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martedì 22 ottobre 2024

La deriva istituzionale. - Massimo Giannini

Nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale, la democrazia italiana mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile.

Era dai tempi del berlusconismo da combattimento che non si vedeva un potere dello Stato colpire al cuore, con tanta virulenza, un altro potere dello Stato. E non vi fate incantare dalla tv di regime, che all’ora di cena serve nel piatto degli italiani la solita sbobba rancida della “guerra tra politica e giustizia”. Non è così: qui, come in Ucraina, non ci sono due combattenti, ma solo un aggressore e un aggredito. Come prevedeva l’ortodossia del rito arcoriano, c’è un governo che si proclama sciolto dal principio di legalità, perché protetto dal voto del popolo che lo ha eletto. E dunque accusa di “golpismo” qualunque magistrato che, nel normale esercizio delle sue funzioni, osi giudicare il suo operato in base ai principi dell’ordinamento giuridico interno e internazionale. Nello stesso giorno succede l’impensabile. La premier Meloni, affiancata dalla “guardia nera” di La Russa e i suoi Fratelli, bastona i giudici di Roma. Il vicepremier Salvini, con ben quattro ministri al seguito, pesta i giudici di Palermo.

Prima ancora del merito, importa questo metodo. Questa sfida a viso aperto agli organi di garanzia previsti dalla Costituzione. Questa deriva ormai davvero “ungherese” della democrazia italiana, mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile.

Perché deflagri adesso, e con questa furia da junta cilena, è presto detto. Questione troppo complessa per essere lasciata nelle mani ruvide e corrive dei nuovi patrioti, la politica migratoria sancisce il doppio fallimento di una coalizione sfascista e cattivista. Da una parte, crolla il castello di carta del “modello Albania” tanto caro alla Sorella d’Italia. Dall’altra parte, fallisce l’adunata voluta dal Capitano della Lega. Male, per un governo che evidentemente passa troppe ore a “fare la Storia”, non ha tempo per ripassare la geografia e meno che mai per studiare il diritto. La somma di questi fattori — ideologia e xenofobia, arroganza e incompetenza — produce come risultato una Caporetto politica, che fa schiumare di rabbia un ceto politico senza disciplina e senza onore. 

Sui migranti perde la premier, che si era illusa di aver trovato l’uovo di Colombo, grazie a un patto scellerato con l’amico Edi Rama, depositando a casa sua i “carichi residui” di carne umana che noi non vogliamo più vedere per le strade delle nostre città (a meno che non ci rimpiazzino in tutto quello che non ci degniamo più di fare, pulire cessi o imbiancare muri, raccogliere pomodori o consegnare pizze, il tutto per un pugno di euro e preferibilmente in nero). L’aveva pensato come un perfetto spot elettorale, da mandare in onda nella settimana del voto europeo di giugno: un bel bastimento carico di profughi, a favore di telecamere del fido Tg1 delle 20, da far partire sulla rotta inversa rispetto a quella che seguirono i 20 mila albanesi della nave Vlora, l’8 agosto ’91. Allora vennero loro da noi, in massa, e li accogliemmo a Bari. Oggi noi gli restituiamo gli “indesiderabili” sbarcati qui, deportandoli nei due lager costruiti a Gjader e Shengjin. Un’ideona, ricalcata sull’immondo esempio inglese di Rishi Suniak, che i suoi migranti voleva spedirli addirittura in Ruanda: noi, più furbi, ci accontentavamo dell’Albania, a un braccio di Mar Adriatico dalle coste tricolori. Gli elettori italici avrebbero apprezzato, gli osservatori stranieri avrebbero copiato. Non è andata così. Sull’esodo niente affatto biblico dei 16 poveri cristi sbarcati dalla Libra, glorioso pattugliatore d’altura da 81 metri, è calata subito l’ovvia mannaia del Tribunale di Roma. L’illegittimità del trattenimento di quei migranti negli hotspot albanesi era chiaro come il sole, come sapeva chiunque, tranne gli astuti Fratelli di Giorgia. Per capirlo, bastava leggere la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come “sicuri”, ai fini del rimpatrio, almeno 20 dei 22 Paesi che invece lo sarebbero, secondo i giuristi all’amatriciana formati alla sezione di Colle Oppio. Quelle anime perse, ora, hanno “diritto ad essere condotte in Italia”, come scrive nella sua pronuncia Luciana Sangiovanni, presidente della Sezione Immigrazione del collegio capitolino. Dunque, contrordine camerati: tutti a bordo, e si riparte. Anche se non si sa più per dove. 

Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. L’operazione Albania è dettata solo da una cieca follia. Un autodafé giuridica, economica, umanitaria. E buon per Meloni se, per avere conforto, le bastano un po’ di von der Leyen, un pizzico di Barnier e le solite cattive compagnie dell’Internazionale Sovranista, riunite in fretta e furia per un pre-vertice a Bruxelles. È noto che nelle vene d’Europa scorre il virus dell’odio e dell’ignavia, dell’intolleranza e del razzismo. Col supporto di Ungheria e Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria, l’Italia meloniana sogna lo stesso inferno. Ma per fortuna c’è un giudice a Strasburgo e un altro giudice a Roma. Ci indicano la strada: le migrazioni vanno gestite, con regole certe e anche rigorose. Ma come ci insegna la civiltà dei Padri, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Questo fa le democrazie diverse dagli altri regimi. Di questo dovrebbero prendere atto le destre al comando, invece di inveire contro i magistrati, che hanno il solo torto di applicare la legge. Nella Dottrina Meloni, invece, il potere giudiziario ha solo un dovere: aiutare il potere esecutivo. Se non lo fa, è parte dell’ennesimo “complotto”, naturalmente ordito insieme alla sinistra. “Abbiamo contro una parte delle istituzioni” tuona la premier, sovvertendo i ruoli e i principi: qui è l’istituzione-governo che aggredisce l’istituzione-magistratura, non il contrario. 

