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domenica 1 dicembre 2024

I FATTI NON ESISTONO. - Marco Travaglio

 

Immaginate se per tre giorni consecutivi i 5Stelle avessero votato con la destra il ripristino-raddoppio dei finanziamenti pubblici ai partiti aboliti in un referendum, la Commissione Ue più destrorsa, guerrafondaia, anti-sociale e anti-green mai vista e la risoluzione che attizza la terza guerra mondiale nucleare con la Russia, cazziando financo Scholz per aver parlato con Putin (cosa che ormai, oltre a Biden e Trump, auspica pure Zelensky).
Oggi avremmo le tv e i giornali infestati di titoli, commenti, analisi, interviste contro il M5S che si finge progressista ma resta di destra, sulla Commissione “giallo-bruna”, sull’“ambiguo” Conte che governò con la Lega e col Pd (esattamente come fece il Pd con Draghi, ma questo non si dice).
Invece il triplo inciucio con scappellamento a destra l’ha fatto il Pd, quindi non risulta: neppure per dire che è cosa buona e giusta. Non se ne parla e basta. Non è mai avvenuto.
Il Pd spacca il Pse dicendo sì all’Ursula-2 allargata ai meloniani, mentre i socialisti tedeschi si astengono e i francesi votano contro.
I suoi 21 seggi sono decisivi al varo dell’obbrobrio.
E fanno l’opposto di ciò che avevano giurato agli elettori prima e dopo le Europee, proprio come la Meloni.
Ma, stando ai giornaloni, ai tg e ai talk – gli stessi che da mesi accusano i 5Stelle di votare con la destra per la “TeleMeloni giallobruna” (infatti i loro voti alla presidente Agnes non sono mai arrivati) – i seggi a Ursula li ha portati la cicogna.
La notizia dell’appoggio determinante non risulta proprio, figurarsi le domande a Schlein, Zinga, Ruotolo, Annunziata, Gualmini, Picierno, Bonaccini, Nardella&C. sul loro voltafaccia (fa eccezione Gori che, senza che nessuno glielo chieda, spaccia il Sì del Pd per uno “spostamento di FdI al centro”: strepitoso).
I giornali di destra glissano per non dover dire che la Meloni ha votato col Pd.
Sul Corriere la notizia è “Il no a Ursula di Lega, Avs e M5S”, cioè la coerenza di chi ha sempre detto No e vota No. Per Repubblica “Von der Leyen perde i pezzi: i numeri della fiducia sono i più bassi di sempre”, ma non si sa chi glieli abbia dati.
La Stampa titola “L’Europa s’è destra” senza dire grazie a chi; dedica una paginata di bava a “Schlein nella sezione romana che fu di Berlinguer accolta da applausi dei militanti tra poesie, nostalgia e speranze”, come se guidasse un altro partito, non quello che inciucia con FdI; e affida l’editoriale sul voto in Ue alla Gualmini, senza precisare che è un’eurodeputata dem.
Infatti si fa i complimenti da sola: “Chi ha votato contro ha sbagliato”.
È la stessa Gualmini che lunedì dà dei “rosso-bruni” a Sahra Wagenknecht, a Conte e al sottoscritto e mercoledì vota con l’odiata destra.
Quindi la rosso-bruna è lei. Anche se, per una così, “rosso” è un po’ eccessivo: non esageriamo.

venerdì 11 novembre 2022

Ecco chi finanzia i partiti (e l’incredibile caso dell’ex eurodeputata di Forza Italia) - Carmine Gazzanni e Stefano Iannaccone – tpi.it















Imprenditori che finanziano tanto a destra quanto a sinistra, associazioni, società e multinazionali. Addirittura scuole e ovviamente gli stessi parlamentari. Senza dimenticare chi intanto è diventato ministro. Nell’ultimo periodo e a cavallo tra le elezioni politiche e la formazione del governo di Giorgia Meloni, sono continuati a piovere sui principali partiti italiani lauti finanziamenti, che in parte evidentemente sono serviti a coprire le ultime spese di campagna elettorale, in parte serviranno per affrontare i prossimi impegni con le amministrative.

Uno e trino

Tutto lecito, per carità, e tutto trasparente. TPI ha infatti consultato il documento relativo alle «erogazioni ai partiti e ai movimenti politici iscritti nel registro nazionale», da cui ad esempio emerge come Azione, tanto durante la campagna elettorale quanto dopo, ha attratto tante società private. Il 26 settembre, dunque un giorno dopo le politiche, la società immobiliare Ipi spa ha versato ben 30mila euro al partito di Carlo Calenda. Nei giorni precedenti, invece, a staccare un assegno erano state altre grandi imprese attive nel mondo dell’edilizia come la Bononia Holding (10mila euro), la Mst spa e la Stella Holding (entrambi 20mila euro). Qualche giorno prima però, precisamente il 12 settembre, a versare 2mila euro è stata un’altra imprenditrice, Luisa Todini. Il nome è di quelli che contano. Parliamo dell’ex eurodeputata dal 1994 al 1999 (con Forza Italia), oltreché in passato consigliera di amministrazione in Rai (dal 2012 al 2014) e presidente di Poste Italiane (dal 2014 al 2017). La vera curiosità, però, è che la Todini non ha pensato soltanto ad Azione. Risultano, infatti, a suo nome e nello stesso giorno altri due bonifici, sempre di 2mila euro: uno a Fratelli d’Italia e uno a Italia viva. Tanto per non farsi mancare nulla. E a proposito del partito di Matteo Renzi, anche qui sorgono interessanti curiosità. A cominciare dal fatto che, in mezzo a tante elargizioni di privati e società, sempre il 12 settembre a finanziare Iv è stato un imprenditore monegasco di origini italiane: Manfredi Lefebvre d’Ovidio, uomo d’affari miliardario (ad agosto 2022 il suo patrimonio netto era stimato in 1,3 miliardi di dollari), presidente ed ex proprietario della società di crociere di lusso Silversea Cruises, che ha deciso di riprendere in mano le sue origini finanziando il partito di Renzi con un bonifico da 100mila euro.

