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mercoledì 5 giugno 2024

Gli scienziati trovano il genoma più grande di sempre. - Lucia Petrone

La scoperta.

Una piccola felce apparentemente insignificante che cresce solo su una remota isola del Pacifico è stata incoronata venerdì detentrice del Guinness World Record per avere il genoma più grande di qualsiasi organismo sulla Terra. La felce della Nuova Caledonia, Tmesipteris oblanceolata , ha più di 50 volte più DNA racchiuso nel nucleo delle sue cellule rispetto agli esseri umani. Se il DNA di una delle cellule della felce – che sono larghe solo una frazione di millimetro – venisse svelato, si estenderebbe fino a 106 metri hanno detto gli scienziati in un nuovo studio. In piedi, il DNA sarebbe più alto della torre che ospita la famosa campana del Big Ben di Londra.Il genoma della felce pesava ben 160 coppie di gigabasi (Gbp), la misura della lunghezza del DNA. Si tratta del 7% in più rispetto alla precedente detentrice del record, la pianta da fiore giapponese Paris japonica. Il genoma umano è relativamente esiguo: 3,1 Gbp. Se il nostro DNA venisse svelato, sarebbe lungo circa due metri. La coautrice dello studio Ilia Leitch, ricercatrice presso i Royal Botanic Gardens di Kew nel Regno Unito, ha dichiarato all’AFP che il team è stato “davvero sorpreso di trovare qualcosa di ancora più grande della Paris japonica “. “Pensavamo di aver già raggiunto il limite biologico. Stiamo davvero spingendo agli estremi della biologia”, ha detto. La felce, alta dai 5 ai 10 centimetri, si trova solo in Nuova Caledonia, un territorio francese del Pacifico recentemente teatro di disordini. Due membri del gruppo di ricerca si sono recati sull’isola principale, Grand Terre, nel 2023 e hanno lavorato con scienziati locali per lo studio, che è stato pubblicato. Il Guinness World Records ha assegnato alla felce l’ambito “titolo del genoma più grande”. La vittoria di “questa felce dall’aspetto innocuo” dimostra che “i detentori del record non sono sempre i più appariscenti all’esterno”, ha detto Adam Millward, caporedattore del Guinness World Records. Cos’è ancora un genoma? Si stima che gli esseri umani abbiano più di 30 trilioni di cellule nel nostro corpo. All’interno di ciascuna di queste cellule c’è un nucleo che contiene il DNA, che è come un “libro di istruzioni che spiega a un organismo come noi come vivere e sopravvivere”, ha spiegato Leitch. Tutto il DNA di un organismo è chiamato genoma. Finora gli scienziati hanno stimato la dimensione del genoma di circa 20.000 organismi, solo una frazione della vita sulla Terra. Tra gli animali il più grande è il dipnoo marmorizzato, con 130 Gbp. Sebbene le piante abbiano i genomi più grandi, possono anche averne di incredibilmente piccoli. Il genoma della carnivora Genlisea aurea è di soli 0,06 Gbp. Ma noi esseri umani non dobbiamo sentirci inadeguati quando ci confrontiamo con il potente T. oblanceolata . Tutte le prove suggeriscono che avere un genoma enorme è uno svantaggio, ha detto Leitch. Più DNA hai, più grandi devono essere le tue cellule per comprimerlo tutto.

Per le piante, cellule più grandi significano che i pori delle foglie devono essere più grandi, il che può farle crescere più lentamente. È anche più complicato creare nuove copie di tutto quel DNA, limitando le loro capacità riproduttive. Ciò significa che i genomi più massicci si riscontrano nelle piante perenni a crescita lenta che non possono adattarsi facilmente alle avversità o competere con la concorrenza. Le dimensioni del genoma possono quindi influenzare il modo in cui le piante rispondono ai cambiamenti climatici , al cambiamento dell’uso del territorio e ad altre sfide ambientali causate dagli esseri umani, ha affermato Leitch. A cosa serve tutto quel DNA? Potrebbero esserci ancora genomi più grandi da qualche parte là fuori, ma Leitch pensa che questa felce debba essere vicina al limite. “Non riesco a capire come funzioni davvero un organismo con tutto questo DNA”, ha detto. Gli scienziati non sanno cosa fa la maggior parte del DNA in genomi così grandi, ha ammesso. Alcuni dicono che la maggior parte è “DNA spazzatura”. “Ma probabilmente è colpa della nostra ignoranza. Forse ha una funzione e dobbiamo ancora trovarla”, ha detto Leitch. Jonathan Wendel, un botanico della Iowa State University non coinvolto nella ricerca, concorda che è “sorprendente” la quantità di DNA che la felce sta immagazzinando. Ma questo “rappresenta solo il primo passo”, ha detto all’AFP. “Un grande mistero è il significato di tutta questa variazione: come crescono e si restringono i genomi e quali sono le cause e le conseguenze evolutive di questi fenomeni?”

domenica 13 agosto 2023

Progettati batteri in grado di rilevare il Dna del tumore: lo studio.

 

Sono come 'guardiani' invisibili, in grado di intercettare il nemico in maniera efficiente e veloce. A puntare su di loro è un gruppo di scienziati Usa, che ha ingegnerizzato dei batteri in grado di rilevare la presenza di Dna tumorale in un organismo vivo. Un'innovazione testata con risultati positivi nei topi che potrebbe aprire la strada a nuovi biosensori hi-tech capaci di identificare infezioni, tumori e altre malattie. I ricercatori dell'University of California San Diego e un gruppo di colleghi in Australia hanno descritto il passo avanti su 'Science'. Batteri come questi, in precedenza, erano stati progettati per svolgere varie funzioni diagnostiche e terapeutiche, ma non avevano la capacità di identificare specifiche sequenze di Dna e mutazioni al di fuori delle cellule. Il nuovo progetto - battezzato 'Catch' - nasce per fare proprio questo.

