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martedì 29 marzo 2022

Spese per la difesa, maggioranza divisa al Senato. Il governo verso la fiducia. -

 

I punti chiave.


Prove di mediazione sul decreto Ucraina e, in particolare sull’aumento delle spese militari, su cui la maggioranza rischia di spaccarsi al Senato. Fieramente contrario alla soglia del 2% del Pil, per gli investimenti sulla difesa, è il Movimento 5 stelle, seguito da Leu. Pronto a trattare il governo, fermo sugli impegni presi a livello militare ma anche pronto a valutare il voto di fiducia per “salvare” il provvedimento azzerando tutti gli emendamenti e gli ordini del giorno come quello di FdI che lo impegna a raggiungere la soglia del 2 per cento sulle spese militari. In quest’ottica rientra il faccia a faccia che si terrà nelle prossime ore tra il premier Mario Draghi e il suo predecessore e leader dei 5S, Giuseppe Conte.

Maggioranza in cerca di intesa.

Intanto, è fallita la ricerca di un’intesa con una riunione, in videocollegamento, tra il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà e i vertici dei vari gruppi a Palazzo Madama e delle due commissioni Esteri e Difesa che dovrebbero approvare il decreto, per discuterlo in aula mercoledì. Secondo quanto si apprende, M5S e Leu sono rimasti sulle barricate rifiutando ogni tipo di mediazione proposta, che sarebbe potuta entrare - in caso di accordo - in un ordine del giorno ad hoc.

Sul provvedimento, già votato alla Camera il 17 marzo, le divisioni non sono in sostanza sui contenuti ma proprio sull’ordine del giorno proposto da Fratelli d’Italia che chiede al governo di tener fede all’impegno preso - anche dal presidente Draghi, si rammenta nel documento - sulla «necessità di incrementare le spese per la difesa» fino al 2%.

Per FdI spazi di manovra.

Se il partito di Giorgia Meloni chiederà di metterlo ai voti (molto probabile), avrà il no di 5S e LeU. «La nostra posizione è lineare. Andiamo avanti», insiste Conte. E proprio la fiducia automaticamente blinderebbe il decreto, facendo decadere ogni mozione collegata. Estrema ratio per “salvare” il provvedimento - passato indenne e senza fiducia a Montecitorio - visto che tutti confermerebbero la fiducia. M5S compreso. L’opposizione ha, insomma, un’occasione per stanare e fiaccare la maggioranza, facendo leva sulla coerenza del governo rispetto alle posizioni prese a livello europeo e alla credibilità internazionale. Tant’è che fa spallucce la leader di FdI, Giorgia Meloni quando ribadisce che «sulle spese militari è il governo che sostiene noi», liquidando i rischi di una spaccatura “governativa” come «un problema della maggioranza».

L’approdo al Def.

Da Palazzo Chigi nessun tentennamento. L’Italia sarà fedele all’impegno preso con la Nato di portare al 2% le spese militari entro il 2024, con un percorso che dovrebbe essere ribadito nel Documento di economia e finanza (giovedì potrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri). L’approdo al Def potrebbe essere quindi la via d’uscita per i 5 Stelle. Sul tavolo - e su pressing soprattutto del Pd e di Iv- ci sarebbe anche l’opzione di un ordine del giorno unitario della maggioranza (in aggiunta a quello di FdI) che dia il segno della compattezza nonostante tutto, e su cui ad esempio ci potrebbe essere un rimando vago al Def sulle spese militari, specificando che l’arrivo al 2% del Pil sarebbe un obiettivo graduale.

Il premier sente Zelensky.

