'articolo, scopriamo che:
"...La relazione tecnica alla manovra individua 404 mila occupabili, ma ben 300 mila – il 75% – sono singoli. Questa platea va messa subito in grado di attivarsi. E lo faremo intervenendo sul punto debole del Reddito: la presa in carico. Ben 600 mila persone che ricevono il sussidio non sono mai passate per un Centro per l’impiego".

A parte il fatto che mi risulta difficile capire come sia possibile che "Ben 600 mila persone che ricevono il sussidio non sono mai passate per un Centro per l'impiego"... quando gli occupabili sono 404 mila…i 200 mila in più da dove vengono?...Vabbè andiamo avanti…

Ma nessuno ha pensato di dire alla ministra che i centri per l'impiego dipendono dalle regioni e la maggior parte delle regioni è amministrata dalla destra? Per cui se i centri per l'impiego non hanno funzionato, di chi è la colpa? Del reddito di cittadinanza, o dei governi regionali?...oppure bastava cambiare nome alla norma per farli funzionare?

Comunque una cosa è certa: Giorgia dei miracoli è riuscita (a parole) a moltiplicare i posti di lavoro e ad accontentare tutti…ben 500 mila posti per i migranti…e ben 400 mila o 600 mila (chissà) per gli occupabili…e alla fine siamo intorno al milione…e se non sbaglio c'era un altro che prometteva 1 milione di posti di lavoro veh?

P. S. Non mi sono dimenticato dei single…magari ne parlerò magari domani.

https://www.facebook.com/photo/?fbid=10223098032904855&set=a.2888902147289

lunedì 6 febbraio 2023

Monopoli (Bari) AAA manodopera cercasi Altra storia, altro giro…altra… - Massimo Erbetti

 

"Offro fino a duemila euro di stipendio, ma non trovo personale"
Monopoli, l’appello dell’imprenditore.
Parla il barone Vitantonio Colucci, fondatore della Plastic Puglia di Monopoli, azienda leader mondiale nel settore dell’irrigazione: cerca soprattutto autisti.

Titolava così il Corriere del Mezzogiorno il 2 febbraio 2023…e come accade "stranamente" a tutte le notizie di questo genere…in un attimo diventano virali e non c'è giornale che non ne scriva…

Insomma la storia è sempre la stessa…o quasi…"supermegaiper" stipendi offerti…"supermegaiper" bonus, vantaggi, incentivi ecc ecc ecc ecc…

All'interno dell'articolo si legge:
"Da sei mesi il fondatore dell’impresa, il barone Vitantonio Colucci, lancia offerte di lavoro, alle quali non risponde praticamente nessuno. Nella sede di viale Aldo Moro, nata nel 1967, sono alla ricerca di autisti, meccanici, elettricisti, carpentieri e manovali generici per le operazioni di carico".

Insomma sarà la solita storia "inventata" per far apparire gli italiani come fannulloni che cercano lavoro e pregano il cielo di non trovarlo? …Che stanno sul divano perché c'è il reddito di cittadinanza? …Sarà la solita storia "truffa" dove non è vero niente, falsi i "supermegaiper" stipendi, falsi i bonus…tutto inventato ad arte?

E invece no…tutto vero stavolta…verissimo, azienda solida, stipendi reali…bonus esistenti, però con un "piccolissimo"...quasi "insignificante" particolare…

Segnatevi bene a mente questo passaggio dell'articolo:
"...sono alla ricerca di autisti, meccanici, elettricisti, carpentieri e manovali generici per le operazioni di carico".
Ok? Ricordatevi bene le figure professionali, mi raccomando, perche ci serviranno tra poco

Passano 2 giorni e sul Gazzettino del 4 febbraio 2023 appare un secondo articolo in merito alla questione:
"Imprenditore offre 2mila euro al mese, arrivano 300 curriculum: ma hanno tutti più di 50 anni"
(Il Gazzettino 4 febbraio 2023)

Cavolo, in 2 giorni 300 CV…prima nemmeno uno e adesso addirittura 300 in 2 giorni? Strana sta cosa…peccato che gli aspiranti siano tutti troppo vecchi, e peccato anche che si fa passare il messaggio subliminale che i giovani non hanno voglia di lavorare…

Ma aspettate, non abbiate fretta, perché non finisce qui, leggendo l'articolo si scopre la verità…quella vera:
"Abbiamo chiesto nuovo personale perché come azienda siamo in crescita"..."Ma le persone che hanno presentato i curriculum e si sono presentate non hanno la giusta formazione per essere inseriti nella nostra catena di produzione. Non rispondono alle nostre esigenze….o non fanno al caso nostro. Oppure c'è chi fino a ieri faceva il cameriere e poi ha inviato il curriculum. Senza nulla togliere alla professione del cameriere da noi non c'è tempo per la formazione e stare vicino a macchinari che costano milioni di euro non è assolutamente facile oltre che pericoloso. Volevamo assumere dei giovani ma questi ultimi, che spesso escono anche da un percorso scolastico, non hanno una preparazione tale da poter affidare loro compiti da specializzati".

Ma come? Vi ricordate cosa vi ho detto di tenere bene a mente?
"...sono alla ricerca di autisti, meccanici, elettricisti, carpentieri e manovali generici per le operazioni di carico".