"Quando abbiamo iniziato 4 anni fa, non eravamo nemmeno sicuri che fosse possibile utilizzare i batteri come sensore per il Dna dei mammiferi", spiega il leader del team scientifico Jeff Hasty, professore della UC San Diego School of Biological Sciences e della Jacobs School of Engineering. "L'individuazione di tumori gastrointestinali e lesioni precancerose è un'interessante opportunità clinica a cui applicare questa invenzione". È noto che i tumori disperdono il loro Dna negli ambienti che li circondano. Molte tecnologie possono analizzare il Dna purificato in laboratorio, ma non sono in grado di rilevarlo lì dove viene rilasciato. I ricercatori hanno progettato e testato dei batteri con questa missione, utilizzando la tecnologia Crispr, dell'editing genetico.

"Molti batteri possono assorbire il Dna dal loro ambiente, un'abilità nota come competenza naturale", ha affermato Rob Cooper, co-autore dello studio, del Synthetic Biology Institute della UC San Diego. Hasty, Cooper e il medico australiano Dan Worthley hanno collaborato a un'applicazione di questa idea al cancro del colon-retto. Hanno iniziato a formulare la possibilità di ingegnerizzare i batteri che sono già prevalenti nel colon, come nuovi biosensori che potrebbero essere distribuiti all'interno dell'intestino per rilevare il Dna rilasciato da questo tumore.

Il team statunitense-australiano si è concentrato sull'Acinetobacter baylyi - un candidato con le qualità giuste - ingegnerizzandolo e testandolo come sensore per identificare il Dna di KRAS, un gene che è mutato in molti tipi di cancro e per discriminare tra la versione mutata e quella normale. "È stato incredibile quando ho visto al microscopio i batteri che avevano assorbito il Dna del tumore. I topi con tumori avevano sviluppato colonie batteriche verdi che avevano acquisito la capacità di crescere su piastre antibiotiche", ha affermato Wright.

I ricercatori stanno ora adattando la loro strategia di biosensori batterici a nuovi circuiti e diversi tipi di batteri per rilevare e trattare tumori e infezioni umane. In futuro, riflette Siddhartha Mukherjee, professore associato della Columbia University, non coinvolto nello studio, "le malattie saranno curate e prevenute da cellule, non da pillole. Un batterio vivente in grado di rilevare il Dna nell'intestino offre un'enorme opportunità" di schierare "una sentinella per cercare e distruggere il cancro gastrointestinale e molti altri".

La nuova invenzione richiede un ulteriore sviluppo e perfezionamento, precisano gli scienziati. Il team dell'UC San Diego sta continuando a ottimizzare questa strategia avanzata dei biosensori. "C'è un futuro in cui nessuno dovrà morire di cancro del colon-retto", auspica Worthley. "Speriamo che questo lavoro sia utile a bioingegneri, scienziati, e in futuro ai medici, nel perseguimento dell'obiettivo".

https://www.adnkronos.com/salute/progettati-batteri-in-grado-di-rilevare-il-dna-del-tumore-lo-studio_5i7zxwb2KqtCfY6FcoYlS2

domenica 30 luglio 2023

Machu Picchu: l’analisi del DNA getta nuova luce sul popolo Incas. - Arianna Guastella

 

Una nuova analisi del DNA dei resti umani sepolti a Machu Picchu fornisce informazioni sui servitori degli Incas.

Gli uomini e le donne che servivano i reali Inca a Machu Picchu non erano locali; provenivano da terre lontane conquistate dall’impero, rileva un nuovo studio.

Un team internazionale di ricercatori ha analizzato l’antico DNA di oltre 30 persone sepolte a Machu Picchu, probabilmente servitori dell’élite Inca, e ha confrontato i dati genetici con il DNA di altri antichi resti umani e di persone moderne della regione.

I risultati hanno rivelato che i servi provenivano da tutti gli altopiani andini, così come da tutta la costa del Perù, secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances.

Chi viveva a Machu Picchu?

Gli Incas governarono la regione andina del Sud America dall’inizio del XV secolo alla metà del XVI secolo, quando gli spagnoli presero possesso dell’impero. Più di un secolo prima dell’invasione spagnola, gli Inca costruirono un imponente palazzo sulle montagne del sud del Perù, probabilmente per l’imperatore inca Pachacuti, che regnò dal 1438 al 1471. Ma poco si sa sulle origini e sulla vita dei servi che gestivano la tenuta di Machu Picchu.

Circa 750 persone vivevano a Machu Picchu – tra cui l’imperatore, altri membri della famiglia reale Inca, ospiti e servitori permanenti – durante l’alta stagione tra maggio e ottobre, secondo lo studio. Molti reali erano serviti da uomini conosciuti come “yanacona”, che non erano Inca. Piuttosto, venivano spesso prelevati dalle terre conquistate e presentati in dono all’imperatore. Anche le donne conosciute come “aclla” furono prese dalle loro terre d’origine e date in moglie a questi servi maschi. Insieme, la yanacona e l’aclla provvedevano ai bisogni dell’imperatore e dei suoi ospiti mentre si dedicavano a banchetti, canti, danze e cacce e svolgevano importanti cerimonie religiose.

Nell’ultimo secolo di lavori archeologici a Machu Picchu, i ricercatori hanno scoperto le tombe di quasi 200 persone morte tra il 1420 e il 1532. Date le ceramiche semplici e non in stile inca sepolte con gli individui, si è a lungo ipotizzato che queste grotte funerarie contenevano i resti dei servi yanacona e aclla che frequentavano la famiglia reale. Ricerche precedenti che utilizzavano analisi biochimiche suggerivano inoltre un alto livello di diversità etnica tra la popolazione sepolcrale di Machu Picchu.

Per verificare ulteriormente l’ipotesi che le persone sepolte fossero servitori portati lì da diverse parti del Sud America, i ricercatori hanno analizzato i dati del DNA antico di 34 persone trovate nei quattro cimiteri di Machu Picchu, così come il DNA di 36 persone moderne e antiche della Valle di Urubamba, chiamata anche Valle Sacra, a nord della capitale Inca di Cusco.

I risultati hanno rivelato che “Machu Picchu era sostanzialmente più diversificato geneticamente rispetto ai villaggi rurali contemporanei nelle Ande”, ha dichiarato Lucy Salazar, un’archeologa dell’Università di Yale che ha condotto lo studio.

