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sabato 11 settembre 2021

Reddito di cittadinanza sotto assedio: ecco come potrebbe cambiare. - Andrea Carli

 

Si va verso un tagliando: un reddito di cittadinanza rafforzato sotto il profilo dell’azione di contrasto alla povertà e strettamente collegato alle politiche attive del lavoro.

Il restyling del reddito di cittadinanza, misura di sostegno che costa 7-8 miliardi l'anno, è un mosaico i cui tasselli vengono inseriti gradualmente, uno dopo l’altro. L’ultimo è quello emerso durante l’incontro tra iI ministro del Lavoro Andrea Orlando e le parti sociali sul tema della riforma delle politiche attive. Una riforma che punta sul programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) strutturando un percorso verso l’impiego, fatto di formazione, riqualificazione professionale, per l’inserimento o la ricollocazione al lavoro, e lega il nuovo strumento al Rdc. Perché l’aiuto economico - che il governo non intende superare ma rivedere -, per le persone occupabili, sia collegato con maggiore efficacia al mondo del lavoro. Le misure di Gol pertanto ne rappresenteranno una condizione.

Solo tre percettori su dieci hanno sottoscritto un patto per il lavoro.

Il Governo intende rivedere e non superare il reddito di cittadinanza, dunque. Sullo sfondo i numeri prodotti dall’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro: al 30 giugno i percettori del beneficio tenuti a sottoscrivere un patto per il lavoro erano oltre un milione e 150mila, ma solo il 34,1% di questa platea lo aveva fatto.In un recente rapporto sull’Italia l’Ocse ha messo in evidenza che ha attutito la povertà indotta dalla pandemia ma con uno scarso numero di percettori che ha trovato impiego a causa delle politiche attive carenti (l’Organizzazione ha posto sotto la lente anche Quota 100). A giugno in occasione della Requisitoria orale il procuratore generale della Corte dei Conti Fausta Di Grazia è intervenuto sul sostegno, e ha parlato di « uno stanziamento definitivo di 5.728,6 milioni di euro, dei quali ne sono stati impegnati 3.878,7 milioni. Dai dati degli uffici di controllo - ha aggiunto in quella occasione - risultano essere state accolte circa 1 milione di domande, a fronte di quasi 2,4 milioni di richieste, delle quali, secondo elaborazioni di questo Istituto, soltanto il 2% ha poi dato luogo ad un rapporto di lavoro tramite i Centri per l’impiego».

Reddito di cittadinanza sotto la minaccia di modifiche alla manovra e referendum.

È questa la ragione per cui il reddito di cittadinanza si è ritrovato sotto il fuoco incrociato di forze politiche che fanno parte della maggioranza (Lega e Italia Viva), e della principale forza di opposizione (Fratelli d’Italia). Tanto che il leader della Lega Matteo Salvini ha confessato che non vede l’ora che arrivi il giorno della manovra economica (entro il 20 ottobre il governo presenta in Parlamento il disegno di legge di Bilancio) per presentare un emendamento sulla misura. «L’ impegno - ha spiegato - è presentare, in sede di Bilancio, un emendamento a mia firma, in cui chiederemo di rivedere o cancellare il reddito di cittadinanza. Non è un attacco a qualcuno - ha poi aggiunto -: è che sono 10 miliardi di euro che hanno creato solo lavoro nero. Non funziona. La misura bisogna modificarla in modo tale da essere richiesta solo da chi non può lavorare, per il resto dobbiamo cancellarla». E se Salvini guarda alla manovra per “tendere un’imboscata” al reddito di cittadinanza, il senatore di Italia Viva Matteo Renzi ha lanciato un aut aut: o cambia o ci sarà un referendum. «Il fatto di aver permesso di aprire la discussione sul reddito di cittadinanza ha portato al fatto che Draghi lo cambierà - ha detto -. Io le firme le raccolgo, e sul reddito di cittadinanza ne raccoglieremo molte di firme...», poi «se il reddito non cambia il referendum si farà».

Verso maggiore contrasto alla povertà e connessione con le politiche attive.

Se la linea è quella di mantenere la misura di sostegno al reddito, ma al contempo di apportare delle modifiche, si tratta di capire come il governo intende intervenire. Entro fine mese sono attese le proposte del Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza, presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno. Le soluzioni delineate segneranno un punto di partenza, ma sarà il confronto politico tra le forze di maggioranza a disegnare il nuovo volto del sostegno. Se la Lega, seppur con toni diversi (l ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ha proposto che «si cominci a ragionare di lavoro di cittadinanza») chiede che venga cancellato o radicalmente trasformato, Giuseppe Conte e tutto il Movimento Cinque Stelle fanno muro ribadendo che questa misura non si tocca. Anche il Pd difende il Rdc dicendo che è una misura «condivisibile che va migliorata». Sulla stessa linea LeU. Di certo si va verso un tagliando: un reddito di cittadinanza rafforzato sotto il profilo dell’azione di contrasto alla povertà e, come si scriveva in precedenza, strettamente collegato alle politiche attive del lavoro, ovvero la seconda gamba per sostenere l’occupazione dopo la riforma degli ammortizzatori sociali (anch’essa in fase di definizione). Un’ulteriore tassello del mosaico.