Cavalieri e giocatori.

Non è stata da meno, spostandoci sul fronte del centrodestra, anche Forza Italia. Negli ultimi giorni di campagna elettorale, tanto per dire, sono arrivati importanti bonifici, come quello da 100mila euro risalente all’8 settembre dell’Ares Safety, società impegnata nel mondo dell’abbigliamento sanitario. Ad esempio? I tanto famigerati dpi, a cominciare dalle mascherine. Dopo 4 giorni altro contributo da 100mila euro, questa volta dalla Eurozona srl, impegnata sempre nel mondo dell’edilizia. Esattamente come la Ipi spa che già abbiamo incontrato parlando di Azione. Tra i beneficiari dei contributi della società per azioni non c’è solo Calenda ma anche Berlusconi: risultano, infatti, due elargizioni, una del 20 settembre (25mila euro) e una subito dopo il risultato elettorale, il 26 settembre (10mila euro). D’altronde i versamenti sono continuati anche dopo la vittoria della coalizione del centrodestra. Un altro esempio? Gli ulteriori 10mila euro che il 27 settembre ha versato l’Associazione nazionale Sapar. Ovvero, l’associazione nazionale dei gestori del gioco di Stato che, nonostante sul sito si professi «assolutamente apolitica», ha deciso di foraggiare il partito di Silvio Berlusconi.

Scuole “leghiste”.

A questo lungo elenco ovviamente non poteva mancare Fratelli d’Italia. Che a quanto pare piace a mondi profondamente diversi l’uno dall’altro. Spiccano, ad esempio, i 30mila euro del gruppo Cremonini, leader nel settore alimentare, o di quelli della Eurologistics, che si occupa di locazione di immobili. Curiosi, a proposito dell’imparzialità politica delle associazioni di categoria, anche i 3mila euro della Federalberghi di Roma. A proposito di ricettività, però, il partito di Giorgia Meloni piace anche alla Bassani srl, società attiva proprio nel mondo del turismo, che ha versato il 22 settembre altri 10mila euro al primo partito d’Italia. E la Lega di Matteo Salvini? Accanto a privati cittadini e società, piace anche agli istituti scolastici. Qualche esempio? Il 26 settembre (dunque un giorno dopo le elezioni politiche) l’Istituto paritario “Del Majo” di Pagani in provincia di Salerno ha versato la bellezza di 25mila euro alla Lega. E non è proprio una novità. Agli inizi di settembre, infatti, a foraggiare Salvini con 50mila euro era stato l’Istituto scolastico “Cesare Brescia”. La particolarità? Parliamo sempre di una scuola campana, essendo l’istituto di Pompei. Su qualche punto, insomma, è riuscito a conquistare i cuori meridionali. Altra coincidenza è quella del 5 settembre: 20mila euro sono arrivati dall’Irsaf, Istituto di Ricerca scientifica e di alta formazione. Una delle sede principali? A Caserta. Ma non è tutto. In mezzo a tutte le altre elargizioni spiccano i 50mila euro versati il 6 settembre dalla Sostenya Green srl che a quanto pare si occupa di green economy. Tema in cui crede fortemente, dato che il giorno prima ha versato altri 30mila euro a Italia viva. Tanto per dimostrarsi bipartisan.

Ministri benefattori.

Le curiosità scorrendo gli elenchi dei “benefattori” dei partiti, però, sembrano non finire mai. E così si scopre un altro dettaglio. Molti dei politici e dei principali personaggi politici della XIX legislatura hanno finanziato i rispettivi partiti proprio in questo periodo, a cavallo delle elezioni e dunque poco prima delle nomine (o delle elezioni) che li hanno toccati. Prendiamo il ministro Gilberto Pichetto Fratin, oggi a capo del dicastero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Ebbene, dopo aver finanziato Forza Italia con 900 euro, a inizio settembre risulta un assegno di 20mila euro. Il 14 settembre, invece, risulta un bonifico di 10mila euro di Giovanbattista Fazzolari, oggi sottosegretario per l’attuazione del programma, a Fratelli d’Italia; qualche giorno prima (l’8 settembre) 8mila euro del nuovo presidente del Senato, Ignazio La Russa. Il 20 settembre, invece, è toccato a Nello Musumeci, neo-ministro del Mare, che ha versato 5mila euro. Tutti contributi, ovviamente, legittimi e inevitabili per chi è iscritto a un partito. Certo, in altre circostanze più e più volte si sono accumulati ritardi nei pagamenti che invece dovrebbero essere mensili. Restano, insomma, le curiosità della mole dei finanziamenti e, soprattutto, delle tempistiche.

https://infosannio.com/2022/11/11/ecco-chi-finanzia-i-partiti-e-lincredibile-caso-dellex-eurodeputata-di-forza-italia/

mercoledì 2 febbraio 2022

MiniMario. - Marco Travaglio

 

Un anno fa, 2 febbraio 2021, Mattarella chiamò Draghi per sostituire Conte, dimissionario dopo aver avuto la fiducia di Camera e Senato, con un coso mai visto prima: “Un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica” con “tutte le forze politiche presenti in Parlamento”. Sfortunatamente abboccarono tutti i partiti tranne fortunatamente uno (sennò avremmo avuto un coso già visto prima, ma nelle dittature). Il progetto era chiaro: cancellare il popolarissimo premier che aveva gestito la pandemia e portato a casa 209 miliardi di Pnrr; raddrizzare le gambe agli elettori che avevano sbagliato a votare nel 2018 per un cambiamento radicale (ribattezzato dai gattopardi “populismo” e “sovranismo”); neutralizzare i partiti vincitori annegandoli in una maggioranza così ampia da renderli ininfluenti e infiltrando in ciascuno di essi un PdD (partito di Draghi) per scardinarne le leadership e riportarli a più miti consigli. Perciò i ministri politici furono scelti, con rare eccezioni, fra i più allineati al sistema: Di Maio per il M5S, gli antisalviniani Giorgetti, Garavaglia e Stefani per la Lega, i lettiani (nel senso di Gianni) Brunetta, Gelmini e Carfagna per FI, più i pidini già allineati per Dna. L’avvento di Letta (nel senso di Enrico) al vertice del Pd agevolò la restaurazione. Il cerchio si sarebbe chiuso se Grillo, dopo aver trascinato i 5S nel governo dei “grillini” Draghi e Cingolani, avesse buttato fuori Conte dopo avergli dato le chiavi: ma la congiura fallì per la rivolta dei militanti.

