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sabato 10 ottobre 2020

“Ora il proporzionale con sbarramento al 5% e doppia preferenza di genere”. - Silvia Truzzi

 

Valerio Onida. Il costituzionalista sulla legge elettorale: “ridurre la frammentazione”.

L’ultima volta che abbiamo parlato con Valerio Onida era la vigilia del referendum sul taglio dei parlamentari. Ci aveva detto: “Vorrei sottolineare, per coloro che sono preoccupati per le sorti del principio di rappresentanza, che da anni quando si discute di legge elettorale si sente parlare di correttivi che favoriscano la governabilità, i quali incidono sul principio di rappresentanza assai più del numero di parlamentari”. Oggi spiega: “Il numero dei parlamentari non era questione di grande importanza. Il fatto che il referendum sia passato con un risultato così netto significa che c’è stata sintonia tra i parlamentari e i cittadini; e che la maggioranza di coloro che hanno votato non avevano timori per le sorti della democrazia”. E dunque, acquisito il taglio, parliamo della legge elettorale.

Professore, attualmente la legge in discussione è di impianto proporzionale, ma qualcuno torna a parlare di maggioritario. Lei che ne pensa?

Se maggioritario significa solo collegi uninominali, sul modello della legge inglese per intenderci, le rispondo che non è pensabile introdurlo in questo momento in un sistema politico come il nostro che non è bipartitico e nemmeno bipolare. Potrebbe portare a gravi distorsioni, e cioè ad attribuire la maggioranza dei seggi in Parlamento ai candidati di un partito o di una coalizione diversa da quella che ha la maggioranza dei voti nel Paese. Se si vuole un sistema maggioritario, bisognerebbe adottare altri accorgimenti, come il doppio turno (alla francese) nei collegi nei quali al primo turno nessun candidato ottenga il 50% dei voti: il ballottaggio consentirebbe forme di convergenza o di ‘desistenza’.

O liste bloccate o preferenze: entrambi i meccanismi hanno controindicazioni.

Qui parliamo allora di un sistema elettorale fondamentalmente proporzionale di lista. Le liste bloccate, se sono molto corte (3-4 candidati), possono anche essere accettate. Infatti cosa vuol dire che l’elettore deve poter scegliere il deputato o il senatore? Quando il cittadino va a votare la prima scelta che normalmente fa è quella del partito che ha presentato la lista o il candidato. Un sistema di liste corte, come nel caso dei collegi uninominali, consente agli elettori di valutare le scelte che il partito ha fatto nella formazione della lista (o nella presentazione dell’unico candidato). In un sistema proporzionale di lista con liste non brevissime, si può introdurre il voto di preferenza, che nel nostro sistema è stato previsto per molto tempo. Le preferenze, ricordiamolo, dovrebbero essere almeno due in modo da consentire un equilibrio di genere (che nei sistemi uninominali o di liste bloccate dovrebbe essere assicurato imponendo un equilibrio nelle candidature). Il problema sono le possibili degenerazioni, con la compravendita di voti o pacchetti di voti, specie se gli elettori che usano il voto di preferenza sono pochi.

L’altro grande tema di scontro è la soglia di sbarramento.

È chiaro che una soglia, anche significativa, è utile per ridurre l’eccessiva frammentazione politica, che non giova al buon funzionamento del Parlamento. In un sistema politico articolato e fluido come il nostro attuale – si pensi al numero abnorme di liste che vengono di solito presentate – lo sbarramento incentiva la convergenza delle forze politiche più piccole. Con un proporzionale puro o con una soglia molto bassa, ogni piccola formazione tende a presentarsi da sola. Con la soglia al 5 si cambia musica: è un incentivo alla presentazione di liste di coalizione.

Cosi si sacrifica la rappresentanza.

Il problema è sempre l’equilibrio fra rappresentanza e governabilità. Il cosiddetto ‘diritto di tribuna’ consentirebbe peraltro alle formazioni politiche più piccole, ma che abbiano un certo consenso solo in alcune aree del Paese, di eleggere dei loro rappresentanti, equilibrando l’effetto di una soglia di sbarramento alta.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/10/ora-il-proporzionale-con-sbarramento-al-5-e-doppia-preferenza-di-genere/5961197/

venerdì 2 ottobre 2020

Il “Pastrocchium” di Zinga sembra la riforma di Renzi. - Giacomo Salvini

 


Scontro giallorosa sulla legge elettorale.

Tanti saluti alle riforme puntuali della Costituzione come il taglio dei parlamentari. Anzi: sì alla riproposizione di alcune – le peggiori – modifiche volute dalla coppia Renzi-Boschi nel 2016 e già bocciate dagli elettori. Sta tutta qui la riforma costituzionale presentata ieri al Nazareno dai vertici del Pd. Ma di nuovo nella proposta ispirata da Enzo Cheli e Luciano Violante c’è solo il ruolo del Parlamento che si riunirà in seduta comune sia per dare e togliere la fiducia al governo, sia per votare il Bilancio che per le comunicazioni del premier prima e dopo il Consiglio Europeo. Sul resto la grande riforma Pd è una minestra riscaldata di proposte ripescate dal ddl Renzi-Boschi e nuove regole per rafforzare il ruolo del governo legando di fatto le mani al Presidente della Repubblica con il meccanismo della sfiducia costruttiva alla tedesca.

Dalla riforma Renzi questo progetto ripesca un Senato depotenziato e che dovrebbe fare da collegamento con le Regioni. In primo luogo, con un nuovo “bicameralismo temperato”, le due Camere avranno un potere diverso sul processo legislativo: la supremazia spetterà all’aula di Montecitorio che avrà l’ultima parola sulle leggi ordinarie, mentre resta il bicameralismo paritario per le leggi elettorali e costituzionali. I senatori avranno il potere d’inchiesta e sulle politiche pubbliche con impatto sui territori, mentre nel processo ordinario saranno praticamente inutili: potranno esaminare le leggi approvate a Montecitorio entro 15 giorni e fare delle modifiche, ma la parola finale spetterà comunque alla Camera. Al Senato tornerebbe anche il dopo-lavoro per i consiglieri regionali: ai 200 senatori si aggiungono 21 consiglieri eletti dalle assemblee locali che dovrebbero fare la spola tra Rome e i capoluoghi. Ma ancora una volta il loro mandato sarebbe legato a quello dei consigli regionali (creando molta confusione).