Salvini è una conferma vivente del teorema. Anche lui esce disfatto dal fronte migranti. La sua “chiamata alle armi” a Palermo — a pochi passi dall’altro tribunale, quello che lo sta processando per la vicenda Open Arms — è stato un colossale flop. Non c’era la folla, a sostenere il leader leghista nel suo atto sedizioso contro i giudici, copia sbiadita delle erinni berlusconiane accorse in massa sulla scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano per difendere il Cavaliere dalla “persecuzione delle toghe rosse”. A dare manforte al Capitano erano in quattro gatti, Calderoli e Giorgetti, Valditara e Locatelli. Parafrasando Andreotti, ai tempi del famoso viaggio aereo di Bettino Craxi in Cina: davanti al Politeama c’erano giusto Matteo e i suoi cari. Ma a prescindere dal numero dei partecipanti, il fatto in sé resta gravissimo, e fa il paio con il misfatto di Meloni. Un vicepresidente del Consiglio e capo del secondo partito della maggioranza, insieme alla sua delegazione ministeriale, scende in piazza contro l’ordine giudiziario. Come nella peggiore tradizione populista, siamo alla “secessione delle classi dirigenti”: la politica che, per sottrarsi al controllo di legalità, fa saltare il banco. Un’enormità, di fronte alla quale ci permettiamo di suonare la sveglia a Elly Schlein: cara segretaria del Pd, nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale. Una sfida molto più impegnativa, che richiede un’opposizione all’altezza. Questo film dell’orrore l’abbiamo già visto negli anni di fango del Caimano. Non credevamo di rivederlo oggi, negli anni di palta dell’Underdog.


(Vignetta di Gianlorenzo Ingrami)

Articolo pubblicato su Repubblica
Massimo Giannini19 Ott 2024

https://www.libertaegiustizia.it/2024/10/20/la-deriva-istituzionale/

domenica 22 settembre 2024

Italia, il grande malato d’Europa. - Daniela Padoan

 

di DANIELA PADOAN. L’anomalia italiana è la destra estrema al potere, unico caso tra i paesi fondatori in una Unione Europea dove le forze reazionarie sono forti ma non tanto da salire al governo. In questa unicità, la maggioranza della presidente Meloni procede a tappe forzate nel completare riforme e varare nuove leggi che rendono l’Italia un paese sempre più malato di autoritarismo.

In numerosi Stati membri le destre estreme hanno raggiunto dimensioni preoccupanti per numero di adesioni e legittimazione nel discorso pubblico, ma in nessun Paese, tra quelli fondatori, sono al potere, tranne in Italia, che si configura come un’anomalia nell’Unione. Eppure, mentre in politica estera, pur non avendo votato l’attuale presidente della Commissione, la maggioranza delle forze che compongono la compagine governativa è allineata alla Nato e al sostegno dell’Unione all’Ucraina nel conflitto con la Russia, in politica interna l’esecutivo può procedere a tappe forzate, senza suscitare particolare scandalo, nella realizzazione dei programmi elettorali presentati nel 2020 dalle rispettive componenti: presidenzialismo, autonomia differenziata, riforma della Giustizia. 

Prima ancora che uno scambio tra forze governative, il progetto di riforme si mostra però come un complessivo e ben integrato disegno autoritario, tanto più se si guarda alle politiche che ne stanno definendo la cornice: una progressiva occupazione dei posti di potere istituzionali e mediatici; un’operazione revisionista di riscrittura della storia passata e recente; un atteggiamento insofferente quando non intimidatorio nei confronti di critici e oppositori; una tendenza alla criminalizzazione del conflitto e della disobbedienza anche non violenta, sugellata dal disegno di legge 1660-A approvato il 18 settembre alla Camera dei deputati, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”. 

Le modifiche apportate nel testo e l’istituzione di nuovi reati evidenziano una concezione della sicurezza vista non come garanzia sociale, lavorativa e umana, ma esclusivamente come sistema di proibizioni e punizioni teso a silenziare la diversità, la difformità di pensiero e persino la ribellione non violenta che spesso accompagna la necessità di essere visti e ascoltati da parte dei più fragili, marginali, deprivati di diritti.

In linea con i progetti di autonomia differenziata, premierato “forte” e depotenziamento della Magistratura, il ddl mostra l’erosione degli spazi democratici che avverrebbe in una società dove cortei, picchetti, manifestazioni, sit-in, scioperi della fame e tutte le molteplici forme di resistenza passiva fossero considerati reati penali punibili con il carcere. Si può facilmente immaginare cosa sarebbe delle proteste degli studenti e degli ecologisti, delle lotte dei lavoratori, delle estreme manifestazione di dolore e impotenza di carcerati e migranti chiusi nei centri per il rimpatrio. A dirlo con chiarezza è stata l’Organizzazione intergovernativa per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) che, dopo aver esaminato la bozza del decreto legge, ha dichiarato che “la maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e della rule of law”, ovvero dello stato di diritto.

Abbiamo bisogno di un risveglio democratico che riaffermi una cultura consapevolmente antifascista, e che abbia come centro quell’articolo 3 della Costituzione che ha al centro la solidarietà e che Liliana Segre ha indicato come “stella polare”. Possiamo farlo. Già nel 2006 ci siamo trovati a combattere la riforma costituzionale propugnata da Silvio Berlusconi, che riguardava proprio un premierato forte e un’ulteriore devoluzione dei poteri alle Regioni, assieme alla riduzione dell’autonomia del Consiglio Superiore della Magistratura. Quella riforma fu respinta dal 61% degli italiani.

La straordinaria raccolta di firme, avvenuta in piena estate, per il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata è un primo segno che è possibile opporsi a un progetto lesivo della Costituzione, dei poteri di bilanciamento politico-istituzionali e della democrazia. Che è possibile riaffermare il principio della solidarietà tra i cittadini della Repubblica indipendentemente dai territori in cui risiedono, nel Paese europeo maggiormente segnato dalla diseguaglianza interna, in cui l’autonomia differenziata sposterebbe un’enorme quantità di ricchezza dai territori più poveri a quelli più ricchi e destinerebbe sempre maggiori risorse ai privati sottraendoli al servizio pubblico. Che è possibile riaffermare la cultura di chi non vuole un “capo” che decida al suo posto ma un Parlamento rispettabile e rispettato. Di chi sa che il dissenso è prezioso e che la capacità di dialogare con chi confligge è ciò che definisce le democrazie. 

