mercoledì 14 aprile 2021

La “pace terrificante” dei partiti, da Salvini al “poro” Calenda. - Andrea Scanzi

 

È difficile immaginare un periodo storico più spaventosamente spento e, al tempo stesso, pericolosamente violento, come questo. Da una parte un crescendo di violenza, fisica e verbale, dettata da ignoranza, invidia e frustrazione. Dall’altra, una calma piatta insopportabile e non poco ipocrita, piombata su questo Paese come una mannaia anestetica con l’avvento (del nostro scontento) del governo Draghi. Una tale stasi generale si ripercuote su tutto, anche sul dibattito politico. Ne sono prova i social, dove la politica tira meno di un post di Renzi, e pure i talk-show, dove per creare una polemica occorre sganciare una bomba in studio. Anche questa rubrica ne risente: chi merita, oggi, un identikit? Draghi? Abbiamo già dato. Figliuolo? Nel dubbio tra averne paura (Murgia) o esserne divertito (Travaglio), scelgo una garbata incredulità nel vederlo addirittura sopra quello scranno. Ne consegue che, oggi, l’identikit non riguarderà una persona, ma i partiti sulla scena politica. Ecco una rapida ricognizione al tempo della peste. E della “pace terrificante”, come la chiamava De André.

Lega. È ancora in testa ai sondaggi, ma in un anno Salvini ha perso dieci punti. Un disastro acuito da questa sua fase politicamente surreale in cui è al governo, ma finge di non esserci. Baristi e ristoratori sono incazzati neri, e non solo loro, perché aveva promesso la Luna e alla fine non ha dato loro neanche un Sallusti. La fronda giorgettiana è insidiosa. E Zaia vale trecento volte Salvini. Oltre a ciò, la Meloni lo sta sabotando. La crisi che pervade Salvini è dimostrata pure dal fatto che, sui social, ogni tanto è costretto a rilanciare qualche frase di De Angelis o Briatore per raccattare tre like in croce. Poveretto.

Pd. Boh. Letta ci sta provando. Pare aver scelto Conte e non Renzi, e ci mancherebbe altro: il primo ha molti più voti (ci vuol poco) e il secondo è Renzi. Letta ha però ancora molto da fare per derenzizzare il partito, e questa sua guerra santa alla Raggi – benché lecita – fa un po’ ridere.

FdI. È in crescita, dunque ha ragione Meloni. La quale, se non altro, è stata coerente nel non entrare nel carrozzone ora al governo. Ovviamente la sua opposizione è ora assai meno urlata di prima, perché se sbraita troppo Salvini e Berlusconi le tirano le orecchie. I problemi di Donna Giorgia sono i soliti: una classe dirigente non di rado inquietante, i legami col fascismo tutt’altro che tranciati, una comunicazione populisto-becero-sovranista e alleati così gradevoli che in confronto viene quasi voglia di rivalutare Luis Miguel.

M5S. Boh (bis). È in perdurante fase di stallo, è entrato nel governo da maggiorente ma non sta toccando palla, non va più in tivù (e fa bene) ma nel frattempo sta scomparendo pure dai social (a giudicare dalle interazioni). Conte dovrà rivoltare il movimento (anzi “partito”) come un calzino.

Forza Italia. Gli zombie sono più vivi.

Italia Viva. Chi?

Mdp/SI. Ovvero Speranza, Bersani e Fratoianni, per citare le figure più emblematiche. I primi due appoggiano il governo (anzi uno c’è proprio dentro), il terzo no. I sondaggi piagnucolano, ma qualche segnale di vita pare arrivare. Di sicuro un’alleanza organica tra M5S e Pd non potrà prescindere da loro.

Bonino. Non scherziamo, dài.

Calenda. Lo adoro, perché è uno dei pochi che ha più ego di me, Severgnini, Carofiglio, Travaglio, Cazzullo e Friedman messi insieme. Quindi stima. Anche se continua ad avere meno voti del Poro Asciugamano.

Quindi, riassumendo: siamo nella merda. Però fingiamo di non saperlo. Daje!

IlFattoQuotidiano

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