IlSole24Ore

giovedì 26 agosto 2021

“Bisogna soffrire” (magari dopo le vacanze). - Tommaso Rodano

 

Ferie renziane - In viaggio a Formentera, il nuovo Giglio magico combatte la povertà (a modo suo).

L’ estate sta finendo, come da citazione dei Righeira. Gli sgoccioli di agosto portano con sé un senso di struggente malinconia. Il crepuscolo è particolarmente intenso per una banda di amici che ha preso il nome di Italia Viva: estate dopo estate la durata della legislatura si accorcia, l’orizzonte politico si restringe, la prospettiva personale e collettiva si fa asfittica. Del doman non c’è davvero certezza, in questo caso. Ma come sempre, chi vuol esser lieto, sia: Italia Viva è più di un partito, è una confraternita. I suoi affiliati sono pochi ma hanno i pensieri lunghi e la mente fina.

Sono quelli che odiano il reddito di cittadinanza. Che lo ritengono una misura “diseducativa”, una distorsione delle savie dinamiche del mercato, un sussidio che impedisce agli imprenditori di trovare forza lavoro a condizioni cripto schiavistiche: i pelandroni, incredibile, preferiscono starsene a casa a farsi pagare dallo Stato. Il reddito è “una vita in vacanza”, per citare un’altra canzone cara alla compagnia. I giovani invece devono essere forgiati negli stenti, “devono imparare a soffrire”. Parola di Matteo Renzi.

In effetti loro – quelli di Italia Viva – soffrono. Soffrono tanto e in genere soffrono insieme. Come quella volta che si fecero un selfie di gruppo in vacanza su un motoscafo. Era la prima estate in pandemia.

Quest’agosto niente natanti, ma c’è un senso di rinascita, si torna a viaggiare all’estero. Si va a Formentera. Luciano Nobili, Francesco Bonifazi, Federico Lovadina (il pistoiese piazzato da Renzi alla presidenza di Sia, la società di Cassa depositi e prestiti) e il coordinatore romano Marco Cappa: tutti insieme per un grande viaggio spirituale.

Ci sarebbe piaciuto poter ignorare la circostanza, ma come si fa? Sarà pure bassa sociologia, antropologia d’accatto, ma è soprattutto una questione estetica. Il diario di viaggio è su Instagram e le foto sono di una bellezza sconcertante. A metà tra Muccino e Vanzina: un po’ tardo adolescenti romantici, un po’ vitelloni italiani alla conquista delle Baleari.

Come si può ignorare il selfie abbacinante di Lucianone Nobili dopo la passeggiata al faro? Occhiali da sole, sorriso sfrontato e maglietta “Politics is like sex”. Erotismo e potere, fascino e mistero. Una foto da ammirare a specchio con quella di un Bonifazi languido, in camicia di lino e lenti scure, sullo sfondo si intravedono morbide dune e il mare celeste.

In quei giorni c’era la crisi afghana, certo. C’era Renzi che simulava un ritorno lampo in Senato, per presidiare le istituzioni in una fase tanto delicata sul piano internazionale, d’accordo. Ma non rompeteci le scatole.

I renziani in vacanza sono una “Band of brothers” (hashtag #Summer2021), come scrive Nobili. Una didascalia piena d’amore sotto una grande foto di gruppo. Si respira fratellanza, malgrado il commento goliardico di Marco Agnoletti (ex portavoce di Renzi): “Il Lovadina sembra sotto l’effetto di droghe pesanti: ma forse è solo la vicinanza del Nobili a fare questo effetto”.

Si va a cena tutti insieme al ristorante “A mi manera” e si aggiunge anche Andrea Ruggieri di Forza Italia. Confessiamo una certa invidia – qui è quasi ora di cena – per le bistecche da 70 euro (ma solo per i palati esigenti che scelgono la carne di Wagyu, volendo c’è un più abbordabile menù fisso da 90 euro a persona, bevande escluse).

I nostri ci regalano selfie, abbracci, foto in spiaggia, momenti di relax casalingo mentre studiano le prossime scorribande, ma il momento catartico della vacanza è senza dubbio il video insieme all’attore spagnolo che interpreta “Arturito”, il personaggio un po’ infamello della Casa di carta. Arturito, apparentemente a poche bracciate dal collasso etilico, inizia a intonare “Bella Ciao”. “O partigianooo, portami viaaa”. Subito dietro di lui si fanno spazio nell’inquadratura due figure imponenti, sono Cappa e Nobili: “O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciaooo”. È una scena che si può descrivere in un solo modo: raggelante. Ma non preoccupatevi, non c’è niente di politico, è solo Netflix.

Sappiamo bene di essere dei moralisti: non c’è niente di male a divertirsi in vacanza. Però viene in mente una frase del socialdemocratico svedese Olof Palme (non a caso molto amata da Walter Veltroni): “Il nostro dovere è combattere la povertà, non la ricchezza”. Quelli di Formentera combattono i poveri e la ricchezza la esibiscono.

