C'è da precisare, inoltre, che sono pagati profumatamente da noi per amministrarci, non per bullizzarci...
c.
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
C'è da precisare, inoltre, che sono pagati profumatamente da noi per amministrarci, non per bullizzarci...
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Tutti d’accordo e pronti a votare in aula Giulio Cesare la delibera che permetterà ai consiglieri comunali di Roma di arrivare anche a raddoppiarsi lo stipendio. Appuntamento all’inizio della prossima settimana, forse martedì, per auto-moltiplicarsi l’indennità che passerà da massimo 1.800 euro a circa 3.500. Stop solo per gli assenteisti. È quanto prevede una proposta di delibera, discussa in mattinata, sulla quale i consiglieri sono tutti d’accordo. Il testo chiede di “prevedere che per i consiglieri capitolini si possa equamente commisurare una indennità di funzione al 45% dell’indennità del Sindaco che sarà a carico di Roma Capitale”. Dal Campidoglio spiegano che si tratta di un adeguamento a un decreto legislativo del 2010, approvato quando ci fu la prima legge su Roma Capitale varata dal governo Berlusconi quando il sindaco della città era Gianni Alemanno. In questa maniera – previo un successivo decreto del Ministero dell’Interno – lo stipendio lieviterà fino a 3.200 netti. L’unica condizione per percepire l’indennità piena sarà quella di garantire “un numero di presenze mensile minimo pari a venti, tra sedute di Assemblea Capitolina e Commissioni Consiliari” e “non meno del 60% delle sedute dell’Assemblea Capitolina”. I soldi? Direttamente dal bilancio del Campidoglio. Così i 48 consiglieri, i cui stipendi erano già stati adeguati negli scorsi mesi, arriveranno a percepire circa 5.175 euro lordi al mese nell’anno in corso e fino a 6.120 euro lordi l’anno prossimo.
Un atto che per la maggioranza risulta più che importante e oggi la presidente della commissione, la consigliera Pd Giulia Tempesta, ha sottolineato: “La nostra mole di lavoro non è indifferente. Nessuno ci ha puntato la pistola alla tempia ma per rispondere ai nostri ruoli abbiamo bisogno di giornate di 48 ore e per svolgere a pieno il ruolo che ci hanno dato i cittadini”. Il consigliere di Roma Futura Giovanni Caudo ha aggiunto: “L’aumento è anche poco”.
Gli aumenti li ha finanziati il governo stesso, ma dividendoli in tre step da spalmare su tre anni. A meno che i fondi non li metta l'amministrazione stessa. Così la giunta si è riunita il 31 dicembre per deliberare sulla norma nazionale approvata il giorno prima. Il consigliere M5s Tromboni ha presentato una diffida: "L'intervento andava approvato in consiglio". Il collega 5 stelle in Regione De Rosa: "Dimostrano così quali sono le loro priorità".
Si sono aumentati lo stipendio usando i soldi del Comune, per poter avere subito la cifra che il governo avrebbe coperto solo in tre step nel corso di un triennio. A Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia alle porte di Milano passata 5 anni fa al centrodestra, il sindaco Roberto Di Stefano e i suoi assessori si sono riuniti a mezzogiorno e mezzo del 31 dicembre per fare la delibera. E nella fretta hanno pure sbagliato a citare articoli e commi della legge di bilancio che la Camera aveva definitivamente approvato nemmeno 24 ore prima, consentendo al primo cittadino di intascare 2mila euro lordi in più al mese per i prossimi sei mesi, cioè fino alle nuove elezioni amministrative. E ad assessori e presidente del consiglio comunale quasi 1.300 in più. Poi tutti a festeggiare con spumante e panettone: anno nuovo, busta paga nuova.
La norma l’ha voluta il governo Draghi per riparametrare gli emolumenti degli amministratori locali rapportandoli a quelli dei presidenti di Regione. In modo che il sindaco di una città metropolitana arrivi a guadagnare come un governatore, mentre arrivi al 45% di quella cifra il sindaco di una città della taglia di Sesto, con 80mila abitanti. Gli aumenti li ha finanziati il governo stesso, ma dividendoli in tre fasi: una prima parte nelle buste paga del 2022 (il 45% dell’aumento totale), una seconda nel 2023 (un altro 23%) e l’ultima, il restante 32%, nel 2024. Per l’aumento complessivo, insomma, bisogna aspettare tre anni, a meno che i soldi non ce li metta il comune stesso. E a Sesto San Giovanni hanno voluto tutto subito, a spese dei cittadini sestesi per quanto non coperto dal governo.
