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venerdì 1 gennaio 2021

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco „Palermo perde un altro pezzo della sua storia: chiude la profumeria Arena Barranco“.

 

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco

Crisi, chiude la profumeria Arena Barranco
Nata nel 1880, era la più antica in città e ha visto alternarsi alla sua guida quattro generazioni. Sui social l'annuncio: "Gli addii non contano, conta solo quello che c'è stato". La Confederazione italiana degli esercenti commercianti: "Ci chiediamo cosa rimanga, ormai, del tessuto commerciale un tempo florido".

Palermo perde un'altra insegna storica: la profumeria Arena Barranco di via Notarbartolo. Nata nel 1880, ha visto alternarsi alla sua guida quattro generazioni, ma lo scorso 11 dicembre è arrivato l'annuncio sui social della chiusura dell'attività. "Dopo più di cento anni Arena Barranco chiude. Gli addii non contano, conta solo quello che c'è stato. Grazie a tutti", poche ma inequivocabili parole che segnano la fine di un'era.

Si tratta solo dell'ultimo di un lungo elenco di nomi che hanno fatto la storia di Palermo e che hanno chiuso i battenti, uno dopo l'altro. Le prime ad arrendersi alla crisi, alla concorrenza delle nuove catene, al cambiamento del tessuto sociale ed economico erano state - nel 2009 - le sorelle Hugony, titolari dell'omonima profumeria di via Ruggero Settimo. 

Non sono solamente le profumerie a pagare il conto della crisi. Uno dopo l'altro hanno abbassato la sarcinesca anche il bar Mazzara di via Magliocco, che ha spento le luci nel 2014 dopo una storia lunga 105 anni. Il bar Caflisch di Mondello non esiste più e adesso al suo posto c'è un altro bar, della libreria Dante è rimasto solo l'esterno e adesso ospita un bistrot. 

Sono ormai un ricordo anche i fratelli Gulì, che dagli anni '20 in piazzale Ungheria, vendevano biancheria e tessuti e indumenti da lavoro. In tempi più recenti ha abbassato la saracinesca anche Torregrossa, primo negozio di intimo di lusso a fare capolino in città con una storia iniziata nel 1934. La boutique Alongi lo scorso anno ha lasciato il suo posto di via Ruggero Settimo a un Lego Store. Ed è storia recente la vicenda del colosso Rinascente, che ha rischiato di salutare Palermo, stavolta per il caro affitti. 

130982594_1478341039037717_5965050078754570781_o-2-2A esprimere preoccupazione per la scomparsa delle insegne storiche è la Cidec (Confederazione italiana degli esercenti commercianti), "Abbiamo appreso con dispiacere dell'ormai prossima chiusura di Arena Barranco, la più antica profumeria in città", dice il presidente Salvatore Bivona. "Ci chiediamo - prosegue - cosa rimanga, ormai, del tessuto commerciale, un tempo florido, della Palermo dei decenni passati". La Cidec spiega di avere chiesto l'apertura di un tavolo di crisi al governo regionale nei mesi scorsi. "Senza Arena Barranco - conclude Bivona - via Notarbartolo non sarà più la stessa: viene meno un luogo che ha unito, a partire dal 1880, tante generazioni nel nome dell'eleganza e della bellezza".



https://www.palermotoday.it/cronaca/profumeria-arena-barranco-via-notarbartolo-chiude-commercio-crisi.html

domenica 18 ottobre 2020

Serrande giù e poi subito su: i locali hanno il “trucco”. - Sarah Buono

 

Dpcm o no, a Bologna e Catanzaro hanno trovato l’escamotage giusto. Al Mavit Bar di fronte alla stazione bolognese, e al Plaza Café del lido catanzarese i rispettivi proprietari non si sono arresi alle nuove regole e studiando a fondo il nuovo decreto sono riusciti a scovare un angolo cieco. In che modo? “Chiuderemo alle 24 e riapriremo all’1” spiegano i cartelli all’entrata del bar a Bologna. Uno scherzo? No assolutamente. Nell’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio, infatti, c’è scritto chiaramente che le attività di ristorazione sono permesse fino a mezzanotte mentre la consegna a domicilio e da asporto è “consentita sempre”. E così, rispettando le regole e provando a far quadrare i conti nonostante il difficile momento, ecco la soluzione: chiudere alle 12 come bar per riaprire dopo un’ora ma vendendo panini take away. Qui movida non ce n’è, questo bar esiste da più di trent’anni e ha sempre servito pendolari e viaggiatori che dopo una certa ora in stazione non trovano più nulla di commestibile. Ancora più spavaldo il titolare del Plaza a Catanzaro Lido, Aldo Manoiero, che chiude a mezzanotte e riapre dopo quindici minuti. In piena legalità. “Il decreto non dice quando si può riaprire – sottolinea il gestore – noi non abbiamo problemi di distanziamento sociale, qui non si balla, quello che mi interessa è continuare a lavorare”. E così, dopo l’entrata in vigore del provvedimento, questo bar-cornetteria con sala slot ha chiuso regolarmente alle 24 ma solo per 15 minuti. L’apertura non è sfuggita alla polizia che ha subito fatto un controllo la sera stessa dell’entrata in vigore del Dpcm, ma senza alcuna sanzione. “Il controllo lungo e accurato si è chiuso con la polizia che ha soltanto preso la mia dichiarazione”, ha detto l’imprenditore.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/18/serrande-giu-e-poi-subito-su-i-locali-hanno-il-trucco/5970290/