Inoltre, il team ha trovato una differenza significativa tra gli antenati genetici dei servitori maschi e femmine: la maggior parte degli individui maschi proveniva dalle regioni degli altipiani, mentre le femmine avevano antenati molto più diversi e non degli altipiani.

Nel testare gli scheletri per la parentela biologica, i ricercatori hanno trovato solo una coppia di parenti di primo grado: una madre e una figlia sepolte l’una vicino all’altra. La madre sembra provenire dalle pianure amazzoniche, mentre la figlia è cresciuta negli altopiani o nelle Ande costiere. La mancanza di ulteriori relazioni biologiche suggerisce che i servi arrivarono a Machu Picchu come individui piuttosto che come comunità o famiglie allargate, hanno concluso i ricercatori.

Ken-ichi Shinoda, antropologo e direttore del Museo nazionale della natura e della scienza del Giappone, non coinvolto nello studio, ha dichiarato che “considerando che Machu Picchu era una città significativa all’epoca, non sorprende che persone provenienti da varie regioni andine si siano riunite qui”. Shinoda e il suo team hanno precedentemente analizzato il DNA di scheletri in luoghi di sepoltura non d’élite intorno a Machu Picchu e hanno trovato una diversità genetica molto inferiore.

Gli scheletri nel nuovo studio, che sono stati scavati e portati alla Yale University nel 1912, sono stati oggetto di richieste di rimpatrio fino a quando non sono stati tutti restituiti al Perù nel 2012. In passato, “non potevo analizzarli”, ha detto Shinoda“Ora che è diventato possibile, sono lieto che siano state fatte nuove scoperte”.

Mentre le nuove analisi rivelano informazioni sulle origini e sulla vita dei servitori che gestivano Machu Picchu, rimangono interrogativi sulla vita dei reali.

“Nonostante i limiti intrinseci”, hanno scritto i ricercatori, “le nostre analisi degli individui non elitari dimostrano che le informazioni genomiche, in combinazione con fonti archeologiche ed etnostoriche, possono rivelare una visione più sfumata e completa della vita quotidiana a Machu Picchu rispetto a quella disponibile in passato”.

https://reccom.org/machu-picchu-dna-getta-nuova-luce-sul-popolo-incas/

giovedì 1 dicembre 2022

Trovata la chiave dell’intelligenza dei polpi, è la stessa degli esseri umani.

  I polpi, dal punto di vista evolutivo, rappresentano un caso unico: possiedono sia un grande cervello centrale, sia un sistema nervoso periferico (Fonte: Nir Friedman)


È nel vasto repertorio di piccole molecole di Rna nel tessuto nervoso.


È stata finalmente trovata la probabile chiave della grande intelligenza di polpi, calamari e seppie, ed è una caratteristica che hanno incredibilmente in comune con gli esseri umani: si tratta del vasto repertorio, osservato all’interno del tessuto nervoso, di piccole molecole di Rna, il parente a singola elica del Dna implicato in vari ruoli biologici di codifica, decodifica, regolazione ed espressione dei geni.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Science Advances e guidata dal Centro tedesco Max Delbrück, rende questi molluschi un’eccezione unica tra gli animali invertebrati, che possono ricordare informazioni, riconoscere le persone e forse perfino sognare.

Mentre i vertebrati, in particolare primati e altri mammiferi, hanno sviluppato cervelli grandi e complessi con diverse capacità cognitive, gli invertebrati non l’hanno fatto. Con un'eccezione: i cefalopodi, cioè quei molluschi marini che comprendono polpi, calamari e seppie.

I polpi in particolare, dal punto di vista evolutivo, rappresentano un caso unico: possiedono sia un grande cervello centrale, sia un sistema nervoso periferico, che è in grado di agire in maniera indipendente.

I ricercatori si sono a lungo chiesti il perché di questa stranezza e ora il gruppo guidato da Nikolaus Rajewsky potrebbe aver trovato la risposta: le piccole molecole di Rna note come microRna. Queste strutture influenzano in particolare la produzione di proteine e in alcuni cefalopodi se ne è evoluta una grande varietà, quasi quante le centinaia prodotte dal Dna umano: “È la terza più grande espansione delle famiglie di microRna nel mondo animale e la più grande al di fuori dei vertebrati”, commenta Rajewsky. “Per dare un’idea del livello di questa espansione, altri molluschi come le ostriche hanno acquisito solo cinque nuove famiglie di microRna da quando si sono separate dall’antenato comune che hanno condiviso con i polpi – aggiunge il ricercatore – mentre questi ultimi hanno evoluto 90 nuove famiglie”.

sabato 2 aprile 2022

Completata la mappa del genoma umano, Dna senza segreti. - Enrica Battifoglia

 

Ci sono voluti 21 anni e tecnologie avanzatissime, ma finalmente il Dna umano non ha più segreti e diventa più facile fare passi in avanti nella medicina personalizzata, con la diagnosi di malattie finora impossibili da riconoscere, nella genetica delle popolazioni e nella possibilità di riscrivere il Dna.

I risultati sono pubblicati in sei articoli in un numero speciale della rivista Science, che a questo traguardo dedica la copertina.

"E' come avere un vocabolario" del Dna, osserva il genetista Giuseppe Novelli, dell'università di Roma Tor Vergata. "Abbiamo dei termini di riferimento che finalmente rendono possibile fare la diagnosi di alcune malattie" rare, caratterizzate da sequenze genetiche instabili.

"Non basta sequenziare il Dna: bisogna saperlo leggere e bisogna interpretarlo. In caso contrario, risulta molto difficile fare la diagnosi malattie dovute a sequenze ripetute, con interruzioni che in passato non si potevano vedere".