Così il sindaco, anziché accontentarsi di passare da 4.130 euro lordi al mese a 4.840, ha voluto tutti i 6.210 euro mensili già da gennaio. E a ruota i sette assessori e il presidente del consiglio, passati da 2.480 lordi a 3.726, anziché a 2.903. Questo hanno stabilito le due determine dirigenziali approvate a metà gennaio per tradurre in soldoni la delibera di giunta che aveva per oggetto l’ “adeguamento” alla legge di bilancio. Quasi come se il “tutto subito” l’avesse deciso l’esecutivo e non la giunta. Cosa che peraltro il sindaco Di Stefano, a lungo legato sentimentalmente alla leghista Silvia Sardone e passato anche lui due anni fa da Forza Italia a Carroccio, sostiene al telefono: “È una cosa tecnica che han fatto gli uffici sulla base delle disponibilità di bilancio. Se cerca la polemica, non l’avrà. Se la prenda col governo”, taglia corto prima di sbattere giù la cornetta. Alcune domande sono però d’obbligo, mandiamole via whatsapp. Come mai vi siete auto assegnati l’intero aumento sin da subito? La delibera contiene rimandi sbagliati alle norme: perché è stato necessario approvarla in tutta fretta l’ultimo dell’anno? Silenzio.
Di domande se ne potrebbero fare anche altre. C’è infatti chi come il consigliere comunale del M5s Daniele Tromboni ritiene che la procedura seguita per approvare gli aumenti non sia lecita. La legge di bilancio dice infatti che se l’intero aumento viene corrisposto nel 2022, ciò deve avvenire “nel rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio” del comune. Cosa su cui né la delibera né le successive determine dirigenziali entrano nel merito. Per questo Tromboni ha scritto una diffida a sindaco e assessori invitandoli a revocare la loro decisione. L’aumento di stipendio – si legge nel documento – richiede gli “ordinari passaggi amministrativi”, come l’espressione di “un indirizzo in tal senso nel Documento unico di programma 2022-2024, da integrare mediante una delibera consiliare (in quanto documento già approvato)”. Una interpretazione analoga a quella data dall’Anci (Associazione nazionale comuni italiani). In sostanza, secondo Tromboni, visto che in parte non è coperto dal governo, l’aumento avrebbe dovuto essere approvato dal consiglio comunale e non dalla giunta, che per di più si trovava in una posizione di conflitto di interessi. E il rispetto dell’equilibrio di bilancio dovrebbe essere verificato dai revisori dei conti, mai interpellati a riguardo.
Per non parlare dell’opportunità politica di una tale decisione: “Il Comune è uscito da poco dalla procedura di riequilibrio finanziario monitorata dalla Corte dei Conti, che ai cittadini è costata anni di tassazione al massimo e tagli ai servizi e al personale dell’ente. Non possiamo accettare che ora la giunta decida di spendere i soldi del nostro comune per alzarsi gli stipendi negli ultimi sei mesi di mandato. Se proprio avanzano dei soldi, pretendiamo che vengano usati per dare un po’ di sollievo ai cittadini sestesi”. Magari a quelle centinaia di famiglie che sono sotto sfratto, come ricorda il consigliere regionale M5s Massimo De Rosa: “Se avessero messo lo stesso impegno e la stessa velocità nel cercare di risolvere i problemi della città e gli sfratti delle persone in difficoltà, avrebbero almeno fatto un servizio ai loro cittadini. Ma così hanno invece dimostrato quali sono le loro priorità e a che gradino di importanza mettono famiglie e indigenti rispetto ai loro interessi”.
Per farsi un'idea delle storture basta un giro sui portali dedicati. Full time a 500 euro al mese e condizioni al limite della legalità non sono un'eccezione. E quando si chiedono chiarimenti sulle offerte fuorilegge le aziende parlano di errori durante la pubblicazione dell'annuncio. Un quadro che aiuta a mettere nella giusta prospettiva il dibattito sul salario minimo e gli strali di ristoratori o imprenditori che raccontano di non trovare dipendenti “perché i giovani non hanno voglia di lavorare” o "per colpa del reddito di cittadinanza".