Adesso si scopre che cercavano personale altamente specializzato a cui affidare "macchinari che costano milioni di euro"...altro che autisti meccanici…manovali generici…e poi non è vero che i giovani non hanno inviato curriculum…li hanno inviati, ma "non hanno una preparazione tale da poter affidare loro compiti da specializzati"

E anche per oggi è tutto…AAA Paese serio cercasi. 

https://www.facebook.com/photo?fbid=10222920560788163&set=a.2888902147289

lunedì 22 agosto 2022

Il costo del lavoro.

 

"Lo sapevate che in Italia il costo del lavoro è di 2.2? Cosa significa?
Se tu dipendente guadagni 1600,00 lordi
Il tuo datore di lavoro ne versa altri 1920,00
Tu poi al netto percepisci 1200
In poche parole tu generi un costo di 3520,00 ma ne percepisci solo 1200 e lo stato se ne trattiene 2320,00, quasi il doppio.
In passato queste trattenute potevano essere considerate oneste perché in cambio lo stato garantiva servizi al cittadino come:
- sanità pubblica
- istruzione
- smaltimento rifiuti
- approvvigionamento energia elettrica e gas
- strade percorribili
- autostrade
- acqua
A oggi mi sembra doveroso ragionarci su un attimo
- sanità = se devo fare un esame in tempi ragionevolmente brevi è meglio andare da privato e pago
- istruzione = stendiamo un velo pietoso
- smaltimento rifiuti = privatizzato quindi lo pago 2 volte
- energia elettrica e gas = privati quindi pago 2 volte con l'aggiunta della recente estorsione
- strade = rotte e pervenuta privatizzati i parcheggi quindi pago per la manutenzione, le posso percorrere ma non posso sostare senza pagare
- autostrade= privatizzate quindi le pago 2 volte
- acqua= non sono ancora riusciti a privatizzarla ma manca poco.
Non dimentichiamoci che poi con l'illusione dei tuoi 1200,00 oltre che pagare i servizi sopra elencati abbiamo ancora
- canone RAI
- bollo auto
- imu casa
- 22% di iva sugli acquisti
MA SIETE VERAMENTE SICURI CHE IL PROBLEMA IN ITALIA SIA LA BENZINA A €2,10?
E soprattutto
SIAMO SICURI DI ESSERE VERAMENTE INDIVIDUI LIBERI?"

mercoledì 2 febbraio 2022

Più occupati: bene donne e under 50, male gli autonomi. - Claudio Tucci

 

A dicembre tasso di occupazione al 59%. Ma rispetto a febbraio 2020 ancora 286mila lavoratori in meno. A novembre e dicembre primi segnali di frenata.

I punti chiave


Il 2021 si è chiuso con +540mila occupati, -184mila disoccupati e -653mila inattivi (tra cui moltissimi scoraggiati). Il tasso di occupazione è salito al 59% (+1,9% tendenziale), tornando ai livelli pre Covid. A dicembre c’è un miglioramento dell’occupazione femminile (+54mila unità in un mese), ma continua il crollo degli indipendenti (-51mila nel confronto su novembre, -50mila sull’anno), a testimonianza di come la ripartenza del lavoro si stia concentrando sul lavoro alle dipendenze: sull’anno, +157mila lavoratori a tempo indeterminato e +434mila a termine. Tra i giovani il tasso di disoccupazione è sceso al 26,8 per cento.

Tra nodi economici e mismatch.

Tutto bene così, quindi? La fotografia scattata dall’Istat su dicembre 2021 mostra luci e ombre. Negli ultimi due mesi dell’anno, novembre e dicembre, il numero di occupati è stabile (anzi in lieve calo) colpa di un clima di incertezza piuttosto generalizzato prodotto da un mix di fattori: il perdurare della pandemia con un elevato numero di contagi, il riaccendersi dell’inflazione, i rincari dei costi dell’energia (i prezzi di gas ed elettricità schizzati alle stelle), le difficoltà nelle forniture di materie prime e semilavorati, rigidità normative. La crescita del Pil è una buona notizia, ma sono urgenti misure ad hoc per non rallentare la ripresa occupazionale. Rispetto al periodo pre pandemia, poi, se il tasso di occupazione è tornato allo stesso livello (59%), il tasso di disoccupazione è ancora inferiore di 0,6 punti e quello di inattività è salito dal 34,6% al 35,1%. Senza considerare poi l’elevato valore del mismatch: una assunzione prevista su tre è difficile, specie nelle materie tecnico-scientifiche. È ormai urgentissimo rilanciare il link scuola-lavoro, massacrato dai precedenti governi.

Primeggiano i contratti a termine.

L’aumento dell’occupazione è trainato dai rapporti a termine: a dicembre, su novembre, i lavoratori temporanei crescono di 59mila unità (è l’unica tipologia contrattuale che aumenta). Sull’anno i lavoratori a tempo sono 434mila.
Il tasso di occupazione femminile sale al 50,5%.
Una buona notizia arriva dalle donne, il cui tasso di occupazione a dicembre sale al 50,5% (ma quello maschile è al 67,6%). In un anno ci sono 377mila occupate in più. Le donne, tuttavia, sono più soggette a lavori temporanei. In quest’ottica, bisogna subito migliorare nelle misure di conciliazione vita-lavoro, con incentivi più robusti. Le donne occupate sono 9 milioni 650mila le donne, gli uomini 13,1 milioni.

