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mercoledì 5 giugno 2024

Gli scienziati trovano il genoma più grande di sempre. - Lucia Petrone

La scoperta.

Una piccola felce apparentemente insignificante che cresce solo su una remota isola del Pacifico è stata incoronata venerdì detentrice del Guinness World Record per avere il genoma più grande di qualsiasi organismo sulla Terra. La felce della Nuova Caledonia, Tmesipteris oblanceolata , ha più di 50 volte più DNA racchiuso nel nucleo delle sue cellule rispetto agli esseri umani. Se il DNA di una delle cellule della felce – che sono larghe solo una frazione di millimetro – venisse svelato, si estenderebbe fino a 106 metri hanno detto gli scienziati in un nuovo studio. In piedi, il DNA sarebbe più alto della torre che ospita la famosa campana del Big Ben di Londra.Il genoma della felce pesava ben 160 coppie di gigabasi (Gbp), la misura della lunghezza del DNA. Si tratta del 7% in più rispetto alla precedente detentrice del record, la pianta da fiore giapponese Paris japonica. Il genoma umano è relativamente esiguo: 3,1 Gbp. Se il nostro DNA venisse svelato, sarebbe lungo circa due metri. La coautrice dello studio Ilia Leitch, ricercatrice presso i Royal Botanic Gardens di Kew nel Regno Unito, ha dichiarato all’AFP che il team è stato “davvero sorpreso di trovare qualcosa di ancora più grande della Paris japonica “. “Pensavamo di aver già raggiunto il limite biologico. Stiamo davvero spingendo agli estremi della biologia”, ha detto. La felce, alta dai 5 ai 10 centimetri, si trova solo in Nuova Caledonia, un territorio francese del Pacifico recentemente teatro di disordini. Due membri del gruppo di ricerca si sono recati sull’isola principale, Grand Terre, nel 2023 e hanno lavorato con scienziati locali per lo studio, che è stato pubblicato. Il Guinness World Records ha assegnato alla felce l’ambito “titolo del genoma più grande”. La vittoria di “questa felce dall’aspetto innocuo” dimostra che “i detentori del record non sono sempre i più appariscenti all’esterno”, ha detto Adam Millward, caporedattore del Guinness World Records. Cos’è ancora un genoma? Si stima che gli esseri umani abbiano più di 30 trilioni di cellule nel nostro corpo. All’interno di ciascuna di queste cellule c’è un nucleo che contiene il DNA, che è come un “libro di istruzioni che spiega a un organismo come noi come vivere e sopravvivere”, ha spiegato Leitch. Tutto il DNA di un organismo è chiamato genoma. Finora gli scienziati hanno stimato la dimensione del genoma di circa 20.000 organismi, solo una frazione della vita sulla Terra. Tra gli animali il più grande è il dipnoo marmorizzato, con 130 Gbp. Sebbene le piante abbiano i genomi più grandi, possono anche averne di incredibilmente piccoli. Il genoma della carnivora Genlisea aurea è di soli 0,06 Gbp. Ma noi esseri umani non dobbiamo sentirci inadeguati quando ci confrontiamo con il potente T. oblanceolata . Tutte le prove suggeriscono che avere un genoma enorme è uno svantaggio, ha detto Leitch. Più DNA hai, più grandi devono essere le tue cellule per comprimerlo tutto.

Per le piante, cellule più grandi significano che i pori delle foglie devono essere più grandi, il che può farle crescere più lentamente. È anche più complicato creare nuove copie di tutto quel DNA, limitando le loro capacità riproduttive. Ciò significa che i genomi più massicci si riscontrano nelle piante perenni a crescita lenta che non possono adattarsi facilmente alle avversità o competere con la concorrenza. Le dimensioni del genoma possono quindi influenzare il modo in cui le piante rispondono ai cambiamenti climatici , al cambiamento dell’uso del territorio e ad altre sfide ambientali causate dagli esseri umani, ha affermato Leitch. A cosa serve tutto quel DNA? Potrebbero esserci ancora genomi più grandi da qualche parte là fuori, ma Leitch pensa che questa felce debba essere vicina al limite. “Non riesco a capire come funzioni davvero un organismo con tutto questo DNA”, ha detto. Gli scienziati non sanno cosa fa la maggior parte del DNA in genomi così grandi, ha ammesso. Alcuni dicono che la maggior parte è “DNA spazzatura”. “Ma probabilmente è colpa della nostra ignoranza. Forse ha una funzione e dobbiamo ancora trovarla”, ha detto Leitch. Jonathan Wendel, un botanico della Iowa State University non coinvolto nella ricerca, concorda che è “sorprendente” la quantità di DNA che la felce sta immagazzinando. Ma questo “rappresenta solo il primo passo”, ha detto all’AFP. “Un grande mistero è il significato di tutta questa variazione: come crescono e si restringono i genomi e quali sono le cause e le conseguenze evolutive di questi fenomeni?”

