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mercoledì 21 luglio 2021

Giovani medici, 17mila posti in arrivo. Stipendi a confronto in Europa. - Marzio Bartoloni

 

Arriva il concorso per le specializzazioni, con il triplo di borse rispetto al 2018: addio all’imbuto formativo. Per gli ospedali forze fresche anti carenze.

Dopo lo tsunami che ha investito gli ospedali italiani che durante le ondate più violente del Covid si sono trovati a corto di posti letto e di medici, soprattutto rianimatori e anestesisti da assoldare in fretta e furia per la trincea delle terapie intensive e quasi impossibile da trovare, arriva la prima concreta contromisura.

Il Servizio sanitario nazionale mette in palio una quantità di borse di studio mai viste nella storia che consentiranno a 17.400 giovani laureati in medicina di specializzarsi facendo pratica negli ospedali, dove grazie anche alle norme approvare durante l’emergenza, potranno essere assunti con contratti a tempo determinato e a tempo parziale già dal terzo anno di formazione (le specializzazioni durano in media 4-5 anni) riempiendo così carenze e buchi negli organici ridotti all’osso dopo anni di tagli – in 10 anni il Ssn ha perso oltre 40mila operatori – e di uscite di massa anche a causa di quota 100 e della fuga più recente dal settore pubblico dei camici bianchi che nel privato hanno trovato meno stress e stipendi più alti.

La lezione della pandemia.

Questo maxi-ingresso di forze fresche è una boccata d’ossigeno fondamentale che garantirà il rafforzamento del Ssn dopo i colpi duri inferti dal Covid. «La pandemia – ricorda il ministro della Salute Roberto Speranza al Sole 24 Ore – ci ha insegnato che una mascherina o un respiratore puoi comprarlo sul mercato internazionale. Un medico no. Un medico va formato con investimenti pluriennali. Con le 17.400 borse – sottolinea ancora il ministro della Salute – programmiamo la più grande immissione di medici che si sia vista nella storia recente del nostro Paese. È la risposta giusta a questi mesi così difficili».

Numeri da record.

In effetti il numero di borse messe a disposizione è da record, visto che solo nel 2018 erano un terzo (6.200) e due anni fa neanche la metà (8mila), mentre per il 2020 – primo anno della pandemia – il Governo era corso ai ripari con un primo aumento importante di borse di specializzazione medica che erano state portate a 13.400.
Ora il nuovo balzo con altri 4mila posti in più, uno sforzo ingente che è stato possibile anche grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, visto che questo investimento rientra tra i primi impegni di spesa del Pnrr per la salute che sulla formazione investe 740 milioni.

Il numero di borse dell’anno scorso e di quest’anno assestano un colpo quasi mortale al fenomeno tutto italiano del cosiddetto “imbuto formativo”: per anni i laureati in medicina dopo il titolo in buona parte non trovavano posto nei corsi post-laurea di fronte alle poche borse disponibili (in passato circa 6mila di media) rimanendo esclusi dalla specializzazione necessaria per lavorare in ospedale. E così si è formata una coda che si è ingrossata negli anni.

«Lo scorso anno ci furono 24 mila concorrenti su 14 mila posti per specializzarsi – ricorda Angelo Mastrillo, docente in organizzazione delle professioni sanitarie, dell'Università di Bologna – . Dunque, ci dovrebbero essere circa 10mila medici che non entrarono lo scorso anno. Se li aggiungiamo agli ipotetici altri 10mila laureati del 2020 diventano 20 mila a concorrere sugli attuali 17.400 mila posti promessi dal Governo, anche se potrebbero essere ancora di più i candidati visto che ci sono anche tutti quelli che si sono immatricolati nel 2014-2015 dopo aver vinto il ricorso contro l’esclusione per il numero chiuso a Medicina».

Rischio imbuto lavorativo.

Per ora non è ancora deciso se questo maxi-aumento di borse continuerà anche nei prossimi anni. Resta comunque aperto tutto il tema della programmazione dei posti per il percorso formativo per diventare medici che dura un decennio (laurea più specializzazione). Se l’imbuto formativo potrebbe essere quasi del tutto superato in futuro potrebbe crearsi il rischio di un imbuto lavorativo.
Se i posti di ingresso al corso di laurea in medicina dovessero crescere ancora – oggi siamo arrivati a 14mila posti disponibili – in futuro dopo il 2030 potrebbe crearsi una eccessiva offerta di giovani medici. Con il rischio di vederli fuggire all’estero dopo essersi formati in Italia, anche perché i nostri stipendi sono più bassi di 30-40mila euro lordi l’anno rispetto a quelli di molti Paesi del Nord Europa. Una nuova beffa dopo quella che ha visto tanti giovani camici bianchi aspettare anni prima di potere entrare in una corsia d’ospedale.

IlSole24Ore

mercoledì 14 aprile 2021

Oristano, “vaccini Pfizer ai familiari che non ne avevano diritto”: indagati in 15 tra medici e infermieri.

 

Carabinieri del Nas di Cagliari hanno notificato gli avvisi di garanzia ai "furbetti del vaccino" questa mattina all'alba.