Migliora la fascia under 50, male gli autonomi.

Nei dati dell’Istat emerge un miglioramento dell’occupazione nella fascia 35-49 anni, quella centrale del lavoro (+8mila occupati sul mese). In generale, sale l’occupazione di tutta la fascia under50, +29mila tra i 25 e i 34 anni. Continua invece il crollo del lavoro autonomo, specie nei servizi, ancora in fortissimo affanno. Probabilmente, su tutto il lavoro indipendente, è tempo di iniziare a fare una profonda riflessione (e trovare maggiore attenzione nel Legislatore).

giovedì 18 novembre 2021

Lavoro sottopagato – Ecco cosa offre il mercato: stipendi da fame con la promessa di “inquadramento” e stage-truffa con il requisito di due anni di esperienza. - Charlotte Matteini

 

Per farsi un'idea delle storture basta un giro sui portali dedicati. Full time a 500 euro al mese e condizioni al limite della legalità non sono un'eccezione. E quando si chiedono chiarimenti sulle offerte fuorilegge le aziende parlano di errori durante la pubblicazione dell'annuncio. Un quadro che aiuta a mettere nella giusta prospettiva il dibattito sul salario minimo e gli strali di ristoratori o imprenditori che raccontano di non trovare dipendenti “perché i giovani non hanno voglia di lavorare” o "per colpa del reddito di cittadinanza". 

“Si tratta di un refuso: non serve esperienza pregressa”. “È stata una svista, lo modificheremo”. Sono le risposte fotocopia arrivate a ilfattoquotidiano.it da datori di lavoro che attraverso annunci online cercavano “tirocinanti” ma con uno o più anni di esperienza. Ovvero lavoratori a tutti gli effetti che queste società volevano però inquadrare con il contratto di tirocinio, che per legge è un periodo di formazione e prevede compensi molto bassi. E’ solo un esempio delle storture di un mercato in cui offerte di lavoro full time a 500 euro al mese e condizioni al limite della legalità non sono un’eccezione. Per farsi un’idea della situazione basta un giro tra gli annunci pubblicati sui portali dedicati. Il risultato aiuta a mettere nella giusta prospettiva sia il dibattito sulla necessità di fissare per legge un salario minimo sia gli strali di ristoratori o imprenditori che (smentiti dai numeri, ma molto ascoltati da alcuni partiti) raccontano di non trovare dipendenti “perché i giovani non hanno voglia di lavorare” o “per colpa del reddito di cittadinanza“.

L’agenzia per il lavoro Gesfor, con sede a Salerno, cercava attraverso Indeed un manutentore che avesse almeno un anno di esperienza alle spalle per un’azienda operante nel settore della produzione e commercializzazione di prodotti dolciari, offrendo un tirocinio. Contattata, si è difesa sostenendo che l’annuncio fosse stato pubblicato per errore e che su LinkedIn si poteva trovare il testo corretto. In realtà, anche su LinkedIn la richiesta era identica. E’ stata cancellata e sostituita da altre – senza la richiesta di esperienza pregressa – solo dopo la segnalazione de ilfattoquotidiano.it. Idem con l’associazione Consaf di Torino, che era alla ricerca di un barista con pregressa esperienza per un tirocinio full time dal lunedì al sabato in orario pomeridiano e serale. Anche in questo caso, contattata telefonicamente, l’agenzia formativa ha dichiarato di aver pubblicato l’annuncio per sbaglio, promettendo che avrebbe provveduto a modificare il testo dell’offerta.

Cambiando settore, i problemi restano gli stessi. Dealflower è una testata giornalistica di Milano nata lo scorso giugno che da mesi cerca attraverso LinkedIn uno stagista con almeno due anni di esperienza per un tirocinio formativo in redazione. “Essendo appena nati non abbiamo le risorse per aggiungere un’altra persona con alto livello di seniority e questo spiega l’offerta di stage”, spiega la direttrice Laura Morelli. Comunque l’esperienza “non è assolutamente obbligatoria” e “uno o due anni può significare molte cose, come una piccola o saltuaria collaborazione con qualsiasi realtà editoriale, la frequentazione di una scuola di giornalismo o di qualche stage nell’ambito del percorso di studi. Serve per trovare qualcuno che sa almeno riconoscere come è fatto un comunicato stampa e ha un minimo di infarinatura della professione”. Nessuna risposta è arrivata alle domande sul trattamento economico previsto.

Non sono solo le offerte di stage a presentare le peggiori storture. Nell’ambito della cura della persona, le vette sono spesso inarrivabili. A Nola, per esempio, si ricerca una donna delle pulizie che lavori per 400 euro mensili – 500 euro in caso sia automunita – dalle 6.45 del mattino alle 14.30 dal lunedì al sabato. Il datore di lavoro, non pago dell’offerta, sottolinea: “Astenersi perditempo. Siete pregati di contattarmi solo se avete voglia di lavorare. Siete pregati di non dare fastidio. Evitate di essere mandati a quel Paese”. Chissà se è questo che intendono imprenditori e politici quando parlano della necessità di “soffrire e mettersi in gioco”.