Scrittrice, saggista, si occupa da anni di razzismo e dei totalitarismi del Novecento, con particolare attenzione alla testimonianza delle dittature e alle pratiche di resistenza femminile ai regimi.


https://www.libertaegiustizia.it/2024/09/22/italia-il-grande-malato-deuropa/

sabato 25 marzo 2023

Studiare e lavorare all’estero,


"Studiare e lavorare all’estero, la guida completa per scegliere il Paese giusto nel 2023. State pensando di studiare all’estero? Dalle superiori fino all’università, le opportunità non mancano: Erasmus, scambi internazionali, università straniere. Tutte le informazioni utili per scegliere la destinazione giusta nella guida di 80 pagine che si può scaricare all’interno di questo articolo." (IlSole24Ore)

Quanti di noi hanno figli che lavorano all'estero? Siamo tantissimi, ormai.
E una volta varcato il confine non fanno più ritorno se non per le vacanze estive.
E non hanno torto, fuori da questo guazzabuglio che è diventato l'Italia, tutto è diverso, è come vivere in un altro mondo: un mondo dove il lavoro c'è e viene retribuito adeguatamente, dove tutto funziona quasi alla perfezione, dove hanno anche il tempo e la possibilità di godere dei frutti del lavoro svolto, perché è chiaro che non si può vivere solo di lavoro ma anche di tempo libero.
Qui non c'è neanche quello, il lavoro, e se c'è è mal retribuito;
tanto tempo fa a lavorare ci andavano solo i capofamiglia e si viveva discretamente, poi un solo introito non bastò più perchè il costo della vita era aumentato a dismisura, e a lavorare bisognava essere in due.
Fortunatamente il lavoro c'era, si trovava ed era retribuito quasi adeguatamente, ma sorgevano altre spese, ad esempio quelle di asili nido o di babysitteraggio, quindi, parte degli introiti femminili finivano li', in altri termini funzionò come il gatto che si morde la coda. Si parlò di aiuti alle donne con asili nido in seno all'azienda in cui lavoravano, ma, come sempre succede, se ne parla e basta, quindi, non se ne fece mai nulla.
Poi si paventò un aiuto alle aziende e il parlamento legiferò producendo la famigerata legge Biagi che stravolgeva il mondo del lavoro.
Da li' in poi fu il caos.

cetta

giovedì 14 aprile 2022

“Perché inviamo le armi in Ucraina e non in Yemen o ai palestinesi?”. - Andrea Scanzi

 

È una domanda che rimbalza spesso. Giustamente. Al di là del fatto che sia giusto o meno inviarle, e considerando pure che una tale decisione possa essere addirittura ritenuta incostituzionale, questa domanda è tanto lecita quanto ingenua.

L’Italia, e l’Europa (non tutta), sta inviando armi agli ucraini e non altrove per il semplice fatto che l’Ucraina è vicina. Vicina ed europea (anche la Libia è vicina, ma non è europea). La guerra viene da noi percepita come qualcosa di prossimo e, quindi, pericoloso. Non è che ci interessi la popolazione ucraina: ci interessa che la guerra non arrivi a noi.

Il comportamento dell’Europa, e dell’Occidente in generale, è meramente egoistico e autoreferenziale. Non discuto che a molti interessi davvero il popolo ucraino. Certo. Ma se ne parliamo tutti così tanto, è perché abbiamo paura che Putin ci bombardi. O che addirittura usi il nucleare

In Siria non muoiono di meno. Nello Yemen non muoiono di meno. I palestinesi non resistono di meno. Ma sono “lontani”. E quindi ce ne frega di meno: “non ci riguarda”, è questo il retropensiero.

L’Europa e l’Occidente, in questo, sono proprio come l’essere umano: ipocriti ed egoisti. Se la stessa guerra fosse stata lanciata da Putin nel Botswana, non ce ne sarebbe fregato un cazxo. Non avremmo avuto nessuna maratona televisiva permanente. Vacchi avrebbe molti più post dedicati di Orsini. E non solo nessuno avrebbe inviato armi, ma neanche si sarebbe posto il problema.

Facciamo un regalo intellettuale a noi stessi: ammettiamolo serenamente, che la si pensi come Letta o Di Battista, De Luca (Erri) o Montanari eccetera. Siamo egoisti, siamo ipocriti, siamo umani. E parliamo (così tanto!) di questa guerra perché abbiamo una paura fottuta di morirci dentro. Proprio come sta accadendo ai poveri ucraini.

https://www.facebook.com/photo?fbid=574662387353584&set=a.269689511184208

giovedì 24 marzo 2022

Il suicidio dell’Europa, le armi e il suo silenzio. - Donatella Di Cesare


Con questo articolo Donatella Di Cesare, professoressa di Filosofia teoretica all’Università La Sapienza di Roma, inizia a collaborare con il “Fatto”.

La parola Occidente, in questi giorni così spesso evocata, ha un significato articolato nelle diverse epoche. Non indica un sistema di valori, una forma politica, un modo di vivere. Occidente è l’orizzonte a cui guardavano i greci: la costa italiana, il continente europeo, una futura epoca nella storia del mondo. Nel periodo tra le due guerre mondiali i filosofi hanno pensato il destino dell’Occidente non come un tramonto, bensì come un passaggio: nel buio della notte europea non c’era solo morte e distruzione, ma anche la possibilità di salvezza. L’Occidente era l’Europa, l’Europa era l’Occidente. In questa prospettiva, che oggi – con un giusto accento critico – si direbbe eurocentrica, ciò che era oltre l’Atlantico, Inghilterra compresa, non era occidentale.

Dopo il 1945, il baricentro della Storia passa dal continente europeo a quello americano. Anche la parola “Occidente” cambia significato designando l’American Way of Life, lo stile di vita americano e tutto ciò che, tra valori e disvalori, porta con sé. L’Europa si uniforma, più o meno a malincuore. Se non altro per non perdere il nesso con l’Occidente di cui è stata sempre il cardine.

Quel che avviene in questi gravissimi giorni, dietro il millantato nuovo scontro di civiltà, è un’autocancellazione dell’Europa, che rinuncia a se stessa, alla propria memoria, ai propri compiti. Il 2022 segna l’ulteriore, definitivo spostamento, l’apertura di una faglia nella storia del Vecchio continente. L’Europa tace, sovrastata dai tamburi di guerra dell’Occidente atlantico, a cui sembra del tutto abdicare. L’algida figura di Ursula von der Leyen, questa singolare, inquietante comparsa, che spunta di tanto in tanto per annunciare “nuove sanzioni alla Russia”, compendia bene in sé un’Europa cerea e spenta, incapace di far fronte a una crisi annunciata. Possibile che dal 2014 non si sia operato per evitare il peggio? Possibile che tra dicembre e febbraio non esistesse un margine per impedire l’invasione? Possibile vietarsi l’autorità di mediare per la pace? Si tratta di una vera e propria catena di errori politici imperdonabili, di cui i cittadini europei dovranno nel futuro prossimo chiedere conto a chi ora ha ruoli decisionali. Come se non bastasse, il silenzio fatale dell’Europa è squarciato dalle sguaiate provocazioni di Boris Johnson, il promotore della Brexit, e dalle temerarie parole di John Biden, forse uno dei peggiori presidenti americani.