ILFQ

venerdì 23 luglio 2021

“Pago pure il Fatto”: proposta indecente dall’uomo di Renzi. - Thomas Mackinson

 

“Voglio finanziare il Fatto Quotidiano”. La proposta irricevibile arriva alla fine dell’intervista all’onorevole Gianfranco Librandi di Italia Viva. Lo chiamiamo perché la sua storia diventerà presto un film che sarà distribuito su Amazon. Dal colloquio ne esce però un altro: quello di un deputato della Repubblica che, oltre ai partiti, si offre di finanziare i giornali per evitarsi cattiva pubblicità. La telefonata è registrata. Potrebbe sembrare solo una battuta, ma Librandi è tanto serio da spiegare come si fa, indicando le possibili “soluzioni“: “Noi facciamo fiere per illuminazioni, eventi importanti e li pubblicizziamo sui giornali. Si può fare anche con voi, no?”.

Il deputato-imprenditore esplicita anche i termini del “patto”: “Se lei non mi frega diventiamo amici, la prossima volta la chiamo io e ci troviamo, parliamo e facciamo tutto. È un consiglio che le do, visto che tutti e due siamo nell’agone politico, giusto?”.

Mica tanto, ma così pare a Gianfranco Librandi da Saronno, classe 1954, onorevole e titolare di un’azienda dei led da 180 milioni di fatturato, parte dei quali finisce regolarmente a partiti e candidati d’ogni colore.

La premessa è che, di questi tempi, il binomio politica-cinema non porta benissimo: il leader del suo partito Matteo Renzi è finito indagato (insieme a Lucio Presta) dalla Procura di Roma che ipotizza l’esistenza di “rapporti contrattuali fittizi” dietro i compensi percepiti dall’ex premier anche per il documentario dedicato a Firenze. Da qui parte l’intervista.

Sicuro di voler intraprendere la stessa strada?

Questo film non c’entra niente dal punto di vista dell’idea e pure del finanziamento. Non ho ricevuto e non ho pagato nulla, dunque il tema di Renzi non c’è.

Eppure il suo nome spunta (anche se da non indagato) nelle carte dell’inchiesta sulla Fondazione Open, quando si scopre che passando dal Pd a Italia Viva ha portato una dote di 800 mila euro a Renzi.

Io finanzio da sempre il centrosinistra, ma le ribadisco che il parallelo con Renzi non c’è. Poi lui chiarisce sempre tutto, è solo accanimento contro di lui.

Un film su Librandi, benché vivente. Come le è venuto in mente?

In realtà non è un’idea mia, ma del regista Luciano Silighini (ndr: già dirigente di Forza Italia a Saronno, autore di cortometraggi come Uno di noi, la risposta berlusconiana al film Loro di Paolo Sorrentino).

Cosa si vedrà?

Non ho letto il copione, ma parlerà di mio padre, partigiano e patriota, e della storia che cinque anni fa ho raccontato nel libro Ce la puoi fare: l’ho scritto per dire che se ce l’ho fatta io che ero poverissimo ce la possono fare tutti. Per dare speranza ai nostri giovani. Le mando la copertina, a dimostrazione che non ce l’ho col Fatto Quotidiano.

Il film parlerà anche di politica?

No, magari un riferimento al fatto che sono anche deputato.

Dell’alterco, davvero da film, con i finanzieri? Li apostrofò peggio del Marchese del Grillo.

La mia azienda è sempre stata collaborativa col Fisco. Quella volta lì abbiamo ricevuto una visita un po’ “aggressiva”, sopra le righe diciamo, ma non ho mai detto “io sono un onorevole, un intoccabile, voi siete morti” e tutte le altre cose riportate dagli agenti e dai giornali.

Ovviamente li avrà querelati per aver riportato il falso…

No.

E com’è finito quell’accertamento?

Hanno trovato degli errori formali e abbiamo già chiuso. La mia è un azienda sana, che paga tante tasse, sempre di più perché cresce, e quindi questo è il nostro orgoglio: pagare le tasse.

E non solo quelle. Negli anni lei ha finanziato anche Tabacci, Parisi, il Pd, Gori, Bonaccini, Renzi, pure Calenda e fino a Fratelli d’Italia. Nel 2016 finanziò sia Sala sia la rivale Gelmini. Insomma, lei finanzia proprio tutti.

Voglio finanziare anche il Fatto Quotidiano.

Scusi, come?

Voglio collaborare, come posso dire… costruire insieme e allora si possono così trovare delle soluzioni. Noi facciamo ad esempio delle fiere per illuminazioni, facciamo degli eventi importanti e li pubblicizziamo sui giornali e si può fare anche con voi, no?

(silenzio imbarazzato…)

Però lei è proprio un bel tipo, io sono cordiale e le sto rispondendo giusto? Se lei non mi frega diventiamo amici, la prossima volta la chiamo io e ci troviamo, parliamo e facciamo tutto. Se mi frega invece siamo fregati; è un consiglio che le do, visto che tutti e due siamo nell’agone politico, giusto?