In ogni caso, chi aveva architettato questo bel progettino era certo che SuperMario avrebbe fatto tali miracoli da lasciare senza fiato gli italiani, regnando sull’Italia, l’Europa e l’orbe terracqueo per almeno 10 anni. Invece non ne azzeccò quasi nessuna, mentre la maionese della maggioranza impazziva. Allora tentò la fuga al Quirinale. Ma, malgrado le sue frenetiche manovre, non se lo filò nessuno (5 voti). Costringendo Mattarella a tagliarsi la faccia e a smentire mesi di “rielezione mai”, pur di salvare il salvabile del Piano Gattopardo. Risultato. Tutte le massime istituzioni sfregiate o screditate: il “nuovo” capo dello Stato che rinnega la parola data come un Napolitano qualsiasi; SuperMario sconfitto, umiliato e ridotto a MiniMario; la presidente del Senato ridicolizzata in diretta tv; la direttrice del Dis impallinata da Letta jr., Di Maio, FI e frattaglie varie (e screditata dalla foto con Giggino); la maggioranza in frantumi, con le coalizioni e i partiti in pezzi; l’“antipolitica” ai massimi storici, col nuovo boom dell’astensionismo; e un solo partito che ci lucra: l’unico che sta all’opposizione, il più “populista” e “sovranista” fra quelli che i gattopardi volevano radere al suolo. Bei pirla.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/02/minimario/6477311/

mercoledì 14 aprile 2021

La “pace terrificante” dei partiti, da Salvini al “poro” Calenda. - Andrea Scanzi

 

È difficile immaginare un periodo storico più spaventosamente spento e, al tempo stesso, pericolosamente violento, come questo. Da una parte un crescendo di violenza, fisica e verbale, dettata da ignoranza, invidia e frustrazione. Dall’altra, una calma piatta insopportabile e non poco ipocrita, piombata su questo Paese come una mannaia anestetica con l’avvento (del nostro scontento) del governo Draghi. Una tale stasi generale si ripercuote su tutto, anche sul dibattito politico. Ne sono prova i social, dove la politica tira meno di un post di Renzi, e pure i talk-show, dove per creare una polemica occorre sganciare una bomba in studio. Anche questa rubrica ne risente: chi merita, oggi, un identikit? Draghi? Abbiamo già dato. Figliuolo? Nel dubbio tra averne paura (Murgia) o esserne divertito (Travaglio), scelgo una garbata incredulità nel vederlo addirittura sopra quello scranno. Ne consegue che, oggi, l’identikit non riguarderà una persona, ma i partiti sulla scena politica. Ecco una rapida ricognizione al tempo della peste. E della “pace terrificante”, come la chiamava De André.

Lega. È ancora in testa ai sondaggi, ma in un anno Salvini ha perso dieci punti. Un disastro acuito da questa sua fase politicamente surreale in cui è al governo, ma finge di non esserci. Baristi e ristoratori sono incazzati neri, e non solo loro, perché aveva promesso la Luna e alla fine non ha dato loro neanche un Sallusti. La fronda giorgettiana è insidiosa. E Zaia vale trecento volte Salvini. Oltre a ciò, la Meloni lo sta sabotando. La crisi che pervade Salvini è dimostrata pure dal fatto che, sui social, ogni tanto è costretto a rilanciare qualche frase di De Angelis o Briatore per raccattare tre like in croce. Poveretto.

Pd. Boh. Letta ci sta provando. Pare aver scelto Conte e non Renzi, e ci mancherebbe altro: il primo ha molti più voti (ci vuol poco) e il secondo è Renzi. Letta ha però ancora molto da fare per derenzizzare il partito, e questa sua guerra santa alla Raggi – benché lecita – fa un po’ ridere.

FdI. È in crescita, dunque ha ragione Meloni. La quale, se non altro, è stata coerente nel non entrare nel carrozzone ora al governo. Ovviamente la sua opposizione è ora assai meno urlata di prima, perché se sbraita troppo Salvini e Berlusconi le tirano le orecchie. I problemi di Donna Giorgia sono i soliti: una classe dirigente non di rado inquietante, i legami col fascismo tutt’altro che tranciati, una comunicazione populisto-becero-sovranista e alleati così gradevoli che in confronto viene quasi voglia di rivalutare Luis Miguel.

M5S. Boh (bis). È in perdurante fase di stallo, è entrato nel governo da maggiorente ma non sta toccando palla, non va più in tivù (e fa bene) ma nel frattempo sta scomparendo pure dai social (a giudicare dalle interazioni). Conte dovrà rivoltare il movimento (anzi “partito”) come un calzino.

Forza Italia. Gli zombie sono più vivi.

Italia Viva. Chi?

Mdp/SI. Ovvero Speranza, Bersani e Fratoianni, per citare le figure più emblematiche. I primi due appoggiano il governo (anzi uno c’è proprio dentro), il terzo no. I sondaggi piagnucolano, ma qualche segnale di vita pare arrivare. Di sicuro un’alleanza organica tra M5S e Pd non potrà prescindere da loro.

Bonino. Non scherziamo, dài.