Il suicidio dell’Europa è sotto gli occhi di tutti. Ed è ciò che ci angoscia e ci preoccupa. Perché riguarda il futuro nostro e quello delle nuove generazioni. D’un tratto non si parla più di Next Generation Eu – nessun cenno a educazione, cultura, ricerca. All’ordine del giorno sono solo le armi. C’è chi applaude a questo, inneggiando a una fantomatica “compattezza” dell’Europa. Quale compattezza? Quella di un’Europa bellicistica, armi un pugno? Per di più ogni Paese per sé, con la Germania in testa? Non è questa certo l’Europa a cui aspiravamo. In molti abbiamo confidato nelle capacità dell’Unione, che aveva resistito alle spinte delle destre sovraniste e che sembrava uscire dalla pandemia più consapevole e soprattutto più solidale. Mai avremmo immaginato questa deriva. La faglia che si è aperta nel vecchio continente, in cui rischia di precipitare il sogno degli europeisti, è anche la rottura del legame che i due Paesi storicamente più significativi, la Germania e l’Italia, hanno intessuto con la Russia. Chi si accontenta di ripetere il refrain “c’è un aggressore e un aggredito”, ciò che tutti riconosciamo, non si interroga sulle cause e non guarda agli effetti di questa guerra. C’è una Russia europea oltre che europeista. Nella sua storia la Russia è stata sempre combattuta tra la tentazione di avvicinarsi al modello occidentale e il desiderio di volgersi invece a Est con una ostinata slavofilia, testimoniata, peraltro, nell’opera di Dostoevskij. Durante la Rivoluzione bolscevica prevalse l’apertura per via dell’internazionalismo. Se Stalin cambiò rotta, la fine dell’impero sovietico segnò il vero punto di svolta. In quella situazione caotica andò emergendo la corrente nazionalistica che aveva covato sotto la cenere. Putin è il portato sia di questo nazionalismo, fomentato anche dal pensatore dei sovranisti Aleksandr Gel’evič Dugin, sia di una frustrata occidentalizzazione. Ma a chi gioverà una Russia isolata, ripiegata su di sé, rinviata a orizzonti asiatici?

In un’immagine suggestiva che ricorre in Nietzsche, in Valéry, in Derrida, l’Europa appare un piccolo promontorio, un capo, una penisola del continente asiatico. Nessuno ha mai potuto stabilire dove sia il suo confine a Est. Ma certo ha sempre avuto il ruolo di testa, di cervello di un grande corpo. È stata il lume, la perla preziosa. Ci chiediamo dove sia finita.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/24/il-suicidio-delleuropa-le-armi-e-il-suo-silenzio/6535587/?fbclid=IwAR1dzZzIMhGm9a5o8saPFTeROmfSkGea794GNiBG-C3HK5c4XmgfPSr8-Dg

venerdì 10 settembre 2021

Shock energetico in Europa: gas ed elettricità mai così cari. - Sissi Bellomo

 

Ogni giorno nuovi record di prezzo, in un’avanzata sempre più rapida che in vista dell’inverno solleva forti preoccupazioni.

Elettricità, gas, diritti per la CO2, persino il vecchio carbone di cui puntiamo a liberarci. Sui mercati energetici ogni giorno (o quasi) è segnato da una raffica di record. I prezzi, in rialzo da mesi, hanno addirittura accelerato la corsa durante l’estate – stagione di vacanze e di termosifoni spenti, in cui in teoria non dovrebbero crearsi forti tensioni – portandosi in Europa a livelli senza precedenti.

È un rally che sta diventando sempre più preoccupante per le possibili ricadute sull’economia: bollette troppo pesanti rischiano di frenare la ripresa post Covid e di alimentare ulteriormente l’inflazione, in una fase già critica a causa delle strozzature che tuttora bloccano le supply chain, provocando rincari e difficoltà di approvvigionamento di molte materie prime e componenti, a cominciare dai microchip.

La componente energia.

Per le banche centrali – compresa la Bce – è una situazione delicata e da gestire. Un ritiro anticipato degli stimoli per raffreddare l’inflazione potrebbe mettere in pericolo la crescita, ma le politiche monetarie espansive mal si conciliano con l’aumento dei prezzi al consumo, soprattutto se questo dovesse rivelarsi più duraturo dell’auspicata «fiammata temporanea».

La componente energia, volatile come quella dei prezzi alimentari, non entra nella cosiddetta inflazione “core”, a cui guardano i banchieri centrali. Ma rincari esasperati in bolletta rischiano di trasmettersi fino agli ultimi anelli della catena del valore e di persistere a lungo.

Nell’Eurozona ad agosto l’inflazione si è impennata al 3%, il massimo da un decennio, e la voce più pesante era proprio quella dell’energia, con un aumento del 15,4% su base annua. Ma anche l’inflazione “core” ha iniziato a risvegliarsi: all’1,6% è la più alta dal 2012. C’è solo da augurarsi che davvero rimanga un fenomeno transitorio.

Il gas come epicentro.

Oggi come oggi, tuttavia, è difficile vedere la luce in fondo al tunnel, sia per i problemi di rifornimento e di trasporto delle merci – che restano in gran parte irrisolti – sia per le condizioni dei mercati energetici, che rischiano addirittura di peggiorare con l’arrivo dell’inverno, soprattutto in caso di temperature molto rigide.

Se negli shock energetici del passato era il petrolio ad essere protagonista, stavolta l’epicentro è il mercato del gas: il prezzo del combustibile è quintuplicato nell’ultimo anno sui principali hub europei, spingendosi sopra 55 euro per Megawattora mercoledì 8 al TTF.

La salita, sempre più impetuosa, è legata a carenze di offerta che hanno ostacolato la ricostituzione delle scorte per l’inverno e trascina con sè anche i prezzi dell’elettricità: sul mercato all’ingrosso in Italia ci sono stati picchi mai visti, superiori a 150 €/MWh.

Intanto anche i diritti europei per l’emissione di CO2 bruciano un record dietro l’altro, mantenendosi sopra 60 euro per tonnellata, quasi il doppio rispetto a inizio anno. Nello stesso periodo il carbone ha guadagnato il 70% superando 120 dollari per tonnellata in Europa (ma il gas è così caro da renderlo comunque conveniente).

