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giovedì 15 giugno 2017

SENZA LA GLASS-STEAGALL, L'AMERICA FALLIRA'. - Paul Craig Roberts



Per 66 anni il Glass-Steagall Act aveva ridotto i rischi del sistema bancario. Otto anni dopo la sua abrogazione, il sistema è saltato, minacciando l’economia mondiale. I contribuenti americani sono stati costretti a sborsare 750 miliardi di dollari, somma ben più grande del bilancio del Pentagono, per salvare le banche. Questa somma enorme non è stata però sufficiente. La Fed è dovuta intervenire, espandendo il proprio bilancio di $4 trilioni per proteggere la solvibilità delle banche dichiarate “troppo grandi per fallire”.

L’enorme aumento della fornitura di dollari, noto come Quantitative Easing, ha gonfiato i prezzi delle attività finanziarie anziché l’indice dei prezzi al consumo. Questo aumento dei prezzi di titoli obbligazionari ed azioni è una delle principali cause del peggioramento della ricchezza U.S.A. La polarizzazione economica ha offuscato l’immagine degli Stati Uniti come terra di opportunità ed ha introdotto instabilità politica ed economica nella vita del paese.

Questi sono costi enormi e per il beneficio solo di chi era già ricco.
L’abrogazione del Glass-Steagall ha trasformato una democrazia con una grande classe media in un’oligarchia dell’1%. L’elettorato è molto consapevole del declino della propria situazione economica e ciò si è visto nelle ultime elezioni presidenziali.

Gli americani sanno che le sciocchezze della US Bureau of Labor Statistics su un tasso di disoccupazione al 4,3% e un’abbondanza di nuovi posti di lavoro sono fake false. Il BLS ottiene un basso tasso di disoccupazione perché non conta i milioni di lavoratori scoraggiati che non riescono a trovare lavoro. Se non hai cercato un lavoro nelle ultime 4 settimane, non sei considerato disoccupato. Il modello nascita/morte, un costrutto puramente teorico, rappresenta una grande percentuale dei nuovi inesistenti posti di lavoro. I lavori sono lì per ipotesi, non esistono realmente. Inoltre, la sostituzione dei lavori a tempo pieno con quelli part-time procede. 
I benefici pensionistici e di assistenza sanitaria, che una volta erano una parte sostanziale dello stipendio, sono terminati.
Ha perfettamente senso separare banche commerciali e banche d’investimento. I depositi assicurati dei contribuenti non dovrebbero servire da supporto per la creazione di strumenti finanziari rischiosi, come subprime e altri derivati. Il governo americano lo capì nel 1933, ma non più nel 1999, con gravi conseguenze.
Fondendo i due tipi di banche, l’abrogazione del Glass-Steagall ha notevolmente aumentato la capacità del sistema bancario di creare strumenti finanziari rischiosi. Abbiamo dunque l’incredibile situazione che il 99% abbia dovuto salvare l’1%.
Gli Stati Uniti sono diventati un sistema economico, politico e sociale instabile. Abbiamo una situazione in cui milioni di americani che hanno perso l’occupazione a tempo pieno, il cui impiego a tempo parziale a basso reddito non lascia loro alcun extraprofitto dopo il pagamento di interessi e tasse al sistema finanziario (assicurazione su casa, auto e sanità, gli interessi delle carte di credito, le rate dell’auto, gli interessi sugli student loans, l’ipoteca di casa, ecc.) devono salvare le istituzioni finanziarie che fanno investimenti insensati e rischiosi.

Non è accettabile, a meno che il Congresso non dia i poteri direttamente a Wall Street e Big Banks, cosa che peraltro molti dicono sia già avvenuta.

Dove sta la democrazia quando l’1% può coprire le proprie perdite a scapito del 99%, come garantisce l’abrogazione del Glass-Steagall?

Non solo bisogna ripristinarla, ma bisogna anche ridurre le dimensioni delle grandi banche. Che una società sia troppo grande per fallire contraddice il concetto di capitalismo. La sua idea è che le aziende che fanno malagestione delle risorse perdono l’attività, dandole così in mano a quelle che invece sanno usarle in modo redditizio. Il capitalismo dovrebbe beneficiare la società, non aspettare che la società lo salvi.