Il presidente del Consiglio poi sarà rafforzato: avrà il potere di proporre al capo dello Stato la revoca di un ministro, ci vorrà la maggioranza assoluta per la sfiducia e viene introdotto il meccanismo della sfiducia costruttiva come in Germania indicando nella mozione chi dovrebbe guidare il prossimo governo. Problema: questa modifica rischia di esautorare i poteri del Capo dello Stato di nomina del premier visto che nella forma di governo italiana, rispetto a quella tedesca, il presidente non ha solo un potere formale ma sostanziale. La proposta non piace al M5S: “No alle riforme monstre e agli annunci di parte” dice il capogruppo alla Camera Davide Crippa e lo scontro continua anche sulla legge elettorale. Zingaretti ha detto che la soglia del 5% “non è in discussione” facendo arrabbiare LeU e che alle preferenze preferisce i “collegi uninominali sul modello delle province” incontrando l’ostilità di Italia Viva: “Sì alle preferenze, no al Provincellum” dice Maria Elena Boschi. Risultato: per il primo voto si dovrà aspettare il 2021.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/02/il-pastrocchium-di-zinga-sembra-la-riforma-di-renzi/5951358/

A me sa tanto che alla base di tutto ci sia ancora lo zampino di Napy. Ma, forse, è solo una mia fissazione.

mercoledì 30 settembre 2020

“Proporzionale senza liste bloccate e con soglia al 3%”. - Silvia Truzzi

 












Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza, ha sottoscritto la petizione per una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti. “Oltre alla legge elettorale”, spiega, “anche altre questioni al centro del dibattito vanno affrontate con la dovuta radicalità se si vuole realmente concorrere a superare la crisi in cui versa da tempo il Parlamento. Ad esempio la questione dei regolamenti parlamentari: mi sembra ci si voglia accontentare di una riforma minimale”.

Andranno corretti, o no?

Certo, ma non ci si può limitare a dire che il numero delle commissioni parlamentari va ridotto: questa è un’ovvietà. Ci sono altre questioni che impediscono il funzionamento del parlamento: i maxi emendamenti, l’abuso della fiducia, i tempi contingentati. Il Parlamento non deve solo provare a sopravvivere, deve riaffermare il proprio ruolo autonomo. Poi si dovrebbero affrontare anche problemi strutturali: il ruolo dei partiti e la questione del bicameralismo. Oggi nessun partito – dai 5Stelle alla Lega passando per il Pd – riesce a più a svolgere adeguatamente la funzione di reale rappresentanza politica che la costituzione assegna loro.

E sul ruolo delle Camere?

Vedo molta confusione sotto il cielo. Abbiamo due leggi costituzionali in discussione che tendono ad annullare le differenze tra le due Camere, tramite l’equiparazione a 18 anni dell’età per l’elettorato attivo nei due rami del Parlamento e l’abbandono della base regionale per l’elezione in Senato. Poi, però, il Pd presenta un disegno di legge che punta a differenziare il bicameralismo.

Veniamo alla questione più urgente: la legge elettorale. Proporzionale o maggioritario?

Proporzionale senz’altro: votai contro il maggioritario nel referendum del ’93. In vent’anni di maggioritario il sistema si è dimostrato fallimentare rispetto agli obiettivi che si proponeva: la grande promessa della governabilità è stata tradita. Dovremmo finalmente prenderne atto.

Chiediamo l’abolizione delle liste bloccate, ma l’altro sistema possibile, quello delle preferenze, è anch’esso criticato perché favorisce le clientele.

L’attuale disegno di legge in discussione, il Brescellum, mi lascia perplesso perché estende il sistema delle liste bloccate. Si corre il rischio di non rispondere a una chiara indicazione della Corte che ha affermato sia necessario lasciare un margine di scelta all’elettore.

Quindi preferenze?

Non necessariamente. Esse possono innescare una impropria competizione tra le fazioni di una stessa lista. Aumenterebbero inoltre i costi delle campagne elettorali per i singoli candidati: con collegi ampi poi! Prevedibile l’aumento del pericolo della “compravendita” dei voti di preferenza. Sarebbe preferibile seguire una terza via: il collegio uninominale con il sistema proporzionale. In passato ha dato buoni risultati: è questo il modello della legge 29 del 1948, quello che ha permesso le elezioni dei senatori fino al ’93. Normalmente l’uninominale si associa al maggioritario. Qui si parla di un sistema proporzionale con piccoli collegi (tanti quanti sono i rappresentanti da eleggere). Il vantaggio è che responsabilizza i partiti, che sceglieranno quale candidato presentare; si rafforza poi il rapporto tra elettori e territorio, nonché indirettamente quello tra partito e territorio.

Qual è il difetto di questo sistema?

Il limite è che essendo un sistema proporzionale, i seggi sono distribuiti in proporzione ai voti riportati dai partiti e assegnati in base alla cifra individuale (cioè i voti ottenuti in rapporto al numero degli elettori del collegio). È possibile pertanto che chi vince nel singolo collegio poi non venga eletto.

Sbarramento al 5: è troppo alto?

Sì. Andava bene con una Camera di 650 deputati, ma ora, con la riduzione dei parlamentari, si è già alzata la soglia implicita per accedere ai seggi. Aggiungo che in alcune regioni che eleggono pochi senatori, la selezione naturale porta a escludere tutte le forze minori, senza bisogno di alcuna soglia. Se proprio si deve, la soglia accettabile è al 3 per cento.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/29/proporzionale-senza-liste-bloccate-e-con-soglia-al-3/5947177/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-09-29

Lo Zinga in barile. - Marco Travaglio












Una settimana fa il Fatto ha lanciato una petizione di 10 costituzionalisti, che il 20 e 21 settembre si erano divisi tra il Sì e il No al taglio dei parlamentari, per una legge elettorale senza più liste bloccate. Cioè per abolire quel meccanismo infernale, introdotto dal centrodestra nel 2005 col Porcellum (poi raso al suolo della Corte costituzionale) e perpetuato dall’Innominabile con l’Italicum (anch’esso bocciato dalla Consulta) e il Rosatellum (votato da Pd, FI e Lega, con i No di M5S, FdI e sinistra), che consente a un pugno di capipartito di nominarsi la gran parte dei parlamentari, sottraendo ai cittadini il diritto e il potere di sceglierli. Una porcata degna dell’Ungheria di Orbán. In sette giorni, l’appello su change.org ha raccolto oltre 75 mila firme e noi speriamo che superi presto quota 100mila. Come si restituisce agli elettori la scelta dei parlamentari? Se il sistema elettorale è proporzionale, si ripristinano le preferenze, anzi la preferenza unica (o doppia di genere): ciò che gli italiani votarono nell’ultimo referendum elettorale riuscito, promosso da Mario Segni nel 1991. Se il sistema è maggioritario, ogni partito o coalizione presenta un candidato per ogni collegio e i cittadini scelgono chi preferiscono (scelta unica nel turno secco o ripetuta al ballottaggio nel doppio turno). Non esistono sistemi elettorali perfetti, ma noi, insieme ai 75mila aderenti all’appello, chiediamo che qualunque modello vinca produca degli eletti, non dei nominati. Il dibattito, però, non è all’anno zero: il governo Conte-2, come Zingaretti ha ricordato al premier, al M5S e a Iv in campagna elettorale, è nato su un preciso patto di maggioranza per il proporzionale puro. Dunque non si scappa: proporzionale con preferenza unica o doppia di genere (un candidato e una candidata).