Il petrolio stesso – così come i carburanti alla pompa – non è certo economico: il Brent scambia sopra 70 dollari al barile, in rialzo del 40% da gennaio. Ma anche l’oro nero è stato sorpassato dal gas, che fatte le dovute equivalenze ormai vale più di 100 dollari al barile, fa notare Bloomberg. E il peggio forse deve ancora venire.

Offerta scarsa.

«I problemi non sono nemmeno cominciati – avverte Julien Hoarau di Engie EnergyScan – L’Europa dovrà affrontare un inverno segnato dalla scarsità di offerta. Se avremo di nuovo un fenomeno meterologico come la Beast of the East (l’ondata di gelo estremo del 2018, Ndr) non sarei sorpreso di vedere prezzi spot a tre cifre».

«Lo spettro della povertà energetica potrebbe abbattersi rapidamente sull’Europa», rincarano gli analisti di Citi.

Anche senza sorprese climatiche, in ogni caso «i prezzi di gas e carbone resteranno probabilmente elevati fino a fine anno» , prevede Stefan Konstantinov, Senior Analyst di ICIS Energy, perché l’offerta è troppo limitata e i consumi con la stagione fredda cresceranno.

L’inverno è ormai alle porte, il nuovo anno termico comincia il 1° ottobre. E le scorte di gas europee sono a livelli di guardia, ai minimi da 10 anni per questo periodo: in media gli stoccaggi sono pieni al 69% (dati Gie). L’Italia sta un po’ meglio con l’83%, ma l’anno scorso in quest’epoca erano al 95%.

Per ora non ci sono carenze. Prima di tutto perché il sole splende. Ma anche perché i prezzi record di fatto stanno già scoraggiando la domanda di gas nel termoelettrico (in qualche caso purtroppo a favore del carbone e non solo delle rinnovabili).

In Italia, secondo un’analisi di Staffetta Quotidiana, i consumi delle centrali sono calati del 6,9% ad agosto rispetto a un anno prima. I guai rischiano di arrivare con l’inverno, quando l’Europa potrebbe sperimentare carenze di energia tali da costringere a rallentare la produzione industriale, avvertono gli esperti.

Un problema non solo europeo.

Non sarà il Gnl – né dagli Usa né da altre origini – a venirci in soccorso, se non a prezzi ancora più alti di quelli attuali: la scarsità di gas non è un problema solo europeo e l’Asia è in competizione per attirare carichi spot. Restano le forniture via tubo, che però oggi sono molto ridotte.

Dal Mare del Nord arriva pochissimo gas, a causa di manutenzioni più volte rinviate causa Covid. L’Algeria ha avvertito di «problemi upstream» che per tutto settembre potranno provocare cadute fino al 25% dei flussi verso l’Italia. E poi c’è la Russia, che in passato ci ha salvato più volte dall’emergenza, ma che da mesi si limita a rispettare gli obblighi contrattuali, senza offrire forniture extra: un mistero che ha spinto molti analisti a ipotizzare una forma di ricatto, per forzare la mano sul Nord Stream 2, di cui ora Gazprom ha ultimato la costruzione, ma che per l’avvio ha bisogno di certificazioni e permessi che tardano ad arrivare.

Ora tuttavia sta crescendo il sospetto (già avanzato lo scorso luglio dal Sole 24 Ore) che Gazprom in realtà non riesca a fare di più. È emerso che a inizio agosto c’è stato un incendio nell’impianto di trattamento del gas di Urengoy, in Siberia occidentale, di cui ancora oggi si osservano ricadute: cali di fornitura attraverso il gasdotto Yamal-Europe, che non si spiegano con teorie del complotto.

Inoltre la stessa Russia ha scorte di gas troppo basse, che il Governo ha imposto di ricostituire, con precedenza assoluta rispetto al rifornimento dei clienti europei. Per raggiungere l’obiettivo servono iniezioni di 280 milioni di metri cubi al giorno fino a fine ottobre, stima Bloomberg: volumi pari a circa l’80% delle normali forniture di Gazprom all’Europa occidentale.

(Illustrazione di Federico Bergonzini)

IlSole24Ore

sabato 26 giugno 2021

Scoperti nuovi cugini dell'uomo. - Leonardo De Cosmo

Alcuni dei fossili che indicano che i Neanderthal avevano avuto origine anche nel Medio Oriente (fonte: Tel Aviv University) Foto ANSA

Scoperti in Israele  nuovi fossili dell'uomo di Neanderthal che obbligano a riscrivere la storia di questi nostri 'cugini' e complicano il puzzle della storia umana. I reperti, risalenti a 140.000 anni fa, indicano infatti che i Neanderthal non sono originari solo del continente europeo, ma del Medio Oriente, allargando così la loro 'culla' di evoluzione. La scoperta, alla quale la rivista Science dedica la copertina, è pubblicata in due studi coordinati dalle università di Tel Aviv e Hebrew di Gerusalemme, con il contributo di ricercatori italiani della Sapienza di Roma e dell'Università di Firenze.

"Si riteneva finora che l'evoluzione che portò ai Neanderthal fosse confinata all'Europa, da questi nuovi reperti riteniamo ora che la questione fu più complessa di quanto si pensasse", ha detto all'ANSA Giorgio Manzi, della Sapienza e uno degli autori di uno dei due lavori.

Da sempre considerati una sorta di cugini dei Sapiens, i Neanderthal vissero tra i 200 e 40mila anni fa e si ritiene che siano stati anche a stretto contatto con i Sapiens, tanto che produssero incroci in più di un'occasione. Finora si riteneva che la 'culla' dei Neanderthal fosse stata l'Europa e che da lì questi nostri cugini si fossero diffusi gradualmente fino a raggiungere gran parte dell'Asia. Ma questa narrazione potrebbe ora cambiare, grazie ai reperti rinvenuti a Nesher Ramla, in Israele.

Si tratta di una serie di fossili, in particolare denti e frammenti di mandibola e di cranio, che una volta analizzati con sofisticate tecniche digitali hanno mostrato una combinazione unica di caratteristiche neandertaliane e tratti più arcaici.
"L'elemento cruciale di questo ritrovamento è in particolare la datazione, circa 140.000 anni fa, in quella che viene definita la fine del Pleistocene medio", ha precisato Manzi. Una fase storica che rappresenta un momento di passaggio per l'evoluzione umana, una transizione da forme di Homo arcaiche verso le forme più moderne, come i Sapiens o i Neanderthal.

"Se quei resti fossero stati trovati in Europa non ci sarebbe stato nulla di particolarmente nuovo, sarebbero state nuove prove su quel che si ritiene da tempo, ossia che i Neanderthal siano maturati in Europa e solo successivamente diffusi in altre aree. Ora emerge invece che l'evoluzione dei Neanderthal avrebbe avuto contributi anche dal Medio Oriente", ha osservato Manzi.