Passiamo alla ristorazione? Nulla cambia. A Napoli, la pizzeria Pizza&Sfizi cerca un cameriere di sala per 8 turni settimanali – suddivisi dalle 10:00 alle 17:00 dal lunedì al sabato e il venerdì e il sabato dalle 18:00 a chiusura – per 120 euro a settimana. “Con possibilità di essere inquadrato”. E avverte: “Attenzione: il lavoro è adatto a un ragazzo con poca esperienza, ma con tanta voglia di lavorare”. Com’è umano, lei, verrebbe da replicare. Ilfattoquotidiano.it ha provato a chiedere conto dell’offerta, ma nessuno ha voluto rispondere alle domande. Sempre a Napoli, la caffetteria l’Oro Nero cerca “una figura femminile per consegne esterne più aiuto all’interno del locale”. La paga? 500 euro mensili più mance per un full time che prevede una settimana alternata di sei giorni lavorativi dalle 7.30 alle 14 o dalle 13.30 alle 20.00. Sempre meglio che stare sul divano, no? Raggiunti al telefono, hanno dapprima tergiversato e poi dichiarato trattarsi di uno stage. Tutto regolare, nessun lavoro nero, sostengono.

Uno spaccato illuminante nei giorni in cui il tema del salario minimo è tornato al centro del dibattito pubblico. Pd e M5s sono favorevoli all’introduzione di una legge che fissi un minimo sotto il quale un datore di lavoro non può scendere. Ma la misura – che attualmente è in vigore in 21 dei 27 Paesi dell’Unione Europea – trova il muro di Confindustria e non solo. In particolare, i sindacati confederali sostengono che il salario minimo depotenzierebbe lo strumento dei CCNL andando a comprimere i diritti dei lavoratori. Attualmente in Italia esistono oltre 900 contratti collettivi nazionali diversi e, nonostante questo, sono milioni i lavoratori che rimangono fuori dalla contrattazione collettiva nazionale, esposti a proposte di sfruttamento illegittime con stipendi bassissimi e zero diritti, come dimostrano le decine di offerte di aziende, commercianti e ristoratori che cercano manodopera al massimo ribasso. Se così tanti datori di lavoro non hanno remore a pubblicare annunci che fanno a pugni con il buon senso e le normative, non è che il problema non sono i giovani che non hanno voglia di mettersi in gioco ma la qualità delle offerte lavorative?

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/20/lavoro-sottopagato-ecco-cosa-offre-il-mercato-stipendi-da-fame-con-la-promessa-di-inquadramento-e-stage-truffa-con-il-requisito-di-due-anni-di-esperienza/6338427/

mercoledì 27 ottobre 2021

Lavoro.




































Grazie alla legge Biagi, il lavoro divenne un'utopia, una chimera che favoriva solo i datori di lavoro. Lo sapevano quelli che l'hanno proposta, quelli che l'hanno approvata, quelli che l'hanno varata.
Presidente del consiglio dei ministri dell'epoca, anno 2003, era niente poco dimeno che: Berlusconi!
Con Renzi, suo accanito ammiratore, il concetto di lavoro venne ulteriormente massacrato, imbastardito, anche se la legge Biagi fu abrogata.
Eppure la Costituzione spiega, senza possibilità di fraintendimenti o diverse interpretazioni, che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro.

L'articolo 1 recita:
"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione."

Quali punti di questo articolo è stato rispettato dai nostri amministratori?
Lo dico io: NESSUNO!
Ed è per questi motivi che dovremmo scendere in piazza a manifestare, non contro l'obbligo di mostrare i green pass o per esercitare un diritto male interpretato di sottoporsi o meno alla somministrazione di vaccini, peraltro sacrosanta!
Ci hanno turlupinato, ci hanno traditi, ci prendono continuamente per i fondelli, ci hanno privato di ogni diritto, e noi glielo abbiamo permesso.
La colpa di ciò che gli permettiamo di fare è nostra, noi siamo il popolo, noi siamo i sovrani della nostra nazione, noi ne reggiamo le sorti, l'economia... ma sono solo loro a goderne dei frutti!

cetta


 

giovedì 23 settembre 2021

Giovani in fuga dalle professioni verso il posto fisso: perché calano gli abilitati. - Antonello Cherchi e Valeria Uva

 

Diminuiscono i giovani che superano gli esami di Stato e anche i praticanti in alcune categorie sono in flessione. Pesano l’allungamento dei tempi per l’impiego dopo la laurea e le difficoltà di carriera.

È allarme giovani per le professioni. Gli ultimi dati degli esami di abilitazione che aprono le porte degli Albi professionali sono preoccupanti: i laureati che si sono iscritti e hanno superato l’esame di Stato sono diminuiti del 15,5% negli ultimi dieci anni, dal 2010 al 2019. In termini assoluti, guardando ai dati del ministero dell’Università e della ricerca su chi ha superato le prove (quelli dei candidati non sono disponibili), in quest’arco di tempo si sono “persi” 7mila accessi al mondo professionale: erano 45.177 gli abilitati del 2010 (di cui il 55% donne), mentre quelli del 2019 sono 38.172, con un incremento di tre punti percentuali per la componente femminile.