Ero presente quando George Champion, ex CEO e presidente della Chase Manhattan Bank testimoniò contro il settore bancario nazionale davanti al Senate Banking Committee. 
Disse che le banche sarebbero diventate troppo grandi e che i vari rami avrebbero succhiato i risparmi dalle comunità locali per investirle in attività finanziarie rischiose. 
Di conseguenza, le imprese locali avrebbero affrontato una carenza di prestiti e sarebbero morte per mancanza di fondi.
Mi occupai di quella storia per Business Week. Ma, nonostante i fatti esposti dall’eminente banchiere, la follia è andata avanti.
Come vice segretario del Tesoro ai tempi di Reagan, mi opposi ad ogni tipo di deregulation finanziaria. Questa non fa altro che favorire le frodi, permette ad un’istituzione, o addirittura un individuo, di far fortune distruggendo la vita di milioni di persone.
Il pubblico americano non è sufficientemente preparato per capire queste cose, ma sanno quando stanno male. Anche alla Camera e al Senato pochi capiscono: come fanno allora gli eletti a rappresentare chi li elegge?
La risposta è che raramente lo fanno.
Il Congresso deve decidere se sacrificare il paese in nome di contributi elettorali e poltrone o prendere rischi personali per salvare il paese.
L’America non sopravviverà se i contribuenti continueranno a fare bailout sulle frodi finanziarie.
Gli onorevoli Walter Jones e Marcy Kaptur e membri di entrambi i partiti, assieme all’ex dirigente Goldman Sachs Nomi Prins e altri leader di gruppi di cittadini, hanno organizzato un convegno alla Camera dei Rappresentanti il 14 giugno sull’importanza del Glass-Steagall sulla stabilità economica, politica e sociale degli Stati Uniti. Fate sapere al vostro eletto che non volete la responsabilità delle pratiche sconsiderate delle grandi banche. Fategli anche sapere che non volete proprio le big banks. Fate sapere che volete il ritorno del Glass-Steagall.
Chiedere alle società finanziarie posizioni di capitale più forti è inutile. La crisi del 2007-08 ha avuto bisogno dei contribuenti, della stampante di soldi e di un importo di denaro che superasse qualsiasi realistico requisito di capitale e liquidità.
Se non ricostituiamo la Glass-Steagall, i rischi presi dall’avidità finanziaria completeranno la distruzione economica dell’America.
Il Congresso deve servire la gente, non la Mammona.

Fonte: www.zerohedge.com
Link: http://www.zerohedge.com/news/2017-06-13/paul-craig-roberts-warns-without-glass-steagall-america-will-fail
13.06.2017
Traduzione  per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG

http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=5802

giovedì 22 gennaio 2015

Bce, Draghi lancia il Quantitative easing. Acquisto titoli per 60 miliardi al mese. Euro e spread ai minimi, sale il dollaro.



Obiettivo: contrastare la deflazione e far ripartire i finanziamenti delle banche all'economia. Decisione non unanime ma meno contrastata del previsto. I rischi dell'operazione in capo alla Bce solo fino al 20%, mentre l'80% resterà in carico alle banche nazionali. Immediate le ricadute positive sui mercati.