Il grande libro della vita era stato tradotto per la prima volta nel 2001, ma i computer di allora non erano riusciti a decifrare tutti i passaggi e avevano lasciato degli spazi bianchi, che complessivamente corrispondevano all'8% del genoma. Solo adesso queste lacune sono state colmate e diventa possibile leggere il Dna umano dall'inizio alla fine senza interruzioni, grazie al lavoro fatto dal consorzio internazionale chiamato Telomere-to-Telomere (T2T). "Stiamo vedendo capitoli che non sono mai stati letti prima", scrivono i ricercatori. I nuovi capitoli corrispondono a 200 milioni di lettere, che complessivamente equivalgono all'informazione contenuta in un cromosoma. Era come avere una mappa di new York senza Manhattan, dicono i ricercatori.

"Se ottenere il sequenziamento del Dna è come mettere insieme un puzzle, il genoma di riferimento è avere l'immagine del puzzle finito sulla scatola: ti aiuta a mettere insieme i pezzi", ha detto uno degli autori della ricerca, l'ingegnere biomedico del National Institute of Standards and Technology (Nist), Justin Zook. Le parti mancanti comprendono sequenze che si ripetono molte volte e ora è chiaro che proprio nelle ripetizioni si nasconde il segreto della diversità umana, osserva la genetista Rachel O'Neill, dell'Università americana del Connecticut e responsabile scientifica del progetto T2T. Per portare alla luce questo lato ancora nascosto del Dna umano "ci sono voluti nuovi metodi di sequenziamento del Dna e di analisi computazionale", rileva il genetista Francis Collins, consulente scientifico della Casa Bianca ed ex direttore del National Institutes of Health (Nih). "E' valsa la pena aspettare", aggiunge, perché "adesso emerge una varietà di sorprendenti caratteristiche architettoniche, con importanti conseguenze per la comprensione dell'evoluzione umana, della variazione e della funzione biologica". Il nuovo libro del Dna è anche a prova d'errore, considerando che i ricercatori hanno utilizzato una sorta di correttore automatico, un programma chiamato Merfin che analizza le sequenze e corregge gli eventuali errori.


https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2022/03/31/completata-la-mappa-del-genoma-umano-dna-senza-segreti-_b824c874-fd47-4ea4-b577-aee08bccecad.html

lunedì 27 settembre 2021

Ricostruito il Dna degli Etruschi. - Paola Catani

 

Ricostruito il Dna degli Etruschi (fonti: in primo piano particolare di un affresco etrusco del 510 a.C, diDave & Margie Hill/Kleerup; sullo sfondo la doppia elica del Dna, di Christoph Bock, Max Planck Institute

Erano cugini degli Italici, ma la loro lingua resta un mistero.

Etruschi cugini degli Italici, lo svela il Dna antico, ma la lingua parlata da questo popolo rimane un mistero. A provare la stretta parentela uno studio genomico definito il più grande mai realizzato sugli Etruschi, condotto da un team di studiosi internazionali, coordinato da Cosimo Posth, del dipartimento di Archeogenetica dell'Istituto tedesco Max Planck per la storia delle Scienze umane a Jena e condotto con le università di Firenze, Tubinga e Jena. Per l'Italia hanno contribuito anche le università di Siena, Napoli Federico II, Ferrara e Padova. Pubblicata sulla rivista Science Advances, la ricerca ha esaminato il Dna di 82 individui vissuti in Italia nell'arco di quasi 2000 anni, dall'800 a.C. al 1.000 d.C, in dodici siti, tra Toscana e Alto Lazio.

I risultati? Gli Etruschi "condividono il profilo genetico dei Latini della vicina Roma e gran parte del loro genoma derivi da antenati provenienti dalla steppa Eurasiatica durante l'età del bronzo". Lo studio, a cui hanno preso parte ricercatori degli Atenei di Firenze, Siena, Ferrara e del Museo della Civiltà di Roma, di Germania, Stati Uniti, Danimarca e Regno Unito, risolve così, si spiega, "l'enigma sulle origini di questa cultura altamente avanzata e ancora poco conosciuta", fiorita durante l'età del ferro nell'Italia centrale, e che ha incuriosito gli studiosi per millenni, coivolgendo storici illustri già dai tempi del greco Erodoto.

Per quest'ultimo discendevano da gruppi migratori anatolici o egei. Per gli archeologici invece hanno avuto un'origine locale, ipotesi suffragata in passato da alcune ricerche su Dna antico. E ora confermata da questa ricerca che fornisce "risposte definitive" sulle origini degli Etruschi. Resta però il mistero della loro lingua, non indoeuropea, estinta, solo in parte compresa. Se "i gruppi legati alla steppa Eurasiatica furono probabilmente responsabili della diffusione delle lingue indoeuropee, ora parlate in tutto il mondo da milioni di persone, la persistenza di una lingua etrusca non indoeuropea in Etruria è un fenomeno intrigante - si spiega - che richiederà un'ulteriore indagine".

"Questa persistenza linguistica, combinata con un ricambio genetico, sfida la tesi che i geni siano uguali alle lingue - afferma David Caramelli, docente di antropologia all'Università di Firenze - e suggerisce uno scenario più complesso che potrebbe aver coinvolto l'assimilazione dei primi popoli italici da parte della comunità linguistica etrusca, forse durante un periodo prolungato di mescolanza nel secondo millennio a.C."

Lo studio ha anche rivelato "importanti trasformazioni genetiche associate a successivi eventi storici" con riferimento sempre all'Italia centrale: una, durante il periodo imperiale romano, legata alla commistione con le popolazioni del Mediterraneo orientale che probabilmente includevano schiavi e soldati trasferiti attraverso l'Impero Romano; l'altra nell'Alto medioevo, identificata con la diffusione di antenati dell'Europa settentrionale nella penisola in seguito al crollo dell'Impero romano d'Occidente.

"Questo cambiamento genetico - afferma Johannes Krause, direttore del Max Planck Institute per l'evoluzione antropologica - descrive chiaramente il ruolo dell'Impero Romano nello spostamento delle persone su larga scala in un momento di maggiore mobilità socioeconomica e geografica". "L'Impero Romano - afferma Cosimo Posth, docente all'Università di Tubinga e Centro Senckenberg per l'evoluzione umana e il paleoambiente - sembra aver lasciato un contributo duraturo al profilo genetico degli europei meridionali, colmando il divario tra le popolazioni europee e del Mediterraneo orientale sulla mappa genetica dell'Eurasia occidentale"

ANSA

sabato 7 marzo 2020

Taglia-incolla Dna usato per la prima volta nel corpo umano.