Commercialisti dimezzati.

Certo entrando nel dettaglio delle singole categorie la realtà è molto più composita: accanto a professioni dimezzate, come i commercialisti (-64%) e gli ingegneri dell’informazione (-76%), ci sono anche categorie che non arretrano, ma al contrario registrano un significativo progresso. È cosi per gli ingegneri civili e ambientali (+ 22% ) e per i medici (+25%) e per un’altra manciata di professioni i cui sbalzi da record sono dovuti anche ai numeri comunque molto bassi (paesaggisti e tecnologi alimentari tra questi). Assenti, in questa fotografia, solo i consulenti del lavoro, perché i dati sulle abilitazioni solo disponibili solo a livello territoriale.

Il calo dei nuovi ingressi nelle professioni ordinistiche riflette anche la sfiducia dei giovani verso il percorso universitario breve, ovvero la sola laurea triennale. Vistosi segni meno compaiono, infatti, accanto ai profili junior. Così ad esempio per gli architetti (-70% nel decennio, tanto che all’ultimo esame sono passati in meno di cento) e per tutte le specializzazioni dell’ingegneria, mentre per i geometri (-41% dal 2015) proprio l’avvio del percorso di laurea triennale accanto al diploma potrebbe aver allungato i tempi delle abilitazioni ed essere tra le cause del calo.

Il segno meno però è un primo segnale allarmante per tutti. Anche perché nel breve termine non si vede inversione di tendenza: il calo demografico, infatti, comporterà comunque una riduzione della platea dei laureati e di conseguenza di chi si avvicinerà alla libera professione.

Gli Albi resistono.

Il problema è concentrato soprattutto sui giovani. Come ha dimostrato anche «Il barometro delle professioni», l’inchiesta in più puntate del Sole 24 ore del Lunedì appena conclusa. Quasi tutte le categorie analizzate hanno visto crescere - anche se in alcuni casi in misura minima, come per i commercialisti - gli iscritti nel periodo 2010-2020: così è stato per avvocati, notai, ingegneri e architetti. Fanno eccezione i consulenti del lavoro, passati dai 26.788 del 2010 ai 25.279 del 2020 (-5,6%). Anche negli Albi in crescita scarseggiano, però, le «vocazioni»: praticanti dimezzati, ad esempio, per commercialisti e notai.

A scoraggiare i neolaureati a intraprendere il lavoro autonomo sono i percorsi ancora lunghi di accesso, che dopo la crisi economica si sono ulteriormente appesantiti. Secondo Almalaurea, ai laureati di secondo livello nel 2015 per trovare lavoro è servito in media quasi un anno, contro i 9,8 mesi del 2012 (laureati 2007). Con tempi raddoppiati per gli architetti e punte di 23 mesi di attesa per gli avvocati (si veda il grafico a fianco).

Pesa poi la gavetta dei primi anni. La distanza tra i redditi medi dichiarati alle Casse da tutti gli iscritti e quelli dei giovani under 35 (rilevata dal «Barometro»)  è a volte un fossato. Al primo posto gli avvocati: i 16.480 euro di media degli under 35 sono distanti due volte e mezza dai 40mila della media di categoria. Situazione analoga per i commercialisti: 2,3 volte più basso della media il reddito dei giovani.

Ma i giovani non sono l’unico anello debole. Come rileva il Censis, la differenza di reddito fra uomini e donne è di circa 15mila euro, rispettivamente 122% e 78% sul valore medio.

C’è poi la diversa condizione reddituale fra un professionista del Nord e uno del Mezzogiorno: la differenza in questo caso supera i 14mila euro a sfavore del secondo. Divari che si innestano su una situazione di arretramento complessivo dei redditi (si veda l’intervista).

Il fenomeno cancellazioni.

Gli Ordini cominciano a fare i conti anche con l’aumento degli abbandoni, fenomeno che ridimensiona la crescita degli iscritti agli Albi. Per esempio, se si prende in considerazione una delle categorie più affollate come quella degli avvocati, dal 2012 al 2019 è raddoppiata la quota di coloro che hanno lasciato la Cassa di previdenza (circa 6mila professionisti). Fenomeno che, secondo Cassa forense, è destinato a crescere per effetto delle chance di impiego nella pubblica amministrazione offerte dal Pnrr (si veda Il Sole 24 Ore del 26 luglio).

Un percorso quello verso il classico “posto fisso” che è già tracciato per gli ingegneri, grazie alla fortissima domanda di mercato: dei 27mila laureati del 2018, solo 7.900 hanno scelto di abilitarsi e, di questi, solo la metà (3.570) ha deciso di iscriversi all’Albo. Questi ultimi sono soprattutto i progettisti, per i quali l’abilitazione è obbligatoria, mentre gli altri ingegneri (soprattutto quelli gestionali e informatici) sembrano preferire il lavoro dipendente e fare, pertanto, a meno dell’Albo.

Una tendenza che le opportunità offerte dal Pnrr potranno amplificare. E non solo per gli ingegneri.