Quindici persone, tra medici e infermieri, sono indagate dalla Procura di Oristano per abuso d’ufficio e peculato, con l’accusa di aver somministrato il vaccino Pfizer a propri familiari che non rientravano tra le previste categorie aventi diritto, abusando così della propria posizione. I Carabinieri del Nas di Cagliari hanno notificato gli avvisi di garanzia ai “furbetti del vaccino” questa mattina all’alba: si tratta di medici e infermieri indagati per abuso d’ufficio e peculato, per aver somministrato il vaccino Pfizer a propri familiari che non rientravano tra le categorie che ne avevano diritto, abusando così della propria posizione.

La Sardegna si classifica al quinto posto per numero di dosi di vaccino somministrate giornalmente ogni 100mila abitanti. L’infografica curata da Public Fluorish Studio tiene conto del valore medio degli ultimi sette giorni (prime + seconde dosi). L’Isola è quinta dietro Umbria, Liguria, Marche e Molise. La regione è stata la prima e l’unica in Italia a sperimentare il passaggio in zona bianca ma da lunedì 12 aprile è diventata rossa. Gli ultimi dati (di martedì 13 aprile, ndr) riferiscono di 327 nuovi contagi su 4.125 test effettuati. Si registrano anche otto nuovi decessi (1.285 in tutto). Sono 340, invece, i pazienti attualmente ricoverati in ospedale in reparti non intensivi (-1), mentre sono 56 (+1) quelli in terapia intensiva.

IlFattoQuotidiano

mercoledì 17 marzo 2021

Medici ed equipe per i vaccini nelle farmacie.

 

La scelta dei locali dipenderà dalla tipologia degli ambienti.


Saranno i medici, supportati da specifiche equipe, a somministrare il vaccino anti-Covid nelle farmacie. La scelta dei locali dipenderà dalla tipologia degli ambienti, laddove sarà possibile equipaggiare gli spazi.

Il sistema delle somministraizoni in alcune farmacie sarà integrato nelle reti esistenti all'interno delle varie regioni e gli stessi farmacisti saranno informati dalle Asl: su questi aspetti è in corso il coordinamento del flusso di informazioni con le regioni, da parte della struttura commissariale per l'Emergenza. 

"Nelle prossime ore stiamo lavorando a due interventi normativi: uno per favorire gli l'impegno di farmacie e di infermieri nella campagna di vaccinazioni per favorirne l'accelerazione". Lo ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza, in audizione alle Commissioni riunite Affari sociali di Camera e Senato.

Tra le opzioni previste per la riduzione di eventuali ritardi sul cronoprogramma di inoculazioni in Italia, dovuto in queste ore allo sospensione di AstraZeneca in via precauzionale, c'è anche il ricorso a turni straordinari per il personale addetto alle vaccinazioni. A quanto si apprende, la riprogrammazione delle prenotazioni prevede l'allungamento - almeno temporaneo - degli orari quotidiani per i turni di somministrazione e in alcuni casi l'estensione delle inoculazioni a sabato e domenica anche laddove non fosse già previsto e a seconda del tipo di struttura organizzativa nelle varie regioni.

Fonte: ANSA

sabato 23 gennaio 2021

Lombardia, il premio ai medici è l’ingiunzione: “Restituiteci 14,7 milioni di euro d’indennità”. Pasticcio sui servizi di continuità assistenziale. - Thomas Mackinson

 

Nel pieno della seconda ondata la Regione ha preso a bussare alle ex guardie mediche per recuperare l'obolo di un euro che aveva stabilito per le visite a pazienti fuori dall'ambito in cui risiedono. Lo sconcerto dei camici di Bergamo: "La messa in mora pochi mesi dopo che i medici di famiglia sono stati mandati allo sbaraglio". La Federazione dei medici (Fimmg) fa muro e invita gli iscritti a non pagare.

Dal governatore Attilio Fontana in giù son tutti dalla parte dei medici, a parole. Regione Lombardia, che resta in stato di massima allerta, ha pensato bene di premiarli con ingiunzioni a restituire entro 30 giorni cifre che variano da poche centinaia a diverse migliaia di euro a testa, per totali 14,7 milioni. Tutto per un euro di troppo, e per un pasticcio che riporta proprio al Pirellone, per altro sul fronte della “continuità assistenziale” che si è rivelato fragilissimo alla prova del virus. Il pasticcio riguarda la remunerazione delle cure ai pazienti “fuori ambito”. Dal 2005, a livello nazionale, un cittadino che si trova al di fuori della propria zona di residenza e si rivolge alla guardia medica paga 15 euro per una visita in ambulatorio e 25 a domicilio come onorario extra per il medico. Il paziente, fattura alla mano, chiede il rimborso alla propria azienda sanitaria.

Ma in Lombardia no, si fa diversamente. Nel 2007 la Regione e i sindacati dei medici stabiliscono di cancellare il pagamento cash per i non residenti. La Regione dice “pago tutto io”, elimina i compensi extra di 15-25 euro e aumenta di un euro all’ora (da 22 a 23 euro) la tariffa riconosciuta ai medici di continuità assistenziale. Così per 13 anni, finché nel 2018 l’aumento forfettario finisce sotto la lente della Finanza di Varese, che svolge indagini e trasmette i risultati alla Procura della Corte dei conti. Perché? Perché il contratto collettivo del 2005 prevedeva per i medici una “indennità onnicomprensiva”: quindi l’aumento di un euro deciso a livello lombardo era ingiustificato. Il danno economico calcolato dalla Corte dei Conti per la regione è di minimo 14.7 milioni. A risponderne ad aprile saranno 11 dirigenti regionali lombardi.