“Si tratta di un refuso: non serve esperienza pregressa”. “È stata una svista, lo modificheremo”. Sono le risposte fotocopia arrivate a ilfattoquotidiano.it da datori di lavoro che attraverso annunci online cercavano “tirocinanti” ma con uno o più anni di esperienza. Ovvero lavoratori a tutti gli effetti che queste società volevano però inquadrare con il contratto di tirocinio, che per legge è un periodo di formazione e prevede compensi molto bassi. E’ solo un esempio delle storture di un mercato in cui offerte di lavoro full time a 500 euro al mese e condizioni al limite della legalità non sono un’eccezione. Per farsi un’idea della situazione basta un giro tra gli annunci pubblicati sui portali dedicati. Il risultato aiuta a mettere nella giusta prospettiva sia il dibattito sulla necessità di fissare per legge un salario minimo sia gli strali di ristoratori o imprenditori che (smentiti dai numeri, ma molto ascoltati da alcuni partiti) raccontano di non trovare dipendenti “perché i giovani non hanno voglia di lavorare” o “per colpa del reddito di cittadinanza“.
L’agenzia per il lavoro Gesfor, con sede a Salerno, cercava attraverso Indeed un manutentore che avesse almeno un anno di esperienza alle spalle per un’azienda operante nel settore della produzione e commercializzazione di prodotti dolciari, offrendo un tirocinio. Contattata, si è difesa sostenendo che l’annuncio fosse stato pubblicato per errore e che su LinkedIn si poteva trovare il testo corretto. In realtà, anche su LinkedIn la richiesta era identica. E’ stata cancellata e sostituita da altre – senza la richiesta di esperienza pregressa – solo dopo la segnalazione de ilfattoquotidiano.it. Idem con l’associazione Consaf di Torino, che era alla ricerca di un barista con pregressa esperienza per un tirocinio full time dal lunedì al sabato in orario pomeridiano e serale. Anche in questo caso, contattata telefonicamente, l’agenzia formativa ha dichiarato di aver pubblicato l’annuncio per sbaglio, promettendo che avrebbe provveduto a modificare il testo dell’offerta.
Cambiando settore, i problemi restano gli stessi. Dealflower è una testata giornalistica di Milano nata lo scorso giugno che da mesi cerca attraverso LinkedIn uno stagista con almeno due anni di esperienza per un tirocinio formativo in redazione. “Essendo appena nati non abbiamo le risorse per aggiungere un’altra persona con alto livello di seniority e questo spiega l’offerta di stage”, spiega la direttrice Laura Morelli. Comunque l’esperienza “non è assolutamente obbligatoria” e “uno o due anni può significare molte cose, come una piccola o saltuaria collaborazione con qualsiasi realtà editoriale, la frequentazione di una scuola di giornalismo o di qualche stage nell’ambito del percorso di studi. Serve per trovare qualcuno che sa almeno riconoscere come è fatto un comunicato stampa e ha un minimo di infarinatura della professione”. Nessuna risposta è arrivata alle domande sul trattamento economico previsto.
Non sono solo le offerte di stage a presentare le peggiori storture. Nell’ambito della cura della persona, le vette sono spesso inarrivabili. A Nola, per esempio, si ricerca una donna delle pulizie che lavori per 400 euro mensili – 500 euro in caso sia automunita – dalle 6.45 del mattino alle 14.30 dal lunedì al sabato. Il datore di lavoro, non pago dell’offerta, sottolinea: “Astenersi perditempo. Siete pregati di contattarmi solo se avete voglia di lavorare. Siete pregati di non dare fastidio. Evitate di essere mandati a quel Paese”. Chissà se è questo che intendono imprenditori e politici quando parlano della necessità di “soffrire e mettersi in gioco”.