Calenda. Lo adoro, perché è uno dei pochi che ha più ego di me, Severgnini, Carofiglio, Travaglio, Cazzullo e Friedman messi insieme. Quindi stima. Anche se continua ad avere meno voti del Poro Asciugamano.

Quindi, riassumendo: siamo nella merda. Però fingiamo di non saperlo. Daje!

IlFattoQuotidiano

sabato 6 febbraio 2021

Governo, la diretta – In corso l’incontro tra Beppe Grillo, la delegazione M5s e Draghi. La Lega ha già detto Sì: “Noi ci siamo senza condizioni.”

 

DIRETTA ORA PER ORA - Alle 11 il presidente incaricato ha ricevuto la delegazione del Carroccio e Matteo Salvini. Poi toccherà al Movimento 5 stelle.

La Lega è disponibile a partecipare al governo Draghi “senza condizioni“. Ora tocca alla delegazione del Movimento 5 stelle che, poco prima, si è riunita con Beppe Grillo, Giuseppe Conte e Daviide Casaleggio. Il garante ha pubblicato un post con le cinque proposte che farà al presidente del Consiglio incaricato: tutte riguardando l’ambiente. Oggi il presidente del Consiglio incaricato chiude il primo giro di consultazioni con i partiti.

Dentro il Movimento la discussione però rimane molto accesa. Luigi Di Maio ha aperto la giornata ribadendo che “i 5 stelle saranno responsabili”. Perché “la posta in gioco e altissima” e il garante “sa sempre guardare lontano”. Sulla linea opposta l’ex deputato Alessandro Di Battista, che ha ribadito il suo no a quello che per lui rimane “l’apostolo delle élite” e a un governo che per lui rimane un “assembramento pericoloso” anche per la presenza di Forza Italia: “Con loro mai”.

Salvini a Draghi: “Noi non poniamo condizioni. C’è condivisione sui temi” – Anche la Lega (dopo Pd, Fi, Leu e Italia viva) ha dato la sua disponibilità e senza porre condizioni. Dopo giorni in cui è oscillato tra “o noi o Grillo” e il “tutti i partiti dentro come nel dopoguerra”, oggi al presidente del Consiglio incaricato il leader del Carroccio ha detto: “Noi non poniamo condizioni. Altri lo fanno, noi nessuna condizione né su persone né sulle idee. Il bene del Paese deve superare interesse personale e partitico. Io preferisco esserci e controllare. Preferisco essere nella stanza dove si decide piuttosto che stare dove si assiste ad esempio nella stanza dove si deciderà come spendere i 209 miliardi del recovery”. Parlando dei temi, Salvini ha detto di aver “trovato una sensibilità comune”: “Nessuna tassa, semmai una pace fiscale per aiutare i cittadini. Molto tempo è stato impegnato sui temi di sviluppo, crescita, cantieri, ripartenza, edilizia e opere pubbliche. Credo sia fondamentale per ridare lavoro, ad esempio dalla Tav al ponte sullo Stretto, dal Brennero alla Pedemontana fino a sviluppo dei porti”. Quindi “noi siamo a disposizione“. E sui ministri? “Sull’idea di squadra non siamo noi a chiedere, non abbiamo chiesto posti, lasciamo a Draghi decidere come organizzare la squadra. Semplicemente essendo il primo partito, non accettiamo che altri dicano: ‘Loro no!’ perché significa dire no all’Italia, specie sentirselo dire da chi ha il 2%. Comunque credo che Draghi saprà amalgamare e coinvolgere tutti”.

Di Maio: “Movimento 5 Stelle sarà responsabile” – Chi ha ribadito la disponibilità del Movimento al dialogo è stato Luigi Di Maio: “Draghi ha un profilo prestigioso. Adesso è arrivato il tempo del debito buono”, ha detto alla Stampa. E non ha chiuso all’ingresso della Lega nel futuro esecutivo esprimendo stima per Giancarlo Giorgetti, ma anche per “alcuni esponenti di Forza Italia” con i quali ha rapporti “cordiali e costruttivi”. “Ho chiesto maturità e responsabilità istituzionale perché lo dobbiamo al capo dello Stato ma soprattutto al Paese. In ballo c’è il futuro di tutti“. Quanto a Draghi, “ha indubbiamente un profilo prestigioso, tra l’altro ha una prospettiva economica diversa da quella di Monti. Abbiamo detto che lo ascolteremo, è giusto farlo. E lo faremo partendo dai temi”. Se sarà richiesto, come successo per il Conte I e il Conte II, si voterà su Rousseau. Quanto a un sì a un governo tecnico, “abbiamo ribadito più volte la necessità di un governo politico, le regole della democrazia sono chiare, le forze politiche in Parlamento sono espressione della volontà popolare”. Intanto, dice ancora, “aspetto l’esito delle consultazioni. Ma non possiamo nasconderci dietro ai pregiudizi o rinchiuderci nell’ipocrisia. Il M5s ha intrapreso un percorso di maturità, sta acquisendo a mio avviso una nuova credibilità e non deve aver paura dei cambiamenti. Siamo noi stessi l’essenza del cambiamento, abbiamo stravolto lo scacchiere politico degli ultimi dieci anni, ora abbiamo una grande responsabilità. Ascoltare per difendere ciò in cui si crede non significa vendersi o compromettersi, significa usare la testa e riflettere. E comunque saranno i parlamentari a decidere”.

