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mercoledì 8 luglio 2020

Ferri ci riprova: scrive a Fico Vuole lo scudo della Camera. - Ilaria Proietti

Ferri ci riprova: scrive a Fico Vuole lo scudo della Camera

Ferri, finito nei guai con Luca Palamara&Co. per via degli incontri all’hotel Champagne dove ci si dava da fare per le nomine al vertice della Procura di Roma, vuole lo scudo preventivo dai suoi colleghi deputati, forse tentando di guadagnare tempo. Infatti ha chiesto al presidente della Camera Roberto Fico di sollevare il conflitto di attribuzione di fronte alla Corte Costituzionale nei confronti del procuratore generale presso la Corte di Cassazione e del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, sostenendo di essere stato intercettato illegittimamente e cioè senza l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza. Per via del suo brigare come dominus di una delle correnti della magistratura ma pure come cerniera con la politica (a quella tavolata rappresentata anche da Luca Lotti), rischia una sanzione disciplinare dal Csm.
Che teme possa costargli la carriera, almeno quella in toga. O quanto meno insozzargliela definitivamente, lui che è riuscito a rimanere sempre puro come un giglio. Nonostante il suo nome sia comparso negli anni ripetutamente, senza però mai essere indagato: da Calciopoli, al Trani-gate, dall’inchiesta P3, al caso Saguto e da ultimo come cerimoniere degli incontri tra Silvio Berlusconi e il giudice Amedeo Franco, relatore della sentenza Mediaset, con tanto di colloqui registrati e oggi resi pubblici nel tentativo di riabilitazione del Cav. Sempre graziato dal suo Csm, ora tenta il colpaccio anche alla Camera: della sua richiesta dovrà occuparsi prima la Giunta per le autorizzazioni e le immunità di Montecitorio che dovrà predisporre una relazione per l’Ufficio di presidenza guidato da Fico. Che dopo ulteriore istruttoria, se riterrà la questione degna di attenzione, farà decidere l’aula.
Ma cosa chiede Ferri? Il deputato di Italia Viva si era già rivolto personalmente, ma senza successo alla Consulta, a difesa delle sue prerogative di parlamentare. Lamentando che gli inquirenti sapessero già, grazie al trojan installato sul telefono di Palamara, che al famigerato convivio del 9 maggio 2019 organizzato sulle nomine al Csm, avrebbe partecipato pure lui. E che dunque quella sera avrebbero dovuto staccare la cimice oppure chiedere l’autorizzazione preventiva alla Camera.
Ora che la Corte Costituzionale ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, la speranza è di trovare protezione politica dai suoi colleghi parlamentari. E che la Camera faccia la voce grossa a tutela delle prerogative dell’Istituzione tutta, minacciate dal “torto” che ha dovuto subire un suo rappresentante.
Una mossa del cavallo attraverso la quale Ferri vuole garantirsi l’inutilizzabilità delle captazioni che sono alla base del procedimento disciplinare che lo riguardano. E uscirne di nuovo incolume salvando l’onore e il posto di magistrato. Ché quello di parlamentare non glielo tocca nessuno.

venerdì 3 luglio 2020

I 4 incontri propiziati da Ferri: così si decise di registrare il giudice. - Gianni Barbacetto