Nel frattempo il Pirellone sospende l’accordo a maggio 2019 e inizia a lavorare per il recupero delle somme in via cautelare. Si mette in moto la macchina delle ingiunzioni via Pec che ingrana la quarta nell’autunno 2020, con le otto Ats lombarde che inviano ai medici le lettere con la messa in mora dei soldi “in più” ricevuti tra il 2007 e il 2019 per visitare pazienti di notte, nei festivi, giorno di Natale e Capodanno. Peccato che a distanza di tanti anni quelle guardie siano diventate per lo più medici di base, proprio quelli ai cui studi hanno bussato orde di pazienti covid. Non avevano il tempo di respirare, ma dovevano trovare quello per chiamare un avvocato e i sindacati per capire come fosse possibile.

“Quando ho ricevuto l’avviso mi sono cadute le braccia”, racconta Mirko Tassinari, medico di base a Bergamo, la città dove sfilavano i camion con le bare. E’ uno dei tanti camici che si è speso per fermare il Covid rischiando la vita, uno dei primi ad ammalarsi a marzo 2020. Anche lui ha avuto un passato da guardia medica tra dal 2009 al 2014. “La paga di una guardia è molto bassa, quell’euro in più la alzava di circa 1000-1500 euro l’anno”. Il calcolo è presto fatto. In virtù del “pasticcio” dovrà restituire qualcosa come 6-8mila euro. “Quello che mi fa più rabbia è che la messa in mora sia scattata pochi mesi dopo che i medici di famiglia sono stati mandati allo sbaraglio senza protezioni, senza medicinali, in quelle province dove ci sono stati il 25% dei medici ammalati per il covid. Nella mia sei sono morti”.

La categoria alza ovviamente un muro. Il segretario generale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina generale Paola Pedrini ha affidato ai legali dell’associazione la tutela degli iscritti invitandoli a non pagare: “I nostri legali danno supporto a tutti i medici che si ritrovano l’ingiunzione tra le mani e la Federazione invita gli iscritti a non pagare”. Avete proposto impugnative e ricorsi? “In realtà no, il parere degli avvocati è che la pretesa sia tanto infondata che non è neppure necessario agire in questo senso”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/22/lombardia-il-premio-ai-medici-e-lingiunzione-restituiteci-147-milioni-di-euro-dindennita-pasticcio-sui-servizi-di-continuita-assistenziale/6066659/

giovedì 8 ottobre 2020

Premi Covid, nelle Marche neanche un euro per medici e infermieri. Mentre i dirigenti tentano il blitz per ottenerlo: 82 beneficiari. - Pierfrancesco Curzi

 

Un decreto firmato dalla dirigente del Servizio salute della Regione aveva autorizzato il pagamento delle quote di straordinari per 82 colleghi, alcuni dei quali in servizio in settori come la cultura, la tutela dell'ambiente e lo sport. Tutto congelato in base all'indicazione del neopresidente Acquaroli. Il sindacato dei medici: "Certe cose fanno arrabbiare. Per la nostra categoria si ragiona sull’ordine di poche centinaia di euro e i dirigenti della Regione vanno ad incassare fino al 30% della retribuzione".

Mediciinfermieri e personale sanitario delle Marche, in prima linea nella lotta contro il Covid-19, non hanno ancora visto un euro della premialità annunciata a maggio dalla Regione, ma intanto i vertici apicali di Palazzo Raffaello erano pronti ad elargire ricchi bonus per straordinari in parte fantasma a dirigenti e funzionari. Un decreto, il numero 16 del 7 agosto, firmato dalla dirigente del Servizio salute della Regione, Lucia Di Furia, autorizzava il pagamento delle quote di straordinari per 82 tra dirigentiinterni ed esterni. Posizioni organizzative e altri funzionari di rango più basso. Somme che potevano andare da 4mila ad oltre 10mila euro, in quanto in rapporto del 30 per cento rispetto allo stipendio tabellare dei vari ruoli. Ora quel provvedimento pare congelato: almeno questa è l’indicazione del nuovo presidente di Regione Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia) che dovrebbe annunciare la formazione della nuova giunta nei prossimi giorni.

Sono bastati un inghippo, qualcuno che ha messo i bastoni tra le ruote e il clamore mediatico per “congelare” la cosa. Sarebbe infatti stato più difficile richiedere indietro le cifre a chi l’emergenza Covid-19 non l’ha neppure sfiorata, magari lavorando per mesi in smart working nel periodo delineato dal decreto, ossia dal 31 gennaio (nelle Marche l’epidemia è esplosa un mese dopo) al 31 luglio. Uno dei dirigenti più di lungo corso presenti in quella lista, inoltre, proprio nel periodo di massimo impatto del virus era in malattia e non ha prestato servizio sotto alcuna forma. Poi c’è il nodo dei servizi e degli ambiti della Regione a cui il bonus doveva essere destinato. Mentre l’area sanità e la Protezione civile sono effettivamente stati in prima linea, qualche dubbio viene analizzando altri settori: turismo ad esempio, oppure la cultura e lo sport, le risorse umane, la tutela del territorio e il servizio “affari istituzionali e integrità” che comprende alcune figure dell’area comunicazione. Decine di questi dirigenti e funzionari, alcuni con stipendi annui vicini ai cinque zeri, erano in quella lista.