Di Battista: “Mai in un governo sostenuto da Forza Italia” – Chiusura totale invece da parte di Di Battista: “Se fossi in Parlamento non darei la fiducia al presidente Draghi”, ha ribadito oggi. Questo per il passato di Draghi “da Direttore generale del Tesoro (privatizzazioni, svendita patrimonio industriale pubblico italiano, contratti derivati) e da Governatore di Banca d’Italia”. Per Di Battista il problema è proprio la formazione di governo che sarà creata: “Tuttavia il punto non è neppure lui. Io non potrò mai avallare un’accozzaglia al governo che potrebbe andare da Leu alla Lega. Tutti dentro perché nessuno ha intenzione di fare opposizione. Oltretutto in democrazia l’opposizione serve, è necessaria”. Per quanto mi riguarda io non posso accettare “un assembramento parlamentare” così pericoloso. Non lo posso accettare perché la stragrande maggioranza delle forze politiche che si stanno inchinando al tredicesimo apostolo non rappresenta le mie idee”. Al momento l’unico partito che dirà no alla fiducia è Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni. Tra i partiti indigesti per Di Battista c’è proprio Forza Italia. “Il 9 febbraio del 2018, lessi ad Arcore la sentenza di condanna definitiva di Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia. Quella sentenza dimostra il pagamento di ingenti somme di denaro da parte di Berlusconi a Cosa Nostra. Pochi mesi dopo, un’altra sentenza, quella sulla Trattativa Stato Mafia (I grado) ha confermato il fatto che B. continuò a pagare ingenti somme di denaro a Cosa Nostra palermitana anche dopo essere stato eletto Presidente del Consiglio”. Per questo, ha concluso, “io non ce la faccio. Io non sosterrò mai un governo sostenuto da Forza Italia“.

CRONACA ORA PER ORA

12.20 – Delegazione M5s si sposta per l’incontro con Draghi
Ma ci sono i giornalisti? Perché siete lì?”. Così Beppe Grillo, muovendo dalla sala Tatarella di Montecitorio diretto nella Biblioteca per incontrare Mario Draghi, rivolgendosi ai giornalisti della stampa parlamentare che attendono la fine della riunione M5S che ha preceduto l’incontro con il premier incaricato.

11.44 – Salvini: “Non abbiamo posto condizioni”
“Noi non poniamo condizioni. Altri lo fanno, noi nessuna condizione né su persone né sulle idee. Il bene del paese deve superare interesse personale e partitico”.Lo ha detto il leader della Lega Matteo Salvini al termine dell’incontro con Draghi.

11.40 – Salvini: “Nessuna tassa, semmai una pace fiscale”
“Nessuna tassa, semmai una pace fiscale per aiutare i cittadini. Molto tempo lo abbiamo impiegato sullo sviluppo e crescita”. Lo ha detto il leader della Lega Matteo Salvini al termine dell’incontro con Draghi.

11.20 – Vertice M5s alla Camera: ci sono Grillo, Conte, Crimi e Casaleggio
È iniziato, nella sala Tatarella della Camera, il vertice del Movimento 5 Stelle prima delle consultazioni con il presidente incaricato, Mario Draghi. Alla riunione sono presenti il garante, Beppe Grillo, il premier uscente, Giuseppe Conte, il capo politico, Vito Crimi, tutta la squadra dei ministri e i capigruppo di Camera e Senato. Inoltre, partecipa anche il presidente dell’associazione Rousseau, Davide Casaleggio.

11 – Conte: “Primo giorno da leader? Non mi risulta”
Il primo giorno da leader del Movimento? ”Non mi risulta…”. Così il premier uscente Giuseppe Conte, intercettato dai cronisti prima del suo arrivo a Montecitorio per il vertice dei big M5S. A chi gli chiede se ora l’attenda un nuovo inizio, “lo saprete…”, risponde con un sorriso prima di infilarsi nell’auto che lo ha condotto alla Camera.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/06/governo-la-diretta-in-corso-lincontro-tra-beppe-grillo-la-delegazione-m5s-e-draghi-la-lega-ha-gia-detto-si-noi-ci-siamo-senza-condizioni/6092321/