Illustrazione di Giorgio De Marini

Il Sole 24 Ore

venerdì 17 settembre 2021

Siete proprio sicuri? - Marco Travaglio

 

Come volevasi dimostrare, l’obbligo vaccinale annunciato da Draghi il 3 settembre era una bufala: il premier sapeva benissimo che non si può fare il Tso a 4-5 milioni di persone, salvo essere il Turkmenistan, la Micronesia o la Polinesia. Così ha optato per la soluzione saudita: imporre il vaccino senza avere il coraggio di imporlo, cioè vietare di lavorare a chiunque non esibisca il Green pass o un tampone fresco di almeno 48 ore. Noi – lo ripetiamo per gli imbecilli che confondono vaccini, tamponi e Green pass, dunque No Vax, No Pass e magari No Tav – siamo favorevolissimi ai vaccini (volontari, non forzati) e al Green pass per chi lavora con soggetti fragili (in ospedali e Rsa) e per il tempo libero (in ristoranti, bar, cinema, teatri, musei, stadi, concerti…). Ma nutriamo molte perplessità quando c’è di mezzo il diritto su cui è fondata la Repubblica: il lavoro. Dubbi non filosofici o costituzionali (in casi gravi l’articolo 32 giustifica pure l’obbligo vaccinale), ma pratici. Qual è lo scopo del Green pass? Contenere il più possibile i contagi e dunque indurre il maggior numero di persone a vaccinarsi, visto che i vaccinati rischiano di morire, ammalarsi in forma grave e contagiare altri molto meno dei non vaccinati. Finora gli italiani hanno aderito in massa alla campagna e, stando a Figliuolo, siamo prossimi alla copertura dell’80% dei vaccinabili, sia pur più lentamente delle sue mirabolanti road map. Siccome la campagna prosegue, si può puntare al 90%, sempre senza costrizioni.

Che bisogno c’è di forzare la mano all’improvviso, senza uno straccio di dibattito parlamentare, col Super Green Pass e le sue odiose sanzioni (multe, sospensioni dal lavoro, demensionamenti, discriminazioni fra chi può pagarsi i tamponi e chi no)? Perché irrigidire l’ampia fetta di non vaccinati “perplessi”, che attendono di essere convinti, e gettarli con minacce e divieti fra le braccia dei No Vax ideologici? Se siamo i migliori d’Europa, perché tutti gli altri Paesi (peggiori di noi e con più No Vax di noi) non pensano neppure alla tessera verde per lavorare? Se l’80% degli over 12 sono vaccinati e dunque – sempre secondo la vulgata ufficiale – quasi totalmente al sicuro, che problema c’è se incontrano qualche raro non vaccinato con mascherina e distanziamento? Se almeno il governo ci mettesse la faccia con l’obbligo vaccinale, potrebbe punire i fuorilegge: ma, senza l’obbligo, è il governo stesso a riconoscere il diritto a non vaccinarsi. E allora che senso ha imporre a chi lo esercita il pizzo del tampone per lavorare, come – se fra l’altro – tampone e vaccino fossero intercambiabili e non due cose diversissime? Un supplemento di riflessione farebbe bene a tutti. Persino ai Migliori.

ILFQ

martedì 3 agosto 2021

Lavoro, dagli ingegneri agli esperti «green»: ecco i profili introvabili in Ue. - Cristina Casadei



 














(Illustrazione di Giorgio De Marinis / Il Sole 24 Ore)

In Francia l’88% delle imprese non trova le competenze di cui ha bisogno, in Italia l’85%, in Germania l’82%. In Cina e Stati Uniti la carenza esiste ma è ridotta al 28% e al 32%. L’evoluzione tecnologica allontana domanda e offerta di lavoro.

Vicino alla città di Crolles, a quasi 20 chilometri da Grenoble, nel sud est della Francia, c’è una fabbrica che produce microscopici manufatti, considerati l’oro dei nostri giorni: sono quelle piastrine di silicio, i chip, che troviamo nei sensori delle auto, negli oggetti quotidiani dell’internet of things e negli smartphone.
Fa parte del gruppo ST, leader nel mondo nella produzione di componenti elettronici. Dopo gli ampliamenti del passato, oggi ci lavorano 2.400 tecnici e 2mila ingegneri. Anche loro considerati l’oro del nostro tempo. Molto ricercati, ma introvabili e contesi. In un paese, dove, «secondo la Banca di Francia, quasi un’impresa su due non trova risposta alle sue offerte di lavoro», ha sottolineato il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, nel suo discorso alla nazione del 12 luglio. Macron ha da sempre nella sua agenda politica gli interventi per risolvere il mismatch domanda-offerta di lavoro. Un tema ancora più urgente adesso che «la nostra priorità è ritrovare non solo il livello di occupazione antecedente alla pandemia, ma di inserirci nella traiettoria del pieno impiego».

I DATORI DI LAVORO CHE HANNO DIFFICOLTÀ A TROVARE I PROFILI PER I POSTI VACANTI

Il confronto internazionale. Dato 2021, in % - Nota: Indagine Talent shortage di Manpowergroup su 42mila datori di lavoro

I DATORI DI LAVORO CHE HANNO DIFFICOLTÀ A TROVARE I PROFILI PER I POSTI VACANTI

I 22 milioni di europei verso il mercato del lavoro.

