venerdì 3 luglio 2020

B. si stava trasfigurando ma un Nastro ce l’ha ridato. - Antonio Padellaro

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Fino a qualche giorno fa, Silvio Berlusconi godeva del meritato riposo, circondato dall’affetto dei suoi cari e dalla riconoscenza degli azionisti Mediaset. Perfino i tanti nemici del passato, anch’essi ormai incanutiti, deposte le armi sembravano non serbargli astio alcuno, non coltivando più memoria delle trascorse pugne. E se si parlava di lui si aveva cura di farlo sottovoce, come in certi caldi pomeriggi estivi accade con gli ottuagenari assopiti sotto il tiglio, cullati dal frinire delle cicale. Delle sue antiche birbonate si era perso perfino il ricordo, retrocesse a innocenti gherminelle quando le cronache, per esempio dopo un trasloco, tornavano a imbattersi, per dire, nel lettone di Putin, o nel palo della lap dance, o nell’atelier per infermiere sexy. Quanta nostalgia. Di tanto in tanto rilasciava un’intervista, per dichiararsi a favore del Mes e per fantasticare di nuove maggioranze (immaginate in realtà dagli amanuensi all’uopo stipendiati). Testi che egli faceva finta di approvare prima di perdersi nella luce declinante del giorno.
Tutto sembrava andare nel verso giusto, con la definitiva trasfigurazione del Caimano nel nonno buono delle favole quando, da parte di mani irresponsabili (e forse ostili), fu diffuso il nastro fatale. Sulla bizzarra natura del quale non ci soffermeremo, se non per denunciare il formidabile danno prodotto alla reputazione di un uomo che non meritava ulteriori sofferenze. Poiché, improvvisamente riemerso dal passato, il penoso reperto del defunto giudice Amedeo Franco non ha toccato di una virgola la sentenza di condanna. In compenso ci ha restituito di colpo, l’album di un Silvio che avevamo volentieri dimenticato. Con le immagini dell’incallito imputato in fuga dai processi. Del premier delle leggi “ad personam”, del gigantesco conflitto d’interessi televisivo, dell’editto Bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi. Fu lui che ospitò lo stalliere Mangano, spedito da Cosa Nostra? Il socio del condannato per mafia Marcello Dell’Utri? L’artefice dell’umiliante prostituzione del Parlamento all’incredibile balla di Ruby, nipote di Mubarak? Sì, fu proprio lui. Avevamo rimosso quasi tutto nell’illusione che, come il Jean Valjean di Victor Hugo, braccato dalla legge, il dono della grazia lo avesse riscattato concedendogli un’onesta vecchiaia. Ci hanno pensato i suoi amici a restituircelo tutto intero.

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