La Crispr-Cas applicata per la prima volta in vivo nelle cellule della retina (fonte: P. Motta/Università Sapienza di Roma/SPL) © Ansa
La Crispr-Cas applicata per la prima volta in vivo nelle cellule della retina (fonte: P. Motta/Università Sapienza di Roma/SPL)

Per correggere le cellule malate nell'occhio e non in provetta.

La tecnica che taglia e incolla il Dna, la Crispr-Cas, è stata applicata per la prima volta all'interno del corpo umano, per modificare (in vivo e non in provetta) le cellule di una persona colpita da una rara forma di cecità ereditaria incurabile. Il trattamento verrà a breve testato su altri 17 pazienti nell'ambito della sperimentazione 'Brilliance', condotta all'Università dell'Oregon in collaborazione con l'azienda farmaceutica Allergan e la compagnia biotech Editas Medicine.
La terapia sperimentale consiste nell'iniettare nell'occhio un innocuo virus 'fattorino', che nel suo genoma trasporta tutto il necessario per produrre in loco le forbici molecolari ultra-precise della Crispr. L'obiettivo è farle entrare in azione nelle cellule della retina sensibili alla luce (fotorecettori), per correggere la mutazione del gene CEP290 che provoca una rara forma di distrofia chiamata amaurosi congenita di Leber (Acl).
Finora la terapia genica tradizionale prevedeva l'inserimento nella cellula malata di una copia corretta del gene, procedura impossibile nell'amaurosi congenita di Leber perché il gene CEP290 è troppo grande per poter essere veicolato da un vettore virale. In passato un'altra tecnica di editing (quella della nucleasi a dita di zinco) era stata applicata direttamente nel corpo umano, per inserire una copia corretta del gene malato in un paziente colpito da una malattia metabolica (la sindrome di Hunter), ma l'intervento non aveva determinato alcun miglioramento dei sintomi.
L'idea di provare la Crispr nel corpo del paziente, e non sulle sue cellule coltivate in provetta per essere poi reinfuse, rappresenta un notevole cambio di passo nel campo dell'editing genetico. Come spiega sul sito di Nature l'esperto Fyodor Urnov, dell'Università della California a Barkeley, è come paragonare “un volo spaziale a un normale volo in aereo: le sfide tecniche, e i rischi per la sicurezza, sono molto più grandi".

mercoledì 30 ottobre 2019

Questa immagine, chiamata Foto 51, è considerata la più importante fotografia di tutti i tempi. Ecco la sua storia. Avvincente. - Mariella Bussolati


La Foto 51, fatta da Raymond Gosling sotto la supervisione di Rosalind Franklin. Wikipedia.

Un quadro astratto, in bianco e nero, un thriller, rivalità professionali, questioni di genere. E la scienza, non la trama dell’ultimo film di Venezia.
La forma che si vede, una serie di strisce incrociate e un po’ fuori fuoco, sembra un’illusione ottica, ma per un gruppo di scienziati è stata una rivelazione che ha portato a un risultato di una enorme importanza, soprattutto se si considera l’influenza che la genetica ha raggiunto nei nostri giorni: è servita a stabilire la struttura del Dna. E’ una foto, in molti concordano sul fatto che sia la più importante mai fatta nella storia.
Foto 51, chiamata così perché era la cinquantunesima che i suoi autori avevano ottenuto, è un’immagine di diffrazione a raggi X di un filamento della proteina genica da cui dipende la trasmissione delle informazioni che controllano lo sviluppo di ogni organismo, il Dna. Venne catturata da Raymond Gosling, uno studente,  ma la sua paternità va attribuita alla scienziata con cui lavorava, Rosalind Franklin, una biochimica inglese esperta in cristallografia e una campionessa assoluta di indagini a raggi x su varie sostanze. E’ grazie a quelle strisce che si è potuto capire che il Dna era fatto di due molecole intrecciate tra loro, una doppia elica.