ILFQ

martedì 6 luglio 2021

Ddl Zan, perché la modifica proposta da Italia Viva rischia di rendere incostituzionale il testo. - *Luigi Testa


Che le fattispecie coperte dal ddl Zan possano essere affette da vaghezza, è stato detto. È stato pure detto, d’altra parte, che ogni disposizione normativa ha una sua naturale, ineliminabile, vaghezza, ma che l’ordinamento ha tutti gli “anticorpi” del caso. Il diritto non è fato di minuziose casistiche. Lo sapeva pure chi scriveva i primi codici, più di due secoli fa: “la dangereuse ambition de vouloir tout régler et tout prévoir”, la chiamavano.

Quello che ancora non era stato detto – e che ci si augurava non fosse detto, per la verità – è che per ridurre questa vaghezza, la cosa migliore sarebbe stato – indovinate cosa? – andare a eliminare l’articolo del ddl che contiene le “definizioni” delle parole chiave della normativa (come del resto fa l’art. 1 della gran parte dei testi normativi).

Così, se prima si poteva stare tranquilli – salvo posizioni ideologiche, ovvio –, ora sì che c’è da temere. Perché la (principale) modifica richiesta da Italia Viva, in realtà, rende veramente pericolosamente indeterminate le fattispecie penali previste dal ddl Zan. Rischiando, peraltro, di essere a ragione cassata di incostituzionalità dalla Consulta.

Dire – come si chiede – che sono puniti gli atti “fondati su omofobia e transfobia” è, infatti, incomparabilmente più vago di quel tuziorista elenco di definizioni che si andrebbe ad eliminare. Anche solo fermandosi ad un piano di analisi del linguaggio, “omofobia” e “transfobia” sono concetti che si definiscono per relationem, che non si definiscono autonomamente, ma che necessitano a loro volta che sia definito l’oggetto primario. Che è quello proprio che tentava di definire l’art. 1, che si vuole cancellare con colpo di spugna.

Che poi, a dirla tutta, è chiaro che a dar fastidio ai più non è mica tutto l’art. 1. L’uomo nero – absit iniuria – è uno solo: l’identità di genere. Solo che dire “cancelliamo tutto l’art. 1” fa meno brutto che dire “cancelliamo l’identità di genere” – salvo la disastrosa eterogenesi dei fini che poi ne vien fuori, come si diceva appena sopra.

Una volta che è chiaro che la proposta emendativa in commento mira in realtà a stralciare il riferimento all’identità di genere, va riconosciuto che si tratta di una proposta infelice almeno sotto tre profili: uno politico, uno giuridico in senso stretto, ed uno che forse si potrebbe definire di politica costituzionale.

Da un punto di vista politico, è almeno assai stravagante che una formazione politica, che in prima lettura alla Camera ha espresso il proprio voto favorevole per il testo di un disegno di legge, muti di parere ora che il testo è approdato alla Camera sorella. Beninteso, si tratta di una scelta che può sorprendere, ma che resta del tutto legittima: ironia della sorte, a permetterlo è proprio quel bicameralismo perfetto che la riforma Renzi aveva tentato di rottamare senza successo nel 2016.

Spostandoci su un piano più strettamente giuridico, l’obiezione che muove la proposta emendativa sembrerebbe essere, in definitiva, la mancanza di una generale condivisione del concetto di identità di genere.

Bene, qui va anzitutto chiarito che ‘identità di genere’ non è certo un concetto nuovo nel nostro ordinamento (e di cui quindi manchi una geografia definitoria): basti pensare alla legge sulla rettificazione del sesso del 1982, e alla giurisprudenza che ne è derivata, sia dalla Cassazione che dalla Corte costituzionale. Addirittura nel 2015 la Consulta parlava di un “diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona” – anche quando, peraltro, non vi è una modificazione chirurgica dei caratteri sessuali (sent. 221/2015). Senza contare i vincoli che discendono per il nostro Paese dal diritto internazionale.

D’altra parte, qui va chiarito con lucidità un equivoco di fondo. È vero che la questione dell’identità di genere presenta una serie di implicazioni giuridiche non facili. Ma il ddl Zan non mira a regolare effetti, conseguenze e limiti della scelta in materia identità di genere: su questo interverranno altri strumenti legislativi. Semplicemente offre protezione giuridica a chi subisce discriminazione e violenza solo perché si percepisce (e manifesta) in maniera divergente dal sesso biologico. Una ben più modesta ambizione, tutto sommato.

E poi l’ultimo argomento. Lo stralcio dell’identità di genere dal ddl Zan ridurrebbe evidentemente il novero dei soggetti cui l’ordinamento presterebbe tutela da atti discriminatori e violenti. Una tutela che – se si potesse fare una triste classifica – forse sarebbe ancora più urgente di quella pur necessaria da prestare alle altre categorie interessate nel ddl Zan. Ebbene, uno Stato di diritto non può permettersi di negare questa forma di tutela solo perché non si è tutti d’accordo (circostanza, peraltro, tutta da verificare) sulla definizione della categoria delle vittime. È una tentazione frequente, questa, per un giurista: leggere la realtà alla luce delle sue categorie, e non piuttosto adattare le sue categorie alla realtà. Ma un legislatore che cadesse nella stessa trappola avrebbe fallito, senza mezzi termini.

