C’è chi racconta che questo nuovo tentativo sulla riforma elettorale – nato un po’ a sorpresa due giorni fa – sia partito dopo aver sentito il clima che si respirava al Quirinale. E cioè una forte preoccupazione di dover sciogliere le Camere mandando gli italiani alle urne con due leggi disomogenee e soprattutto con quella per il Senato fortemente lacunosa e quindi fortemente esposta al rischio di nuovi ricorsi anche nella prossima legislatura. Insomma, un caos e non solo perché l’attuale Consultellum ha come scenario più probabile quello dell’ingovernabilità politica ma in un certo senso pure tecnica, che investirebbe ancora la Corte Costituzionale.
E quando in Transatlantico si è sparsa la voce che al Colle circolava perfino l’ipotesi di un decreto o di attendere fino all’ultimo giorno utile della scadenza della legislatura per indire elezioni a maggio (e non a marzo), è diventata più forte l’esigenza per il Pd di mettere sul tavolo un ennesimo tentativo – l’ultimo – per aprire la strada alle urne il prima possibile.
Retroscena politici, appunto, che non suscitano commenti dal Quirinale dove invece si guarda a questa ennesima prova con grande attenzione e pure con un po’ di speranza. Detto questo, domani è attesa la proposta del Pd che si profila come una “partita doppia” per Renzi e i suoi.
Da un lato passare il cerino sulla legge elettorale alle altre forze politiche – a Forza Italia in primo luogo – dall’altro offrire a Silvio Berlusconi un “patto” su un sistema che punta ad arginare i 5 Stelle.
L’effetto pratico di queste nuove regole è infatti piuttosto chiaro: quello di favorire i partiti in grado di fare alleanze (o desistenze) e svantaggiare chi – come i grillini – le escludono per “costituzione”.
Non solo.
La logica dei collegi maggioritari è anche quella di privilegiare chi ha un radicamento territoriale e può selezionare più facilmente le personalità politiche più forti in quella zona. E anche questo è un punto debole del Movimento che con fatica sta costruendo una propria base politica “fedele” ai requisiti imposti da Grillo e Casaleggio.
È vero che potrebbe non bastare. Che l’obiettivo di arginare l’onda grillina non sia così primario rispetto agli interessi di singoli partiti come Forza Italia che al suo interno ha una forte contrapposizione tra gli esponenti del Sud e quelli del Nord. E che le divergenti convenienze tra i berlusconiani potrebbero - poi - portare ad affossare la legge, pur con un via libera dall’alto. Se sulla carta ci sono tra gli 80 e i 90 voti di scarto, si sa che nell’Aula di Montecitorio con i voti segreti tutto può saltare. Del resto, è saltato perfino quel patto sul simil-tedesco che avevano stretto ben quattro partiti principali – Pd, Forza Italia, Lega e 5 Stelle – figurarsi ora che il Movimento è fuori.
Dunque, questa ennesima prova nasce con moltissimi “se” ed è ancora appesa al via libera formale di Berlusconi e del centrodestra che dovrà ufficializzare la propria posizione in Commissione Affari Costituzionali della Camera domani. Però, dal punto di vista di Renzi ha un pregio. Che è quello di togliergli di dosso l’accusa di non voler fare nulla. E di voler andare al voto con un sistema elettorale contraddittorio e disomogeneo solo perché lui vuole mantenere un “comando” sul partito per via delle liste bloccate. Con questo tentativo last minute, invece, può scaricare su altri la responsabilità di consegnare la prossima legislatura a un prevedibile caos.
Da un lato passare il cerino sulla legge elettorale alle altre forze politiche – a Forza Italia in primo luogo – dall’altro offrire a Silvio Berlusconi un “patto” su un sistema che punta ad arginare i 5 Stelle.
L’effetto pratico di queste nuove regole è infatti piuttosto chiaro: quello di favorire i partiti in grado di fare alleanze (o desistenze) e svantaggiare chi – come i grillini – le escludono per “costituzione”.
Non solo.
La logica dei collegi maggioritari è anche quella di privilegiare chi ha un radicamento territoriale e può selezionare più facilmente le personalità politiche più forti in quella zona. E anche questo è un punto debole del Movimento che con fatica sta costruendo una propria base politica “fedele” ai requisiti imposti da Grillo e Casaleggio.
È vero che potrebbe non bastare. Che l’obiettivo di arginare l’onda grillina non sia così primario rispetto agli interessi di singoli partiti come Forza Italia che al suo interno ha una forte contrapposizione tra gli esponenti del Sud e quelli del Nord. E che le divergenti convenienze tra i berlusconiani potrebbero - poi - portare ad affossare la legge, pur con un via libera dall’alto. Se sulla carta ci sono tra gli 80 e i 90 voti di scarto, si sa che nell’Aula di Montecitorio con i voti segreti tutto può saltare. Del resto, è saltato perfino quel patto sul simil-tedesco che avevano stretto ben quattro partiti principali – Pd, Forza Italia, Lega e 5 Stelle – figurarsi ora che il Movimento è fuori.
Dunque, questa ennesima prova nasce con moltissimi “se” ed è ancora appesa al via libera formale di Berlusconi e del centrodestra che dovrà ufficializzare la propria posizione in Commissione Affari Costituzionali della Camera domani. Però, dal punto di vista di Renzi ha un pregio. Che è quello di togliergli di dosso l’accusa di non voler fare nulla. E di voler andare al voto con un sistema elettorale contraddittorio e disomogeneo solo perché lui vuole mantenere un “comando” sul partito per via delle liste bloccate. Con questo tentativo last minute, invece, può scaricare su altri la responsabilità di consegnare la prossima legislatura a un prevedibile caos.
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