E qui casca l’asino, perché dopo il referendum si è riaperta nel Pd la solita batracomiomachia tra proporzionalisti e nostalgici del maggioritario o del Mattarellum. Che, senza una posizione chiara e netta del segretario, riporterebbe la discussione all’anno zero. E sarebbe strano, per chi temeva di delegittimare le Camere col taglio dei parlamentari votato dal 98% della Camera. Gli italiani hanno rilegittimato il Parlamento, plaudendo a quella riforma col 70%. Ma ora, a delegittimare quello futuro, è proprio chi fa il pesce in barile sulla preferenza. Che ci restituirebbe un Parlamento non solo più snello, ma anche eletto. Salvini ha già detto, in dissenso con la Meloni, che il Rosatellum non si tocca: così continuerà a portare in Parlamento chi pare a lui. Il M5S è per la preferenza. Zingaretti con chi sta?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/30/lo-zinga-in-barile/5948540/

sabato 26 settembre 2020

I Nominati e le porcate: chi ha vietato di scegliere. - Giacomo Salvini

 












Luglio 1993. Mentre i partiti della Prima Repubblica venivano spazzati via dalle inchieste di Mani Pulite (il 30 aprile Bettino Craxi veniva ricoperto di monetine davanti all’hotel Raphael), i due deputati Lucio Magri (ex Pci) e Sergio Mattarella (Dc) si incontrarono in Transatlantico davanti alla sala della Lettura e, dopo un breve conciliabolo, si scambiarono un bigliettino enigmatico: “75-25”. Nacque così la legge elettorale “Minotauro” – poi coniata (con disprezzo) da Giovanni Sartori come “Mattarellum” dal nome del suo relatore – perché per la prima volta nella storia repubblicana si mettevano insieme due sistemi elettorali diversi: tre quarti del Parlamento (il 75%) sarebbe stato eletto con i collegi maggioritari, il restante 25% con il proporzionale. E, per abolire le preferenze che nella Prima Repubblica erano diventate il ricettacolo della mafia e delle correnti Dc, per la prima volta i partiti decisero di inserire le liste bloccate. Da quel momento i cittadini non poterono più scegliere i propri rappresentanti.

Un passo indietro. Per quarant’anni – dal 1948 al 1993, con la breve parentesi della “Legge Truffa” abrogata nel 1953 – i cittadini hanno sempre potuto scegliere i propri parlamentari. Anche troppo. La Camera era eletta con un sistema proporzionale puro, senza soglie di sbarramento, ma soprattutto liste che permettevano all’elettore di esprimere fino a un massimo di 5 preferenze. E allora era un profluvio di santini, ambi, terne, quaterne (specializzati erano i ras della Dc), date (Clemente Mastella invitava i suoi elettori a votare l’anno 1976, dove 1 era De Mita, 9 lui, 7 Bianco e 6 Gargani), fino ai ministri democristiani che per mantenere il proprio pacchetto di voti arrivarono a far costruire intere autostrade per arrivare nella propria città natale: il potente doroteo e sedici volte ministro Remo Gaspari (detto anche il “Duca degli Abruzzi”) spinse per due autostrade per collegare Pescara e l’Aquila a Roma con uno svincolo apposito nella sua Gissi (poco più di 3mila abitanti). Lo stesso fece il sei volte presidente del Consiglio Amintore Fanfani che ideò la “curva Fanfani” per far deviare la A1 nella sua Arezzo. Ad ogni tornata, quindi, gli elettori li premiavano generosamente. Le preferenze multiple ormai non erano più un esercizio di democrazia ma la certezza dell’elezione del micronotabile più clientelare.

Così si decise di abolire le preferenze. Mariotto Segni e il Movimento dei 31 (da Carlo Bo a Umberto Agnelli fino a Rita Levi Montalcini) promossero un referendum per abolire le preferenze multiple passando a una unica. Il quesito fu approvato con una maggioranza bulgara, nonostante Craxi avesse invitato gli elettori ad “andare al mare”: il 96% disse Sì. Le prime liste bloccate furono inserite per la prima volta con il “Mattarellum”: per il 25% dei collegi assegnati con il sistema proporzionale i candidati a Camera e Senato erano nominati dai partiti. Anche il “Mattarelllum” si portava dietro molte distorsioni come le liste civetta create ad arte per superare il meccanismo dello scorporo dei voti maggioritari per determinare la quota dei seggi nel proporzionale, ma anche altri effetti indesiderati: alle elezioni del 1996 l’Ulivo fece il pieno in Campania con tutti i suoi candidati nei collegi senza far eleggere il primo nel listino proporzionale, Giorgio Napolitano, poi paracadutato al Viminale nel primo governo Prodi.

Il “minotauro” durò nove anni fino al 2005, quando il premier Silvio Berlusconi arrivò a minacciare la crisi di governo se il Parlamento non avesse approvato una legge proporzionale: lo scopo era quello di rendere più difficile la maggioranza assoluta all’Ulivo alle elezioni dell’aprile 2006. E così fu. Il quindicesimo Parlamento fu eletto con una legge che il suo padrino, il leghista Roberto Calderoli, definì apertamente “una porcata”: un sistema proporzionale con lunghe liste bloccate (tutti nominati dai partiti) e un premio di maggioranza del 55% alla coalizione che avesse ottenuto il maggior numero di voti. Quella legge, che a parole non piaceva a nessuno, è stata applicata per le elezioni del 2006, 2008, 2011 e 2013. Tutti i partiti se ne dissociavano ma poi se la tenevano. A fine 2012, a pochi mesi dalle elezioni politiche del febbraio successivo, il redivivo Berlusconi e Bersani affidarono la partita della legge elettorale ai propri sherpa, Denis Verdini e al senatore piacentino Maurizio Migliavacca. Dopo settimane di trattative, si decise di non modificare il “Porcellum” per non toccare le liste bloccate. Fabrizio Cicchitto arrivò a gridare al “pactum sceleris à la Ribbentrop-Molotov”, il celebre patto di non aggressione del 1939 tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica. Non proprio un complimento. Ci fu bisogno della Corte Costituzionale per eliminare la “porcata”: incostituzionale sia l’abnorme premio di maggioranza, sia le liste bloccate.

Dopo il Consultellum, un proporzionale puro con preferenze, Matteo Renzi decise che abolire le liste bloccate sarebbe stato troppo anche se da Rottamatore si diceva favorevole “alle preferenze”. Prima arrivò il “Toscanellum” o anche “Verdinellum” (ancora una volta lo zampino era del macellaio di Fivizzano): nel 2014 il consiglio regionale della Toscana approvò un sistema che prevedeva un premio del 57% se uno dei candidati avesse raggiunto la soglia del 40%. Poi il mantra del renzismo fu rispettato anche sulla legge elettorale: dalla Toscana al Paese. L’Italicum approvato nel maggio 2015 era una brutta copia del “Toscanellum”: oltre al premio, i capilista erano tutti bloccati. Ma questa legge, primo caso nella storia repubblicana, non è mai stata applicata: bocciata anch’essa dalla Consulta nel 2017. Alle politiche del 2018 gli italiani sono andati a votare con una nuova legge, il “Rosatellum” dall’idea di Ettore Rosato, in parte maggioritaria e in parte proporzionale. Ma ancora una volta, gli elettori non hanno potuto scegliere: le liste erano più corte, ma tutte bloccate e con le pluricandidature. Dopo il Sì al referendum, chissà se il prossimo Parlamento sarà più snello e soprattutto eletto dai cittadini.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/25/i-nominati-e-le-porcate-chi-ha-vietato-di-scegliere/5943278/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=ore-19&utm_term=2020-09-25

giovedì 24 settembre 2020

Ce la pagherete. - Marco Travaglio

 