Francoforte, 22 gennaio 2015 - E venne il giorno del Quantitative easing (SCHEDA). "Sessanta miliardi di acquisti titoli al mese", almeno "fino a settembre 2016" o, per meglio dire, "fino a quando servirà". Il nuovo intervento ingloberà i precedenti programmi di acquisti di prestiti bancari cartolarizzati (Abs) e di obbligazioni bancarie garantite (Covered bond). Lo comunica il presidente della Bce, Mario Draghi. La Banca centrale europea, come da attese, ha lasciato il tasso principale di rifinanziamento al minimo storico dello 0,05%. Il tasso sui prestiti marginali e quello sui depositi bancari restano rispettivamente allo 0,30% e -0,20%. Ma soprattutto ha rilanciato forte sul ritmo del Qe.
MISURA FORTE - Il mercato si aspettava 50 miliardi al mese per un anno. Draghi ha alzato subito la posta fino ad almeno 1.140 miliardi complessivi, peraltro senza indicare la fine della misura straordinaria di acquisto titoli di Stato e titoli privati che si va ad aggiungere alle altre già sul tappeto e cioè ai finanziamenti a lungo termine alle banche di categoria Ltro e Tltro ((le cui restanti 6 operazioni di rifinanziamento a lungo termine avranno ora un tasso parificato alle principali operazioni di rifinanziamento dell'Eurosistema).). Obiettivo dell'intera manovra espansiva: aprire il rubinetto della liquidità, immettere denaro nell'economia reale, contrastare la deflazione e far ripartire i finanziamenti ai cittadini. C'è però il rovescio della medaglia.
CONDIVISIONE LIMITATA - Il nuovo piano di acquisti di titoli privati e pubblici della Bce prevede una condivisione dei rischi solo "al 20 per cento". L'80% del rischio resterà quindi in capo alle banche nazionali. Ci saranno altri limiti di intervento: limite emittente al 33%, limite emissione al 25%. La maturità dei titoli di Stato e di altro genere che verranno acquistati dalla Bce sarà compresa tra i due e i trenta anni. Ovviamente tenendo presenti i pesi dei singoli Paesi all'interno della Bce dove l'Italia è il terzo azionista dietro a Germania e Francia.
SCENARIO POSITIVO - "I rischi per le prospettive economiche dell'eurozona restano orientati al ribasso, ma dovrebbero diminuire grazie alle misure di politica monetaria annunciate oggi e alla continua caduta del prezzo del petrolio" è l'opinione di Draghi, apparso molto soddisfatto della svolta impressa. Naturalmente, ora la palla passa ai governi. Draghi invoca riforme, riforme e ancora riforme. Altrimenti il Qe perderà in efficienza. 
DIBATTITO INTERNO - Una decisione storica, alla quale l'Eurotower è arrivata in modo se non unanime, certamente meno scomposto di quanto ci si attendesse alla vigilia, grazie - soprattutto - alla minor condivisione del rischio. I votanti all'interno del direttivo sono 21 e il compito immane cui Mario Draghi si è dedicato fino all'ultimo è stato di minimizzare il dissenso nei confronti del Qe, contro il quale si erano schierati la Bundesbank e gli altri 'falchi' dell'Eurosistema, cioè Olanda, Lussemburgo e alcuni paesi dell'Est europeo. Ha ammesso in conferenza stampa il numero uno di Eurotower: "La decisione di avviare il Qe ha avuto una vasta maggioranza ma non è stata unanime. C'è invece stato consenso sul considerare il Qe uno strumento di politica monetaria e sulla condivisione del rischio al 20%". In generale, un gran bel risultato.
TUTTI DENTRO - E la Grecia? I titoli di Stato dei paesi più fragili saranno acquistati sulla base di determinati criteri di eleggibilità, cioè si vaglierà caso per caso. Tuttavia - chiarisce Draghi - per la Grecia non c'è alcun regime specialeC'è una deroga, che consente di comprare titoli con rating speculativo in presenza di un programma di assistenza (leggi Trojka). Quindi con l'accordo dei grandi creditori e il rispetto dei programmi concordati. Nello specifico caso della Grecia gli acquisti potranno pertanto cominciare solo a luglio, in base alle scadenze di "pagamenti dei titoli detenuti tramite il vecchio programma Smp".
SPREAD A 108 - Immediata reazione del mercato del reddito fisso all'annuncio dell'ampio Qe. Il differenziale di rendimento tra i BTp decennali e i Bund di analoga durata è sceso di venti punti base in pochi secondi: da 128 a 108 punti e si è portato al minimo di 106,7 subito dopo, per poi chiudere a 118 con il rendimento che aggiorna all'1,62% il proprio minimo storico. Molti analisti vedono a questo punto la possibilità di uno spread sotto quota 100 entro l'estate, se non già entro la primavera, se l'economia italiana ripartirà. Esempio virtuoso il bono spagnolo, oggi quotato a 97 per un rendimento dell'1,41%.
CAMBIO EURO-DOLLARO - In scia alle parole di Draghi l'euro è sceso a 1,1480 dollari rivedendo i minimi da novembre 2003, un livello già toccato lo scorso 16 gennaio quando la valuta europea scese fino a 1,1460 dollari. Buon per l'export. Soprattutto delle imprese italiane ad alto valore aggiunto.
BORSE - Dopo l'annuncio di Draghi i mercati sono schizzati in rialzo, poi hanno ritracciato pur restando in area positiva e a fine contrattazioni sono tornati di nuovo vicino ai massimi di giornata. Milano - al sesto rialzo consecutivo - è stato il listino migliore in Europa con il Ftse Mib a +2,44% e il Ftse All Share a +2,35%. Ancora acquisti sul settore bancario e in particolare su Bper +4,73%, Unicredit +3,7% e Mps 3,3%. Bene anche il risparmio gestito: Mediolanum (+4,4%) e Azimut (+3,54%). Fra gli energetici svetta Saipem (+4,37%) che ha riguadagnato quota 8 euro grazie ad alcune ricoperture. Secondo i principali broker, i mercati dell'Eurozona, che già "prezzavano" un intervento importante, potrebbero aspettare qualche giorno prima di posizionamenti di "medio-lungo" periodo nel nuovo scenario visto che è imminente l'appuntamento elettorale in Grecia che potrebbe alimentare nuove tensioni.
REAZIONI - Secondo Christine Lagarde, il direttore generale del Fmi (Fondo monetario internazionale), il Qe contribuirà a "ridurre i rischi di un'inflazione bassa per un periodo protratto aumentando le aspettative" sull'inflazione stessa e ad "abbassare i costi per prendere denaro in prestito nell'area euro". Forte il plauso del ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan: il quantitative easing "è un passo importante nella direzione giusta" che è quella "di una maggiore mutualizzazione" del debito. Inoltre, "le misure della Bce daranno più certezze e più potere di acquisto permettendo anche ai cittadini di spendere di più" osserva il titolare del Mef da Davos. "Se lo stesso sforzo di acquisto massiccio di titoli fosse cominciato strategicamente e strutturalmente già nell'estate-autunno del 2011, la storia di questa crisi sarebbe stata diversa" si compiace (e al tempo stesso si rammarica) il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta. Osserva Filippo Taddei, responsabile economico del Pd: "E' la giornata della svolta: la politica monetaria cancella gli alibi, quella fiscale europea non può sfuggire alle proprie responsabilità. Dopo il coraggio monetario, è arrivato il momento della coerenza di una politica fiscale espansiva e orientata alla crescita e occupazione a livello europeo. Questa è la missione dell'Italia".