sabato 22 luglio 2017

Ecco perché siamo diventati bianchi: tutto in 8mila anni d'evoluzione. - Rosita Rijtano

Ecco perché siamo diventati bianchi: tutto in 8mila anni d'evoluzione

Lo rivela uno studio ottenuto comparando il genoma degli antichi europei con chi ha abitato il Vecchio continente in epoca recente. I responsabili dei vari cambiamenti, che riguardano la pelle, ma anche la dieta, sarebbero 5 geni sottoposti a una forte selezione naturale.

TUTT'ALTRO che bianchi, anzi: di pelle scura e intolleranti al latte. Eravamo così, in una parola: diversi. Poi, in un niente, quasi come dall'oggi al domani: siamo cambiati, trasformandoci in super velocità. Sono bastati, infatti, appena ottomila anni per renderci esattamente ciò che siamo. Una bazzecola rispetto ai tempi diluiti che di norma dettano i meccanismi dell'evoluzione. Ma il ritmo accelerato è stato impresso dalle migrazioni che si sono susseguite nel continente europeo, una dopo l'altra, e hanno mescolato i nostri cromosomi. Fino a regalarci i tratti tipici, dalle sfumature comuni, che ci caratterizzano ancora adesso. Perché la storia lo insegna: non siamo stati solo conquistadores, anche conquistati. E la scienza lo dimostra.

Il quadro lo delinea uno studio appena presentato all'84esimo congresso dell'American Association of Physical Anthropologists, e ripreso dalla rivista Science

Un lavoro confezionato mettendo a confronto il genoma di 83 dei nostri precursori con quello di chi ha occupato l'Europa in epoca recente. E che affonda le sue radici in diversi paper stilati in precedenza, dove sempre gli stessi ricercatori, dna alla mano, sono già arrivati a delle importanti conclusioni. Prima di tutto, a inizio 2015, il team ha dimostrato che i cittadini del Vecchio continente sono il frutto della miscela di tre popolazioni differenti. Una colonizzazione avvenuta in varie fasi consecutive. E poi che le lingue indoeuropee sono state probabilmente importate circa 4500 anni fa, dopo il trasferimento della tribù nomade degli Yamnaya dalle steppe al Mar Nero. Adesso il gruppo, che ingloba i genetisti Iain Mathieson e David Reich, si spinge persino oltre. Per individuare quali sono quei geni che, superando una forte selezione naturale, si sono diffusi con sorprendente rapidità. Tanto da marchiarci a vita. Sono cinque quelli finiti nel mirino, responsabili di alcune delle nostre caratteristiche fondamentali: la dieta, gli aspetti della corporatura e il colore della pelle. "Stiamo, ora, ottenendo un'immagine più dettagliata di come funziona la selezione naturale", commenta al magazine scientifico Georgy Perry, genetista antropologico, non coinvolto nelle analisi. 
Spiega la giornalista Ann Gibbson: "Per iniziare, gli scienziati hanno confermato la tesi di un altro report, secondo cui 8mila anni fa cacciatori e coltivatori europei non riuscivano a digerire lo zucchero nel latte. Una particolarità: lo stesso valeva per i primi contadini. Il motivo: sia negli agricoltori che arrivarono dal vicino oriente 7800 anni fa, sia nei pastori Yamnaya giunti dalle steppe, era assente la versione del gene LCT che permette agli adulti di assimilare il lattosio. Sembra, allora, che la tolleranza all'alimento si sia diffusa nel continente non prima di 4300 anni fa". Per quel che riguarda, invece, la statura c'è bisogno di fare una differenza. Nel nord e nel centro d'Europa, sono stati favoriti i geni che portano alla nascita di persone alte, soprattutto dopo la migrazione degli Yamnaya. Il contrario è avvenuto in Italia e, in particolare, in Spagna, dove 6mila anni fa gli abitanti sono diventati più piccini. Un modo, forse, per adattarsi alla dieta povera e a delle temperature più fredde.