(*Assistant Professor di diritto costituzionale all’Università Bocconi)

ILFQ

lunedì 10 maggio 2021

007, Report sbugiarda Renzi. E Iv dà la caccia alle fonti Rai. - Alessandro Mantovani

 

Dossier falso - Documenti che diffamano il programma di Rai Tre spediti ai giornali. Il contenuto in un’interrogazione del deputato Nobili.

Questa sera Report manda in onda, coperto, il padre di quella che i renziani chiamano “la professoressa bionica”, la testimone dell’ormai noto e discusso incontro del 23 dicembre 2020 all’autogrill tra il capo di Italia Viva e il dirigente dei Servizi segreti Marco Mancini, che aspirava a una promozione. L’anziano signore è costretto a spiegare che soffre “di una patologia che mi obbliga ad assumere dei farmaci abbastanza potenti per una leucemia mieloidecronica (…) Questi farmaci producono questi effetti (…) attacchi ripetuti per cui sono stato costretto a entrare e uscire dal bagno diverse volte…”. E questo per giustificare che la figlia, insegnante, si sia trattenuta nel parcheggio dell’autogrill di Fiano Romano durante i circa 40 minuti del colloquio tra Matteo Renzi e Mancini, abbia scattato alcune foto – che ha spedito subito al Fatto, purtroppo non le abbiamo viste – e girato un video di 28 secondi.

Ma soprattutto Report prova a ricostruire il dossier che gira da tre mesi e ora è finito in un’interrogazione del renziano Luciano Nobili contro la trasmissione di Sigfrido Ranucci, annunciata dallo stesso Renzi mentre spiegava di Mancini. Parla di una fattura da 45mila euro che la Rai avrebbe pagato a una società lussemburghese in relazione a un imprecisato aiuto che un ex manager di Finmeccanica, Francesco Maria Tuccillo, avrebbe dato a Report per il servizio di novembre 2020 su Alitalia e Piaggio Aerospace, che coinvolgeva Renzi. La fattura non si trova, Nobili non ce l’ha e a Report dice “non avete solo voi quelle informazioni, ce le abbiamo anche noi le informazioni”, accenna a “fonti giornalistiche stanche del fatto che la Rai ricorra a professionalità esterne”, a “dipendenti Rai”.

Il problema è che sa di Tuccillo, mai andato in onda. “Non è una nostra fonte” ma “l’abbiamo incontrato, una sola volta”, racconta Ranucci. “Che Nobili ne fosse a conoscenza – osserva – è un fatto gravissimo, per la libertà di stampa ma anche per il funzionamento democratico di un Paese”. Ranucci ricorda che Tuccillo “è stato tra i manager di Piaggio Aerospace che più si sono opposti al nuovo management filoarabo, sponsorizzato dal governo Renzi. Fu proprio Renzi che aprì le porte di un’azienda strategica per la sicurezza del Paese come Piaggio Aerspace, che produce tecnologia militare, agli Emirati Arabi. (…) Inolte Tuccillo aveva contribuito a catturare Roberto Vito Palazzolo, in arte Roberto Von Palace, il boss su cui aveva indagato Falcone e che da latitante in Sudafrica riciclava i soldi di Cosa nostra e avrebbe aiutato Finmeccanica a vendere gli elicotteri”. Anche Tuccillo nega. La società lussemburghese dice di non conoscerlo.

Le fonti dei giornalisti sono protette dalla legge sul segreto professionale, infatti ci allarmiamo se sono esposte a perquisizioni e intercettazioni e a maggior ragione se finiscono nel mirino di un partito che gioca alla controinformazione sui giornalisti sgraditi. Sarebbe inquietante se la magistratura cedesse alla richiesta di Renzi di perquisire l’insegnante perché sostiene di essere stato “intercettato”, quando al più è stato filmato per 28 secondi in luogo aperto al pubblico, senza captare una parola. Sarebbe un’intimidazione per chiunque accetti di parlare riservatamente con un giornalista.

Infatti Franco Bechis, direttore del Tempo e Augusto Minzolini, oggi editorialista del Giornale, non risulta abbiano denunciato chi, tre mesi fa, consegnò loro il dossier finito poi ai detective di Italia Viva. Entrambi spiegano a Report di averlo ritenuto falso, ma ne usarono una parte su Rocco Casalino: si parlava di mail tra l’ex portavoce di Giuseppe Conte e Ranucci, chiamato “un conduttore Rai”, a proposito di contenuti da mandare in onda. Entrambi hanno smentito, nessuno mostra le mail.

L’incontro tra Renzi e Mancini non è uno scandalo in sé ma è una notizia, se non altro per la location autostradale; la concomitanza con la crisi del governo Conte 2 che si consumava anche sul tema della delega ai Servizi tenuta per sé dall’ex presidente del Consiglio; la figura di un dirigente dell’intelligence passato indenne per vicende oscure (Abu Omar, lo spionaggio Telekom) anche grazie al segreto di Stato, con un’ampia rete di relazioni e in conflitto con altri settori degli apparati, che aspirava a una vicedirezione e non l’ha avuta. Infatti il Comitato parlamentare di controllo sui Servizi sentirà Gennaro Vecchione, capo del Dis e di Mancini. È ben più scandaloso che Renzi reagisca con un’interrogazione basata sul dossier falso che qualcuno ha fatto arrivare a tre giornali e a Italia Viva.