domenica 18 gennaio 2015

Franco svizzero, la sottile linea tra protezione e bolla speculativa. - Alberto Bagnai

La decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di sganciare il franco dall’euro, determinandone un brusco rincaro, ha colto tutti di sorpresa. Gli industriali svizzeri già se ne lamentano: per valutare il significato di questa mossa è quindi utile ricordarne motivazioni e conseguenze.
Già a fine 2008 lo sconquasso causato dalla Lehman Brothers aveva spinto al rialzo la valuta svizzera, classico “bene rifugio”. Dopo una fase di relativa stabilità, nel 2010 lo scoppio della crisi dei debiti sovrani, che sembrava minacciare la sopravvivenza dell’euro, aveva alimentato gli acquisti di franchi, facendogli guadagnare un ulteriore 18 per cento fino all’autunno del 2011. 
Nata come operazione difensiva, l’acquisto di franchi stava diventando una vera e propria bolla speculativa (la situazione in cui gli investitori acquistano uno strumento finanziario solo perché si aspettano che il prezzo salga, e domandandolo contribuiscono a farne crescere il prezzo, convalidando così le proprie aspettative).
Con buona pace di chi vede nella Svizzera solo un paradiso fiscale, l’incidenza del manifatturiero sul valore aggiunto è più alta in Svizzera che in Italia (rispettivamente, 19 per cento e 15 per cento del valore aggiunto totale). Escludendo chi vede nella svalutazione una piaga biblica sempre e comunque, sarà facile agli altri capire che all’industria svizzera un franco così alto non faceva comodo, perché penalizzava le esportazioni. Da qui la decisione di arrestarne l’ascesa al livello di 0.80 euro per franco.
La situazione si è mantenuta stabile fino giovedì. L’annuncio della BNS che non avrebbe più “difeso” la parità ha spinto in apertura il franco ad apprezzarsi del 25 per cento sull’euro, per poi stabilizzarsi intorno a 0.96 euro per franco. Il fatto è che il mantenimento della parità, se da un lato tutelava le imprese svizzere, dall’altro aveva conseguenze negative sulla composizione del portafoglio di investimenti esteri del paese.  
Per mantenere il cambio stabile, la BNS doveva soddisfare la domanda di franchi, vendendoli in cambio di dollari ed euro. La Svizzera si era così trovata ad avere uno stock di riserve ufficiali spropositato, classificandosi quarta dopo Giappone, Cina e Arabia Saudita (paesi esportatori di ben altre dimensioni), con un rapporto riserve/Pil vicino all’80 per cento (negli altri paesi avanzati questo rapporto normalmente è a una cifra).
Nell’economia generale di un paese essere così ricchi di valute pregiate (o supposte tali) non è una cosa così buona come sembra, perché l’investimento in valute è meno redditizio di altri investimenti esteri. Inoltre, restando agganciato all’euro il franco ne stava condividendo il triste destino nei confronti del dollaro, perdendo quasi il 15 per cento rispetto a quest’ultimo nell’ultimo anno.  
Si sostiene, credo con fondamento, che la BNS abbia voluto anticipare gli effetti del quantitative easing di Draghi, il programma di acquisto di titoli di Stato che ci si attende contribuisca a un ulteriore indebolimento dell’euro rispetto al dollaro. Le conseguenze sarebbero state una ulteriore flessione rispetto al dollaro (che avrebbe compromesso lo status di valuta “forte” del franco), e un’ulteriore fuga dall’euro verso il franco (che avrebbe costretto la BNS a imbottirsi ulteriormente di una valuta come l’euro, soggetta a una tendenza ribassista, e forse, chissà, a rischio di estinzione).
L’improvviso rincaro del franco è un segnale che dovrebbe scongiurare queste due eventualità. Sarà interessante seguire la vicenda.