Ma il capitolo più ghiotto della ricerca riguarda la nostra epidermide, come è cambiato il suo colore nei secoli. Una trasformazione che rivela una storia complessa. "Si presuppone che gli umani moderni, arrivati dall'Africa circa 40 mila anni fa, avessero la pelle scura, vantaggiosa alle latitudini soleggiate", racconta Gibbson. Una teoria confermata dai risultati sfornati in questi giorni: 8500 anni fa spagnoli, lussemburghesi e ungheresi erano tutt'altro che pallidi. Perché mancavano di due geni responsabili della depigmentazione e, quindi, della pelle bianca: il SLC24A5 e il SLC45A2. La situazione cambiava salendo più su. Nel sito archeologico di Motala, in Svezia, gli scienziati hanno trovato sette persone dotate di entrambe le particelle cromosomiche. Non solo, ne avevano anche una terza -  l'HERC2/OCA - legata agli occhi blu. Conclusione: "gli antichi cacciatori e raccoglitori dell'Europa del nord erano già cerei e dalle pupille chiare, mentre quelli del centro e del sud avevano la pelle scura".

Come siamo arrivati, quindi, ad avere tutti la stessa carnagione? I responsabili sono i primi agricoltori arrivati dal vicino oriente, con un carico di geni dal color bianco. Uno dei due si è diffuso attraverso il Vecchio continente quando i neo colonizzatori si sono mixati con i vecchi indigeni, e così anche le popolazioni più meridionali hanno iniziato ad avere la pelle chiara. L'altra variante, il SLC45A2, si è fatta strada solo a partire da 5800 anni fa. Certo, lo studio ha una lacuna. Come annota sempre Gibbson, gli autori non spiegano per quale motivo quelle particelle cromosomiche sono state sottoposte a una forte selezione naturale. Una spiegazione possibile, almeno per quel che riguarda la pelle, la dà la (paleo)antropologa Nina Jablonski della Pennsylvania State University. Cioè massimizzare la sintesi della vitamina D, utile per assorbire calcio e fosforo. Conclude la giornalista: "Le persone che vivono alle latitudini settentrionali spesso non ricevono abbastanza raggi ultra violetti per sintezzarla. E la selezione potrebbe aver favorito due soluzioni genetiche per risolvere il problema: la diffusione della pelle bianca, che assorbe gli UV in modo più efficiente, o la tolleranza al lattosio capace di digerire gli zuccheri e la vitamina D naturalmente presenti nel latte". "Quella che abbiamo pensato fosse una semplice fotografia della depigmentazione in Europa, si è rivelato essere un emozionante mosaico della selezione", dice Jablonski. "Questi dati sono divertenti perché dimostrano quanto l'evoluzione sia stata recente".


http://www.repubblica.it/scienze/2015/04/20/news/ecco_perche_siamo_diventati_bianchi_tutto_in_8_mila_anni_d_evoluzione-111370279/

lunedì 16 maggio 2016

Scienziati Usa valutano genoma sintetico. - Anna Lisa Rapanà



Riunione segreta ad Harvard, ma 'creare' uomo ancora lontano.


Un incontro 'segreto' per valutare la creazione di un genoma umano sintetico. Si è tenuto presso la Harvard Medical School a Boston e ha visto la partecipazione di 150 esperti cui è stato chiesto di mantenere quella conversazione privata e confidenziale. Del resto il tema è delicato, se non controverso, e pone non poche preoccupazioni per la comunità scientifica: comporre in maniera sintetica il Dna contenuto in un cromosoma umano vuol dire aprire una porta tanto affascinante quanto piena di incognite, in quanto potrebbe portare ad usare un genoma sintetico per creare un essere umano senza genitori biologici, sottolinea il New York Times. Le considerazioni sono quindi tutte di natura etica, perché sul valore di un tale passo in avanti gli organizzatori dell'evento di cui da' conto il New York Times non hanno dubbi e sarebbe considerata come una continuazione del Progetto sul Genoma Umano, con l'iniziativa che andrebbe al di là della sola lettura del Dna, si potrebbe infatti parlare di una 'scrittura'del genoma umano in quanto ci si spinge fino a sintetizzarlo. In questo senso lo scenario che più inquieta molti è quello che intravede la possibilità che questa strada apra la porta in prospettiva a certi estremi, come la possibilità di sintetizzare e riprodurre determinati tratti o addirittura di 'fare copie' di determinate presone. 