Passiamo alla ristorazione? Nulla cambia. A Napoli, la pizzeria Pizza&Sfizi cerca un cameriere di sala per 8 turni settimanali – suddivisi dalle 10:00 alle 17:00 dal lunedì al sabato e il venerdì e il sabato dalle 18:00 a chiusura – per 120 euro a settimana. “Con possibilità di essere inquadrato”. E avverte: “Attenzione: il lavoro è adatto a un ragazzo con poca esperienza, ma con tanta voglia di lavorare”. Com’è umano, lei, verrebbe da replicare. Ilfattoquotidiano.it ha provato a chiedere conto dell’offerta, ma nessuno ha voluto rispondere alle domande. Sempre a Napoli, la caffetteria l’Oro Nero cerca “una figura femminile per consegne esterne più aiuto all’interno del locale”. La paga? 500 euro mensili più mance per un full time che prevede una settimana alternata di sei giorni lavorativi dalle 7.30 alle 14 o dalle 13.30 alle 20.00. Sempre meglio che stare sul divano, no? Raggiunti al telefono, hanno dapprima tergiversato e poi dichiarato trattarsi di uno stage. Tutto regolare, nessun lavoro nero, sostengono.
Uno spaccato illuminante nei giorni in cui il tema del salario minimo è tornato al centro del dibattito pubblico. Pd e M5s sono favorevoli all’introduzione di una legge che fissi un minimo sotto il quale un datore di lavoro non può scendere. Ma la misura – che attualmente è in vigore in 21 dei 27 Paesi dell’Unione Europea – trova il muro di Confindustria e non solo. In particolare, i sindacati confederali sostengono che il salario minimo depotenzierebbe lo strumento dei CCNL andando a comprimere i diritti dei lavoratori. Attualmente in Italia esistono oltre 900 contratti collettivi nazionali diversi e, nonostante questo, sono milioni i lavoratori che rimangono fuori dalla contrattazione collettiva nazionale, esposti a proposte di sfruttamento illegittime con stipendi bassissimi e zero diritti, come dimostrano le decine di offerte di aziende, commercianti e ristoratori che cercano manodopera al massimo ribasso. Se così tanti datori di lavoro non hanno remore a pubblicare annunci che fanno a pugni con il buon senso e le normative, non è che il problema non sono i giovani che non hanno voglia di mettersi in gioco ma la qualità delle offerte lavorative?
Nella classifica europea degli stipendi per i giovani neolaureati l’Italia è ancora una volta nelle ultime posizioni: 28mila euro annui lordi rispetto agli oltre 32mila degli inglesi, ai 35mila dei francesi, ai 50mila dei tedeschi e ai quasi 80mila degli svizzeri.
Sarà per questo che in otto anni - registra la Corte dei conti - c’è stato un aumento del 41,8% dei trasferimenti per lavoro?
Un fenomeno - sottolinea l’analisi della Corte dei conti - riconducibile sia alle persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro sia al fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area Ocse, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore (solo il 68% dei laureati italiani ha un lavoro contro la media Ocse del’'85%).
In generale nel nostro paese il tasso di occupazione dei giovani è di molto inferiore alla media europea (16,8% tra gli under 25, quasi la metà rispetto al 32,1% dell’area euro) ed è alto il numero di Neet, oltre 3 milioni di under 35 che non studiano e non lavorano.E così in tanti, soprattutto tra i laureati, cercano fortuna all’estero.
«Il “paradosso italiano” – commenta Federica Meluzzi, dottoranda in economia all’Istituto Politecnico di Parigi – è che il rendimento del titolo universitario risulti basso nonostante l’offerta di lavoro molto qualificato sia tra le più scarse tra i paesi Ocse, come dimostrano le statistiche sul numero dei laureati. L’incapacità del sistema di assorbire e valorizzare le competenze acquisite durante gli studi universitari è sintomatica di problemi strutturali della nostra economia: da un lato, una struttura produttiva concentrata in settori a basso valore aggiunto, dall’altro una classe imprenditoriale poco qualificata, se si pensa che il 38% dei titolari delle micro e piccole imprese ha la licenza media e solo il 15% ha una laurea».
“Skills beget skills” (le competenze chiamano competenze): «Le imprese guidate da un imprenditore o da un manager laureato - sottolinea Meluzzi - dimostrano una maggiore propensione all’assunzione di personale altamente qualificato, innovano di più e sono più produttive. Ed è questo equilibrio low-skill che è fondamentale rompere per creare opportunità e migliori condizioni per la forza lavoro più qualificata e al tempo stesso rilanciare la produttività».