Intanto Palazzo Chigi conferma la sua posizione sull’Ucraina, in linea con il monito per «la pace subito» lanciato dal presidente Mattarella. Draghi, che ha sentito al telefono il presidente ucraino Zelensky, ribadisce il sostegno alle autorità e al popolo ucraini, contribuendo all’azione internazionale per mettere fine alla guerra. Ma anche aprendo alla possibilità, sostenuta dall’ambasciatore ucraino a Roma, Yaroslav Melnyk, che l’Italia si faccia garante in caso di aggressione all’Ucraina, insieme ad altri Paesi.

https://www.ilsole24ore.com/art/spese-la-difesa-maggioranza-divisa-senato-governo-media-ma-valuta-fiducia-AEwaTVNB

mercoledì 10 febbraio 2021

Rousseau, memento Monti. - Marco Travaglio

 

Se anche gl’iscritti 5Stelle gli diranno sì, Mario Draghi avrà la fiducia più larga della storia repubblicana: 596 deputati su 629 e 302 senatori su 321. Gli voterebbero contro soltanto i 33 deputati e i 17 senatori FdI (e meno male che c’è la Meloni: i governi senza opposizione esistono solo nelle dittature). Un record bulgaro che straccerebbe quello dell’altro SuperMario, Monti, “fiduciato” 10 anni fa con 556 voti alla Camera e 281 al Senato (contrari solo i 59+25 leghisti, a cui s’aggiunsero ben presto i 21+12 dipietristi di Idv, che avevano votato solo la prima fiducia per poi passare all’opposizione).

Monti per tre mesi fece il bello e il cattivo tempo sull’onda di un’emergenza drammatica: lo sfascio economico-finanziario in cui il governo B.-3 ci aveva precipitati. Poi, dinanzi alle scelte impopolari di massacro sociale dettate dalla lettera della Bce di Trichet & Draghi, che fecero pagare ai pensionati e ai lavoratori l’intero costo della crisi, la luna di miele finì e iniziarono i distinguo dei partiti.

B., capo di quello di maggioranza relativa, iniziò a fare il capo dell’opposizione con la grancassa dei suoi media: Monti passò dal consenso al dissenso e fu persino costretto a sloggiare anzitempo. Tentò di vendicarsi fondando Scelta Civica con Fini e Casini, ma nel 2013 prese poco più dei voti degli alleati Fli e Udc. Gli elettori punirono duramente anche i due azionisti principali del suo governo, FI e Pd, che persero 6,5 e 3,5 milioni di voti, regalando il 25,5% ai debuttanti 5Stelle.

Ora, Draghi non è Monti e l’Italia del 2021 non è quella del 2011: grazie a Conte e ai presunti “incompetenti”, lo Stato non ha problemi di cassa, anzi sta per incamerare 250 miliardi dall’Ue tra Recovery e fondi di coesione, non appena presenterà quel Plan che sarebbe già pronto se l’Innominabile non l’avesse preso in ostaggio dal 5 dicembre. E le altre emergenze sono avviate a soluzione da Conte e dai presunti “incompetenti”, con una gestione della pandemia e una campagna vaccinale tra le più efficaci d’Europa. Ma i frutti di quella cascata di soldi si vedranno tra qualche anno, quando anche Draghi sarà passato (forse al Colle).

Il suo governo, però, è molto simile a quello di Monti perché tiene tutti dentro. Il che oggi è un elemento di forza. Ma, quando cambieranno i sondaggi e finirà la luna di miele coi partiti, sarà un fattore di debolezza. A meno che qualcuno non creda davvero che il M5S della Spazzacorrotti, delle manette agli evasori, della legge sul voto di scambio politico-mafioso e della blocca-prescrizione possa convivere amabilmente per due anni con un corruttore seriale, pregiudicato per frode fiscale, nove volte prescritto per gravi reati, amico e finanziatore dei mafiosi.