A commentare il caso è Oriano Mercante, segretario regionale del sindacato Anaao Assomed: “Certe cose fanno arrabbiare. Per la nostra categoria, così come per quella del comparto, si ragiona sull’ordine di poche centinaia di euro e i dirigenti della Regione vanno ad incassare fino al 30% della retribuzione, alcuni magari senza aver mai fatto nulla contro il Covid. Ne valeva la pena attivare una contrattazione infinita per 600 euro una tantum? Le dico, era meglio non prendere un euro e guadagnarci in salute. Credo che ci sia un senso di opportunità dietro a ogni decisione. I soldi elargiti per questi straordinari sono importanti e soprattutto sono arrivati attingendo dal fondo dell’emergenza Covid, senza alcuna contrattazione”.

La misura, pronta per essere licenziata, è saltata in extremis: fondamentale il fuoco amico di altri dirigenti e personale della Regione, lasciati a bocca asciutta e fuori dal decreto. Stesso discorso per i sindacati, anch’essi silenziati dal provvedimento che annullava, in deroga, qualsiasi contrattazione. Tutto è avvenuto a luglio e agosto, cioè agli sgoccioli di una legislatura travagliata e conclusa con la mancata riconferma del presidente uscente Luca Ceriscioli: “Quello che dovevo fare l’ho fatto, senza dubbi e senza indugi, inserendo un pacchetto da 20 milioni di euro. Gli accordi sui premi sono stati firmati, se non sbaglio. Gli straordinari Covid per dirigenti e posizioni organizzative? Mi risulta che si tratti di regole fissate dal dipartimento centrale di Protezione civile e saranno pochi a goderne”.

Proprio lui aveva annunciato i premi per i cosiddetti “eroi” della sanità, ma gli accordi per l’erogazione dei fondi sono stati presi soltanto in minima parte: “Delle quattro tra aziende ospedaliere e quella sanitaria regionale (l’Asurndr), abbiamo chiuso le vertenze solo nelle due più piccole, Marche Nord e Inrca per il comparto (infermieri, oss, ausiliari e tecnici, ndr) – sostiene Luca Talevi, segretario generale Fp-Cisl Marche – Erano stati promessi mille euro, alla fine ne sono arrivati 615, lordi tra l’altro. Per le due aziende principali, Asur e Ospedali Riuniti di Ancona, parliamo di 8mila addetti, la chiusura dell’accordo rischia di essere addirittura inferiore. Siamo in stato di agitazione e pronti allo sciopero per questo motivo”.

La diretta interessata, Lucia Di Furia, per ora preferisce non replicare. A farlo è invece la massima dirigente della Regione, la segretaria generale Deborah Giraldi: “Il provvedimento non è ufficialmente partito, non abbiamo dato neppure un euro ai dirigenti, ma soltanto fatto una ricognizione col servizio centrale della Protezione civile che elargisce i fondi. In effetti vorremmo capire bene, a norma di legge, cosa si intende esattamente per ‘attività connesse all’emergenza Covid-19’ prima di andare oltre. Ci muoviamo con la massima cautela”. Resta il fatto che il decreto per l’indennità onnicomprensiva era stato mandato in pagamento e i diretti interessati se la sarebbero vista accreditata nella prossima busta paga, se non fosse stata bloccata in tempo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/08/premi-covid-nelle-marche-neanche-un-euro-per-medici-e-infermieri-mentre-i-dirigenti-tentano-il-blitz-per-ottenerlo-82-beneficiari/5958101/

domenica 29 marzo 2020

Coronavirus, l'Albania invia medici e infermieri: "Non dimentichiamo l'Italia che ci ha aiutato".

Coronavirus, l'Albania invia medici e infermieri: "Non dimentichiamo l'Italia che ci ha aiutato"

30 sanitari partono da Tirana. Il premier Rama: "Paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri. Noi non siamo ricchi ma neanche privi di memoria".

Non siamo privi di memoria: non possiamo non dimostrare all'Italia che l'Albania e gli albanesi non abbandonano mai un proprio amico in difficoltà. Oggi siamo tutti italiani, e l'Italia deve vincere e vincerà questa guerra anche per noi, per l'Europa e il mondo intero". E' quanto ha detto il premier albanese Edi Rama, salutando all'aeroporto di Tirana un team di 30 medici e infermieri albanesi in partenza per l'Italia in aiuto ai colleghi impegnati nella lotta al coronavirus in Lombardia: "Voi membri coraggiosi di questa missione per la vita, state partendo per una guerra che è anche la nostra", ha aggiunto rivolgendosi al team sanitario.

"Trenta nostri medici e infermieri partono oggi per l'Italia, non sono molti e non risolveranno la battaglia tra il nemico invisibile e i camici bianchi che stanno lottano dall'altra parte del mare. Ma l'Italia  è casa nostra da quando i nostri fratelli e sorelle ci hanno salvato nel passato, ospitandoci e adottandoci mentre qui si soffriva", ha aggiunto Rama nel breve saluto cui era presente anche l'ambasciatore d'Italia in Albania, Fabrizio Bucci.