Non capire come voterà il Paese è umano. Ma non capire come ha votato il Paese è diabolico. Eppure ci riescono in tanti. Lasciamo perdere gli opinionisti, che capiscono benissimo ma devono scrivere l’opposto per contratto. Ma i politici sul voto degli elettori dovrebbero costruire il loro futuro. Cos’hanno detto gli elettori? Intanto che i parlamentari sono troppi, in perfetta quanto rara sintonia col Parlamento che aveva approvato – pur obtorto collo, su pressione e per paura dei 5Stelle – quella riforma col 98%. Quindi, se quella riforma era populista, ha stravinto il populismo e tutte le analisi sulla fine o sul calo del populismo sono baggianate. Ora, che chi puntava al No finga di non accorgersene, passi. Ma che non se ne accorga chi puntava al Sì è deprimente. Per questo l’uscita di Di Battista che frigna per “la più grande sconfitta M5S di sempre”, è suicida sia nei tempi sia nei contenuti. Nei tempi, perché il referendum è stato una delle più grandi vittorie M5S di sempre e andava festeggiato almeno per un paio di giorni, anziché fare gné gné a Di Maio e agli altri che, diversamente da Dibba, si sono spesi nella campagna del Sì. Nei contenuti, perché le Regionali i 5Stelle le perdono sempre, da quando sono nati, anche quando vincevano le Politiche nel 2013 e le stravincevano nel ’18 e intanto venivano battuti in Sicilia e Lazio.

Le Regionali, per quanto appaia bizzarro, decidono chi governa le singole Regioni, così come le Comunali i Comuni. Gli elettori votano per i candidati presidenti o sindaci, non per il governo o per i segretari di partito. E sommare i voti di lista nelle Regioni e nei Comuni per stabilire chi ha vinto su scala nazionale è come sommare i fichi e le patate. Si può al massimo stabilire chi ha perso, in base alle dichiarazioni della vigilia. Se Salvini puntava al 7-0, è ovvio che ha perso: è finita 3-4. Se l’altro Matteo mirava a far vincere Giani e far perdere Emiliano e Sansa, è ovvio che ha perso: Giani ha vinto per 8 punti e Iv ha preso il 4,5; Emiliano ha vinto nonostante Iv e Sansa avrebbe perso anche con Iv. Di vincitori nazionali c’è solo la Meloni, che ha strappato le Marche con un fedelissimo e ha aumentato i voti dappertutto. Tutti gli altri hanno perso voti. Anche Zingaretti: ha salvato Toscana, Puglia e segreteria, ma oltre alle Marche ha perso terreno in Liguria, Toscana e Veneto. I veri vincitori sono i cosiddetti “governatori”, trainati dall’effetto Covid e dal populismo trasformista da “cacicchi” che ne fa delle star locali, non nazionali e sganciate dai partiti: Zaia, Toti (anche per il dopo-Morandi), De Luca, Emiliano. Successi personali più che partitici. De Luca aveva 5 liste dei più vari colori.

Emiliano addirittura 15, dall’estrema sinistra alla destra. Zaia la sua, che ha svuotato la Lega. In più, quasi dappertutto, è scattato il soccorso grillino per tre fattori: la fiducia in chi ha gestito la pandemia; il voto utile, disgiunto o diretto, al male minore; la corsa sul carro del vincitore. Come si fa a non capire che gli stessi elettori, in un’elezione nazionale col proporzionale, avrebbero votato in modo totalmente diverso dalle Regionali col maggioritario a turno secco e dalle Comunali col doppio turno? Chi fa un altro mestiere non deve studiare le leggi elettorali, ma per chi fa politica è proprio il minimo. Col proporzionale (Politiche), ciascuno va per conto suo e le alleanze si fanno dopo le elezioni. Col maggioritario a doppio turno (Comuni), si corre da soli e le alleanze si fanno tra il primo e il secondo turno (e, se non i partiti, le fanno gli elettori). Col maggioritario a turno secco (Regionali), le alleanze si fanno prima del voto (e, se non i partiti, le fanno gli elettori delle forze sfavorite scegliendo il meno distante dei due favoriti).
Perciò Emiliano e De Luca hanno avuto molti voti grillini, ma anche forzisti e leghisti: tutta gente che alle Politiche tornerà all’ovile. Come i grillini che han votato Giani. E i veneti della lista Zaia, alle Politiche, voteranno quasi tutti Lega. Ecco perché la vittoria dei presidenti Pd non è di Zingaretti, se non per averlo aiutato a sventare la manovra dei poteri forti per rimpiazzarlo con Bonaccini, rovesciare Conte, scaricare il M5S e tentare l’ennesimo inciucio con quel che resta di FI e pezzi di Lega. Emiliano e Giani l’hanno capito: Zinga&C. pare di no. Infatti, consigliati da Repubblica e dai “padri nobili” che non ne azzeccano una, avanzano pretese bizzarre o ideologiche: il Mes (di cui non si parla da nessuna parte in Europa, neppure più a Cipro), lo Ius Soli (non proprio in cima ai pensieri degli italiani, e nemmeno degli stranieri) e i decreti Sicurezza (dove basta qualche ritocco sulla linea Mattarella, senza tanti strepiti). Del resto, se anche il Pd avesse vinto, gli elettori l’avrebbero premiato per il governo giallorosa che, anziché perdersi in quelle fumisterie, s’è occupato di cose più urgenti e vitali: Covid, tre manovre da 100 miliardi, bonus ai più deboli, Recovery Fund. E ora, si spera, una legge elettorale senza più liste bloccate, su cui il Fatto lancia oggi una petizione di costituzionalisti del Sì e del No da firmare sul sito. Qualcuno ha detto che il nostro appello a “turarsi il naso”, in Puglia e Toscana, è servito come quello di Montanelli nel 1976: ne siamo felici. Ma quella volta, subito dopo il voto, il grande Indro inviò un telegramma alla Dc che cantava vittoria: “Vi abbiamo votato, ma ce la pagherete”

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/24/ce-la-pagherete/5941917/

venerdì 11 settembre 2020

Primo ok al proporzionale. C’è il testo base della legge elettorale. Regge il patto tra il Pd e i Cinque Stelle. I renziani si astengono insieme a Leu. - Laura Tecce

 GIUSEPPE BRESCIA

Il primo sì alla riforma della legge elettorale, conditio sine qua non posta dai vertici Pd in direzione nazionale lunedì scorso per dare la propria benedizione al taglio dei parlamentari, è arrivato ieri dalla Camera. La commissione Affari costituzionali, nonostante i tentativi di ostruzionismo da parte del centrodestra e l’astensione di Italia Viva, ha adottato il testo base – il cosiddetto Brescellum, dal nome del deputato pentastellato Giuseppe Bescia (nella foto) -, un proporzionale con soglia di sbarramento al 5% e diritto di tribuna per i piccoli partiti.

I voti favorevoli sono arrivati dai due principali partiti di maggioranza, il M5s e il Pd: “Quando ero capogruppo M5S alla Camera avevamo raggiunto l’intesa sul taglio dei parlamentari, ma anche sulla legge elettorale. Bene, la nostra promessa è stata mantenuta, noi del Movimento siamo persone responsabili e non veniamo meno alla parola data”, ha commentato il deputato questore della Camera Francesco D’Uva, mentre il segretario dem Nicola Zingaretti ha sottolineato come si sia passati in un mese “dal nulla all’adozione del testo base”.