Rosalind Franklin. National Portrait Gallery
Rosalind Franklin però non è passata alla storia. Al suo posto ci sono invece James Watson, americano, e Francis Crick inglese ma emigrato in America, due biologi molecolariAssieme a Maurice  Wilkins vinceranno il Premio Nobel per la medicina nel 1962, per le scoperte sulla struttura molecolare degli acidi nucleici e il loro significato nel meccanismo di trasferimento dell’informazione genica negli organismi viventi.
Wilkins era un collega della Franklin al Dipartimento di fisica e biofisica del King’s College di Londra. Da subito i rapporti tra i due si erano mostrati tesi. La Franklin era una donna precisa, determinata, innamorata della scienza. Wilkins era un uomo, era il suo superiore, ed era il 1951. A quell’epoca neppure le scienziate più brave potevano credere di essere pari ai maschi. E atteggiamenti paternalistici e maschilisti erano da mettere nel conto. Il direttore del dipartimento, vista la situazione, decise di assegnare ai due due compiti diversi: la Franklin, viste le sue competenze avrebbe studiato la forma A (cristallina) del Dna, Wilkins quella B (paracristallina).
In quegli anni erano molti a inseguire l’obbiettivo di capire come funziona il nostro materiale genetico. I ricercatori usavano già il termine gene per descrivere l’unità base che codifica le informazioni trasmesse da una generazione all’altra. Non sapevano però in che modo questo avvenisse. Nel 1943 Oswald Avery aveva finalmente dimostrato che il Dna portava informazioni genetiche, ma nessuno sapeva in che modo. Tutti pensavano che non fossero gli acidi nucleici, come è il Dna, a svolgere il ruolo principale. Credevano che il gioco dipendesse invece da altre proteine. Tra gli scienziati che stavano lavorando su questi aspetti c’era anche Linus Pauling, famoso chimico americano, vincitore di due premi Nobel. Nel 1952 venne invitato alla Royal Society londinese e avrebbe dovuto incontrare sia la Franklin, che aveva appena fatto la foto 51, che Wilkins. Ma Pauling era un militante contro la guerra e contro le armi nucleari. Il Maccartismo era arrivato e il passaporto gli venne negato. Aveva già capito che probabilmente il Dna era elicoidale e che i gruppi fosfati si trovano all’interno, mentre la basi erano all’esterno. Ma in mancanza di evidenze convincenti, come avrebbe potuto essere la foto 51, aveva immaginato una elica formata da tre stringhe. Watson e Crick si incontrarono al laboratorio Cavendish di Cambridge nel 1951 e decisero di collaborare sulle indagini del Dna nel 1951. Non essendo chimici non facevano esperimenti ma, precursori dei modellatori 3D, si erano concentrati a creare un modello in cartone, asticelle e palline molto simile a quello che li ha resi famosi nella foto passata alla storia relativa alla loro scoperta.
Watson, Crik e il modellino del Dna a doppia elica.
Venne disegnato da un’altra donna, Odile, la moglie di Crick.
Watson, ancora vivo e ormai novantenne, in gennaio ha perso i titoli onorifici per riprovevoli frasi razziste: ha sostenuto infatti che esisterebbero prove scientifiche della differenza intellettiva e cognitiva tra bianchi e neri. All’epoca invece decise di recarsi al King’s college per capire se gli inglesi, che erano decisamente più bravi nella sperimentazione, avessero ottenuto qualche risultato interessante. Parlò con la Franklin che gli fece notare un errore nel modello. E stabilì uno stretto legame con Wilkins.
Nel maggio del 1952 Franklin ottenne la foto. Ma non la rese subito pubblica. I rapporti all’interno del laboratorio non erano di fiducia. E la gara alla scoperta del Dna stava facendo gola a troppi. Decise dunque di tenerla per sé. Aveva scoperto che il Dna era una doppia elica e forse poteva essere lei a pubblicare la struttura più attesa in quel momento. Ma aveva ancora bisogno di tempo. Wilkins però sapeva che l’aveva. E di nascosto se la fece dare proprio da Gosling. La passò al giovane Watson, che sapeva benissimo dove voleva arrivare. Pauling aveva torto: le catene erano due. La foto 51 lo diceva chiaramente. E a quel punto, grazie alle altre informazioni raccolte da altri, tutti i pezzi del puzzle andarono a posto: le posizioni delle basi (A, adenina, T, timina, C, citosina, G guanina) gli zuccheri, i gruppi fosfati.
Nel 1953 su Nature viene pubblicata la scoperta più importante di tutti i secoli: la struttura del Dna. L’articolo venne firmato da Watson, Crick e Wilkins. La Franklin non meritò neppure un ringraziamento.
Ma una giovane scienziata non aveva tempo da perdere. Lasciò l’ambiente ostile del King’s college per dedicarsi ad altre ricerche, su altre molecole, viaggiò e venne chiamata da molti istituti in tutto il mondo. E continuò a pubblicare fino a quando il cancro, dovuto all’eccessiva esposizione ai raggi x, non la portò via dalla vita. Aveva 38 anni.

mercoledì 14 novembre 2018

Gioco online, le mani delle mafie sul mercato delle scommesse: 68 arresti tra Reggio Calabria, Catania e Bari. - Lucio Musolino

Gioco online, le mani delle mafie sul mercato delle scommesse: 68 arresti tra Reggio Calabria, Catania e Bari

Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) coordinate dalla Dna: in carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata ma anche diversi imprenditori che di fatto erano i prestanome dei clan. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro. L'indagato al telefono: "Cerco nuovi adepti nelle migliori università mondiali, non quattro scemi che fanno bam, bam".

Avevano bisogno di “quelli che cliccano, che movimentano” i soldi facendoli transitare da un Paese all’altro senza lasciar traccia delle transazioni online, non di quelli che fanno “bam bam”, cioè di quelli che sparano. E così avevano puntato tutto sul gioco online, impadronendosi – secondo la Direzione nazionale antimafia – del mercato delle scommesse. Tutte insieme: clan della ‘ndrangheta, famiglie mafiose siciliane e pugliesi che poi puntavano all’estero per riciclare il denaro.

Oltre 60 arresti in Puglia, Calabria e Sicilia – Sessantotto arresti (13 a Catania, 22 a Bari: si tratta di esponenti legati alle famiglie storiche della criminalità organizzata) e un’ottantina di perquisizioni sono stati eseguiti stanotte dalla guardia di finanza, dalla Dia, dalla polizia e dai carabinieri. Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) e centinaia di uomini impegnati nel blitz coordinato dalla Dna e dal procuratore Federico Cafiero De Raho. In sostanza le mafie si sono spartite e controllano il mercato della raccolta illecita delle scommesse on line. 