Per porre la questione etica si è fatto avanti Drew Endy, bioingegnere a Stanford, che ha scritto un articolo proprio per criticare questo tipo di progetto. Alla riunione ad Harvard Endy non ha preso parte, sebbene fosse stato invitato, perché ha giudicato l'incontro troppo limitato a livello di partecipazione e con poca attenzione per l'aspetto etico

Ma George Church, professore di genetica alla stessa Harvard Medical School e tra gli organizzatori del progetto proposto, ha subito frenato, tentando di sgomberare il campo da interpretazioni troppo azzardate: il progetto non ha lo scopo di creare persone, ma soltanto cellule. Inoltre, ha precisato, non sarebbe ristretto ai genomi umani, ma avrebbe lo scopo di acquisire e migliorare la capacità di sintetizzare il Dna in generale , con applicazioni possibili per piante, animali e microbi. Il progetto non ha al momento finanziamenti, sebbene alcune aziende e fondazioni abbiano manifestato interesse, mentre la richiesta di fondi verrà avanzata anche al governo federale americano.

sabato 29 giugno 2013

E' di un cavallo del Pleistocene il più antico genoma sequenziato.



Risalente a 700.000 anni fa, quasi ai limiti teorici di conservazione del DNA, ha consentito di stabilire che la divergenza dei cavalli da zebre e asini è avvenuta intorno a quattro milioni di anni fa, il doppio di quanto finora stimato. Il confronto di questo antico genoma con quello dei cavalli domesticati moderni e con il cavallo di Przewalski ha anche permesso di identificare la probabile firma genetica del processo di domesticazione 

Un significativo raffinamento della storia evolutiva del cavallo è stato ottenuto da un gruppo internazionale di ricercatori grazie al sequenziamento, sia pure a bassa copertura, del genoma di un equino vissuto circa 700.000 anni fa. 

Il risultato – pubblicato su “Nature" in un articolo a prima firma Ludovic Orlando dell'Università di Copenaghen – è particolarmente importante perché dimostra la possibilità concreta di recuperare frazioni significative di genoma anche molto antico: il reperto da cui è stato ottenuto è infatti una decina di volte più antico di quelli dai quali era stato finora possibile ottenere una mappatura riguardante l'intera sequenza di DNA, e non solo di piccoli frammenti. Grazie a questi risultato ci si è quindi avvicinati di molto al limite teorico di sopravvivenza del DNA, che, secondo gli attuali modelli, in ambienti molto freddi sarebbe attorno al milione di anni. 

E' di un cavallo del Pleistocene il più antico genoma sequenziato
Filogenesi del cavallo. (Cortesia Ludovic Orlando/Nature)
Il genoma è estratto da un frammento osseo recuperato dal permafrost artico a Thistle Creek, nello Yukon, in Canada, attribuito a un cavallo vissuto nel Medio Pleistocene, Equus lambei. Dopo il sequenziamento, per la ricostruzione filogenetica i ricercatori hanno confrontato i dati ottenuti con quelli relativi a un cavallo del Tardo Pleistocene, risalente a circa 43.000 anni fa, di un cavallo di Przewalski (Equus ferus przewalskii), che è considerato l'unico membro del genere Equus ancora veramente selvaggio, di cinque razze del cavallo domestico (Equus ferus caballus) e di un asino (Equus asinus). 

Le analisi hanno indicato che il lignaggio di Equus ha dato origine a tutti i cavalli contemporanei, alle zebre e agli asini fra i quattro e i 4,5 milioni di anni fa, vale a dire un tempo circa doppio a quello convenzionalmente accettato per il più recente antenato comune del genere Equus

La divergenza fra le popolazioni equine attuali e il cavallo di Przewalski è comparsa invece fra i 38.000 e i 72.000 anni fa, senza alcuna traccia di successive contaminazione fra i due. Secondo i ricercatori alcune regioni del genoma dei cavalli domestici, relative principalmente al sistema immunologico e a quello olfattivo, mostrano chiari segni di essere state sottoposte a una forte selezione positiva, e alcune di esse, che indicano cambiamenti avvenuti su scale di tempi evolutivamente rapidissimi, potrebbero la firma genetica della domesticazione.

E' di un cavallo del Pleistocene il più antico genoma sequenziato
Esemplare di cavallo di Przewalski. (Cortesia Claudia Feh, Association pour le cheval de Przewalski: TAKH, Le Villaret, F 48125 Meyrueis Tak)

http://www.lescienze.it/news/2013/06/26/news/cavallo_filogenesi_genoma_molto_antico-1714687/?rss
I ricercatori hanno anche scoperto tracce di diverse fluttuazioni delle dimensioni delle popolazioni equine nel corso degli ultimi due milioni di anni, che sembrano essere avvenute in coincidenza con periodi di forti cambiamenti climatici.