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giovedì 6 agosto 2020

Referendum e proporzionale: rischio sconfitta doppia per il Pd. - Wa. Ma.

Referendum e proporzionale: rischio sconfitta doppia per il Pd

Il Pd si appresta a un’estate da equilibristi, con sconfitta incorporata: un “ni” al Referendum costituzionale che taglia i parlamentari nel nome della mancata riforma della legge elettorale e una battaglia per un accordo su un proporzionale, che è praticamente impossibile blindare prima del 20 settembre.
Astenersi sul testo base del proporzionale per permettere di iniziare a lavorare: è la proposta che gli sherpa del Pd stanno portando a Matteo Renzi. Lui prende tempo e si crogiola nel ruolo di ago della bilancia (con uno sguardo a Berlusconi che può contenderglielo). L’obiettivo è ottenere che la soglia passi dal 5% al 3%. Potrebbe spuntarla. Ma comunque, è tutto rimandato a dopo la pausa estiva. Nel frattempo, il Pd comincia ad accarezzare l’idea di boicottare il referendum. Se al Nazareno parlano di libertà di coscienza, in molti cominciano a mobilitarsi per il no. Hanno iniziato i senatori Tommaso Nannicini e Gianni Pittella. Ma il fronte si allarga. Si sono espressi per il no Matteo Orfini e Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, esponente di Base Riformista. Sono in arrivo alla causa una serie di intellettuali. Molti dem nel segreto dell’urna diranno no. Posizione pericolosa: rischiano di accusare una sconfitta, senza aver neanche combattuto la battaglia. Mentre dentro il partito c’è chi considera le barricate sul proporzionale il segno evidente che il Pd, nato nel segno della vocazione maggioritaria, ha abdicato al suo ruolo.

mercoledì 7 agosto 2019

Il "Partito degli Affari" Pd-FI: sì al Tav per scansare le urne. - Ilaria Proietti

Il Partito degli Affari Pd-FI: sì al Tav per scansare le urne


In Senato – I renziani, pur di evitare le elezioni, spingono i dem a non lasciare l’aula: “Siamo contro chi non vuole l’opera”. La Lega minaccia: votiamo le mozioni “pro”...

La fretta di chiudere la partita è tanta. E non solo per le ferie che premono. Prevale soprattutto il desiderio di allontanare lo spettro di un ritorno anzitempo alle urne. Perché oggi, al di là dei tatticismi e dei distinguo, le opposizioni avrebbero la straordinaria occasione di staccare la spina al governo. O comunque parlamentarizzare la crisi nella maggioranza gialloverde in cui le posizioni di M5S e Lega sulla realizzazione della linea Torino-Lione sono diametralmente opposte. Ma la voglia non c’è. E lo si è capito da tempo. Perché è caduto nel nulla, tanto per fare un esempio, l’appello pubblico lanciato dal capogruppo dei deputati di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida che già qualche giorno fa aveva smascherato il giochino: “Questa pantomima è ridicola e offensiva per l’intelligenza degli italiani. Se i 5 Stelle non vogliono il Tav, allora facciano cadere il governo. Per quel che mi compete lascerei soli in Aula M5S e Lega facendo assumere a entrambi le proprie responsabilità. Ne vedremmo delle belle”. Una proposta su cui però è calato il silenzio. Specie nel Pd che tiene così tanto alla spallata che non tenterà di mandarla a segno prima dell’autunno. Un impegno postdatato che fa a cazzotti con le parole accorate di Carlo Calenda che in beata solitudine chiede che il trappolone venga fatto scattare oggi.
“Se le opposizioni lasciassero questi due buffoni che stanno tenendo il Paese in ostaggio da mesi con le loro diatribe da adolescenti a vedersela tra di loro, allora il governo potrebbe davvero cadere. Viceversa, se l’opposizione deciderà di fare altro, di presentare mozioni, di fare altre iniziative stravaganti, quello che succederà è che avremo salvato questo governo”.
Ma Calenda è una voce nel deserto anche se in molti non ritengono casuale che la discussione sul Tav sia stata incardinata al Senato, anziché alla Camera. Dove è capogruppo dei dem Graziano Delrio che, a quanto si dice, probabilmente avrebbe valutato seriamente l’opzione tattica di fare uscire i suoi dall’aula. Ma sono suggestioni, forse malignità, alimentate dal fatto che proprio Palazzo Madama è la ridotta dei renziani che di andare al voto non ci pensano proprio: in caso di elezioni anticipate Nicola Zingaretti non li ricandiderebbe e loro non ci pensano proprio a uscire di scena e nemmeno dall’Aula perché in gioco più che il Tav è il posto in Parlamento e con gli affetti non si scherza.
Il resto è panna montata. “Noi giochini non ne facciamo: le contraddizioni in seno alla maggioranza sono già emerse. E la spallata non passa certo per una mozione”, fanno trapelare i renziani. E il capogruppo Andrea Marcucci ripete ai giornalisti: “Il Pd avrà una posizione coerente con quanto ha fatto in questi anni. Voteremo per il Tav e contro chi vuole continuare a bloccare le grandi opere pubbliche. Ricordo che nel marzo scorso avevamo già presentato una mozione di sfiducia a Toninelli, che allora fu salvato dalla Lega”. Ma ora la figura del ministro c’entra il giusto, come pure l’oggetto stesso del contendere, ossia il sì Tav/no Tav: il tema è squisitamente politico e attiene alla prosecuzione della legislatura.
La prima mozione ad andare al voto oggi è quella del Movimento 5 Stelle che al Senato conta su 107 senatori contro i 58 della Lega: insomma se i due alleati fossero lasciati in aula a vedersela tra loro, non ci sarebbe partita. Ma quali sarebbero le conseguenze politiche del via libera alla mozione No Tav? Su questo i due alleati di governo hanno idee così dichiaratamente diverse che il dubbio che si tratti di una guerra di posizioni anziché di una reale intenzione di arrivare allo scontro finale, c’è. Ma il Pd teme la crisi di governo e Forza Italia di più. Entrambi non se la sentono di rischiare: le truppe dell’ex Cavaliere inizialmente avevano pensato di lasciare l’aula facendo pesare la loro assenza decisiva. Ma poi hanno tirato i remi in barca e si preparano a dare man forte. E faranno fronte comune coi dem per bocciare la mozione grillina, forti di un totale di 123 senatori.
E la Lega? È l’unica variabile davvero sconosciuta. Ieri il capogruppo leghista Romeo ha spiegato ai 5 Stelle che i suoi potrebbero votare tutte le mozioni pro Tav all’ordine del giorno, a patto che non contengano critiche al governo: teoricamente questo rende votabile, almeno in parte, pure la mozione del Pd. Il punto vero è cosa faranno col testo M5S: il contratto di governo impegna i due alleati a non mettersi reciprocamente in minoranza su questioni di “fondamentale importanza”. Farlo sul Tav sarebbe una dichiarazione di guerra.