l'onorevole renziano cosimo ferri rivela: fui io a portare il ...
Nessun complotto: caso Mediaset deciso subito perché si prescriveva il 1.8.2013. i 10 misteri dei 4 incontri fra B., il suo giudice e il solito Ferri.
È lui “il magistrato” che porta il giudice Amedeo Franco da Silvio Berlusconi. È Cosimo Ferri, leader storico della corrente Magistratura indipendente, che però nel 2013 riveste un ruolo politico, perché è sottosegretario alla Giustizia (berlusconiano) del governo di Enrico Letta, nato dalle “larghe intese” tra Pd e Berlusconi. È Ferri che chiede un incontro al leader di Forza Italia, perché deve riferire quanto gli ha detto uno dei giudici che hanno firmato la sua condanna definitiva in Cassazione. Silvio tira in lungo, rimanda. “Da tempo aveva chiesto di parlarmi e io mi ero rifiutato”, racconta, “perché ero troppo amareggiato per quello che avevo subito”.
In verità, sono i suoi avvocati, Niccolò Ghedini e Franco Coppi, a suggerirgli prudenza: un giudice che va a parlare con il suo condannato è inconsueto perfino nel magico mondo berlusconiano. Dopo le insistenze di Franco e del suo ambasciatore Ferri, Ghedini e Coppi dicono sì, raccomandando però di registrare gli incontri. Sono quattro o cinque, avvengono a Roma a Palazzo Grazioli tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. Ad almeno un paio è presente anche Ferri. Nelle trascrizioni compaiono anche due voci femminili, che potrebbero essere segretarie e assistenti di Berlusconi. Ghedini e Coppi ne restano fuori, anche per non diventare testimoni dei fatti e dover rinunciare alla difesa. Finché Franco è vivo, non esibiscono gli audio, che sono però evocati in una memoria alla Corte di Strasburgo del 2015. Nel 2017 ne accenna Berlusconi nel programma di Bruno Vespa, dicendo che “aveva la prova” che la sentenza di Cassazione era viziata. Il 20 maggio 2020 – dopo la morte di Amedeo Franco – Ghedini e Coppi depositano a Strasburgo anche i file audio. Uomo-chiave degli incontri è Ferri. È lui a contattare Berlusconi per farlo parlare con Franco. È lui ad accompagnarlo a Palazzo Grazioli.
Figlio d’arte, Cosimo ha ereditato le sue due anime dal padre, Enrico Ferri, magistrato ma anche ministro socialdemocratico dei Lavori pubblici ai bei tempi della Prima Repubblica. Fa il giudice al Tribunale di Massa, sezione penale di Carrara. Ma la sua vera passione sono le relazioni. A soli 35 anni viene eletto, grazie alla campagna elettorale paterna, al Consiglio superiore della magistratura. Poi diventa segretario generale di Magistratura indipendente, che trasforma nella sua rete di rapporti e di potere. Nel 2012, alle elezioni dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), stabilisce il record italiano delle preferenze, raccogliendo 1.199 voti. Si butta in politica. Sotto l’ombrello di Berlusconi: nel 2013 diventa sottosegretario alla Giustizia del governo Letta. È questo il momento in cui porta Amedeo Franco a Palazzo Grazioli. Resta sottosegretario anche dopo la fine delle “larghe intese”: autoproclamandosi “tecnico”. Mantiene la poltrona anche nei successivi governi Renzi e Gentiloni. Nel 2018 viene eletto deputato del Pd, che lascia nel settembre 2019 per aderire a Italia Viva.
Il suo nome compare come il prezzemolo in molti succulenti piatti-scandalo italiani. In Calciopoli entra, da gran collezionista di poltrone qual è, come membro dell’Ufficio vertenze economiche della Federcalcio. Nel 2005, in una telefonata intercettata, ringrazia il vicepresidente Figc, Innocenzo Mazzini, a nome dell’amico Claudio Lotito, patron della Lazio, per aver fatto designare un arbitro che ha favorito i biancazzurri: “Mi ha detto Claudio di ringraziarti. Sei un grande”. Nel 2009 si occupa di Michele Santoro: Giancarlo Innocenzi, commissario berlusconiano all’Agcom, dice a Berlusconi di “aver trovato una chiave interessante” per bloccare il programma Annozero, grazie ai preziosi consigli di Ferri. Nel 2010, compare nelle intercettazioni dello scandalo P3: si dava da fare per piazzare magistrati nei posti desiderati.
Per lui, la frontiera tra politica e magistratura è frastagliata e incerta come i crinali della sua Lunigiana. Così nel 2014 fa campagna elettorale per il Csm, mandando sms ai suoi ex colleghi magistrati, per invitarli a votare due suoi protetti. L’Anm denuncia l’interferenza della politica e del governo nelle attività elettorali del Csm. Tutte medaglie. Il 21 luglio si presenterà alla sezione disciplinare del Csm, per lo scandalo Palamara: dovrà spiegare i suoi incontri con il deputato renziano Luca Lotti, con cui discuteva la nomina del procuratore di Roma. Chissà se spiegherà anche il suo ruolo di mediatore tra il giudice e il condannato.

venerdì 12 luglio 2019

Caos Procure, il Csm: “Le intercettazioni tra Palamara, Ferri e Lotti possono essere utilizzate: captate in modo casuale”.