“Il decreto non dice quando si può riaprire"
Fesserie! Il decreto fissa un orario d'apertura ed uno di chiusura, il che sottintende' lapalissianamente, che durante l'intervallo tra orario d'apertura e orario di chiusura il locale DEVE restare chiuso.
Quindi, chi utilizza l'escamotage della vendita da asporto aggira le norme stabilite dal dpcm, ma non credo che lo faccia legalmente se non è munito dell'apposita licenza. In ogni caso, suppongo che anche l'escamotage utilizzato non autorizzi l'apertura del locale.
cetta

lunedì 27 luglio 2020

Ponte sullo Stretto, lo Stato chiude la Spa dopo 39 anni. - Carlo Di Foggia

Ponte sullo Stretto, lo Stato chiude la Spa dopo 39 anni

Grandi opere - Palazzo Chigi scrive la norma per liquidare la società concessionaria in guerra col costruttore Salini (che finora ha perso).
Le grandi storie italiane hanno sempre strascichi infiniti e quella del Ponte sullo Stretto non è da meno. Ma quasi quarant’anni dopo la sua istituzione e otto anni dopo la decisione di fermare l’opera, la società concessionaria incaricata di costruirla potrebbe davvero chiudere i battenti. La decisione l’ha presa Palazzo Chigi che, dopo un lungo tira e molla, sembra aver trovato la quadra con i ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture.
Il 14 luglio scorso, il segretario generale della Presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, ha scritto al Tesoro e – in copia – al ministero delle Infrastrutture una lettera in cui allega anche la norma per liquidare definitivamente la società “Stretto di Messina spa”.
Sdm ha una storia travagliata. È stata messa in liquidazione nel 2013, quando il governo Monti ha definitivamente fermato il progetto, e affidata al commissario Vincenzo Fortunato, già consigliere di Stato e potente capo di Gabinetto al Tesoro con Giulio Tremonti. La concessionaria era nata nel 1981 per costruire l’opera in concessione col mitico project financing, il meccanismo per cui il privato costruisce l’opera e si ripaga con i pedaggi, ma alla fine quasi sempre è lo Stato a rimetterci. Il caso del ponte fa quasi sorridere perché in quel caso il privato era il pubblico. Sdm è infatti controllata dall’Anas, la società pubblica delle strade e da Rfi, entrambe controllate a loro volta dalle Ferrovie dello Stato.
È da quasi un anno che Palazzo Chigi vuole liquidare definitivamente la società e Chieppa scrive con cadenza regolare al capo di Gabinetto del Mef, Luigi Carbone. A chiederlo per prima, nel 2016, è stata la Corte dei conti. Nel 2018 ha dato l’ultimatum al termine di un’istruttoria redatta dal giudice Antonio Mezzera che ha contestato l’utilità di Sdm (costi: 1,5 milioni nel 2016, ridotti sotto il milione nel 2017). Secondo i magistrati contabili le funzioni della società possono essere assorbite dai suoi azionisti, cioè le Fs, cioè i ministeri. Che invece finora si sono mostrati scettici sull’utilità dell’operazione e hanno chiesto una norma ad hoc. “Dopo le percorse interlocuzioni (…) da cui è emersa la convenienza per lo Stato di procedere alla definitiva chiusura della liquidazione di ‘Stretto di Messina’, ti sottopongo una nuova bozza di norma”, scrive Chieppa a Carbone. Il testo, insomma, pare concordato. Verrà verosimilmente infilato nel decreto Semplificazioni, in conversione al Senato, o nel prossimo decreto di agosto. Prevede che Sdm rediga un bilancio finale e venga assorbita da Anas, confluendo però in un patrimonio separato per evitare alla società delle strade di dover rispondere con il proprio patrimonio di debiti e oneri di Sdm. Sarà Anas a gestire “tutti i giudizi pendenti”.
Sdm, infatti, è il perno di un mega contenzioso. Nel 2013 il consorzio Eurolink, capeggiato da Salini-Impregilo che nel 2005 ha vinto la gara per il Ponte, ha fatto causa a Stretto di Messina spa e a Palazzo Chigi chiedendo 800 milioni di penale per non avergli fatto costruire l’opera. Da anni il boss del gruppo, Pietro Salini, rivendica quei soldi in forza di un clamoroso regalo fatto nel 2008 dal governo Berlusconi che resuscitò il contratto accantonato da Prodi con un “atto aggiuntivo” che faceva scattare le penali anche se il progetto non fosse stato approvato dal Comitato per la programmazione economica (Cipe). Anzi, le faceva scattare proprio in forza della mancata approvazione. Un accordo rimasto segreto finché Giorgio Meletti non l’ha rivelato sul Fatto a fine 2012.
Salini però la causa l’ha persa. A fine 2018 il tribunale di Roma ha dato ragione al team legale di Sdm, guidato da Fortunato, stabilendo che a Eurolink spetta solo il 10% delle opere già realizzate, qualcosa come 8 milioni. Salini ha fatto appello e a novembre il tribunale potrebbe chiudere la partita. E anche la società potrebbe non esserci più.
Magari è un caso, ma il diktat di Palazzo Chigi arriva dopo che nei mesi scorsi Matteo Renzi è tornato a chiedere di far fare il Ponte all’amico Salini (che equivale a legittimare le sue pretese di avere la penale).