Secondo un’elaborazione della società di consulenza Mercer si registra però un leggero trend di crescita almeno nelle buste paga: il salario iniziale dei neolaureati nel 2016 era 26.500 euro quindi in 5 anni è cresciuto del 6% circa (nel 2020 è di 28.000 euro), ma non per tutti. «Si sono abbassati da 27mila euro a 26mila euro i livelli d’ingresso per la laurea triennale - evidenziano da Mercer -, per la magistrale si è passati da 28mila a 28.459 euro, e per i master da 28mila a 31.500 euro». E il tasso di disoccupazione giovanile è in leggero calo (-0,2%) ad aprile 2021 attestandosi al 33,7%.
«Osservando l’andamento dei dati nel nostro storico - dichiara Mariagrazia Galliani, responsabile Mobility&Data di Mercer Italia - possiamo notare che la tendenza in Italia è di riconoscere maggiormente il ruolo dei giovani che si affacciano nel mondo del lavoro, mettendo a disposizione politiche di total reward che non solo puntino a elementi tangibili, ma che siano anche collegate a elementi di natura valoriale e che generino un senso di orgoglio e appartenenza rispetto al brand».
Valori medi annui, 2021-2025 (*Comprende scienze motorie. Fonte: Unioncamere - Anpal)
La compagnia assicurativa Generali, ad esempio, ha condotto un’iniziativa di skill assessment globale durante il 2020 per comprendere l’effettiva preparazione dei propri dipendenti rispetto ad alcune skill fondamentali, definendo priorità e target per poi assegnare obiettivi di formazione per superare il gap tra bisogni e competenze effettive. L’iniziativa ha consentito a Generali Group di misurare oltre 45.000 livelli di professionalità nel mondo e ha potuto generare un enorme quantità di dati per meglio indirizzare i progetti formativi. Inoltre ha consentito di risparmiare il 30% del tempo che veniva prima utilizzato per training non efficaci, come per esempio corsi di formazione rivolti a lavoratori già con competenze in quell'ambito.
Del resto, la formazione (non solo per i giovani) diventa la leva strategica per rilanciare il lavoro nei prossimi anni: le possibilità arrivano dal tesoretto di 30 miliardi previsti dal Pnrr al capitolo Education. Formazione chiave di volta per ripartire anche per il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: «In Italia oltre 3 milioni di giovani tra i 15 e 34 anni non sono occupati, né impegnati nel percorso di istruzione o inattività formative - ha detto nelle considerazioni finali di lunedì 31 maggio - ; si tratta di quasi un quarto del totale, la quota più elevata tra i paesi dell’Unione europea. Se ne deve tener conto nel ridefinire le priorità per lo sviluppo economico e sociale e nel dirigere l’impegno verso la costruzione di un’economia davvero basata sulla conoscenza, il principale strumento a disposizione di un paese avanzato per consolidare e accrescere i livelli di benessere».
Allargando l’orizzonte al 2025 le previsioni di Unioncamere e Anpal evidenziano - nell’arco di 5 anni - una richiesta di 1,2 milioni di laureati da parte delle aziende italiane: per il 61-62% da inserire nel settore privato (dipendenti e indipendenti) e per il 38-39% in quello pubblico.
In valore assoluto la richiesta riguarderà soprattutto dottori in economia o statistica, con una domanda compresa tra 36mila e 40mila unità l’anno (di cui 35.000-38.500 dell'indirizzo economico e oltre 1.300 di quello statistico).
Seguono i laureati dell’area giuridico e politico-sociale, per cui si prevede una richiesta di oltre 39mila unità all’anno (di cui 23.100 per giurisprudenza e 16.300 per l’indirizzo politico-sociale).
E poi spicca l’indirizzo medico-sanitario, dove serviranno tra 33-35mila laureati in media annua, ma anche le specializzazioni di ingegneria, con una domanda compresa tra 31-35mila unità, insegnamento e formazione (comprese scienze motorie) per cui si stima che saranno necessari circa 25mila laureati l’anno.