O che Salvini si sia convertito all’europeismo, alla progressività fiscale e all’accoglienza. O che Pd e LeU abbiano archiviato per sempre le differenze destra-sinistra. Più si avvicineranno le elezioni, più ciascun partito riscoprirà le differenze dagli altri, non foss’altro che per trovare qualcosa da dire agli eventuali elettori. Ai quali ciascuno dovrà presentare i propri successi degli ultimi mesi, se ne avrà ottenuti. E sarà un guaio soprattutto per il M5S che, avendo il gruppo parlamentare più ampio e gli elettori più esigenti, avrà suscitato le maggiori aspettative. Nel Conte-1 aveva 9 ministri (più il premier) contro 8 leghisti e 3 indipendenti. Nel Conte-2, 11 ministri (più il premier) contro 9 del Pd, 1 di LeU e 2 indipendenti. Infatti è sua la gran parte delle leggi di questi tre anni. Ma con Draghi, a quel che si dice, avrà 3 o 4 ministri su 20 o più. E nessuno sa ancora quali.

Cosa potrà mai ottenere o mantenere? Che senso ha il mantra del “restare dentro per controllare meglio”? Certo, se strappasse ai vecchi e nuovi alleati Giustizia, Lavoro, Ambiente-Sviluppo e Istruzione con l’impegno scritto, in un contratto di governo, di non toccare le loro leggi-bandiera, sedersi a quel tavolo sarebbe giusto, anzi doveroso. Ma non è aria: tra qualche giorno, salvo miracoli, l’ammucchiata degli altri partiti riesumerà la prescrizione con un emendamento al Milleproroghe.

I numeri in Parlamento e nel governo sono contro i 5Stelle. I media esultano come un sol uomo per la “fine dell’incompetenza”, cioè per la loro fine, preferendo di gran lunga la competenza dei criminali e dei loro compari (nessuno scandalo per la presenza alle consultazioni di B. e del tappetino di Bin Salman). Che senso ha piazzare qualche ministro, magari nei posti sbagliati, per poi assistere impotenti ai nuovi e vecchi alleati che giocano a bowling con le loro conquiste? Se proprio non si vuole dire di no al governo Draghi, cioè a Mattarella che l’ha imposto con la manovra a tutti nota, nulla impone di dire sì, per giunta al buio (a meno che il voto su Rousseau non sia un concorso di bellezza: “Vi piace Draghi?”). Si possono dettare condizioni sui temi del M5S. E, se vengono respinte, ci si può astenere per avere le mani libere e votare di volta in volta su ciascun provvedimento.

Per questo il quesito deve prevedere “fiducia” e “sfiducia”, ma anche “astensione”. Se prevarrà la berlingueriana “non sfiducia”, il governo Draghi diventerà pienamente “politico”, perché dovrà scegliere ogni giorno se dipendere dalla Lega o dal partito di maggioranza relativa. E si vedrà anche se la futura coalizione giallorosa M5S-Pd-Leu intorno a Conte esiste ancora, o è soltanto un pezzo di antiquariato o un’esca per gonzi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/10/memento-monti/6096012/

domenica 17 gennaio 2021

Crisi di governo, Renzi: “Via Conte se non prende 161 voti”. Ma al Senato per avere la fiducia basta solo che i Sì superino i No. - Giuseppe Pipitone


Dopo la chiusura di Pd e M5s a un nuovo dialogo con Italia viva, l'ex premier alza ancora il tiro e spiega che senza la maggioranza assoluta, dal suo punto di vista, non può esserci un nuovo governo Conte. La fiducia, però, si ottiene con la maggioranza relativa per scelta deliberata dei padri Costituenti, come spiega il costituzionalista e parlamentare Pd Ceccanti. Favorevoli, astenuti e contrari: ecco il pallottoliere di Palazzo Madama.