mercoledì 31 luglio 2019

Facebook rischia di chiudere, ha contro i giovani (e Soros). - Massimo Bordin



Ci sono almeno 3 indizi che portano verso un’inaspettata chiusura del più grande social media del mondo. Il primo è quello di cui tutti parlano oggi: un ipermegamultone che si aggiunge alle rogne pregresse di Zuckerberg; ben presto la politica dovrà mettere mano alla faccenda con una manovra antitrust, anche e soprattutto in vista delle elezioni americane del 3 novembre. C’è chi, come business insider, scommette sulla chiusura di Facebook e parla di una operazione in grande stile che il governo post-Trump dovrà attuare. La vicenda di Cambridge Analytica è a tutti nota, e ora si è aggiunta solo l’indiscrezione per la cifra da pagare a seguito di violazione della privacy: cinque miliardi di dollari. La più elevata mai imposta dalla Federal Trade Commission contro un’azienda di tecnologia. Attenzione, non sarebbe certo la prima volta che accade qualcosa del genere ad un’azienda di grandi dimensioni. E penso alla compagnia petrolifera Standard Oil, fondata da Rockefeller nel 1870 e smembrata per decreto nel 1911 dall’antitrust americana.
A detta degli espertoni, questo è il più grande rischio che oggi corre Facebook, perché uno smembramento comporterebbe cambiamenti epocali, tali da snaturare l’idea stessa del “faccialibro” per come esso nacque nell’ormai preistorico 2004. Il secondo indizio allieterà senza dubbio i gusti dei complottisti – di gran lunga la categoria umana che preferisco e della quale mi vanto di far parte, nonostante il neologismo sia demenziale e colpisca scorrettamente tutti quelli che propongono dei dubbi. Si tratta di Soros, amici. Eh già, il vecchio volpone dell’economia globalista da qualche tempo attacca Facebook senza remore. «Affermano che distribuiscono solamente informazioni – ha affermato il capitalista ungherese – ma in realtà sono quasi distributori monopolisti, e questo li rende servizi pubblici. Dovrebbero pertanto essere soggetti a regolamentazioni più stringenti mirate a preservare la competizione, l’innovazione e un accesso universale, leale ed aperto». Soros ha poi paragonato Facebook e Google ai casinò, che «progettano deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono».
Ma qual è la ragione di questo attacco? Non lo sappiamo, ma da buon complottista ipotizzo che Facebook abbia dato voce a tutti, minando così le cristalline certezze provenienti dai media tradizionali. Insomma, Soros finanzia i liberal sparsi per il mondo, ma chi contesta i liberal è “fuori controllo” grazie a internet. A mio avviso è evidente che lui odi la Rete. Ad esempio, il vegliardo spende una vagonata di soldi per far salire al potere la Hillary Clinton, eppoi la Rete aiuta la visibilità di Donald Trump. Inaccettabile per un lobbysta che si rispetti! Ma è il terzo indizio quello che mi induce a ritenere Facebook avviata al tramonto o ad un profondo rimescolamenteo delle (sue) carte. Il social, infatti, ha dei picchi di utenza che ben presto saranno ridimensionati dal fatto che i millennials non si iscrivono più a questo tipo di social. In altre parole, la disaffezione dei giovani costringerà Zuckerberg alla chiusura in modo molto più determinante delle decisioni dell’Antitrust.
Ve lo ricordate Myspace? E SecondLife? Tutta bella roba caduta in disuso per assenza di grano, altro che antitrust! Com’è noto, infatti, le nuove generazioni preferiscono Instagram (sempre di proprietà di Zuckerberg) dove praticamente non si parla di politica (e Soros qui non sbrocca, guardacaso), o Tinder, la nuova Bibbia per i segaioli impenitenti. Insomma, immagini taroccate e app per rimorchiare potranno continuare, Facebook rischia invece grosso. Se non cambia pelle. Dovesse accadere, comunque, non tutto il male viene per nuocere. Chi è noiosamente e ampollosamente affezionato ai “discorsi lunghi” potrà infatti tornare ai vecchi cari blog (ehehehe), ai forum, oppure alle nuove app come Telegram, società di messaggistica e canali in stile blog informativi che ha sede nel Regno Unito, ma che è stata fondata dall’imprenditore russo Pavel Durov. Con un cognome così direi che il rischio smembramento è quanto mai remoto.
(Massimo Bordin, “Facebook verrà chiuso”, dal blog “Micidial” del 29 luglio 2019)