Volume d’affari da 4,5 miliardi di euro – Oltre all’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Bari e ai due provvedimenti di fermo eseguiti dalle Dda di Reggio Calabria e Catania, c’è stato un sequestro di beni in Italia e all’estero per oltre un miliardo di euro. Il volume delle giocate relative agli eventi sportivi, e non solo, era molto più vasto. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, infatti è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro.
Imprenditori e prestanome – In carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata pugliese, reggina e catanese. Ma anche diversi imprenditori che, stando alla ricostruzione degli inquirenti, di fatto erano i prestanome dei clan. Le tre procure contestano i reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggioautoriclaggio, illecita raccolta di scommesse on line e fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni. In Calabria, in Sicilia e in Puglia il sistema è pressoché lo stesso: seguendo il percorso del denaro utilizzato per scommettere su internet, la guardia di finanza è riuscita a ricostruire come i gruppi criminali coinvolti nell’inchiesta si sono spartiti e controllavano, con modalità mafiose, il mercato delle scommesse clandestine on line.
I sequestri da Malta a Curacao – Il tutto utilizzando diverse piattaforme gestite dalle stesse organizzazioni. I soldi, accumulati illegalmente, venivano poi reinvestiti in patrimoni immobiliari e posizioni finanziarie all’estero intestati a persone, fondazioni e società, tutte ovviamente schermate grazie alla complicità di diversi prestanome. E proprio per rintracciare il patrimonio accumulato ed effettuare i sequestri è stata fondamentale la collaborazione di Eurojust e delle autorità giudiziarie di Austria, Svizzera, Regno Unito, Isola di Man, Paesi Bassi, Curacao, Serbia, Albania, Spagna e Malta.
Le giovani leve dei “teganini” – Nel corso di una conferenza stampa che si terrà stamattina a Roma, nella sede della Dna, saranno illustrati i dettagli delle tre operazioni che, per quanto riguarda la ‘ndrangheta, sono state coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri e dai sostituti della Dda Stefano Musolino e Sara AmerioIl provvedimento di fermo ha riguardato anche le giovani “leve” delle cosche. In particolare, nel provvedimento di fermo sono finiti alcuni dei “teganini”, i figli dei boss Tegano che, assieme ai De Stefano e i Condello, hanno fatto la storia criminale della città dello Stretto.
Il ruolo dei “teganini” – Tra i destinatari del provvedimento di fermo c’è Domenico Tegano, detto “Mico”, figlio del boss ergastolano don Pasquale. Quest’ultimo dopo anni di latitanza era stato catturato nel 2004 e, da allora, è detenuto al 41 bis nel carcere di Spoleto perché ritenuto dagli inquirenti un “elemento verticistico della cosca”. Mico Tegano è il suo primogenito e, secondo gli investigatori, ha un carisma “fuori dal comune”. Fino a ieri erano conosciuti in città per aver terrorizzato la movida reggina con risse, estorsioni, spaccio di cocaina e controllo quasi militare dei lidi sul lungomare di Reggio. Oltre alle tradizionali attività criminali, però, il rampollo si occupava di scommesse e da anni è solito recarsi anche all’estero. Di Mico Tegano ne ha parlato anche il collaboratore Mariolino Gennaro che, prima di pentirsi, era l’uomo della cosca che, da Malta, gestiva gli affari legati alle scommesse online.
L’esuberanza dei “baby boss” – Il pentito ha raccontato al pm Musolino di quando Mico Tegano ha piazzato una bomba in una delle sue sale giochi solo perché si era rifiutato di dare dei soldi al figlio del boss intanto cresciuto e a capo di un “un gruppo malavitoso di 40 persone tutti facenti parte della zona di Archi”. I Teganini appunto che, nell’ultimo periodo, hanno creato non pochi problemi a Reggio Calabria. Un paio d’anni fa sono arrivati ad aggredire anche due poliziotti intervenuti a sedare una rissa. Proprio per l’esuberanza dei baby boss, con le altre cosche si sono registrate frizioni che, in determinati momenti, stavano per degenerare. Approfittando del fatto che i mammasantissima sono tutti, o quasi, in carcere, i “teganini” stavano cercando di ridiscutere gli accordi sulle estorsioni e non sono mancate le intimidazioni e i danneggiamenti anche ad esponenti storici della ‘ndrangheta reggina.
L’inchiesta del 2015 e gli “adepti” – L’operazione di oggi quindi prende le mosse dall’inchiesta “Gambling” che nel 2015 aveva portato all’arresto di Mario Gennaro. Le sue dichiarazioni ai magistrati avevano confermato i sospetti della Dda di Reggio Calabria sull’interessamento della ‘ndrangheta nel settore delle scommesse. Già nelle intercettazioni dell’epoca gli indagati parlavano di “pennette” e “percentuali nelle scommesse”. La collaborazione del pentito Gennaro, che dal pm Sara Amerio in un interrogatorio è stato definito “la rappresentazione vivente della ‘ndrangheta unitaria”, si è rivelata fondamentale per riscontrare quello che il pm Stefano Musolino e la guardia di finanza avevano già scoperto in quegli anni e che può essere sintetizzato in un’intercettazione finita agli atti dell’inchiesta. Una conversazione tra indagati in cui uno di loro spiega la nuova frontiera delle cosche: “Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali e tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada che vanno a fare così.. Bam, bam!!. Io cerco quelli che fanno così, invece: Pin, pin!! Che cliccano! Quelli cliccano e movimentano… È tutta una questione di indice, capito?”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 14 novembre 2018

martedì 30 gennaio 2018

Genoma, ricercatori italiani scoprono arma di precisione contro il Dna malato.

Modello di Dna

Svolta all'Università di Trento, nuova molecola corregge alterazioni delle malattie. Si apre una nuova frontiera, non solo per la lotta ai tumori e alle malattie genetiche.

Trento, 30 gennaio 2018 - Svolta per la ricerca sul genome editing. Al Cibio Università di Trento si è trovato il modo di renderlo un'arma di precisione pressoché assoluta, che spara un solo proiettile e uccide il Dna malato. Secondo i ricercatori, ciò renderà il genome editing utilizzabile per la correzione delle alterazioni presenti, ad esempio in malattie genetiche e tumori. Lo studio è pubblicato su Nature Biotechnology. "Abbiamo messo a punto un metodo sperimentale attraverso cui otteniamo una molecola, evoCas9, davvero precisa nel cambiare il Dna".
Si tratta di "un enzima di affidabilità assoluta, che effettua il cambiamento soltanto nel punto stabilito", commenta Anna Cereseto, professoressa del Cibio-Center for integrative biology e autrice dell'articolo che descrive lo studio su "Nature Biotechnology". Gli ambiti di applicazione del "correttore perfetto" evoCas9 non si limitano alle malattie genetiche e ai tumori, ma si estendono agli altri settori non medici in cui il genome editing è ormai essenziale: il miglioramento delle piante di interesse alimentare e degli animali da allevamento. 
LA SODDISFAZIONE - Erano in tanti, a livello internazionale, a lavorare in questo ambito. La scoperta del Cibio sembra sbaragliare la concorrenza. "Il genome editing è davvero la scoperta del secolo in medicina, e non solo", ha sottolineato il direttore del centro, Alessandro Quattrone. "Questa invenzione di Anna e dei suoi altrettanto brillanti collaboratori e colleghi è certo a oggi il contributo più importante che abbiamo dato allo sviluppo di terapie. Mesi fa - ha continuato - già il gruppo aveva proposto intelligenti miglioramenti al metodo. Si era parlato di 'bisturi genomico usa e getta'. Ma con evoCas9 siamo davvero alla differenza fra un utile espediente e un game changer. Grazie a questo studio, che peraltro si integra perfettamente con il precedente, il genome editing può diventare adulto". Quindi conclude: "Il nostro sforzo adesso è far sì che il ritrovato dia frutto, per quanto possibile, in Trentino".

mercoledì 15 novembre 2017

Usa, primo Dna modificato su un paziente. "Così cureremo alcune malattie metaboliche".