"Noi stiamo combattendo lo stesso nemico invisibile. Le risorse umane e logistiche non sono illimitate, ma non possiamo tenerle di riserva mentre in Italia c'è ora un enorme bisogno di aiuto".

"E' vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere, e paesi ricchissimi hanno voltato le spalle agli altri. Ma forse è perche noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non possiamo permetterci di non dimostrare all'Italia che l'Albania e gli albanesi non l'abbandonano", ha concluso.

"Voglio ringraziare il premier Edi Rama, il governo e il popolo albanese per la solidarietà che ci stanno dimostrando", ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio accogliendo la delegazione a Fiumicino.  "La solidarietà che l'Albania dimostra è un valore comune che ha fatto nascere l'Unione europea e che sta ricordando a tanti Paesi dell'Ue in questo momento", ha aggiunto Di Maio spiegando che i medici andranno in Lombardia. I medici e gli infermieri albanesi arrivati oggi a Roma pernotteranno alla Cecchignola questa notte e domani partiranno per la Lombardia, ha spiegato il ministro Di Maio ribadendo il suo grazie "all'Albania e al popolo albanese". A Fiumicino, ad attendere il team albanese, oltre a Di Maio c'erano anche il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri  ed il vice capo Dipartimento della Protezione civile, Agostino Miozzo.


https://www.repubblica.it/esteri/2020/03/29/news/coronavirus_medici_albania_italia-252593099/?ref=fbpr&fbclid=IwAR202zU5gp1h25qkNDiZDjakKa9VKGfyAlxcwcNfBL17xY1R_f6jhqLhVPE

venerdì 18 ottobre 2019

Novartis, “corrotti decine di migliaia di medici per prescrivere farmaci inutili”. Alla tv svizzera la testimonianza di tre ex manager



Nel documentario di Falò in onda giovedì 18 ottobre parlano per la prima volta i whistleblower che collaborano all'inchiesta dell'Fbi contro la multinazionale elvetica. Secondo l'accusa, medicinali dai prezzi proibitivi sono stati omologati in Grecia, e pazienti sani sarebbero stati sottoposti a cure inutili.
Novartis, la multinazionale farmaceutica svizzera, è accusata di aver corrotto decine di migliaia di medici pur di fare prescrivere i propri prodotti. E così pazienti inconsapevoli e perfettamente sani sarebbero stati sottoposti a cure del tutto inutili. Coinvolti anche ministri e alti funzionari dello Stato, con l’accusa di essere stati al libro paga della multinazionale per omologare in Grecia nuovi farmaci a prezzi proibitivi.

L’indagine è stata avviata dall’Fbi nel 2016 grazie alla collaborazione di informatori della sede greca. Ora la trasmissione Falò, in onda stasera , giovedì 17 ottobre alle 21.10 su Rsi La1, nel documentario “La strategia” per la prima volta dà voce ai tre informatori, che ha incontrato prima in Grecia e poi a New York, dove si sono recati per gli interrogatori delle autorità statunitensi.
I tre ex manager, che si autoaccusano di corruzione nei confronti di medici e funzionari di Stato, hanno affidato ai giornalisti della tv pubblica svizzera Maria Roselli e Marco Tagliabue, il racconto dettagliato delle pratiche illecite a loro dire utilizzate da Novartis per conquistare nuove fette di mercato in Grecia ed avanzare nel giro di pochi anni dal quinto al primo posto in classifica.
I tre whistleblower, la cui identità per motivi di sicurezza deve restare nascosta, rivelano a Falò l’esistenza di veri e propri “programmi di corruzione” camuffati da normali progetti di marketing, in parte finanziati direttamente dalla sede centrale di Basilea in Svizzera. L’inchiesta delle autorità americane si è conclusa nell’estate 2019. Spetta ora a Novartis decidere se affrontare un processo o puntare ad un accordo.
Il documentario sarà visibile sul sito di Falò da venerdì 18 ottobre.