In ogni caso il cammino non è privo di ostacoli, dopo la pausa per il referendum ci sarà un ufficio di presidenza per stabilire il termine per la presentazione degli emendamenti e, nonostante l’approdo in Aula a Montecitorio sia calendarizzato il 28 settembre, è lo stesso presidente della commissione Brescia a vedere la strada in salita: “Sarà molto difficile – ammette – probabilmente ci sarà un rinvio proprio per andare incontro alle richieste delle opposizioni”. Le quali hanno tentato fino all’ultimo di far slittare il voto sul testo base, chiedendo approfondimenti tecnici al governo. Approfondimenti che, ha garantito lo stesso Brescia, saranno svolti nelle prossime sedute, prima di avviare l’esame della riforma nel merito.

Ma la protesta del centrodestra è proseguita, con attimi di tensione e la scelta di Forza Italia, Lega e FdI di abbandonare i lavori della commissione al momento del voto: “Non saremo complici di questo scempio”, ha detto l’azzurro Francesco Paolo Sisto. Il centrodestra compatto è pronto dunque a dare battaglia in Aula, forte anche delle divisioni in seno alla maggioranza, con i renziani che rilanciano sul maggioritario, insistono per ottenere l’inserimento della sfiducia costruttiva, l’eliminazione del bicameralismo paritario e per un maggior coinvolgimento delle opposizioni.

Su quest’ultimo punto, peraltro, da segnalare anche la posizione del ministro e capodelegazione Pd al governo Dario Franceschini, che ha avanzato l’idea, dopo il referendum, di dar vita a un patto sulle riforme con le opposizioni. Intanto, dal voto in commissione ieri si sono astenuti anche gli esponenti di Liberi e Uguali, da sempre contrari alla soglia di sbarramento al 5% che “non consentirebbe la rappresentanza di 1,5/1,6 milioni di elettori”. E c’è anche l’aspetto, non secondario, delle liste: saranno corte, lunghe, bloccate o si reintrodurranno le preferenze, come chiede il M5s? Insomma, i nodi da sciogliere ci sono e in ogni caso il percorso della riforma elettorale sarà inevitabilmente condizionato dall’esito delle imminenti elezioni regionali e del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Due appuntamenti con le urne che potrebbero modificare gli equilibri interni alla maggioranza giallorossa.

https://www.lanotiziagiornale.it/primo-ok-al-proporzionale-ce-il-testo-base-della-legge-elettorale-regge-il-patto-tra-il-pd-e-i-cinque-stelle/

domenica 6 settembre 2020

Preferiti o preferenze. - Marco Travaglio



Quel che ha detto ieri il premier Conte alla festa del Fatto, rispondendo a Padellaro e Gomez, sulla legge elettorale con la preferenza e senza più liste bloccate piacerà ai 5Stelle, a LeU, alla maggioranza del Pd e in parte anche alla Meloni: cioè a chi è contrario ai parlamentari nominati dai capi. Non piacerà invece a chi approvò le tre leggi elettorali-vergogna che istituivano le liste bloccate: il Porcellum del centrodestra (2005, poi raso al suolo dalla Consulta), l’Italicum dell’Innominabile e di B. (2014, anch’esso bocciato perché incostituzionale) e il Rosatellum del Pd renziano, votato anche da FI e dalla Lega salviniana (2017, con i soli voti contrari di 5Stelle e FdI). Se la nuova legge elettorale “Germanicum”, oltre a un impianto proporzionale e a uno sbarramento, prevedrà la preferenza unica, non sarà la migliore del mondo, perché il doppio turno francese è meglio; ma almeno potremo dire di avere riconquistato il diritto di scelta. Non è poco, dopo 15 anni di digiuno. Ed è paradossale che i cultori della “rappresentanza” democratica sprechino tempo, voce, inchiostro ed energie a strillare contro il taglio dei parlamentari (che non c’entra nulla), anziché concentrarli su un obiettivo ben più cruciale: far sì che i deputati e i senatori, 945 o 600 che siano, vengano eletti da tutti e non più nominati da pochi.
Questo è il cuore della “rappresentanza”: più elettori rappresenta, più il rappresentante sarà responsabile e autonomo. Come diceva ieri Conte, “coloro che saranno eletti con le nuove regole potranno sentire ancora di più il peso della rappresentanza e quindi quella disciplina e quell’onore” prescritti dall’art. 54 della Costituzione. Molti – come Sabrina Ferilli, anche lei alla nostra festa – puntano “più sulla qualità che sulla quantità”. Giusto. Ma un’assemblea pletorica di quasi mille parlamentari consente a molti (circa un terzo, secondo i calcoli di Boeri e Perotti) di confondersi nella massa per disertare impunemente le sedute o scaldare gli scranni senza fare proposte: una zavorra che scredita tutta l’istituzione. La qualità dei nostri rappresentanti migliorerà già con la loro riduzione e soprattutto con una legge elettorale che ne faccia davvero i rappresentanti nostri e non dei loro padroni. Ma – l’ha spiegato ieri Lorenza Carlassare sul Fatto – solo la vittoria del Sì costringerà il Parlamento a buttare a mare il Rosatellum e le sue liste bloccate. Se vincesse il No e i parlamentari restassero 945, senza l’obbligo di ridisegnare i collegi, i partiti non avrebbero né l’obbligo né l’interesse di cambiare sistema. E si terrebbero quello attuale, che consegna ai loro boss il potere unico al mondo di scegliersi i parlamentari preferiti: i meno capaci e i più servili.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/06/preferiti-o-preferenze/5922037/

giovedì 6 agosto 2020

Referendum e proporzionale: rischio sconfitta doppia per il Pd. - Wa. Ma.

Referendum e proporzionale: rischio sconfitta doppia per il Pd

Il Pd si appresta a un’estate da equilibristi, con sconfitta incorporata: un “ni” al Referendum costituzionale che taglia i parlamentari nel nome della mancata riforma della legge elettorale e una battaglia per un accordo su un proporzionale, che è praticamente impossibile blindare prima del 20 settembre.
Astenersi sul testo base del proporzionale per permettere di iniziare a lavorare: è la proposta che gli sherpa del Pd stanno portando a Matteo Renzi. Lui prende tempo e si crogiola nel ruolo di ago della bilancia (con uno sguardo a Berlusconi che può contenderglielo). L’obiettivo è ottenere che la soglia passi dal 5% al 3%. Potrebbe spuntarla. Ma comunque, è tutto rimandato a dopo la pausa estiva. Nel frattempo, il Pd comincia ad accarezzare l’idea di boicottare il referendum. Se al Nazareno parlano di libertà di coscienza, in molti cominciano a mobilitarsi per il no. Hanno iniziato i senatori Tommaso Nannicini e Gianni Pittella. Ma il fronte si allarga. Si sono espressi per il no Matteo Orfini e Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, esponente di Base Riformista. Sono in arrivo alla causa una serie di intellettuali. Molti dem nel segreto dell’urna diranno no. Posizione pericolosa: rischiano di accusare una sconfitta, senza aver neanche combattuto la battaglia. Mentre dentro il partito c’è chi considera le barricate sul proporzionale il segno evidente che il Pd, nato nel segno della vocazione maggioritaria, ha abdicato al suo ruolo.