Usa, primo Dna modificato su un paziente. "Così cureremo alcune malattie metaboliche"
Brian Madeux, 44 anni, con la sua compagna Marcie Humphrey, in attesa di ricevere il trattamento (ap).

L'esperimento a Oakland (California) su un 44enne affetto da una rara malattia metabolica. L'esito del trattamento sarà noto fra tre mesi. La tecnica verrà testata anche per l'emofilia. Novelli: risultato straordinario e non vedo grossi rischi.

Un 'nuovo' Dna per curare un paziente. Il primo esperimento al mondo su un adulto è stato fatto lunedì scorso a Oakland, in California, su Brian Madeux, 44enne affetto da una rara malattia metabolica congenita chiamata sindrome di Hunter. 
I medici sono intervenuti con l'editing dei geni con l'obiettivo di 'aggiustare' il gene che ha causato la patologia di cui soffre sin dalla nascita. Bisognerà attendere circa un mese per avere i primi segnali di successo mentre in tre mesi i test confermeranno o meno il risultato. "Sono disposto a correre questo rischio e spero di aiutare altre persone malate", ha detto il paziente all'Associated Press.

La modifica del Dna 'in corsa', direttamente nel corpo di un uomo, non era mai stata tentata fino ad ora. Il rischio è che il gene 'correttivo' si inserisca in modo imprevisto nella sequenza del genoma, causando nuove anomalie - e quindi altre possibili patologie, come il cancro - invece di sanare il difetto all'origine. 
E poiché, una volta inserita nel Dna, la modifica diventa irreversibile è chiaro che se qualcosa dovesse andar male non ci sono margini per tornare indietro. La tecnica, già sperimentata con successo sugli embrioni degli animali, verrà testata anche per altre malattie metaboliche, inclusa l'emofilia.

LEGGI La famiglia Crispr si allarga: è possibile modificare anche l'Rna

È come avere inviato un mini chirurgo nel corpo del malato per intervenire su di lui, ha spiegato il dottor Sandy Macrae, presidente della Sangamo Therapeutics, società californiana che sta testando la terapia per curare due malattie metaboliche, oltre all'emofilia.

La tecnica di manipolazione del genoma umano, usando Crispr-Cas9è stata applicata con successo in Cina per curare un malato di cancro. In quel caso, il codice genetico era stato mutato in modo efficace, senza produrre mutazioni indesiderate.
''Stiamo davvero giocando con Madre Natura" e i rischi reali non sono del tutto sconosciuti, ma la scienza non può fermarsi di fronte alle malattie incurabili, ha spiegato il dottor Eric Topol dello Scripps Translational Science Institute di San Diego. Finora gli esperimenti condotti sugli animali sono incoraggianti, come ricorda anche il dottor Howard Kaufman del National Institutes of Health di Boston che ha approvato gli studi, sottolineando che i test sulla sicurezza fanno ben sperare e che la posta in gioco è troppo alta per non tentare questa strada. Ed è entusiasta Giuseppe Novelli, genetista e rettore dell'università romana di Tor Vergata. "E' la prima volta al mondo che si tenta un gene editing su una malattia metabolica e su un uomo adulto - spiega - ed è una notizia straordinaria. L'unico rischio potenziale è quello che noi definiamo starget, con una s davanti alla parola target: vuol dire che durante le procedure di modifica del Dna ottieni una modifica anche dove non avevi intenzione di operarne. Quando lo abbiamo fatto con i virus lo starget ha attivato dei geni che hanno innescato dei tumori. Ma normalmente non accade nulla, perché la stragrande maggioranza del nostro Dna non è strettamente necessario. Come facciamo a vedere che c'è stato uno starget? Bisogna leggere tutto il Dna, con le tecniche di sequenziamento, per operare una verifica. Comunque, come disse un collega presentando la tecnica a Berkley, è più probabile che ci cada un meteorite sulla testa che si verifichino problemi con questa tecnica".

Circa 10mila persone nel mondo soffrono di malattie metaboliche, come quella di Madeux, molte delle quali sono spesso causa di morte prematura. La sindrome di Hunter, in particolare, è causata dall'assenza di un gene in grado di produrre un enzima che permette l'omeostasi dei tessuti, provocando raffreddori e infezioni frequenti all'orecchio, deformazioni al viso, danni a vie respiratorie e a vari organi, fino a colpire intestino e cervello. 

La terapia consiste nel rimpiazzare l'enzima mancante, ma è invasiva (si effettua con trasfusioni) e costosa (da 100 a 400mila dollari all'anno). Una soluzione diversa - e definitiva - come il gene editing, risolverebbe i problemi di tanti malati, che oggi muoiono in giovane età.

Brian Madeux, laureato e proprietario di due ristoranti nello Utah, ora vive vicino a Phoenix ed è fidanzato con un'infermiera, Marcie Humphrey, incontrata 15 anni fa in uno studio che ha testato questa terapia enzimatica all'ospedale pediatrico UCSF Benioff di Oakland, dove è stato eseguito l'esperimento di manipolazione genetica. Durante il trattamento, Madeux ha raccontato la sua via crucis ai media Usa, spiegando di avere subito continuamente interventi chirurgici a causa della sua malattia e di avere rischiato di morire poco tempo fa per una polmonite. La sua passione, quando la sua malattia glielo permette, è cucinare per le celebrità, ha spiegato Madeux. E spera di tornare a farlo quanto prima, così come andare a cavallo nel tempo libero.


http://www.repubblica.it/salute/2017/11/15/news/usa_scienziati_provano_a_modificare_dna_in_un_paziente-181147279/