IlFQ

martedì 4 maggio 2021

Italia viva accusa Report: “Chiarisca se versò 45mila euro per servizi contro Renzi”. Ranucci: “Solo fango, si basano su dossier falso”.

 

Nel giorno in cui su Rai3 andrà in onda il servizio anticipato dal Fatto sull'incontro avvenuto tra Renzi e Marco Mancini del Dis nel dicembre 2020, il renziano Nobili presenta un'interrogazione per sapere "se la Rai compri informazioni con i soldi degli italiani per le sue trasmissioni di inchiesta". Il conduttore: Iv ha un "dossier avvelenato su di noi. Anche altri colleghi che stavano per stamparlo si sono resi conto che era un falso clamoroso". L'amarezza, aggiunge, è che "queste note vengono proprio dalle stesse persone che in queste ore hanno evocato la libertà di espressione nel caso Fedez". Le reazioni, da Di Battista a Taverna. 

Proprio nel giorno in cui Report trasmette su Rai3 il servizio anticipato in esclusiva da Il Fatto Quotidiano sull’incontro avvenuto tra Matteo Renzi e Marco Mancini del Dis nel dicembre 2020Italia viva avanza pesanti accuse contro il programma d’inchiesta guidato da Sigfrido Ranucci. Il deputato Luciano Nobili, si legge in una nota del partito, ha presentato un’interrogazione parlamentare per sapere se la Rai abbia pagato per conto della trasmissione una “presunta fattura da 45mila euro ad una società lussemburghese per confezionare servizi contro Renzi“. Nobili fa diverse domande, tira in ballo un servizio sui rapporti tra Renzi e gli Emirati Arabi andato in onda a novembre 2020, chiede se Report abbia avuto rapporti con un ex collaboratore della Piaggio Aerospace e chiama in causa anche l’ex portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino, a cui la Rai avrebbe mandato delle email “aventi ad oggetto servizi che sarebbero stati confezionati al fine di danneggiare l’immagine del Senatore Matteo Renzi”. Attacchi che Ranucci rispedisce seccamente al mittente: “Si tratta di fango: Report in 25 anni non ha mai pagato una fonte e soprattutto non ha mai realizzato servizi contro. Noi abbiamo come unico editore di riferimento il pubblico che paga il canone”. Sulla vicenda in queste ore sono intervenuti, tra gli altri, Alessandro Di Battista, che parla di “pressioni” di Iv sulla Rai, e la vicepresidente del Senato Paola Taverna.

La replica di Ranucci a Italia viva – Il caso è esploso nel pomeriggio, quando Iv ha rilasciato una nota per annunciare l’interrogazione parlamentare. A stretto giro è arrivata la replica del curatore e conduttore di Reportche contesta anche il presunto scambio di email con Casalino. Nella nota di Iv “si fa riferimento ad alcune mail che io avrei scambiato con il portavoce di Conte all’epoca Rocco Casalino addirittura sulla carta intestata“, spiega. “Io non uso mai la carta intestata, non ho mai mandato mail a Casalino. Si tratta di un dossier avvelenato su di noi sulle cui tracce eravamo già da tempo, da gennaio per fortuna l’avevamo intercettato e anche altri colleghi che stavano per stamparlo si sono resi conto che era un falso clamoroso“. Ranucci nota poi il tempismo con cui Nobili ha deciso di presentare un’interrogazione in Parlamento. “Tutto questo avviene, singolarmente, il giorno in cui abbiamo annunciato e manderemo in onda questa sera delle immagini che riguardano il senatore Renzi che incontra ai margini di una stazione di servizio l’agente segreto 007 Marco Mancini, l’agente che era stato coinvolto in un’attività di dossieraggio illecito nel caso Telecom nel 2006 e nel rapimento di Abu Omar“. “L’amarezza più grande – dice ancora Ranucci – è prendere atto che queste note vengono proprio dalle stesse persone che in queste ore hanno evocato la libertà di espressione nel caso Fedez. Ecco, voglio dire che la libertà di espressione non si può evocare come fosse una maglietta, che te la sfili la sera e la rimetti in un cassetto e la rindossi quando ti fa comodo. Noi andremo in onda regolarmente questa sera alle 21.20 su Rai3″.