sabato 10 febbraio 2018

Salvate il soldato Rosato. Editoriale di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano 10 febbraio 2018



Lo dicevo che prima o poi, per Ettore Rosato, ci sarebbe voluta la scorta. Non per difenderlo dai terroristi, ma dai pidini. Più le elezioni si avvicinano, più il pericolo del fuoco, anzi del linciaggio amico, si fa probabile. 
Tutti ricordano come e perché nacque il Rosatellum: siccome i 5Stelle sono sempre primi nei sondaggi e il Pd e Forza Italia sono secondo e terzo, bisognava trovare il modo di far perdere i primi e far vincere i secondi e i terzi. 
Non esistendo al mondo, nemmeno nell’Africa nera, un sistema elettorale che arrivasse a tanto, i cervelloni renzusconiani si spaccavano la testa alla ricerca di un’ideona originale.

Mettere fuorilegge il M5S? Troppo forte, poi la gente se ne accorge. 
Assegnare l’incarico per il nuovo governo in base all’ordine alfabetico, ignorando i voti? B. è perfetto, ma Renzi no perché la R viene dopo la Di di Di Maio. 
Andare in ordine di anzianità? Gli 81 anni di B. sommati ai 43 di Renzi fanno 124, esattamente il quadruplo dei 31 di Di Maio, ma c’è il rischio che la Consulta bocci tutto. 

A quel punto saltò su Rosato con un’idea meravigliosa per la testa, meglio di quella di Cesare Ragazzi: una legge che sottrae i voti ai 5Stelle e li moltiplica a Pd e FI, grazie a finte coalizioni valevoli fino al 4 marzo, ma solubili e biodegradabili la sera stessa. 
Il pregiudicato prende i voti con Salvini e Meloni e li porta a Renzi. Renzi, a sua volta, prende i voti con la Bonacci (un mostriciattolo nato dall’unione fra Bonino e Tabacci), la Lorenzin e tale Santagata, e li porta al pregiudicato.
Tanto gli italiani – pensavano lorsignori in perfetta sintonia con Di Battista – sono rincoglioniti e ci cascano. Anzi, siccome la legge è fatta apposta per creare ingovernabilità, sondaggisti e politologi lanceranno l’allarme ingovernabilità, come se non fosse un effetto studiato, ma un accidente causato dalle condizioni climatiche sfavorevoli. E si potrà ricattare la gente col solito “voto utile”, che però stavolta non deve andare al partito maggiore (chiamato M5S). 
Intanto si riabilita il pregiudicato ineleggibile e incandidabile come “argine” e “baluardo” contro il “populismo antieuropeo” (essendo il più grande populista antieuropeo dell’orbe terracqueo). 
Gli si fa scrivere sulla scheda “Forza Italia Berlusconi Presidente” (come “acqua asciutta”, “zucchero salato”, “vegetariano carnivoro”). Si tace sulle sue corruzioni, frodi fiscali, regali alla mafia, conflitti d’interessi e si spera che gli elettori si bevano pure questo. Il Pd, in un eccesso di generosità, candida nei collegi una ventina di ex berlusconiani travestiti da seguaci della Lorenzin, coi petali di peonia in testa.

Già, perché B. è in overbooking e non può farli eleggere tutti. Quel volpone di Renzi invece sì, al posto della sinistra Pd, rasa al suolo per buttar via un altro po’ di voti.
Poi purtroppo Frankenstein sfugge al controllo dei suoi creatori. I sondaggi danno il finto centrodestra sempre più vicino al 40%, soglia di autosufficienza, il finto centrosinistra sempre più prossimo al 25 e dunque il Renzusconi sempre più impossibile. Tant’è che B. inizia a domandarsi se non sia meglio andare al governo con gli alleati della campagna elettorale, che hanno i voti, anziché con Renzi che non li ha. 
È l’eterogenesi dei fini, tipica delle leggi elettorali incostituzionali che: studiate per fregare l’avversario, finiscono per fottere l’autore. Era accaduto nel 2006 col Porcellum: B. lo impose per far perdere Prodi, invece lo fece vincere grazie agl’italiani all’estero (col vecchio Mattarellum avrebbe rivinto B.). E riaccade ora col Rosatellum. È vero, al centrodestra potrebbe mancare una ventina di seggi. Ma, come nota Diego Pretini sul nostro sito, a riempire quel vuoto in nome della governabilità potrebbero essere proprio i 20 ex berlusconiani, cuffariani e lombardiani (nel senso di Raffaele) candidati da Renzi
Gente a cui basta un fischio, ma soprattutto una poltrona sfusa, per sentire il richiamo della foresta, scattare sull’attenti e votare qualunque governo pur di conservare il seggio, l’immunità e il vitalizio.
Ed eccoli, i potenziali “responsabili”, come lui chiama chi passa dal centrosinistra al centrodestra (da non confondere con i ladri di voti, traditori, voltagabbana e ribaltonisti che fanno il percorso inverso) Beatrice Lorenzin, Pierferdy Casini, Sergio Pizzolante (tre volte deputato Pdl), i ciellini Gabriele Toccafondi, Angelo Capelli e Paolo Alli (già braccio destro di Formigoni), Maurizio Bernardo (forzista dal ’94), Nico D’Ascola (socio di Ghedini), Guido Viceconte (ex eurodeputato FI e sottosegretario in due governi B.), Gioacchino Alfano (tre volte parlamentare Pdl), Federica Chiavaroli (ex Pdl), Giuseppe De Mita (ex Udc), Giacomo Mancini jr. (primo dei non eletti FdI in Regione Calabria); Paolo Ruggirello (già luogotenente del governatore siciliano Lombardo), Nicola D’Agostino (ex capogruppo regionale del partito di Lombardo), Valeria Sudano (ex deputata regionale col forzista Saverio Romano), Salvo Lo Giudice (già eletto con la lista Musumeci), Giuseppe Sodano (figlio dell’ex sindaco di Agrigento e senatore di destra), Leopoldo Piampiano (ex Pdl), Luca Sammartino (ex Udc), Franco Manniello (ex Udc), Francesco Spina (ex FI e Udc), Benedetto Della Vedova (ex FI), Valentina Castaldini (ex Ncd), Cosimo Ferri (ex pm, sottosegretario con Letta in quota FI e lì rimasto con Renzi e Gentiloni fino alla candidatura nel Pd).
Molti nel 2011 votarono festosi la leggendaria mozione “Ruby nipote di Mubarak”. Quindi hanno uno stomaco abbastanza forte per digerire di tutto. Anche un governo B.-Salvini. Nel caso, ragazzi, ricordatevi dell’amico Rosato e dei pericoli che corre. E fatelo ministro, ad honorem.

giovedì 26 ottobre 2017

Rosatellum bis, come funziona le legge elettorale dei nominati.