Caos Procure, il Csm: “Le intercettazioni tra Palamara, Ferri e Lotti possono essere utilizzate: captate in modo casuale”
Cosimo Ferri, Luca Lotti, Luca Palamara.

Respinta la richiesta della difesa di dichiararle inutilizzabili, perché per ascoltare i parlamentari sarebbe stata necessaria l'autorizzazione della Camera, in virtù del fatto che "la direzione dell'atto di indagine non è volta ad accedere alla sfera delle comunicazioni parlamentari, la cui partecipazione all'incontro non era in alcun modo nota". Su Palamara: "Da parte sua risiko giudiziario, fatti contestati hanno compromesso, al momento, credibilità, prestigio e immagine".

Le intercettazioni fra Luca Palamara e i parlamentari Cosimo Ferri e Luca Lotti sono state captate in modo casuale e quindi possono essere utilizzate. Anche perché gli investigatori non sapevano che si sarebbero incontrati e quindi in alcun modo avrebbero potuto spegnere il trojan inoculato nello smartphone del magistrato. Di più: i loro colloqui sono stati ascoltati il giorno dopo, quando ormai erano avvenuti. Lo sostiene la Sezione Disciplinare del Csm nell’ordinanza con la quale ha sospeso il pubblico ministero Palamara, indagato per corruzione dalla procura di Perugia, definendo i suoi rapporti un “risiko giudiziario” per “occupare le procure” e i fatti contestati talmente gravi da aver “irrimediabilmente compromesso”, al momento, la sua “credibilità, prestigio e immagine”.
“Sono casuali, nessun dubbio” – Per quanto riguarda l’utilizzabilità delle intercettazioni, osserva il Collegio, quelle “rilevanti per il presente procedimento devono senz’altro essere reputate casuali, non potendosene certamente predicare la natura diretta né, più semplicemente, indiretta”, scrive il presidente della Sezione Disciplinare, Fulvio Gigliotti. E trattandosi di “intercettazioni casuali – si legge nell’ordinanza – nessun dubbio può sorgere intorno alla circostanza che esse siano liberamente utilizzabili, in confronti dei terzi per i quali si procede (Palamara, ndr), a prescindere della mancanza di autorizzazione (anche ex post) della Camera di appartenenza del parlamentare”. Appare, secondo il membri della Sezione Disciplinare, “del tutto evidente” stando ai “criteri sedimentati” sulla utilizzabilità o meno di dialoghi captati nei quali sia coinvolto un parlamentare che nel caso dei colloqui tra i tre ci sia un carattere “casuale e fortuito”.
“Ascoltate solo dopo l’incontro” – Le indagini all’interno delle quali vengono ascoltati Ferri e Lotti, infatti, si legge nell’ordinanza, “non sono in alcun modo fatti riferibili” agli stessi parlamentari. Non esiste, ricorda la Sezione Disciplinare, “alcuna frequenza di contatti” tra Palamara e i due esponenti dem “tale da consentire una prevedibile partecipazione degli stessi alle attività (dell’incolpato) oggetto di monitoraggio”. È agli atti, infatti, “una sola intercettazione con l’onorevole Cosimo Ferri, collocata in un arco temporale che si pone a strettissimo ridosso (alcune ore prima) dell’incontro in oggetto di captazione”. Ma soprattutto, si sottolinea nell’ordinanza, “l’attività di ascolto e trascrizione della predetta intercettazione, nella quale l’incontro veniva programmato, è avvenuto” da parte della polizia giudiziaria “soltanto dopo che l’incontro captato aveva avuto luogo”.
“Ignari di presenza Ferri e Lotti” – Insomma, conclude l’ordinanza, non può essere accolta la richiesta della difesa di Palamara di dichiarare inutilizzabili le intercettazioni con Ferri e Lotti, perché per ascoltare i parlamentari sarebbe stata necessaria l’autorizzazione della Camera, in virtù del fatto che “la direzione dell’atto di indagine non è volta, in concreto, ad accedere alla sfera delle comunicazioni parlamentari, la cui prossima partecipazione all’incontro non era in alcun modo nota agli investigatori”.