sabato 27 luglio 2019

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi. - Ersilio Mattioni

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi

A metà luglio il direttore generale dell'Ospedale Fornaroli ha fatto denuncia ai Carabinieri. Mancavano 8-12 fiale di morfina da 10 milligrammi l’una, quando una dose non supera i 2-3 milligrammi. C'è il sospetto che i furti siano in corso da tempo. E che medici e paramedici usino droga per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico.
Un’infermiera trovata in overdose da morfina e viva per miracolo, un ingente quantitativo di stupefacenti trafugato da una stanza chiusa a chiave, un’indagine dei Carabinieri e il timore che, da un momento all’altro, i Nas possano piombare nel reparto Rianimazione. Come se non bastasse, dall’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’ di Magenta giungono voci insistenti su medici e paramedici che, per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico, farebbero ricorso alla droga. Se fosse vero, vorrebbe dire che ci sono sanitari in stato di alterazione durante lo svolgimento del proprio turno di servizio, mentre sono a contatto con i pazienti.
Lo era certamente l’infermiera di 44 anni, residente nel Magentino, lo scorso venerdì 5 luglio. Un esame tossicologico ha dimostrato che la donna aveva assunto, prima di cominciare il turno, un cocktail di sostanze stupefacenti, tra cui morfina e cocaina. Negli ambienti ospedalieri lo chiamano ‘speedball’, un termine inglese che indica la combinazione di morfina (un oppiaceo) e cocaina (un eccitante). Il mix, tramite iniezione o inalazione, serve a potenziare le proprie capacità senza dare l’impressione di essere drogati. Funziona, ma causa una forte dipendenza fisica. Ed è pericoloso. Se l’effetto di una delle due sostanze finisce troppo presto, si va in crisi respiratoria. Questo è successo alla 44enne di Magenta. Viva per puro caso, solo perché una sua collega, prima di iniziare a lavorare, va in bagno per raccogliersi i capelli e sente un rantolo che proviene dagli spogliatoi. Preoccupata, apre la porta e trova l’infermiera stesa a terra, con una fiala di morfina che fa bella mostra nell’armadietto. Scatta l’allarme e un medico le inietta un farmaco ‘antagonista’, che annulla l’effetto della morfina. Lei reagisce subito. Pochi minuti ancora e sarebbe morta.
Ma chi può accedere alla stanza degli stupefacenti? Intorno a metà luglio i responsabili della Rianimazione decidono di svolgere un controllo incrociato sui farmaci pericolosi e sul registro. Tutto deve essere segnato nel dettaglio: chi preleva lo stupefacente, quale medico lo ha prescritto e chi è il paziente che ne deve usufruire. Si scoprono clamorosi ammanchi nell’ordine di 8-12 fiale da 10 milligrammi l’una. E’ un’enormità, se si pensa che la dose da assumere non può superare i 2-3 milligrammi. Inoltre, i controlli riguardano solo gli ultimi mesi e cresce il sospetto che i furti di stupefacenti siano in corso da tempo. “Non appena abbiamo saputo degli ammanchi – spiega il direttore generale della Asst, Fulvio Odinolfi, a Ilfattoquotidiano.it – abbiamo proceduto con una denuncia ai Carabinieri, dalla quale è scaturita un’indagine. Se arriverà un’ispezione dei Nas, saremo pronti. Di sicuro, siamo a completa disposizione delle forze dell’ordine, che avranno la nostra totale collaborazione. Nulla, in questa storia, verrà lasciato al caso”.
La prima denuncia contro ignoti, però, non va a buon fine. L’ospedale spedisce dai Carabinieri di Magenta un’infermiera semplice. E quando i militari si rendono conto che la materia è delicata, chiedono di parlare con un responsabile. Il coordinatore degli infermieri è in ferie. Così la dipendente torna in caserma accompagnata da un medico alcuni giorni dopo, per la precisione il 15 luglio. In quello stesso momento, all’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’, c’è l’assessore regionale alla Sanità, Giulio Gallera, per inaugurare i nuovi poliambulatori. Sopra, in corsia, si tagliano nastri e si brinda a quella che i politici chiamano “l’eccellenza lombarda”; sotto, in Rianimazione, si rimettono assieme i cocci della tragedia e ci si chiede cosa succederà adesso. Il clima è pesante.
Agli infermieri viene imposta la consegna del silenzio e viene convocata, per il primo pomeriggio del 22 luglio, una riunione urgente. All’ordine del giorno un solo punto: gestione degli stupefacenti. A presiedere l’incontro Maria José Rocco del Sitra (Servizio infermieristico tecnico e riabilitativo aziendale) e Gabriella Cirrincione (capo area della Rianimazione). Vengono dettate le nuove regole sulla custodia della chiave per accedere agli stupefacenti e sulla compilazione dell’apposito registro. Ma non viene affrontato un problema da sempre irrisolto: le chiavi sono due, l’altra è nella sala medici e i dottori la possono utilizzare senza sottoporsi alle nuove rigide procedure.
Odinolfi, pur chiarendo che “gli stupefacenti non sono alla mercé di chiunque”, ammette che potrebbe esserci una falla nel sistema di sicurezza, garantendo “il massimo impegno per trovarla e debellarla”. Tutto questo al netto dei sistemi, alcuni ineliminabili, per rubare i farmaci custoditi sotto chiave. Non all’ospedale di Magenta, ma in ogni nosocomio italiano. L’elenco è lunghissimo. Il più semplice è dichiarare che una fiala, mentre veniva prelevata, si è rotta ed è stata sostituita con una nuova. Un altro molto diffuso è quello di trattenere il flacone da 10 milligrammi dopo aver iniettato al paziente una dose di 3-4 milligrammi al massimo. L’ordine è quello di buttare via il contenuto inutilizzato, ma non tutti lo fanno. Poi ci sono i furti veri e propri, stando attenti a non farsi vedere oppure attingendo dalle scatole di scorta, quelle collocate sul fondo dell’armadietto, che di fatto non si aprono mai.
Mentre la lunga storia delle sparizioni degli stupefacenti getta un’ombra sinistra sull’ospedale di Magenta, in Rianimazione si ricomincia a lavorare con le stesse difficoltà. Gli infermieri assunti sono 18, ma quelli in servizio 14 a causa di malattie e maternità. Nessuno ha provveduto a integrare l’organico e i turni da svolgere sono 3, oltre agli ‘stacchi’ dopo una notte e al giorno di riposo. Il risultato è che a ogni giro ci sono in servizio solo 3 paramedici. Come sempre, i pazienti abbondano e il personale scarseggia.