Rosatellum bis, come funziona le legge elettorale dei nominati

Secondo il nuovo sistema di voto, approvato in via definitiva da Palazzo Madama, 231 seggi alla Camera e 116 seggi al Senato saranno assegnati attraverso collegi uninominali con formula maggioritaria, in cui vince il candidato più votato. I restanti invece saranno distribuiti con metodo proporzionale.

Il “Rosatellum bis”, approvato a Camera e Senato con la fiducia, prevede un sistema elettorale misto, in cui la distribuzione dei seggi è per il 36% maggioritaria e per il 64% proporzionale. Con la legge elettorale dei nominati si prevedono in particolare, 231 seggi alla Camera e 116 seggi al Senato assegnati attraverso collegi uninominali con formula maggioritaria, in cui vince il candidato più votato. L’assegnazione dei restanti seggi, invece, avviene con metodo proporzionale, nell’ambito di collegi plurinominali. In questo caso sono previsti dei listini molto corti, con un minimo di due e un massimo di quattro candidati.
UN’UNICA SCHEDA, NO AL VOTO DISGIUNTO – Il voto è unico e non è prevista la possibilità del voto disgiunto. La nuova scheda elettorale reca il nome del candidato nel collegio uninominale ed il contrassegno della lista o delle liste collegate, corredate dei nomi dei candidati nel collegio plurinominale. L’elettore vota il contrassegno della lista prescelta ed il voto è attribuito anche al candidato.

CHI VIENE ELETTO – Nei collegi uninominali il seggio è assegnato al candidato che consegue il maggior numero dei voti. Per i seggi da assegnare alle liste nei collegi plurinominali, il riparto avviene a livello nazionale, con metodo proporzionale, tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento. Il deputato eletto in più collegi plurinominali è proclamato nel collegio nel quale la lista cui appartiene ha ottenuto la minore percentuale di voti validi rispetto al totale dei voti validi del collegio. Il deputato eletto in un collegio uninominale e in uno o più collegi plurinominali si intende eletto nel collegio uninominale.
SBARRAMENTO – AL 3% PER LE LISTE E AL 10% PER LE COALIZIONI – I partiti possono presentarsi da soli o in coalizione. La coalizione è unica a livello nazionale. I partiti in coalizione presentano candidati unitari nei collegi uninominali. Lo sbarramento è al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. Per le coalizioni non vengono comunque computati i voti dei partiti che non hanno superato la soglia dell’1 per cento.

PLURICANDIDATURE E SOGLIE DI GENERE – Nei collegi plurinominali sono possibili un massimo di cinque pluricandidature. Il Rosatellum bis poi prevede specifiche disposizioni per garantire la rappresentanza di genere. “Nei collegi uninominali – si legge nel testo – nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60%”. Il rapporto è valido anche per i collegi plurinominali, nei quali si prevede che la quota massima 60-40 venga rispettata a livello regionale.
TAGLIANDO ED ISTRUZIONI – E’ previsto anche un ‘tagliando antifrode’ per le schede elettorali, che saranno fornite di tagliando rimovibile con un numero progressivo, che sarà annotato prima che l’elettore entrerà nella cabina per votare. In questo modo si potrà evitare lo scambio con frode di schede prestampate. Sulla scheda elettorale ci saranno anche istruzioni per informare gli elettori su come verrà distribuito il loro voto.

DELEGA AL GOVERNO PER DISEGNARE I COLLEGI – Il testo reca una delega al Governo, da esercitare entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, per la determinazione dei collegi uninominali e dei collegi plurinominali della Camera e del Senato, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
RACCOLTA DELLE FIRME – I partiti o le nuove formazioni che non sono in Parlamento o non hanno un proprio gruppo per candidarsi dovranno raccogliere, per le prossime elezioni, 750 firme. A partire dal prossimo turno elettorale il numero verrà raddoppiato. Sempre e solo per questa tornata, gli avvocati cassazionisti potranno autenticare le firme per le liste elettorali. Sono esentati dalla raccolta i partiti che si sono formati prima del 15 aprile 2017.
TRENTINO ALTO ADIGE – Il Rosatellum assume quanto votato dalla Camera a giugno con l’ok a scrutinio segreto all’emendamento Fraccaro-Biancofiore: saranno sei i collegi uninominali e cinque proporzionali.

POSSIBILE CANDIDARSI ALL’ESTERO PER CHI RISIEDE IN ITALIA – L’art. 5 prevede anche, dopo l’approvazione venerdì in commissione Affari costituzionali dell’emendamento a firma Lupi ribattezzato ‘salva Verdini’, che “gli elettori residenti in Italia possono essere candidati in una sola ripartizione della circoscrizione estero”.

sabato 14 ottobre 2017

Marco Travaglio - Freghiamoli così. FQ - 14/10/2017

Risultati immagini per rosatellum freghiamoli


Daniele Luttazzi, ai tempi di B., coniò un’immagine che rendeva bene l’idea: il “golpe al rallentatore”. Se alziamo lo sguardo e ripercorriamo la storia di quest’ultima legislatura, proprio questo vediamo: un golpe al rallentatore. Dove però B. non c’entra se non di straforo: i veri golpisti sono tutti targati Pd. 
Il Parlamento dei nominati con una maggioranza estrogenata da una legge elettorale poi dichiarata illegittima, che dunque è una minoranza, si è permesso di fare cose mai viste neppure ai tempi di B.: rieleggere il capo dello Stato per cacciare all’opposizione l’unica forza politica che ha vinto le elezioni (i 5Stelle) e mandare al governo chi le ha perse; 
riformare la legge elettorale a colpi di fiducia per iniziativa del governo (Italicum, incostituzionale anche quello); tentare di cambiare un terzo della Costituzione a botte di canguri e tagliole per strozzare il dibattito in Parlamento, addirittura rimpiazzando i senatori non allineati; 
comprare pezzi di centrodestra per annetterli al centrosinistra; ricattare chi non ci sta con la minaccia di non ricandidarlo; incoraggiare il trasformismo fino a 550 cambi di casacca (su 945 seggi parlamentari) in quattro anni e mezzo; 
e ora truccare un’altra volta le regole del voto a pochi mesi dalle urne per drogare gli scarsi consensi di chi aveva perso nel 2013 e si appresta a riperdere nel 2018 eliminando chi potrebbe rivincerle), ancora una volta a colpi di fiducia e con la complicità dei poteri di controllo: il Quirinale del silenzio-assenso, i giornaloni e le tv di regime, gran parte del mondo intellettuale, giuridico e artistico ieri sulle barricate, ora allineato e coperto.

Tutt’intorno, un’opinione pubblica per metà disinformata dalle balle del potere che non trovano mai smentita e per metà consapevole, ma troppo mitridatizzata o stremata o rassegnata dopo anni di vergogne ogni giorno più gravi per trovare la forza per reagire. Anche noi del Fatto, nati proprio per dare la sveglia e scrivere ciò che gli altri non dicono, ci domandiamo spesso che hanno fatto di male i lettori per sorbirsi ogni giorno un attentato al fegato e alle coronarie per effetto delle nostre cronache e delle nostre analisi delle cose come stanno. Poi naturalmente continuiamo, perché un giornale che non dice pane al pane e non racconta i fatti nudi e crudi non è un giornale. E perché ogni tanto le nostre battaglie partono in beata solitudine, ma poi col tempo coinvolgono milioni di persone e addirittura riescono a strappare una vittoria. Come nel referendum del 4 dicembre 2016. È da lì che dobbiamo ripartire, per capire che cosa accade e che cosa possiamo fare noi.