Il caso Renzi-Mancini – Durante la puntata sarà quindi trasmesso il servizio di Giorgio Mottola anticipato oggi sul Fatto, in cui si racconta di un incontro avvenuto in autogrill tra l’ex segretario dem e l’agente del Dis (l’agenzia che coordina i servizi segreti interni ed esteri) Mancini. Il tutto a dicembre 2020, cioè quando cominciavano le manovre per far cadere il governo giallorosso e l’allora premier Conte era sotto attacco sulla cybersecurity e la delega ai servizi. Sulla vicenda è intervenuto lo stesso Renzi su Twitter: “Messaggio agli inconsolabili: il Governo Conte non è caduto per intrighi, complotti o incontri segreti (all’autogrill)”, ha scritto l’ex premier, con tanto di emoticon che ride. “Semplicemente Draghi è meglio di Conte e l’Italia oggi è più credibile. Tutto qui, si chiama politica“. In giornata il leader di Iv ha anche fornito ai giornalisti un link (non indicizzato) contenente il video integrale di un’intervista che Report gli ha fatto il 30 aprile, i cui contenuti saranno probabilmente mostrati stasera in tv. Nel corso dell’intervista mandata in onda dal programma d’inchiesta di Rai 3, Mottola ha fatto notare come nel corso della registrazione il senatore abbia citato il video e il luogo dell’incontro prima che gliene parlasse il giornalista.

A proposito del faccia a faccia con Mancini, Renzi spiega che doveva incontrarlo in Senato, ma “me ne ero dimenticato, ci siamo sentiti mentre io ero già in viaggio verso Firenze e lui mi ha raggiunto all’autogrill a Fiano Romano. È molto strano che ci fosse qualcuno a riprendere questo video“. Di cosa si è discusso? “Il dottor Mancini aveva un ottimo rapporto con il presidente Conte. Quindi sulle nomine bisogna parlarne con Conte. Anche perché io sulle nomine dei servizi non ho mai messo bocca da un giorno specifico: 4 dicembre 2016, quando ho perso il referendum e mi sono dimesso. Chi decide è il presidente del Consiglio. Quindi da allora mai messo bocca, ho solo chiesto al presidente Conte di lasciare il ruolo di autorità delegata”. Nell’intervista, Renzi menziona anche il dossier su Report che è alla base dell’interrogazione parlamentare di Nobili: “C’è un’interrogazione parlamentare su questo e quando ci sarà la risposta del ministro dell’Economia vedremo se, come io penso e spero, sia uno di quei tanti dossier che vengono mandati e non sono veri“, dice il fondatore di Iv. “Spero che una trasmissione così importante della Rai non paghi qualcuno per dire falsità. La Rai la pago anche io del resto… Io non ci credo. Non ho alcuno dubbio che il vostro comportamento sia cristallino. Io comunque il dossier non l’ho visto”.

Il testo dell’interrogazione parlamentare – Queste le domande rivolte da Nobili al ministero dell’Economia (che detiene le quote della Rai): “Se siano intercorsi rapporti economici nel mese di novembre 2020 fra la società Tarantula Luxembourg Sarl e la Rai TV e segnatamente se esista una fattura con oggetto Alitalia/Piaggio pagata dalla Rai a tale società per un totale di 45.000 euro e nel caso chi l’abbia autorizzata”. Due: “Se la redazione di Report abbia mai avuto rapporti con il dottor Francesco Maria Tuccillo, ex collaboratore della Piaggio Aerospace, e se vi siano stati rapporti economici fra la società lussemburghese e il dottor Francesco Maria Tuccillo“. L’interrogazione, viene spiegato da Iv, fa riferimento ad alcuni servizi andati in onda in passato. Nella trasmissione del 30 novembre, si legge, “si citano i rapporti del Governo Renzi con gli Emirati Arabi e una conferenza ad Abu Dhabi svolta successivamente dal Senatore Matteo Renzi”. Si intervistano quindi “testimoni che paventano rapporti personali e di favore – compreso l’inesistente pagamento di un volo privato – fra il dottor Alberto Galassi, ex amministratore delegato e poi Presidente di Piaggio Aerospace, e l’entourage del Senatore Matteo Renzi”. Si arriva quindi al 2 febbraio 2021, quando “i quotidiani Il Foglio, Il Giornale e Il Tempo accennano a presunte mail scambiate fra l’allora portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino e la Rai, aventi ad oggetto servizi che sarebbero stati confezionati al fine di danneggiare l’immagine del Senatore Matteo Renzi”. Italia viva chiede chiarimenti, sottolineando che “il servizio in oggetto viene stranamente mandato in onda due volte, la seconda il giorno 28 febbraio 2021”.

Le reazioni – La vicenda sta scatenando in queste ore un’ondata di polemiche contro Italia viva. Alessandro Di Battista racconta su Facebook il caso Renzi-Mancini e scrive che “appena uscita l’anticipazione di Report alcuni “sgherri” di Italia Viva hanno dichiarato che è in arrivo un’interrogazione parlamentare su un pagamento effettuato da Report ad una ‘fonte’ per ottenere informazioni da utilizzare contro Renzi. Dovete sapere che se viene presentata un’interrogazione parlamentare è molto più difficile denunciare per diffamazione il parlamentare che ne è l’autore. In un mondo normale questo sarebbe anche giusto dato che gli atti politici non dovrebbero mai essere sindacati. Ma nell’Italia di oggi molti politici utilizzano le Istituzioni per scopi personali. Report annuncia un servizio su Renzi ed i parlamentari di Italia Viva provano a ‘far pressioni‘ utilizzando atti pubblici quindi, di fatto, denaro pubblico. Il tutto a meno di 48 ore dall’ipocrita levata di scudi da parte della politica sul caso Fedez-Rai”. Di Battista invita quindi tutti a guardare Report stasera: “È il miglior modo di difenderci“. Dura anche la vicepresidente del Senato Taverna (M5s): “Si sta forse cercando di chiudere la bocca a Report? Si vuole forse limitare la libertà di informazione e di espressione di Ranucci?”, scrive. “Renzi ha per caso qualcosa da nascondere in merito a questi incontri? Stasera avrei avuto impegni, ma ora sono certa che troverò il modo per vedere il servizio che andrà in onda su Rai3″.