giovedì 4 giugno 2020

Tanti soldi, pochi voIti: i dannati del virus. - Giacomo Salvini

Tanti soldi, pochi voIti: i dannati del virus

Apparire, esserci, dettare l’agenda politica. E poi, di conseguenza, vincere le elezioni. Il primo a teorizzarlo fu Niccolò Machiavelli secondo cui “un principe, dunque, non deve realmente possedere tutte le qualità, ma deve far credere di averle”. Eppure, l’esigenza di apparire e di comunicare in politica può essere controproducente. L’assenza, insegnava Giovanni Giolitti, a volte paga. Ma non tutti hanno seguito questa strada. E l’emergenza da coronavirus ha dato una nuova conferma a questo assunto. Ma se il lockdown obbligato ha chiuso le piazze e bloccato i comizi e manifestazioni (fino a maggio), impedendo strette di mano e selfie col pubblico, la propaganda politica si è spostata online. Così i social network sono diventati essenziali per i leader politici, con un effetto sorprendente: chi ha comunicato, e speso di più, è crollato nei sondaggi. Mentre chi si è concentrato meno sulla comunicazione diretta con gli elettori via Facebook e Instagram ha aumentato il proprio consenso.
Questo risultato emerge dall’incrocio dei dati della “Libreria inserzioni” sulla spesa dei leader e dei partiti politici per sponsorizzare i propri post su Facebook, il principale social usato dagli italiani, con 29 milioni di utenti, che si è dotato di questo strumento per rendere trasparenti gli investimenti pubblicitari delle pagine. Sebbene il social di Mark Zuckerberg certifichi cifre precise, in realtà la “Libreria Inserzioni” specifica che si tratta di una stima del denaro speso dalle diverse pagine, comprendendo quello già fatturato e quello non fatturato.
Il periodo analizzato è relativo all’ultimo anno (da marzo 2019 al 31 maggio 2020) e in particolare nei tre mesi del lockdown, dal 3 marzo alla fine del mese scorso. Nell’ultimo anno, sul podio dei più “spendaccioni” su Facebook si posizionano: Matteo Salvini tramite la pagina “Lega Salvini Premier” (255.112 euro), Matteo Renzi (173.490 euro) e Silvio Berlusconi (93.858 euro). A seguire, Carlo Calenda (55.773 euro), Giorgia Meloni (42.085) e Teresa Bellanova, che arriva addirittura a spendere 15.799 euro per finanziare i propri post.
In fondo alla classifica si posizionano i principali esponenti di governo e della maggioranza: spendono zero il premier Giuseppe Conte e i ministri Luigi Di Maio, Dario Franceschini, Roberto Speranza e Alfonso Bonafede. Nulla anche la spesa dell’attuale capo reggente del Movimento 5 Stelle Vito Crimi mentre, in 15 mesi, il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha investito solo 1.649 euro, superato anche dalla leader di “Più Europa” Emma Bonino (3.673€).
Restringendo la ricerca al periodo di lockdown causato dal Covid-19 (marzo-maggio 2020) il Fatto ha scoperto che Renzi ha scavalcato Salvini nella classifica dei leader che investono di più sui social network: l’ex premier ha speso ben 22.864 euro per sponsorizzare i suoi post (di cui 150 € nell’ultima settimana di maggio, senza considerare il nuovo libro appena uscito) contro i soli 1.646 del Matteo in salsa leghista. Quest’ultimo viene sorpassato anche da Carlo Calenda, leader di “Azione” che nelle ultime settimane ha puntato molto sulla iper-presenza comunicativa come nel caso della garanzia statale sul prestito di Fca: l’ex ministro del governo Renzi ha speso ben 5.562, di cui 1.000 dal 25 al 31 maggio, per sponsorizzare i suoi video messaggi contro gli assistenti civici, il trio “paternalistico” e “incapace” Tridico-Boccia-Arcuri e contro le richieste della famiglia Elkann sul prestito da 6,3 miliardi.
Eppure i tre leader che hanno speso di più su Facebook, sono anche coloro che hanno risentito maggiormente del lockdown in termini di consenso elettorale: secondo i sondaggi Ipsos di Nando Pagnoncelli degli ultimi tre mesi, Matteo Renzi è il leader meno amato dagli italiani con il 13% mentre Italia Viva da inizio anno è passata dal 4,3 al 3%. Lo stesso vale per Matteo Salvini che a febbraio piaceva a quattro italiani su dieci (38%) mentre a fine maggio è crollato al 33%, con la Lega che ha perso ben 7 punti percentuali: dal 31% al 24% di oggi. Carlo Calenda invece non viene analizzato da Ipsos mentre il suo partitino, Azione, non riesce a sfondare il 2% nonostante l’investimento sui social.
Se può sembrare strano che la spesa del premier Conte, dei ministri e dei leader che sostengono la maggioranza sia così bassa, in realtà tutto dipende dalla diversa strategia comunicativa dei partiti: c’è chi preferisce investire sul leader e chi sulle pagine delle forze politiche, veicolando i messaggi non solo dei ministri e dei segretari di partito ma anche dei parlamentari di seconda e terza fila.
Nell’ultimo anno il Pd ha speso più di tutti (153.618 euro), al secondo posto si posiziona Fratelli d’Italia che, sommando la pagina del partito e quelle dei gruppi di Camera e Senato, ha speso circa 55 mila euro in un anno e poi il Movimento 5 Stelle con 49.999 euro. La Lega invece ha investito solo 800 euro per sponsorizzare i propri post, lasciando tutto lo spazio alla pagina di Matteo Salvini. Dei 173 mila euro spesi da Matteo Renzi negli ultimi 15 mesi, infatti, solo 1.700 riguardano la sua pagina personale e il resto viene spartito da Italia Viva (67.622 euro) e i Comitati “Ritorno al Futuro” (circa 100 mila euro).
Un ruolo fondamentale, durante l’emergenza coronavirus, lo hanno giocato anche i Presidenti delle Regioni che hanno assunto un ruolo sempre maggiore sui tavoli nazionali perché a loro spetta la competenza sanitaria e il potere di contrattazione con il governo. Dai dati emerge che a investire di più sui social sono stati i governatori che a settembre dovranno cercare una rielezione tutt’altro che scontata, approfittando dell’emergenza per diventare leader nazionali. Il recordman è il governatore della Campania Vincenzo De Luca che da marzo a maggio ha speso quasi due mila euro a settimana: più di 36 mila euro dei 53 mila totali da marzo 2019 (superando qualsiasi altro politico italiano), mentre al secondo posto si posiziona il Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti (936 euro) e al terzo il pugliese Michele Emiliano (100 euro). A quota zero invece Luca Zaia (Veneto) che ha già la vittoria in tasca.

mercoledì 13 maggio 2020

Basta “partiti del partito preso”: serve buon senso. - Antonio Padellaro

Movimento del Buonsenso – Padova – Rimettiamo ordine a Padova.
Quando nel gennaio del 2019 il Reddito di cittadinanza diventò legge, il partito del partito preso contro i 5Stelle avviò una martellante campagna nazionale di dileggio che aveva come simbolo il divano dei nullafacenti, che sarebbero stati stipendiati (così sostenevano i cattedratici della qualunque) per continuare a poltrire.
Poi è successo quello che è successo e quando, sabato scorso a Stasera Italia (Rete4), Veronica Gentili ha portato il discorso su questo sostegno provvidenziale alle classi più povere e disagiate (che andrà sicuramente esteso e rafforzato), mi è sembrato che i suoi ospiti, i colleghi Maria Giovanna Maglie e Tommaso Labate, concordassero sull’utilità della norma. Posso sbagliarmi, ma avevo come l’impressione che questa onesta ammissione creasse loro una qualche sofferenza interiore, e anche fisica: qualcosa di simile non dico all’estrazione di un molare senza anestesia, ma quasi. Perché, confesso, neanche per chi scrive è stato agevole riconoscere che i grillini ne avevano fatta una giusta (tanto più se annunciata col proclama sull’abolizione della povertà). Purtroppo non si può stare mai tranquilli e in queste ore l’indispensabile accordo sulla regolarizzazione degli immigrati, saltato – chi dice per beghe grilline, chi per il rifiuto sempre grillino di condonare certe forme di caporalato – ripropone il tema delle negatività connesse al partito preso. Che funziona, va detto, in entrambi i sensi. Sarebbe bello, insomma, se davanti a un Paese che si prepara ad affrontare la Fase 3 – quella delle serrande e degli uffici che si riaprono su attività che spesso non ci sono più – Pd e 5Stelle, soprattutto, si venissero incontro in nome dell’interesse nazionale. Perché, come dice Alessandra Ghisleri, di fronte al timore di possibili rivolte sociali, “si deve affermare con forza che la politica oggi non deve inseguire il consenso, ma il buon senso”.