mercoledì 29 maggio 2013

Cronache dalla crisi Chiudono i big del commercio. - Eliana Marino

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La città, giorno dopo giorno, sta perdendo tutti i suoi punti di riferimento. In ogni settore. E chi ha un minimo di memoria storica, ormai non si raccapezza più. L'ultima attività, in ordine di tempo, a crollare sotto i colpi della crisi è stata la gioielleria Longo.

PALERMO - L’ultimo ad arrendersi al crollo delle entrate è stato Emilio Longo. La sua gioielleria, nel salotto buono della città, viveva dal 1934. Ora su quella vetrina campeggia solo un cartello che annuncia che tutta la merce è in saldo, fino a sabato prossimo. Poi, la saracinesca verrà abbassata per l’ultima volta. E la storica gioielleria Longo di via Ruggero Settimo abbandonerà una città che, giorno dopo giorno, sta perdendo tutti i suoi punti di riferimento. In ogni settore. E chi ha un minimo di memoria storica, ormai non si raccapezza più.

È passato poco più di un mese dalla definitiva chiusura della libreria Flaccovio, dal 1938 in via Ruggero Settimo simbolo della cultura a Palermo. Luogo che ha visto passare Denis Mack Smith, Indro Montanelli, Cesare Zavattini, Renato Guttuso, Mario Soldati. Dove Tomasi di Lampedusa si recava quotidianamente, Leonardo Sciascia dibatteva animatamente e Bruno Caruso creava la prima galleria d’arte. Duecentocinquanta metri quadri, che ora, con ogni probabilità saranno occupati dal marchio di biancheria intima, Tezenis. E quello di via Ruggero Settimo non è l’unico punto vendita a essere stato chiuso. Il marchio amministrato da Sergio e Francesco Flaccovio (da non confondere con la Dario Flaccovio Editore), ha chiuso, infatti, anche il negozio all’interno dell'aeroporto Falcone Borsellino (è imminente la chiusura di quello del centro commerciale Forum), la libreria Dante di via Maqueda e, l'anno scorso, aveva abbassato le saracinesche dei negozi di piazza Vittorio Emanuele Orlando e di via Basile.

Una crisi inarrestabile che sembra non lasciare scampo. E sotto la cui scure sono già caduti la cartoleria De Magistris-Bellotti (il primo punto vendita del negozio di cancelleria era stato aperto a Milano agli inizi del Novecento) che, dopo 106 anni di attività, ha detto addio ai punti vendita di via Gagini, viale Strasburgo e via Leanti, lasciando a casa 24 dipendenti; la valigeria Vitale di via Libertà fondata nel 1909 dai fratelli Andrea e Nicolò e capace negli anni anche di offrire lavoro a oltre 70 dipendenti (negli anni, però, drasticamente ridotti); il negozio di calzature e accessori di lusso Schillaci sempre in via Libertà che ha venduto i locali a un marchio del lusso made in Italy, Gucci, ma soprattutto ha lasciato a casa 5 dipendenti. E poi ancora, la BottegucciaTessilcora, l'azienda fondata nel 1947 dalla famiglia Sansone che, dopo 70 anni di attività, ha chiuso lasciando senza lavoro 4 dipendenti (al suo posto, lo scorso autunno ha aperto un Burger King). E andando un po’ più indietro nel tempo, l’elenco si allunga con il negozio dei fratelli Gulì, avviato nel 1923 e per tanti anni leader nella produzione e nella vendita di biancheria, tessuti e indumenti da lavoro; Onofrio Niceta di via Trento che dopo oltre 50 anni di attività ha abbassato le saracinesche; i negozi musicali (Diskery, Ellepi, Cosmosound, Il Musichiere, Master);Battaglia, in via Ruggero Settimo, che di anni ne aveva più di 70, e due colossi come Hugony e Russo, entrambe con alle spalle una storia plurisecolare.