Eppure un buon sistema per evitare che ciò avvenga c'è: pretendere che chi preleva tali farmaci rilasci una ricevuta nella quale descriva la quantità usata e la motivazione dell'utilizzo.
Suppongo che questi farmaci abbiano un costo che grava sulla spesa sanitaria, si rende necessario, pertanto, un controllo accurato sul loro uso.
c.

venerdì 12 aprile 2019

Allarme su alcuni antibiotici, scatta il ritiro.

Allarme su alcuni antibiotici, scatta il ritiro

Allerta dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) su alcuni antibiotici di uso comune. L'ente regolatorio ha diffuso nuove e importanti informazioni di sicurezza sui medicinali contenenti fluorochinoloni (ciprofloxacina, levofloxacina, moxifloxacina, pefloxacina, prulifloxacina, rufloxacina, norfloxacina, lomefloxacina): "Sono state segnalate" infatti "reazioni avverse invalidanti, di lunga durata e potenzialmente permanenti, principalmente a carico del sistema muscoloscheletrico e del sistema nervoso. Di conseguenza, sono stati rivalutati i benefici e i rischi di tutti gli antibiotici chinolonici e fluorochinolonici e le loro indicazioni nei Paesi dell'Ue. I medicinali contenenti cinoxacina, flumechina, acido nalidixico e acido pipemidico verranno ritirati dal commercio", annuncia l'Aifa.

In una comunicazione rivolta ai medici, l'Agenzia indica di "non prescrivere questi medicinali per il trattamento di infezioni non gravi o autolimitanti (quali faringite, tonsillite e bronchite acuta); per la prevenzione della diarrea del viaggiatore o delle infezioni ricorrenti delle vie urinarie inferiori; per infezioni non batteriche, per esempio la prostatite non batterica (cronica); per le infezioni da lievi a moderate (incluse la cistite non complicata, l'esacerbazione acuta della bronchite cronica e della broncopneumopatia cronica ostruttiva, la rinosinusite batterica acuta e l'otite media acuta), a meno che altri antibiotici comunemente raccomandati per queste infezioni siano ritenuti inappropriati; ai pazienti che in passato abbiano manifestato reazioni avverse gravi a un antibiotico chinolonico o fluorochinolonico".

"Prescriva questi medicinali con particolare prudenza - consiglia ancora l'ente regolatorio italiano ai medici italiani - agli anziani, ai pazienti con compromissione renale, ai pazienti sottoposti a trapianto d'organo solido e a quelli trattati contemporaneamente con corticosteroidi, poiché il rischio di tendinite e rottura di tendine indotte dai fluorochinoloni può essere maggiore in questi pazienti. Dev'essere evitato - evidenzia infine l'Aifa - l'uso concomitante di corticosteroidi con fluorochinoloni". E' necessario, avvertono ancora i camici bianchi, informare "i pazienti di interrompere il trattamento ai primi segni di reazione avversa grave quale tendinite e rottura del tendine, dolore muscolare, debolezza muscolare, dolore articolare, gonfiore articolare, neuropatia periferica ed effetti a carico del sistema nervoso centrale, e di consultare il proprio medico per ulteriori consigli".

A livello europeo già l'Agenzia Ema si era occupata nei mesi scorsi di approfondire i rischi legati a questi antibiotici, dando indicazioni alle autorità dei singoli Paesi che, come nel caso dell'Aifa, stanno prendendo appropriate misure nelle varie nazioni. L'Ema cita anche possibili problemi di depressione, insonnia, disturbi della vista e di altri sensi, in chi assume questi farmaci. "Sono stati segnalati soltanto pochi casi di queste reazioni avverse invalidanti e potenzialmente permanenti - precisa l'Ema - ma è verosimile una sotto-segnalazione. A causa della gravità di tali reazioni in soggetti fino ad allora sani, la decisione di prescrivere chinoloni e fluorochinoloni deve essere presa dopo un'attenta valutazione dei benefici e dei rischi in ogni singolo caso".
"E' positivo che l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) abbia diramato una nota informativa ai medici su questi antibiotici, che danno grossi problemi di salute - commenta all'AdnKronos Salute Silvio Garattini, farmacologo fondatore e presidente dell'Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano - Questo era già noto da tempo, ma l'informazione non deve mai cessare di circolare, altrimenti è difficile che la pratica medica possa essere efficace nell'evitare reazioni gravi".
Secondo l'ultimo rapporto Osmed dell'Aifa, i fluorochinoloni sono la classe di antibiotici più usata in Italia dopo penicilline e cefalosporine di terza generazione, con una spesa annua pro capite di 2 euro. Ma, avverte l'esperto, "bisogna utilizzarli con grande attenzione: solo per i casi gravi e/o che non rispondono ad altre terapie antibiotiche. Ed è necessario che l'informazione su questi prodotti continui a circolare perché deve arrivare a tutti i medici. In questo modo, inoltre, chiunque si trova in terapia attualmente potrà chiedere al proprio medico curante informazioni aggiornate ed efficaci".

martedì 9 ottobre 2018

Inps, premi ai medici che negano malattia e invalidità. Ordine invita alla disobbedienza: ‘Aberrazione, noi contrari’. - Thomas Mackinson

Inps, premi ai medici che negano malattia e invalidità. Ordine invita alla disobbedienza: ‘Aberrazione, noi contrari’


"Cara Inps, il medico non si compra". Durissimo il giudizio di Filippo Anelli, presidente dell'ordine dei 350mila camici bianchi sulla decisione dell'Inps di dare premi ai camici che negano malattia e revocano invalidità. "Questo incentivo, se confermato, è un'aberrazione per la professione medica e segna il tradimento di principi costituzionali. I medici non ne tengano conto”.