Per un altro autore della ricerca, Fabio Di Vincenzo, dell'Università di Firenze, "con i nuovi fossili israeliani, sappiamo che la storia potrebbe essere stata anche più complessa e non solo confinata all'Europa".

ANSA

martedì 13 aprile 2021

Dosi e morti in Europa. Soltanto in Polonia va peggio che in Italia. - Giampiero Calapà

 

L’Italia, con quasi 400 morti al giorno nell’ultimo mese, è il secondo peggior Paese d’Europa per decessi dopo la Polonia, spia che qualcosa non funziona nella campagna di vaccinazione affidata dal 1° marzo alla cura taumaturgica del generale Francesco Paolo Figliuolo, perché le somministrazioni sono state fatte “alle categorie sbagliate di persone”, rileva l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), perché, a differenza di quanto vuole adesso fare il governatore della Campania Vincenzo De Luca contravvenendo all’annunciata correzione di rotta di Palazzo Chigi, è proprio l’età che conta.

Non è una questione di velocità delle somministrazioni dei vaccini, “tanto che più o meno l’Italia esaurisce le scorte di fiale in dieci, undici giorni, esattamente come la Germania – spiega Matteo Villa dell’Ispi – e può trarre in inganno leggere cifre giornaliere perché dipendono anche da quante fiale sono rimaste in frigo, queste comparazioni avranno magari senso fra un mese quando ci sarà un quantitativo più massiccio di vaccini per Paese”; il vero problema è aver vaccinato male come emerge chiaramente dai dati sui decessi settimanali per milione di abitanti tra il 1° marzo e il 7 aprile pubblicati proprio dall’Ispi.

Secondo il report dell’Ispi con 45 decessi settimanali per milione di abitanti, l’Italia è messa nettamente peggio rispetto alla Francia (32 decessi, -29%), ma soprattutto alla Germania (16 decessi, -64%) e al Regno Unito (11 decessi, -76%). “Mentre per il Regno Unito – si legge nel report – sembrerebbe piuttosto immediato attribuire questa riduzione alla rapida progressione della campagna vaccinale, in realtà per tutti i Paesi a contare molto sono ancora due fattori: le vaccinazioni, certo, ma anche le misure di contenimento adottate”. Rispetto alle vaccinazioni, che stanno migliorando la situazione in quasi tutta Europa, nonostante una progressione ancora piuttosto lenta, in Italia pesano, certifica l’Ispi, “gli errori commessi dalla strategia vaccinale italiana”.

Rispetto a Germania e Regno Unito (16 e 11 decessi settimanali per milione di abitanti) le cose vanno peggio dove sono state adottate misure meno severe come in Italia e Francia: decessi nettamente più elevati (rispettivamente 45 e 32), e una differenza anche qui di circa il 30% a sfavore dell’Italia. E questo succede, rileva l’Ispi, “perché in Italia, rispetto a Francia e Germania, la campagna vaccinale ha visto la somministrazione di un numero pressoché identico di dosi, ma alle categorie ‘sbagliate’ di persone”.

Nel dettaglio: “A fine febbraio avevamo somministrato la prima dose di vaccino solo al 6% delle persone ultraottantenni, mentre Parigi e Berlino erano al 22% e 23%: quasi il quadruplo. E oggi, a inizio aprile, abbiamo recuperato sugli over 80, ma restiamo molto indietro sulla fascia di età 70-79 anni: se Italia e Francia sono ormai appaiate sugli over 80 al 62%, Parigi ha vaccinato quasi il 50% dei 70-79enni, mentre l’Italia è ferma al 13%”, un divario abissale che si paga oggi in numero di persone che non ce la fanno dopo aver contratto il Covid-19.

L’impietosa classifica europea dei decessi settimanali per milione di abitanti, quindi, vede l’Italia al secondo posto: 1. Polonia 58; 2. Italia 45; 3. Romania 41; 4. Grecia 37; 5. Francia 32; 6. Spagna 26; 7. Austria 20; 8. Belgio 19; 9. Germania 16; 10. Paesi Bassi 12; 11. Regno Unito 11; 12. Portogallo e Svizzera 10.

Con una campagna vaccinale modulata meglio per fasce d’età, insomma, secondo un’altra stima dell’Ispi l’effetto delle immunizzazioni sui decessi avrebbero salvato nell’ultimo mese tra le 100 e le 200 persone al giorno che, invece, sono morte a causa del Covid-19.

IlFattoQuotidiano

giovedì 1 aprile 2021

Covid: Oms, vaccinazioni in Europa di una lentezza 'inaccettabile'.

 

Per l'Organizzazione mondiale della Sanità l'attuale impennata dei casi è "la più preoccupante" da diversi mesi. Negli Usa rovinate milioni di dosi d vaccino.

Il ritmo delle vaccinazioni anti Covid in Europa è di una lentezza "inaccettabile": lo ha reso noto l'Organizzazione mondiale della Sanità.

"I vaccini rappresentano il nostro modo migliore per uscire da questa pandemia... Tuttavia, il lancio di questi vaccini è inaccettabilmente lento" e "sta prolungando la pandemia", ha reso noto in un comunicato il direttore dell'Oms per l'Europa, Hans Kluge.

L'attuale impennata dei casi di coronavirus in Europa è "la più preoccupante" da diversi mesi, ha dichiarato l'Oms.

Rovinate milioni di dosi d vaccino, ritardi consegne J&J negli Usa - Un errore umano in uno stabilimento di Baltimora "rovina 15 milioni di dosi di vaccino Johnson & Johnson", causando ritardi nelle consegne negli Stati Uniti.

Lo riporta il New York Times citando fonti federali. L'impianto in causa è gestito da Emergent BioSolutions, partner di Johnson & Johnson e AstraZeneca. Gli ingredienti dei due vaccini sarebbero stati per errore uniti, rovinando milioni di dosi J&J e mettendo in dubbio le consegne del prossimo mese negli Stati Uniti, che dovevano arrivare proprio da Baltimora. Le autorità rassicurano sui vaccini J&J già distribuiti negli Usa perché sono stato prodotti in Olanda.

ANSA (foto vaccini a Roma)

venerdì 29 maggio 2020

Caro Salvini, adesso è lei a dire spesso dei no (strumentali). - Luisella Costamagna

De Luca : "Salvini va in giro per farsi guardare gli occhiali ...