Ma a fare i conti con lo tsunami della crisi sono anche realtà più grandi. Basti pensare a Grande Migliore, megastore di elettrodomestici, oggettistica e tecnologia con sedi a Palermo e a Trapani, che ha chiuso i battenti dopo 84 anni di attività lasciando a casa 269 lavoratori (ora in parte riassorbiti dal gruppo Bellavia che gestisce il marchio Casa Crea e che ha da poco riaperto il punto vendita di Trapani); Max Living del gruppo Electromarket Li Vorsi, azienda che negli ultimi 5 anni ha visto dimezzare il proprio fatturato, marciando lentamente verso il fallimento e lasciando a casa 200 persone.

E la lista si allunga con pub, ristoranti (negli ultimi tre mesi sono 70 le chiusure. Ultimi, in ordine di tempo, ristoranti con più di vent'anni di attività come il "Renna Restaurant" di via Principe di Granatelli, "Capricci di Sicilia" in piazza Sturzo e "Ma che bontà" in via Emilia), alberghi e supermercati.

La crisi – commenta Mimma Calabrò, segretario generale Fisascat Cisl di Palermo – sta investendo tutti i settori. Giornalmente chiudono aziende e si perdono centinaia di posti lavoro. È diventata prassi ormai ricevere note di aperture di procedure di mobilità, di licenziamenti collettivi, di richieste di cassa integrazione, segnale che la nostra economia è letteralmente in ginocchio”.

"Il dato che più dà il senso della gravità e della pesantezza della crisi a Palermo è rappresentato dal numero delle imprese con procedure concorsuali (2.988) e in stato di liquidazione (5.231), imprese destinate alla chiusura”, ha detto il presidente di Confcommercio Palermo Roberto Helg appena qualche mese fa.

Ma nessuno sembra più farci caso. E intanto la crisi spazza via tutto, cambiando il volto a una città. Indisturbata.


http://livesicilia.it/2013/05/27/cronaca-di-una-morte-annunciata-palermo-perde-i-big-del-commercio_322654/

sabato 22 settembre 2012

Ha chiuso il Center Gross del Centro Olimpo a Palermo. - Loredana Ales


centro-olimpo
Ha chiuso il Center Gross del Centro Olimpo a Palermo. A sorpresa i lavoratori e i consumatori hanno trovato i cancelli chiusi. L’ennesimo brutto colpo per il commercio palermitano che vive uno dei periodi più bui degli ultimi anni.
Per i lavoratori che da oggi non hanno più il posto di lavoro c’è ancora una piccola speranza. Così come é successo in passato per Grande Migliore continua la trattativa per l’acquisizione da parte di altre aziende di cui non si conoscono ancora i nomi e per la ricollocazione del personale e per la cassa integrazione in deroga.
Qualche giornio fa la Fisascat Cisl aveva avanzato in una nota all’azienda, la Center Gross Sicilia che gestisce i reparti di elettronica ed elettrodomestici (ex Euronics) e del Centro Olimpo, la proprosta di attuare i procedimenti di cassa integrazione in deroga per tutti gli operai, al momento 14 sarebbero coinvolti e di ricollocare i lavoratori presso le aziende che acquisiranno il centro commerciale.
“La proprosta, riferiscono i sindacati, è stata accolta”.Per la fine di settembre, si terrà, infatti, un incontro con vertici aziendali e i sindacati per la stipula dell’accordo.
“Accogliamo con molto piacere – dichiara a BlogSicilia Mimma Calabrò, segretario generale Fisascat Cisl Sicilia il fatto che l’azienda abbia preso atto di quanto qualche giorno fa avevamo ribadito in una nota, ovvero la possibilità di cassa integrazione e ricollocazione del personale. Gli ammortizzatori sociali in deroga sono di estrema importanza perché in questo modo si permette agli operai di rimanere legati all’azienda”.