ILFQ

mercoledì 24 febbraio 2021

Dopo il Mes, i Servizi: Renzi ammaina un’altra bandierina anti-Conte. - Lorenzo Giarelli

 

Dall’Ilva alla prescrizione e adesso gli 007, Italia Viva cambia ancora: delega al premier e tutti muti sui pieni poteri.

Mancavano giusto i Servizi segreti. Dopo il Mes, la prescrizione, l’Ilva e i vaccini, Matteo Renzi e i suoi – insieme al resto della maggioranza – si preparano ad ammainare un’altra delle bandiere con cui per un mese avevano riempito giornali e tv nel tentativo – poi riuscito – di far cadere il governo Conte.

Proprio all’ex premier era stato imputato di voler rincorrere “i pieni poteri”, di non “rispettare le regole democratiche”, e tutto perché aveva intenzione di tenere per sé la delega all’intelligence. Un orientamento condiviso adesso da Mario Draghi, che pare intenzionato a occuparsi in prima persona degli 007, senza che nessuno della sua maggioranza alzi un dito per chiedere spiegazioni.

Magari alla fine non se ne farà nulla e Draghi cambierà idea all’ultimo minuto, ma le diverse anticipazioni uscite sui giornali sarebbero dovute bastare per stanare eventuali pasdaran delle deleghe, come era stato a dicembre con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Oggi invece non c’è traccia delle accuse di un tempo. E pensare che il 17 gennaio, sulla questione dei servizi, Renzi era netto: “Penso che si debbano rispettare le tradizioni democratiche. È l’ennesimo segno di un modello democratico che viene messo in discussione”. Qualche giorno prima, il leader di Iv si era lamentato della deriva autoritaria dell’ex premier: “I pieni poteri non vanno dati a nessuno, nemmeno a Conte. Per questo ho chiesto spiegazioni sulla gestione dei servizi segreti”.

Parole a cui facevano sponda diversi esponenti del Pd, tra cui il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio: “Quello dei Servizi è uno dei temi su cui anche noi abbiamo stimolato una riflessione. È una questione che va posta: è chiaro che è in capo al presidente del Consiglio, ma diverse volte è stata delegata ad altri”. Per non dire di Pier Ferdinando Casini, che definiva “incomprensibile” la scelta di Conte, figlia di “un accanimento” che “non dovrebbe esistere”.

Fiumi di parole che ora fanno posto a un ossequioso silenzio, proprio come già successo su alcuni dei temi per i quali – a suo dire – Renzi aveva aperto la crisi. Primo su tutti, quel fantomatico Mes che per mesi era stato descritto come “indispensabile” e per il quale era persino nato un intergruppo parlamentare a cui avevano aderito più di 100 tra deputati e senatori. Tutto finito in soffitta per ammissione degli stessi renziani e dei forzisti, che qualche giorno fa hanno chiarito come il tema “non sia più all’ordine del giorno” e come “non si debba creare problemi al governo Draghi”.

Un cambio di rotta niente male, che fa il paio con quanto successo sulla giustizia. Quasi tutti i partiti di maggioranza, ad esclusione dei 5 Stelle, avevano presentato emendamenti per eliminare il congelamento della prescrizione voluto dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, di cui Renzi aveva chiesto la testa. Al momento, però, il governo ha rinviato tutto a data da destinarsi: troppo divisivo il tema della giustizia per incartarsi al primo mese di esecutivo. Nel frattempo, la legge Bonafede rimane in vigore.

Che dire poi del commissario Domenico Arcuri, a cui Renzi e compagni hanno imputato i presunti disastri di una campagna vaccinale che invece, non più tardi di due settimane fa, è stata elogiata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Arcuri è ancora al suo posto e nel frattempo ha visto pure il nuovo governo confermare l’impianto del precedente esecutivo sulla questione Ilva. Il commissario all’emergenza Covid guida infatti anche Invitalia, l’agenzia pubblica che si farà carico di entrare nel capitale dell’acciaieria con pesanti investimenti statali, in modo da risolvere un contenzioso con Arcelor Mittal che dura da anni. Questa strategia, portata avanti dal Conte-2, è stata benedetta tre giorni fa dal nuovo titolare del Mise, il leghista Giancarlo Giorgetti, che ha incontrato i sindacati auspicando che “Invitalia prosegua nel percorso dell’accordo”. Con tanti saluti, anche in questo caso, a Italia Viva e alle sue rumorose proteste anti-Conte.

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