Caro Matteo Salvini, l’altra sera a Fuori dal Coro le ho fatto recapitare da Mario Giordano la seguente domanda: “Coi 5S vi siete ‘lasciati’ perché, secondo lei, dicevano troppi no. Ora però a dire No è lei, innanzitutto sul Mes, su cui è d’accordo anche Berlusconi. Non le va bene un prestito da 36 miliardi a un tasso agevolato dello 0,1%, mentre promuove i 22 miliardi di Buoni del Tesoro sui cui lo Stato – ovvero tutti noi – dovrà pagare almeno l’1,4%. Quale padre di famiglia sceglierebbe il mutuo più salato? Per lei vengono ‘Prima gli Italiani’ o l’avversione all’Europa?”. Domanda semplice. Infatti ho notato che, mentre mi ascoltava, annuiva sorridendo coi suoi nuovi occhiali, tipo studente che pensa “evvai, questa la so!”. Ma la sua risposta è stata piuttosto deludente.
Ha esordito dicendo: “I soldi per i Btp rimangono in Italia, gli interessi vanno in tasca a cittadini e imprese italiane”. Partenza inesatta: se gli investitori individuali sono stati, come scontato, quasi tutti italiani (in larga parte piccoli risparmiatori), nella seconda fase dedicata agli istituzionali il 48% (quasi la metà) è finito in mani straniere. “Poi – ha proseguito – non ci sono condizioni, mentre i soldi del Mes dovranno essere restituiti a precise condizioni decise tra Bruxelles e Berlino”. Anche su questo qualche precisazione: l’unica condizionalità prevista nell’accordo europeo è l’uso dei soldi per la sanità, spese dirette e indirette dovute all’emergenza Covid. C’è da fidarsi della Commissione Ue che garantisce che i Paesi che attiveranno il fondo non verranno messi sotto sorveglianza sui conti pubblici? Forse no, se uno pensa al passato. Ma se uno invece guarda al presente e al futuro, alla crisi in cui siamo e a come uscirne subito – e questo dovrebbe avere a mente una politica responsabile: gli interessi del Paese, non i propri calcoli elettorali – la risposta forse è sì. Avrebbe chiesto Catalano: non è meglio un prestito a 10 anni da 36-37 miliardi, disponibili subito, su cui pagare un interesse quasi nullo dello 0,1%, rispetto a meno soldi (22 miliardi), da restituire in meno tempo (5 anni), a un tasso superiore (almeno l’1,4%)? Matematica. Anche perché chi paga quel debito agli investitori, anche stranieri? I cittadini italiani. E se è vero che il Mes è limitato alla spesa sanitaria, iniettare 37 miliardi in strutture e personale che, come purtroppo abbiamo visto, ci servono, anche per i tagli che ci sono stati negli ultimi 10 anni (pari proprio a 37 miliardi), non sarebbe un bel sollievo? Potremmo liberare risorse dalla Sanità, su cui anche il decreto Rilancio è costretto a investire, per spostarle su altri settori in crisi: imprese, turismo, scuola, famiglie… Eh ma “se i soldi del Mes fossero ’sto regalo imperdibile – ha concluso –, perché Grecia, Francia, Spagna, Portogallo non li usano? O sono fessi gli altri oppure sono un prestito a rischio”. Al di là del fatto che Paesi come la Francia forse non ne hanno bisogno, visto che già investono in Sanità ben più di noi, che politica è quella che decide il da farsi non sulla base di ciò che serve, ma guardando agli altri? Lo studente di cui sopra è contento del 4 perché i compagni prendono 3?
Caro Salvini, non penso che il Mes sia la panacea dei nostri (tanti) mali, né l’unica strada. Penso però che un leader seguito – come lei – e serio – come lei vorrebbe essere – dovrebbe dimostrare serietà nei fatti, non solo con gli occhiali. Si può dire sì ai Btp, ma anche al Mes (vedi Berlusconi), agli Eurobond (vedi Meloni) e al mega Recovery Fund (sarà come annunciato?): a tutto ciò che può aiutare subito l’Italia. Così potreste anche ricompattare il centrodestra. O siete tornati nella Casa delle Libertà dove, per dirla con Guzzanti, “fate un po’ come c… vi pare”?
Un cordiale saluto.
Luisella Costamagna

giovedì 28 maggio 2020

All’Italia 172 miliardi di euro. - Massimo Erbetti

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All’Italia, dovrebbero andare 172,7 miliardi di euro. Di questi 81,807 miliardi sarebbero versati come aiuti e 90,938 miliardi come prestiti.
A leggere i numeri sembrerebbe un successo e se fosse vero, lo sarebbe veramente, il problema è che queste cifre devono essere votate dal Parlamento Europeo e il percorso è pieno di ostacoli. Ostacoli messi li di proposito da chi vuole il bene del popolo italiano solo a parole. Comunque c'è da dire che una misura di tale portata non si era mai vista e se la commissione europea l'ha fatta è solo per merito del governo italiano e di Conte, che è riuscito in un'impresa titanica. Alla faccia di chi (Salvini e Meloni) per soli scopi personali ha cercato di sabotare fin dall'inizio, non votando il Recovery, fregandosene del paese, degli italiani, delle imprese e della mostruosa crisi che ci attende.
Nelle ultime ore, le dichiarazioni dei due leader sovranisti de "noantri" rispetto alla proposta sono state quantomeno puerili e sguaiate, mentre la Meloni cercava di sviare il discorso su altro: "Sapete cosa fa il governo mentre ci troviamo in mezzo alla più grande crisi del paese? In commissione affari costituzionali si discute di una legge elettorale che punta all'ingovernabilita del paese" ha dichiarato, come se non sapesse che la calendarizzazione di quella legge è all'ordine del giorno da almeno sei mesi...ma si sa, quando non si hanno argomenti si cerca di distogliere l'attenzione su altro. Salvini invece ha cominciato a parlare di MES, di restituzioni del prestito (ma vah..) e di tempi lunghi...ecco appunto tempi lunghi, ha ragione Salvini, ci vorranno mesi affinché i soldi arrivino, peccato però che questo sia dovuto ai suoi alleati europei che stanno alla guida di quei Paesi i “Frugal Four” (cosi vengono chiamati) e sono Danimarca, Svezia, Olanda e Austria, che avevano presentato il loro piano per gli aiuti ai Paesi europei colpiti dal Covid-19 da dare esclusivamente sotto forma di prestiti e non a fondo perduto, evitando qualsiasi forma di condivisione del debito e scongiurando ogni eventuale aumento alla spesa europea. Questi paesi faranno una vera e propria battaglia contro il piano Von der Leyen e Salvini ci dovrebbe spiegare come mai è alleato con chi non vuole darci nemmeno un euro...ma non lo farà, continuerà a parlare, anzi a straparlare, per nascondere la sua più grande sconfitta. Un fatto è certo, da oggi sarà molto piu difficile parlare di un'Europa brutta e cattiva che non vuole aiutarci e di un governo incapace di farsi ascoltare...questo S. e M. lo sanno bene, come sanno che il castello di carte che hanno costruito in questi mesi, con bugie come la firma del MES che secondo loro il governo italiano ha firmato almeno quattro volte, sta venendo giù...e spero che con lui vengano giù anche i consensi di questi due "amici" del popolo italiano, perché come diceva qualcuno: "Si possono ingannare poche persone per molto tempo o molte persone per poco tempo. Ma non si possono ingannare molte persone per molto tempo".