In Europa nel post pandemia ci sono «22 milioni di persone che dovranno ritrovare la strada del mercato del lavoro - spiega Stefano Scarpetta, direttore dell’area lavoro dell’Ocse. - Ci sono 8 milioni di disoccupati in più rispetto al periodo precrisi e 14 milioni di inattivi. Il disallineamento delle competenze è una tendenza di lungo periodo che si è accentuata con la pandemia in tutti i paesi».
La carenza dei talenti, di cui parliamo sempre per l’Italia, è un’emergenza internazionale e proprio per questo ancor più difficile da risolvere.
Nell’indagine Talent shortage, della multinazionale dei servizi per il lavoro ManpowerGroup, su 42mila datori di lavoro nel mondo, la percentuale di chi ha difficoltà a trovare lavoratori con le giuste competenze, nel 2021, è ai massimi da 15 anni: parliamo di quasi 7 datori di lavoro su 10. Stefano Scabbio, presidente del Sud Europa di ManpowerGroup, spiega che «in un mondo in cui i modelli di business delle aziende si stanno trasformando con grande rapidità e che ha registrato tassi di disoccupazione sempre più alti a causa della pandemia, il talent shortage si afferma con sempre maggiore forza. In Italia, quest’anno, ha raggiunto l’85%, il dato più alto di sempre, quasi raddoppiato negli ultimi 3 anni. Ma il fenomeno non è solo italiano: in Europa le aziende che riscontrano carenza di talenti sono in aumento in quasi tutti i paesi, con picchi in Francia dove raggiunge l’88%, Svizzera e Belgio con l’83%, Germania con l’82%». Diverso il discorso al di fuori dell’Europa. Nelle grandi economie, oggi trainanti, questo fenomeno è praticamente dimezzato con la Cina al 28%, gli Stati Uniti al 32% e l’India al 43%.

Gli ingegneri introvabili.

Da Crolles percorrendo 400 chilometri verso est si sconfina in Brianza dove, ad Agrate, c’è un’altra fabbrica di ST, recentemente ampliata con uno stabilimento di 65mila metri quadrati su più piani. Caratteristica dell’impianto è la lavorazione di fette di silicio da 300 mm, o dodici pollici, di diametro. È il primo impianto per fette così grandi in Italia. Qui lavorano 2mila tecnici e 2.550 ingegneri.
Preziosissimi, introvabili tanto quanto in Francia. «Per grandi realtà produttive come Agrate e Crolles le competenze più critiche da reperire sono legate alle discipline Stem - ci racconta Gualtiero Mago, group vice President human resources di ST Italia - In assoluto le posizioni più difficili sono quelle di maintenance ed equipment engineer o tecnico di manutenzione, specialisti che operano su macchinari estremamente complessi. Solo ad Agrate ne abbiamo più di 30 aperte».
Difficili da trovare? Molto, perché «purtroppo mancano percorsi formativi specifici per una professionalità in così rapida evoluzione e che evolverà ancora». ST, ad Agrate come a Crolles, ha piani di sviluppo che prevedono molti inserimenti. Per evitare che la mancanza di determinati profili e competenze possa rallentare i piani sono state avviate iniziative specifiche in Italia e in Francia per avvicinare i mondi del sapere e del fare.
Tra queste, in Italia, la collaborazione con la Fondazione ITS Lombardia Meccatronica, gli ITS, IFTS e le Università, in particolare l’università di Catania per il Master di primo livello in Smart Manufacturing Production Engineering and predictive maintenance.

La transizione green e digitale.

Per ricostruire il quadro abbiamo cercato il presidente della World Employment Confederation-Europe, Herman Nijns che, a una vista globale, ne affianca una specifica su Belgio e Lussemburgo, dove è ceo di Randstad. Nijns spiega che «i disallineamenti di competenze sono una preoccupazione crescente in molti paesi europei. Dai dati Ocse, ad esempio, Austria, Belgio, Francia, Germania e Italia. Prima della pandemia, la carenza di competenze era già ai massimi storici e recenti ricerche evidenziano che il problema non è scomparso». Anche per questo, continua Nijns «il 42% delle aziende sta dando maggiore importanza agli sforzi di riqualificazione e miglioramento delle competenze dopo l’epidemia di Coronavirus». Nell’interpretazione che ne dà Nijns «le esigenze e le discrepanze di competenze sono fortemente guidate dallo sviluppo economico e dalla struttura delle economie in Europa. Guardando ai paesi della Ue, la maggior parte sta attualmente attraversando una doppia transizione, quella verde e quella digitale. Sia la transizione digitale che quella verde richiedono nuove competenze e hanno aumentato la domanda in alcuni settori, come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le energie rinnovabili».

L’informatizzazione del paese a rischio.