Il progetto dei golpisti al rallentatore è semplice, anche perché è sempre lo stesso: quello cacciato a furor di popolo dalla porta del referendum e ora rientrato dalla finestra del Rosatellum-Fascistellum. Un progetto di pseudo-democrazia verticale, centralizzata, oligarchica e dunque incostituzionale, dove pochissime persone – tutte controllabili dai poteri forti italiani e soprattutto internazionali – decidono il destino di tutti i cittadini ridotti a sudditi. Fallito il tentativo di ridurre il Parlamento a un’aula sorda e grigia alle dipendenze del premier-padrone (come previsto dall’incrocio mostruoso della controriforma Boschi e dell’Italicum), ci riprovano con la nuova legge elettorale, anzi anti-elettorale: il giorno delle elezioni tutti i giochi saranno già fatti, quasi tutti i parlamentari saranno già stati decisi da tre o quattro capi-partito che nomineranno tutti quelli della quota proporzionale (due terzi) e anche di quella maggioritaria (l’altro terzo), col divieto del voto disgiunto e il via libera alle finte coalizioni a geometria variabile da collegio a collegio. Così il prossimo Parlamento sarà ancor più servo di questo, senza più nemmeno l’esigenza di comprare voltagabbana (a parte qualche leghista, qualche fratello d’Italia e qualche grillino in libera uscita). E quando la Consulta, come per il Porcellum e l’Italicum, ci comunicherà ciò che sappiamo fin da oggi, e cioè che pure il Rosatellum è incostituzionale, lorsignori faranno spallucce: invocando il principio di continuità, seguiteranno a comandare con una maggioranza truccata per tutta la legislatura. E così via, all’infinito.

Intanto lo stesso modello vertical-oligarchico darà i suoi frutti in tutti quelli che nelle vere democrazie si chiamano “contrappesi” (check and balance). Nella magistratura, una circolare del Csm si appresta a centralizzare vieppiù le Procure nelle mani del capo, selezionato da un Csm ipercontrollato dai partiti e dalle loro proiezioni correntizie, con poteri di vita e di morte sui singoli pm, un tempo esclusivi e intangibili titolari dell’azione penale e ora ridotti a passacarte e camerieri di un procuratore onnipotente (che, se poi fa il bravo, viene premiato con incarichi ministeriali e persino con proroghe ad personam dell’età pensionabile). Nell’informazione che conta, il modello è lo stesso: i giornaloni, a parte qualche trascurabile sfumatura, sono tutti governativi; la Rai non è più nemmeno lottizzata, ma controllata dal partito unico di governo sotto la dittatura di un dg-ad che fa il bello e il cattivo tempo anche sul segnale orario; su Mediaset, inutile sprecare fiato; e il web sarà sempre screditato come sentina di fake news e magari imbavagliato da “regole” di bon ton a immagine e somiglianza del sistema.

Prima di spararci un colpo alla nuca, dobbiamo sapere che questo quadro terrificante non è scontato. Dipende da noi, se faremo finalmente buon uso della scheda elettorale: alle Regionali siciliane e alle Politiche. Come? Votando per quelli che hanno votato no l’altro ieri alla Camera. Il Fascistellum almeno un merito ce l’ha: dirci per chi non dobbiamo votare mai più.

http://direttanfo.blogspot.it/2017/10/marco-travaglio-non-ha-dubbilegge.html?m=1

giovedì 21 settembre 2017

La partita doppia di Renzi: passare il «cerino» e arginare i 5 Stelle.


C’è chi racconta che questo nuovo tentativo sulla riforma elettorale – nato un po’ a sorpresa due giorni fa – sia partito dopo aver sentito il clima che si respirava al Quirinale. E cioè una forte preoccupazione di dover sciogliere le Camere mandando gli italiani alle urne con due leggi disomogenee e soprattutto con quella per il Senato fortemente lacunosa e quindi fortemente esposta al rischio di nuovi ricorsi anche nella prossima legislatura. Insomma, un caos e non solo perché l’attuale Consultellum ha come scenario più probabile quello dell’ingovernabilità politica ma in un certo senso pure tecnica, che investirebbe ancora la Corte Costituzionale. 

E quando in Transatlantico si è sparsa la voce che al Colle circolava perfino l’ipotesi di un decreto o di attendere fino all’ultimo giorno utile della scadenza della legislatura per indire elezioni a maggio (e non a marzo), è diventata più forte l’esigenza per il Pd di mettere sul tavolo un ennesimo tentativo – l’ultimo – per aprire la strada alle urne il prima possibile.

Retroscena politici, appunto, che non suscitano commenti dal Quirinale dove invece si guarda a questa ennesima prova con grande attenzione e pure con un po’ di speranza. Detto questo, domani è attesa la proposta del Pd che si profila come una “partita doppia” per Renzi e i suoi. 
Da un lato passare il cerino sulla legge elettorale alle altre forze politiche – a Forza Italia in primo luogo – dall’altro offrire a Silvio Berlusconi un “patto” su un sistema che punta ad arginare i 5 Stelle. 
L’effetto pratico di queste nuove regole è infatti piuttosto chiaro: quello di favorire i partiti in grado di fare alleanze (o desistenze) e svantaggiare chi – come i grillini – le escludono per “costituzione”. 
Non solo. 
La logica dei collegi maggioritari è anche quella di privilegiare chi ha un radicamento territoriale e può selezionare più facilmente le personalità politiche più forti in quella zona. E anche questo è un punto debole del Movimento che con fatica sta costruendo una propria base politica “fedele” ai requisiti imposti da Grillo e Casaleggio.

È vero che potrebbe non bastare. Che l’obiettivo di arginare l’onda grillina non sia così primario rispetto agli interessi di singoli partiti come Forza Italia che al suo interno ha una forte contrapposizione tra gli esponenti del Sud e quelli del Nord. E che le divergenti convenienze tra i berlusconiani potrebbero - poi - portare ad affossare la legge, pur con un via libera dall’alto. Se sulla carta ci sono tra gli 80 e i 90 voti di scarto, si sa che nell’Aula di Montecitorio con i voti segreti tutto può saltare. Del resto, è saltato perfino quel patto sul simil-tedesco che avevano stretto ben quattro partiti principali – Pd, Forza Italia, Lega e 5 Stelle – figurarsi ora che il Movimento è fuori.
Dunque, questa ennesima prova nasce con moltissimi “se” ed è ancora appesa al via libera formale di Berlusconi e del centrodestra che dovrà ufficializzare la propria posizione in Commissione Affari Costituzionali della Camera domani. Però, dal punto di vista di Renzi ha un pregio. Che è quello di togliergli di dosso l’accusa di non voler fare nulla. E di voler andare al voto con un sistema elettorale contraddittorio e disomogeneo solo perché lui vuole mantenere un “comando” sul partito per via delle liste bloccate. Con questo tentativo last minute, invece, può scaricare su altri la responsabilità di consegnare la prossima legislatura a un prevedibile caos.