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domenica 24 maggio 2020

Strategia o malattia mentale? - Massimo Erbetti

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Austria, Svezia, Paesi Bassi, Danimarca, fanno una contro proposta al piano che prevede 500 miliardi a fondo perduto proposto da Germania e Francia. Il piano si concentra su diversi punti cruciali, tutti mirati a trasformare il fondo in un prestito:
- rifiuto della della messa in comune del debito,
- niente sussidi a fondo perduto,
- nessun aumento significativo del bilancio Ue 2021-2027,
- creazione di un fondo- prestiti limitato nel tempo, che durerà massimo due anni e che presenterà una clausola per la sua disattivazione,
- vincolo del prestito a riforme, criteri di condizionalità e discipline del bilancio.
Praticamente questi quattro paesi ci dicono che dobbiamo sbrigarcela da soli, come se il Covid-19 fosse un problema solo nostro, come se fossimo colpevoli di quanto accaduto.
Un'Europa così non ha senso, un'Europa dove ogni stato pensa al proprio orticello, non può funzionare. Nessuno, ma proprio nessuno può farcela da solo, è impossibile. E questo lo ha capito anche la Germania, infatti nell'ultimo rapporto stilato da quel paese si nota una totale inversione di tendenza rispetto alle politiche economiche della BCE.
La cosa strana di tutta questa storia è che quegli stati che non vogliono un'Europa solidale, sono guidati da partiti alleati dei sovranisti di casa nostra. Mi domando come possano Salvini e Meloni, sedere al fianco di chi vuole lasciarci soli, se veramente volessero il bene degli italiani, non dovrebbero combatterli invece di unirsi a loro? Come mai da una parte Salvini dice che 500 miliardi a fondo perduto sono pochi e dall'altra se la fa con chi non vuole darci neanche quelli? Non vi viene in mente che tutto questo non quadra?
Quale strategia si cela dietro tutto questo? Perché una strategia deve pur esserci, altrimenti ci sarebbe un problema psichico.


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martedì 19 maggio 2020

Una nuova stagione per l’Europa. - Gaetano Pedullà

CONTE VON DER LEYEN

Può servire più tempo e coraggio, ma le buone idee vincono sempre sugli egoismi e gli steccati ideologici. Così oggi dall’Europa arriva un segnale impensabile fino a un anno fa, quando proprio a maggio 2019 veniva eletto il nuovo Parlamento Ue e la mossa sorprendete e decisiva del premier Giuseppe Conte e della piccola pattuglia M5S permetteva la nascita della Commissione von del Leyen. Con bei programmi e inconsuete scuse all’Italia quando l’azione di sostegno ai popoli è risultata insoddisfacente, l’Unione ha comunque invertito la rotta rispetto all’ultimo ventennio, in tempi in cui il nostro Paese in difficoltà sui conti spediva il ministro Tremonti col cappello in mano a chiedere gli Eurobond oppure in anni più recenti il presidente Juncker ci negava più flessibilità sui bilanci.
Con il nuovo corso le cose non sono state tutte rose e fiori, ma l’attenzione ai temi dell’occupazione, della solidarietà e della sostenibilità green non hanno precedenti. Dunque abbiamo fatto bene, anzi benissimo, a non accodarci al più becero euroscetticismo di Lepen, Orbàn, Salvini e Meloni, tutto protesta e niente proposta. Nel nuovo clima più costruttivo adesso Francia e Germania aprono all’idea italiana del Recovery Fund, ipotizzando un plafond di 500 miliardi di euro in parte a fondo perduto, da garantire con il debito comune. Si tratta di una rivoluzione copernicana, che seppure meno ambiziosa di quanto chiede lo stesso Parlamento Ue (2mila miliardi) o l’Italia (mille miliardi) ci proietta in una stagione nuova: dall’Europa degli Stati a quella dei cittadini.

sabato 9 maggio 2020

Un’Europa con poco orizzonte.- Gaetano Pedullà

europarlamento

Se non sapessimo per certo che sono dei gran furbi, dovremmo pensare che i leader europei non riescono proprio a capire quanto siamo malmessi. Il virus presenterà ancora per anni il conto, e se oggi i Paesi più indebitati soffrono terribilmente, domani la recessione non risparmierà nessuno. Per questo c’era da sperare in un barlume di buonsenso e nel rapido via libera a forme di solidarietà comune, come gli Eurobond o il Recovery Fund.
Purtroppo ieri l’Eurogruppo non è andato oltre l’offerta di una linea di credito apparentemente senza condizioni all’interno del Mes, cioè il trappolone che ha macinato la Grecia e del quale facciamo bene a stare alla larga. Quella che viene spacciata per una grande liberalità, contiene infatti non una ma due minacce mortali. La prima è l’ovvio rischio di doverci sottoporre alla Troika, perché deroghe o meno, il Mes sempre uno resta e per cambiarne le regole di fondo occorre riscrivere i trattati. Persino più insidiosa è però la seconda minaccia.
Così come ce l’hanno infiocchettato, può sembrare senza senso non abboccare all’amo di 37 miliardi da ritirare cash. In questo modo, chi ha l’intelligenza di non farsi fregare finisce sulla graticola di chi non ha la stessa lungimiranza. Un bel regalo, insomma, per il nostro premier Conte, che resta dell’idea di non usare il Mes, mentre il Pd passerebbe invece all’incasso di quello che ci danno, e poi se ne parla. Un altro solco che non aiuta la già traballante maggioranza, e che fa l’ennesimo favore ai sovranisti e a chi dubita a ragione dell’orizzonte lungo di questa Europa.