Ma a fronte di 1,2 milioni di richieste delle aziende, sul mercato del lavoro faranno il proprio debutto 966mila laureati. Tra i più numerosi quelli ad indirizzo economico (oltre 30mila unità nella media dei cinque anni), poi gli ingegneri (circa 24mila all’anno), medici-sanitari e paramedici (circa 23mila unità annue) e laureati dell’indirizzo politico-sociale (20mila all’anno).
Tra gli indirizzi di ingegneria - evidenzia lo studio Anpal / Unioncamere - quello ampiamente prevalente è ingegneria industriale (11mila laureati all’anno).
Dove si concentra il gap maggiore? «Medico-sanitario, scientifico-matematico-fisico, ingegneria e architettura» si legge nel report sono gli indirizzi dove la richiesta supera la disponibilità di candidati con le competenze adeguate.
Per il settore medico-sanitario - per il quale si stima una carenza di offerta di 11-13mila laureati all’anno - il mismatch è evidentemente «il riflesso della crescente domanda di competenze sanitarie e di assistenza connesse all’invecchiamento della popolazione e all’adeguamento dei sistemi sanitari post-pandemia - evidenziano da Unioncamere -, anche in un’ottica di maggiore prevenzione e presidio territoriale».
La forte richiesta di competenze nell’indirizzo scientifico-matematico-fisico (che comprende l’informatica), per il quale saranno richiesti oltre 8mila laureati all’anno, a fronte di un’offerta di 5mila unità in ingresso nel mercato, è la conseguenza dell’accelerazione dei processi di digitalizzazione e di automazione indotti anche dalla pandemia.
«Con buona probabilità - si legge nello studio - ciò influisce positivamente anche sui fabbisogni di laureati in ingegneria, per i quali tuttavia si riscontrano differenze rilevanti a seconda dei singoli indirizzi di ingegneria esaminati. Per architettura la domanda (compresa tra 13.000-13.400 laureati all’anno, con un'offerta di 6.200 neolaureati) appare legata soprattutto alla componente dei lavoratori indipendenti».
Per alcuni indirizzi si delinea invece un tendenziale eccesso di offerta: linguistico, chimico-farmaceutico, geo-biologico, agro-alimentare.
Per questi ultimi si ripropone quindi il fondamentale tema dell’orientamento e dei relativi servizi di supporto, tra cui una corretta informazione sugli effettivi sbocchi lavorativi che possono essere ragionevolmente previsti al momento di scegliere il corso di studi da intraprendere.
Secondo Page group - società specializzata in indagini retributive - sono 5 i settori offrono migliori stipendi d’ingresso per i giovani: information tecnolonogy, engineering, healthcare, finanza e tax & legal.
«In ambito It - spiegano da Page Group - un data scientist può arrivare a 40mila euro annui, software e web developer a 35mila euro, mentre in ambito finanziario un jounior financial controller può partire da 27mila euro e un junion internal auditor da 25mila».
Nel campo Engineer gli stipendi migliori per i giovani - secondo Page group - riguardano gli ingegneri di progetto (40mila euro) e gli application engineer (30mila euro). Nell’healthcare un clinical project manager può arrivare a 35mila euro l’anno e un esperto sul controllo qualità parte da 27mila euro. Nel Tax&legal infine un avvocato neoabilitato parte da 25mila euro lordi anni e un tax specialist da 30mila.
«Al netto dei ruoli che richiedono un percorso di studi specifico, nella ricerca dei candidati è in costante crescita l'importanza delle soft skill e delle attitudini caratteriali come l'intelligenza emotiva - conclude Pamela Bonavita, Senior Executive Director, della società di consulenza Hr PageGroup - che consente di adattarsi a contesti mutevoli e alla complessità moderna.Non esistono lauree “sbagliate” o ”inutili”: la regola d’oro per i giovani che si trovano a dover scegliere la propria facoltà universitaria è di optate per i percorsi che più li appassionano e gratificano, senza dimenticare di sviluppare le competenze digitali e le soft skill, tutti ingredienti fondamentali per una carriera di successo».
ILSole24Ore
Dopo lo tsunami che ha investito gli ospedali italiani che durante le ondate più violente del Covid si sono trovati a corto di posti letto e di medici, soprattutto rianimatori e anestesisti da assoldare in fretta e furia per la trincea delle terapie intensive e quasi impossibile da trovare, arriva la prima concreta contromisura.