Secondo i datori di lavoro, la carenza è particolarmente acuta in ambito digitale. Lo sa bene Rinaldo Ocleppo, il presidente del gruppo di servizi It, Dylog. Sulla crescita della società e dei progetti incombe la fatica «a trovare persone skillate sui framework più nuovi, web cloud e reti – dice Ocleppo. - L’arrivo delle ingenti risorse del Pnrr, non essendoci le persone, rischia di generare un aumento dei salari ma non delle attività di informatizzazione del paese, se non si fa un percorso efficace di formazione e orientamento dei giovani».
Al punto che il gruppo si trova a dover «rinunciare a portare avanti determinati progetti». Un esempio? «Proprio nelle scorse settimane - racconta Ocleppo - stavamo cercando 15 persone per creare un gruppo di lavoro per riscrivere un prodotto in cloud. Ne abbiamo trovate 2 a Torino, 2 a Catania, 2 a Bari, ma la realtà è che se lei vuole costruire un gruppo di lavoro di 20 persone con le competenze su web, reti e cloud a Torino non le trova». Anche perché cresce «il fenomeno di multinazionali inglesi o tedesche che assumono talenti nel nostro paese e li lasciano a lavorare in smart working in Italia, con stipendi molto più alti dei nostri».

L’invecchiamento della popolazione.

A determinare le dinamiche del mercato del lavoro non sono solo la transizione digitale e quella green, ma «anche l’invecchiamento delle società che porta ad un aumento della domanda nel settore sanitario e dell’assistenza agli anziani, professioni che sono state al centro dell’attenzione durante la pandemia di Covid-19 - dice Nijns -.Oltre a questo, vediamo molti posti vacanti per persone poco qualificate che sono anche difficili da riempire. Ciò significa che le politiche attive in molti paesi europei non sono ancora pienamente efficienti».

La formazione strategica.

Se i dati Ocse ci dicono che nel post pandemia ci sono 22 milioni di persone che dovranno reinserirsi nel mondo del lavoro, «ammesso che non tutti coloro che hanno perso il lavoro dovranno trovarne uno diverso da quello che facevano, è evidente che questa crisi ha accelerato un cambiamento già in atto: saranno creati nuovi posti e molti non esisteranno più. In questo quadro la formazione gioca un ruolo essenziale - interpreta Scarpetta -. Bisogna agire attraverso il profilaggio delle persone e delle opportunità, rivolgendosi agli intermediari come le agenzie del lavoro che conoscendo bene il mercato possono aiutare l’incrocio domanda offerta, riformando i centri per l’impiego e lavorando per mettere in relazione mondo della scuola e del lavoro. C’è molto da fare, soprattutto in un paese come l’Italia, ma la buona notizia è che forse stavolta ci sono ingenti risorse che il Pnrr ha messo a disposizione di tutti i paesi, che, seppure in maniera diversa, sono tutti coinvolti dal tema del mismatch. Queste risorse sono molto preziose e vanno investite in modo oculato».

La competizione internazionale.

In questa fase St che, secondo i dati 2020 ha un giro d’affari di 10,22 miliardi e un utile netto di 1,11 e dà lavoro a 46mila persone nel mondo, sta crescendo fortemente e deve rispettare ritmi di consegna molto sostenuti a causa della ingente richiesta mondiale di chip. Impresa non facile con posizioni aperte su diversi ruoli, soprattutto legati alla manutenzione e la fame mondiale che c’è nell’It di tecnici e ingegneri. Quello che raccontano dalla società si può considerare un po’ l’eco del sentimento espresso da migliaia e migliaia di datori di lavoro che stanno combattendo per portarsi in casa le competenze che servono in uno scenario internazionale. Scarpetta dice che stiamo parlando di tendenze che «valgono per tutti i paesi. Non c’è una specificità italiana, europea o americana. Ci sono delle tendenze di lungo periodo, iniziate già da tempo e che con la crisi pandemica si sono accentuate, con la forte pressione che c’è oggi sulle competenze digitali che si applicano a tante professioni, anche le più tradizionali. Poi è vero che ci sono anche elementi più specifici per ciascun paese».

Le risposte.

Trovare le risposte però non è semplice. «La prima poteva essere quella di affrontare il tema attraverso i flussi migratori ma è difficile farlo nel breve periodo, a maggior ragione adesso che con la crisi pandemica i flussi migratori si sono ridotti - continua Scarpetta -. La migrazione può essere una variabile di aggiustamento che può aiutare squilibri tra domanda e offerta ma il problema è che oggi tutti i paesi sono in una situazione simile. L’Italia forse è messa un po’ peggio in termini di competitività perché offre salari più bassi rispetto ad altri paesi e ha un tema di integrazione dei migranti».
Quindi? «Bisogna fare un enorme sforzo sulla formazione dei giovani e anche degli adulti per far sì che possano acquisire le competenze chieste dal mercato. L’Italia è molto indietro sulla formazione continua degli adulti - aggiunge Scarpetta -, ma, come hanno spiegato i dati Invalsi, lo è anche su una fetta significativa di giovani che rischiano di essere analfabeti funzionali che non hanno le competenze che dovrebbero avere alla loro età. Il Governo italiano sembra però aver colto questa urgenza».
Il tema è così rilevante da essere stato messo nell’agenda di governanti, a partire dal presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron e dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi. Tutti uniti dalla comune volontà di portare i propri paesi verso tassi di disoccupazione più bassi e stimolare un allineamento delle competenze che possa supportare la crescita generata anche grazie ai finanziamenti del Pnrr.

IlSole24Ore