Non siamo i medici dello Stato ma del cittadino. Questo incentivo, se confermato, è un’aberrazione per la professione medica e segna il tradimento di principi costituzionali. Chiunque debba valutare, sappia che siamo contrari”. E’ durissimo il giudizio del presidente dell’Ordine dei Medici sulla decisione dell’Inps di introdurre per la prima volta da quest’anno le prestazioni per malattia negate e invalidità revocate tra i criteri di valutazione utili alla retribuzione di risultato dei medici, senza per altro far riferimento a quelle indebitamente riconosciute, oggetto di programmazione di specifica attività ispettiva. La delibera è firmata direttamente dal presidente Tito Boeri a marzo 2018 ma la notizia emerge e deflagra solo ora, soprattutto grazie alla denuncia di Vittorio Agnoletto. Secondo l’attuale “Piano delle performance” dell’ente, che ognuno può consultare sul sito, più il medico negherà prestazioni e più sarà pagato. Da questa attività, promettono le tabelle dell’Inps, si otterranno così minori prestazioni per altri 10 milioni di euro, portando il totale 2018 sopra quota 81 milioni.
Il cuore della questione non sono le cifre, come spiega il Presidente Filippo Anelli che rappresenta tutti i 350mila camici bianchi d’Italia: “In premessa  – dico che forse oggi paghiamo il mancato rispetto delle norme da parte di qualcuno, cosa che purtroppo nella nostra società non è residuale ma abbastanza frequente. Diciamo che c’è un costume generale nel Paese che forse ha portato a fare questo. Ma come Federazione ci siamo sempre posti e ci poniamo come problema il fatto che gli strumenti di carattere manageriale-economicistici molto spesso confliggono con la professione, cioè non sempre rispondono a bisogni e obiettivi convergenti. E questo riguarda tanti aspetti, ma per i medici prima vengono gli obiettivi di salute, poi quelli economici”. Da qui, le obiezioni specifiche.
La prima è riferita proprio all’ente pubblico, all’Inps. “Non ritengo possa avere come obiettivo quello del risparmio, ma quello del riconoscimento o meno di un giusto diritto. Credo che lo Stato oggi dovrebbe essere il maggior garante dei diritti, quindi mi fa specie che anteponga una questione di carattere economico a un diritto del cittadino. Da un punto di vista concettuale è difficile da accettare, lo dico da cittadino e non da medico. Io mi aspetterei che la mia Repubblica Italiana, fondata su determinati diritti, avesse come maggior garante lo Stato e i suoi organi. Nel momento in cui qualcuno mi incentiva a non applicare un diritto, allora è un vero e proprio tradimento della Carta costituzionale. In senso etico, credo, che questo problema debba essere posto. Non mi pare assolutamente possibile transigere”.
La misura controversa risale però a marzo 2018, dov’è stato l’Ordine in questi sei mesi? “Ha ragione quando dice che gli ordini dovrebbero dire la loro su scelte di carattere manageriale che confliggono su aspetti deontologici. Ma una volta era costume che l’Inps e non solo convocasse e sentisse l’Ordine sui rinnovi contrattuali e sulle misure che toccano aspetti deontologici della professione. Era una sana abitudine che si è persa da quando i contratti non sono più stabiliti per decreto ma privatistici. E’ forse l’occasione per rilanciare la questione, perché l’Ordine è qui anche per questo.Vorrei poi vedere, stando sui numeri, quante sono le domande e le erogazioni negate e quanti contenziosi, con relativo costo, per le casse dello Stato. Quanto cioè questo voler ad ogni costo, anche pagando il medico perché lo faccia, questo rigettare la domanda dei cittadini comporti un beneficio. Non so, per così dire, se l’impresa valga la spesa”.
Poi l’affondo sulla deontologia, messa a rischio da un pezzo dello Stato. “Non si può anteporre il diritto del cittadino a un pur ragionevole incentivo del medico. Le due cose non possono essere confliggenti. Puoi chiedere al medico di essere più efficiente sugli aspetti gestionali e operativi del suo lavoro, ma non di negare dei diritti. Se secondo loro le commissioni mediche non sono efficienti, trovino un modo per renderle tali, ma non agendo sul merito delle loro decisioni. E’ insultante anche per il medico che dietro un promesso corrispettivo si trasformi da compiacente facilitatore degli abusi a rigido funzionario che finalmente applica norme già previste. E’ insultante che lo Stato assuma un punto di vista come questo sul medico. Non puoi svendere per qualche euro in più in busta paga l’autonomia di pensiero e di giudizio professionale”.
Fonte: ilfattoquotidiano.it del 9.10.2018