Il Servizio sanitario nazionale mette in palio una quantità di borse di studio mai viste nella storia che consentiranno a 17.400 giovani laureati in medicina di specializzarsi facendo pratica negli ospedali, dove grazie anche alle norme approvare durante l’emergenza, potranno essere assunti con contratti a tempo determinato e a tempo parziale già dal terzo anno di formazione (le specializzazioni durano in media 4-5 anni) riempiendo così carenze e buchi negli organici ridotti all’osso dopo anni di tagli – in 10 anni il Ssn ha perso oltre 40mila operatori – e di uscite di massa anche a causa di quota 100 e della fuga più recente dal settore pubblico dei camici bianchi che nel privato hanno trovato meno stress e stipendi più alti.
Questo maxi-ingresso di forze fresche è una boccata d’ossigeno fondamentale che garantirà il rafforzamento del Ssn dopo i colpi duri inferti dal Covid. «La pandemia – ricorda il ministro della Salute Roberto Speranza al Sole 24 Ore – ci ha insegnato che una mascherina o un respiratore puoi comprarlo sul mercato internazionale. Un medico no. Un medico va formato con investimenti pluriennali. Con le 17.400 borse – sottolinea ancora il ministro della Salute – programmiamo la più grande immissione di medici che si sia vista nella storia recente del nostro Paese. È la risposta giusta a questi mesi così difficili».
In effetti il numero di borse messe a disposizione è da record, visto che solo nel 2018 erano un terzo (6.200) e due anni fa neanche la metà (8mila), mentre per il 2020 – primo anno della pandemia – il Governo era corso ai ripari con un primo aumento importante di borse di specializzazione medica che erano state portate a 13.400.
Ora il nuovo balzo con altri 4mila posti in più, uno sforzo ingente che è stato possibile anche grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, visto che questo investimento rientra tra i primi impegni di spesa del Pnrr per la salute che sulla formazione investe 740 milioni.
Il numero di borse dell’anno scorso e di quest’anno assestano un colpo quasi mortale al fenomeno tutto italiano del cosiddetto “imbuto formativo”: per anni i laureati in medicina dopo il titolo in buona parte non trovavano posto nei corsi post-laurea di fronte alle poche borse disponibili (in passato circa 6mila di media) rimanendo esclusi dalla specializzazione necessaria per lavorare in ospedale. E così si è formata una coda che si è ingrossata negli anni.
«Lo scorso anno ci furono 24 mila concorrenti su 14 mila posti per specializzarsi – ricorda Angelo Mastrillo, docente in organizzazione delle professioni sanitarie, dell'Università di Bologna – . Dunque, ci dovrebbero essere circa 10mila medici che non entrarono lo scorso anno. Se li aggiungiamo agli ipotetici altri 10mila laureati del 2020 diventano 20 mila a concorrere sugli attuali 17.400 mila posti promessi dal Governo, anche se potrebbero essere ancora di più i candidati visto che ci sono anche tutti quelli che si sono immatricolati nel 2014-2015 dopo aver vinto il ricorso contro l’esclusione per il numero chiuso a Medicina».
Per ora non è ancora deciso se questo maxi-aumento di borse continuerà anche nei prossimi anni. Resta comunque aperto tutto il tema della programmazione dei posti per il percorso formativo per diventare medici che dura un decennio (laurea più specializzazione). Se l’imbuto formativo potrebbe essere quasi del tutto superato in futuro potrebbe crearsi il rischio di un imbuto lavorativo.
Se i posti di ingresso al corso di laurea in medicina dovessero crescere ancora – oggi siamo arrivati a 14mila posti disponibili – in futuro dopo il 2030 potrebbe crearsi una eccessiva offerta di giovani medici. Con il rischio di vederli fuggire all’estero dopo essersi formati in Italia, anche perché i nostri stipendi sono più bassi di 30-40mila euro lordi l’anno rispetto a quelli di molti Paesi del Nord Europa. Una nuova beffa dopo quella che ha visto tanti giovani camici bianchi aspettare anni prima di potere entrare in una corsia d’ospedale.
IlSole24Ore