domenica 26 aprile 2020

Lottizzazione selvaggia a Mps. Nel cda pure il suo fornitore. - Giorgio Meletti e Carlo Tecce

Lottizzazione selvaggia a Mps. Nel cda pure il suo fornitore

Renzi piazza l’amico Bassilichi, che fa affari con Siena. Il Tesoro (azionista) lo sa?
La notte del 21 novembre 1986 il governo Craxi celebrò una porcheria destinata a passare proverbialmente alla storia come la “notte delle nomine”, in cui furono lottizzate 108 poltrone di vertice di 60 banche (allora erano quasi tutte pubbliche). Umiliando il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, i partitocrati imposero alla presidenza della Cariplo un parlamentare dc, Roberto Mazzotta. Ora viene il sospetto che lunedì scorso, nella concitata notte delle nomine in miniatura – allora si scontrarono Ciampi e Giuliano Amato, oggi i frontmen sono Riccardo Fraccaro e Roberto Gualtieri sia stato battuto ogni record di irresponsabilità. E che gli stessi cacciatori di teste, profumatamente retribuiti per far finta di vagliare i curriculum, si siano adattati al clima da “un, due, tre, casino!” in cui sono state partorite le liste.
Solo così si spiega – ma è solo un esempio tra i tanti – la designazione per il cda del Monte dei Paschi di Siena di Marco Bassilichi, 54 anni, imprenditore fiorentino di solida tradizione familiare, con riconosciuta competenza nel settore bancario e un difetto stranamente sfuggito ai tenutari del suk: è uno dei principali fornitori della banca che l’azionista, il ministro dell’Economia Gualtieri, ha chiamato ad amministrare.
Lunedì allo scoccare della mezzanotte, i partiti di maggioranza hanno concordato col Tesoro le liste per i cda di Eni, Enel, Poste e Leonardo, a tempo quasi scaduto, e approvato una bozza per quella di Mps, da depositare invece giovedì. In due giorni lo schema ha retto, soltanto un nome è saltato: fuori l’ingegnere Salvatore Manzi, che fu indicato dal governo Renzi nel consiglio di sorveglianza di StMicroelectronics, una società mista italo-francese, dentro Marco Bassilichi, accolto negli elenchi da Pd e 5S senza fare troppe domande perché quella seggiola spettava a Iv, cioè a Matteo Renzi in persona.
Sia chiaro, la potenza della famiglia Bassilichi precede il renzismo e gli sopravvive. L’azienda prospera dagli anni 60, grazie all’iniziativa di Giovan Gualberto Bassilichi. Quando Renzi si affaccia alla ribalta della politica toscana, Leonardo e Marco Bassilichi, figli del fondatore, hanno in mano mezzo sistema bancario toscano e non solo. Il Monte dei Paschi è il loro feudo principale, forniscono tutto, i bancomat, i computer, la manutenzione dei sistemi, il trasporto valori. Sono loro a prendere Renzi sotto la loro ala protettiva e non viceversa. Finanziano la Fondazione Open e mal gliene incoglie: finiscono perquisiti (non indagati) nell’inchiesta dello scorso novembre condotta tra gli altri da Antonino Nastasi, uno dei magistrati che a Siena aveva bombardato il sistema di potere di Giuseppe Mussari.
All’onnipotente presidente, dalemiano prima e tremontiano poi, i Bassilichi sono così legati da vedersi attribuire un potere enorme su tutta Siena. Il gruppo Bassilichi vola. Poi Mussari cade, travolto dallo scandalo dei derivati, e la nuova gestione (Fabrizio Viola e Alessandro Profumo) taglia le unghie ai regi fornitori. Non fino in fondo però: gli affidano l’esternalizzazione di 1.100 persone per attività cosiddetti back office, i Bassilichi costituiscono appositamente la Fruendo, azienda con Accenture socio di minoranza al 40 per cento. Anche qui le cose vanno male: i lavoratori esternalizzati fanno causa in massa grazie a un pool di avvocati tra i quali si distingue Luigi De Mossi, futuro sindaco di Siena con il centrodestra. E vincono, cosicché oggi 450 di loro vengono riassunti dal Monte mentre gli affari di Fruendo languiscono. Sul punto il nuovo cda eredita un casino galattico. Nel frattempo Accenture è passata al 90 per cento di Fruendo, lasciando ai Bassilichi (con Marco che ha lasciato la presidenza solo a fine febbraio scorso) il 10 per cento delle azioni attraverso la B222 srl.
Ma il vero punto nevralgico della vicenda si chiama Abs Technologies. Nel 2017 i Bassilichi mollano tutto a Nexi, colosso dei servizi bancari, mantenendo però un piede nella scatola Ausilia nella quale finiscono alcuni pezzi dell’impero, tra cui Abs Technologies, di cui Leonardo Bassilichi è presidente. A fine febbraio, cioè due mesi fa, proprio mentre entrava nel vivo la partita delle nomine, Abs Technologies esce da Ausilia e finisce sotto Base Digitale, una holding di cui Leonardo e Marco Bassilichi hanno personalmente il 25 per cento del capitale ciascuno.
Nell’ultimo bilancio depositato, quello del 2018, Abs Technologies dichiara di aver “svolto attivita di fornitura, gestione e manutenzione di impianti di sicurezza per il Gruppo Monte dei Paschi di Siena su circa 1.500 filiali”, ottenendo da questo cliente principale 14 dei 21 milioni di fatturato dell’anno, due terzi pari pari.
Fermo restando che Marco Bassilichi per la sua storia di imprenditore sa di banca e, soprattutto, di Mps molto più di Guido Bastianini – designato come amministratore delegato a guidare una banca in profonda difficoltà; e fermo restando che il conflitto di interessi esiste a prescindere dalla moralità del portatore, resta ferma anche una domanda: ma al ministero dell’Economia, quando il politicante di turno fa arrivare il pizzino con il nome del lottizzato, non c’è uno che vada a vedere chi è quel signore?

