venerdì 26 aprile 2013

Il Pd avverte i dissidenti «Chi vota contro è fuori».


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Il partito teme la fronda di chi non vuole fare nascere un governo con Berlusconi.

L’esperienza insegna. Dopo Franco Marini e Romano Prodi, il Pd corre ai ripari per evitare che anche Enrico Letta cada sotto il fuoco amico dei franchi tiratori. Ufficialmente sono 21 i membri della Direzione del partito che martedì hanno votato contro o hanno preferito non esprimersi sulla scelta di far nascere un esecutivo insieme a Silvio Berlusconi. Ma tra i parlamentari democratici (non tutti fanno parte della Direzione ndr ) i contrari al cambio di linea sono sicuramente di più.
Alcuni, probabilmente, si lasceranno convincere dall’aut aut posto da Giorgio Napolitano («non c’è alternativa»), altri invece continuano da giorni a ribadire la propria posizione. Minacciando di non votare la fiducia quando l’esecutivo guidato da Letta e composto da ministri provenienti dalle file del centrodestra si presenterà davanti alle Camere.
Lo dice chiaramente il deputato Pippo Civati intervistato dal Fatto Quotidiano : «L’ipotesi di governissimo è quella che abbiamo sempre escluso e ora si fa un super governissimo. Al massimo potevo accettare un esecutivo di scopo. Se le cose restano come in questo momento non voterò la fiducia».
Sulla stessa linea la senatrice Laura Puppato che, intervistata da Repubblica , rilancia: «Se ci sono Alfano e Schifani, allora non posso dare la fiducia. Diventa un problema di coscienza. I nomi che arrivano dal Pdl sembrano una provocazione, soprattutto perché a Berlusconi interessano il dicastero della Giustizia e tutti quei ministeri utili alle sue attività per le leggi ad pesonam. Berlusconi non ha senso dello Stato e del Paese. E non è una posizione preconcetta o una faziosità, ma ne abbiamo una lunga esperienza».
«Letta dovrebbe sfidarli su un governo di scopo e basta - insiste -. Il rischio resta quello che abbiamo paventato in più persone nella Direzione del partito: il centrodestra a questo punto chiederà il via libera per altrettante figure politiche. E del resto se il Pdl avesse subito offerto personalità di innovazione non staremmo qui a parlare e non avremmo perso tutto questo tempo».
Insomma i distinguo non mancano. E lo stesso Capo dello Stato ne era ben consapevole quando, per evitare di radere al suolo ciò che restava del Pd, ha deciso di rinunciare a Giuliano Amato per puntare sul vicesegretario. Un modo per vincolare anche i più scettici al principio di lealtà nei confronti di chi guida il partito.
Ma al momento lo scetticismo rimane. Al punto che c’è chi avverte i dissidenti sui rischi della loro posizione. «Nessuna minaccia ai colleghi - spiega il lettiano Francesco Boccia intervenendo telefonicamente a SkyTg24 -, ma ci sono delle regole che vanno rispettate ed è chiaro che chi non dovesse votare la fiducia al governo sarebbe fuori dal partito». Parole che scatenano l’immediata reazione di Civati: «Chi non è d’accordo va ascoltato, non espulso. A cominciare dai 101 che non hanno votato Prodi, che sarei felice di conoscere».
Ma Boccia non è l’unico sostenitore della linea dura. Con lui anche Dario Franceschini, Debora Serracchiani e il capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Tutti sottolineano la necessità di evitare altri colpi di testa. Anche perché il voto di fiducia al governo è palese e i Democratici, dopo i richiami di Napolitano, non possono permettersi altri passi falsi. «Io vorrei davvero che questi franchi tiratori si palesassero - sottolinea Serracchiani -, si presentassero e naturalmente uscissero dal mio partito perché non credo che ci siano le condizioni per andare avanti insieme».
Mentre Boccia ribadisce: «La richiesta del rispetto delle regole, almeno di quelle che ci siamo dati tutti insieme, avanzata da me e da molti altri esponenti del nostro Partito, non può e non deve essere mai considerata come una minaccia». Meglio chiamarlo un «avviso». E come insegna la saggezza popolare: uomo avvisato...

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