mercoledì 7 agosto 2019

Il "Partito degli Affari" Pd-FI: sì al Tav per scansare le urne. - Ilaria Proietti

Il Partito degli Affari Pd-FI: sì al Tav per scansare le urne


In Senato – I renziani, pur di evitare le elezioni, spingono i dem a non lasciare l’aula: “Siamo contro chi non vuole l’opera”. La Lega minaccia: votiamo le mozioni “pro”...

La fretta di chiudere la partita è tanta. E non solo per le ferie che premono. Prevale soprattutto il desiderio di allontanare lo spettro di un ritorno anzitempo alle urne. Perché oggi, al di là dei tatticismi e dei distinguo, le opposizioni avrebbero la straordinaria occasione di staccare la spina al governo. O comunque parlamentarizzare la crisi nella maggioranza gialloverde in cui le posizioni di M5S e Lega sulla realizzazione della linea Torino-Lione sono diametralmente opposte. Ma la voglia non c’è. E lo si è capito da tempo. Perché è caduto nel nulla, tanto per fare un esempio, l’appello pubblico lanciato dal capogruppo dei deputati di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida che già qualche giorno fa aveva smascherato il giochino: “Questa pantomima è ridicola e offensiva per l’intelligenza degli italiani. Se i 5 Stelle non vogliono il Tav, allora facciano cadere il governo. Per quel che mi compete lascerei soli in Aula M5S e Lega facendo assumere a entrambi le proprie responsabilità. Ne vedremmo delle belle”. Una proposta su cui però è calato il silenzio. Specie nel Pd che tiene così tanto alla spallata che non tenterà di mandarla a segno prima dell’autunno. Un impegno postdatato che fa a cazzotti con le parole accorate di Carlo Calenda che in beata solitudine chiede che il trappolone venga fatto scattare oggi.
“Se le opposizioni lasciassero questi due buffoni che stanno tenendo il Paese in ostaggio da mesi con le loro diatribe da adolescenti a vedersela tra di loro, allora il governo potrebbe davvero cadere. Viceversa, se l’opposizione deciderà di fare altro, di presentare mozioni, di fare altre iniziative stravaganti, quello che succederà è che avremo salvato questo governo”.
Ma Calenda è una voce nel deserto anche se in molti non ritengono casuale che la discussione sul Tav sia stata incardinata al Senato, anziché alla Camera. Dove è capogruppo dei dem Graziano Delrio che, a quanto si dice, probabilmente avrebbe valutato seriamente l’opzione tattica di fare uscire i suoi dall’aula. Ma sono suggestioni, forse malignità, alimentate dal fatto che proprio Palazzo Madama è la ridotta dei renziani che di andare al voto non ci pensano proprio: in caso di elezioni anticipate Nicola Zingaretti non li ricandiderebbe e loro non ci pensano proprio a uscire di scena e nemmeno dall’Aula perché in gioco più che il Tav è il posto in Parlamento e con gli affetti non si scherza.
Il resto è panna montata. “Noi giochini non ne facciamo: le contraddizioni in seno alla maggioranza sono già emerse. E la spallata non passa certo per una mozione”, fanno trapelare i renziani. E il capogruppo Andrea Marcucci ripete ai giornalisti: “Il Pd avrà una posizione coerente con quanto ha fatto in questi anni. Voteremo per il Tav e contro chi vuole continuare a bloccare le grandi opere pubbliche. Ricordo che nel marzo scorso avevamo già presentato una mozione di sfiducia a Toninelli, che allora fu salvato dalla Lega”. Ma ora la figura del ministro c’entra il giusto, come pure l’oggetto stesso del contendere, ossia il sì Tav/no Tav: il tema è squisitamente politico e attiene alla prosecuzione della legislatura.
La prima mozione ad andare al voto oggi è quella del Movimento 5 Stelle che al Senato conta su 107 senatori contro i 58 della Lega: insomma se i due alleati fossero lasciati in aula a vedersela tra loro, non ci sarebbe partita. Ma quali sarebbero le conseguenze politiche del via libera alla mozione No Tav? Su questo i due alleati di governo hanno idee così dichiaratamente diverse che il dubbio che si tratti di una guerra di posizioni anziché di una reale intenzione di arrivare allo scontro finale, c’è. Ma il Pd teme la crisi di governo e Forza Italia di più. Entrambi non se la sentono di rischiare: le truppe dell’ex Cavaliere inizialmente avevano pensato di lasciare l’aula facendo pesare la loro assenza decisiva. Ma poi hanno tirato i remi in barca e si preparano a dare man forte. E faranno fronte comune coi dem per bocciare la mozione grillina, forti di un totale di 123 senatori.
E la Lega? È l’unica variabile davvero sconosciuta. Ieri il capogruppo leghista Romeo ha spiegato ai 5 Stelle che i suoi potrebbero votare tutte le mozioni pro Tav all’ordine del giorno, a patto che non contengano critiche al governo: teoricamente questo rende votabile, almeno in parte, pure la mozione del Pd. Il punto vero è cosa faranno col testo M5S: il contratto di governo impegna i due alleati a non mettersi reciprocamente in minoranza su questioni di “fondamentale importanza”. Farlo sul Tav sarebbe una dichiarazione di guerra.