Quella che sembra essere l’ultima provocazione arriva da un’intervista alla Stampa. “Il governo? Non mi pare che abbia i numeri. Se non prende 161 voti, tocca un governo senza Conte“, sostiene Matteo Renzi. Con il Pd e il Movimento 5 stelle che hanno chiuso, almeno per il momento, a un nuovo dialogo con Italia viva (definita da Nicola Zingaretti “inaffidabile in qualsiasi scenario”), mentre Riccardo Nencini – il senatore che ha concesso a Renzi di avere il suo gruppo a Palazzo Madama – annuncia l’intenzione di voler rimanere in maggioranza, per l’ex presidente del consiglio sembra essere fallito il piano originario. E cioè ritirare le ministre e rompere con l’esecutivo, quindi cominciare una nuova trattativa dall’esterno per portare a Palazzo Chigi una persona diversa da Giuseppe Conte. Un copione da consumato giocatore di poker, quello di Renzi, che però sembra sempre più difficile da attuare. Man mano che si avvicina l’ora X di martedì prossimo, infatti, inizia ad acquisire qualche solidità l’ipotesi che il premier possa comunque raccogliere a Palazzo Madama i voti necessari a mantenere una maggioranza. Pure senza Italia viva.

“Al Senato la fiducia si prende con la maggioranza relativa” – Per questo motivo Renzi fissa in 161 la soglia necessaria per garantire – dal suo punto di vista – il successo del presidente del consiglio. È un altro all-in, solo che questa volta la mano è truccata: Renzi, infatti, sa benissimo che in Parlamento la fiducia non si ottiene con la maggioranza assoluta ma relativa. Vuol dire che per incassare il sostegno di Palazzo Madama a Conte basta semplicemente ottenere un solo voto a favore in più rispetto ai contrari. A ricordarlo è il costituzionalista Stefano Ceccanti, deputato del Pd candidato proprio da Renzi alle ultime elezioni. “Per la fiducia non servono 161 voti al Senato, i Costituenti vollero deliberatamente la maggioranza relativa, i Sì devono solo battere i No“, scrive Ceccanti in un intervento sul suo sito web. “Il Progetto originario della nostra Costituzione – ricorda il capogruppo dem in commissione Affari Costituzionali – prevedeva la maggioranza assoluta (peraltro a Camere riunite) per ottenere la fiducia. Il liberale Bozzi nella seduta della Costituente del 24 ottobre 1947 obiettò che ciò avrebbe reso illogicamente più difficile la formazione del Governo. Fu poi seguito dal socialista Stampacchia e infine da Costantino Mortati. L’Assemblea licenziò quindi il testo definitivo dell’articolo 94 non prevedendo nessun quorum rafforzato. Per ottenere la fiducia è quindi necessario solo che i Sì battano i No“. Ma non solo. Perché Ceccanti spiega inoltre che “fino alla scorsa legislatura c’era un problema di computo delle astensioni perché mentre chi si asteneva dal voto non veniva computato, viceversa chi si asteneva NEL voto (cioè votava astenuto) veniva sommato ai contrari. Ora non è più così, contano solo i Sì e i No“.

La mano truccata dei renziani – Ecco perché dopo aver alzato ancora una volta la posta in gioco con la storia dei 161 voti, Renzi gioca pure la carta dell’astensione. Lui, dice sempre al quotidiano di Torino, non voterà contro al premier ma si asterrà. È così è orientato a fare anche il suo gruppo, sia alla Camera – dove il governo dovrebbe avere la maggioranza anche senza Italia viva- che al Senato. I renziani sono convinti che senza i loro 18 voti, a Palazzo Madama la maggioranza non andrebbe oltre 150, 152 voti. Conte avrebbe dunque una maggioranza relativa ma con i renziani astenuti che sarebbero fondamentali per arrivare a quella assoluta. “A questo punto – dicono alle agenzie di stampa – ci domandiamo se Conte cercherà comunque la spallata”. In pratica un all-in sull’all-in che fa somigliare il Senato sempre più a una bisca clandestina. Un azzardo pericoloso non solo per Conte, che ha scelto di andarsi a misurare col voto d’aula, ma pure per gli sfidanti d’Italia viva.

Il pallottoliere della maggioranza – Armandosi di pallottoliere, infatti, al Senato il presidente del consiglio può considerare come Sì sicuri al suo governo i 35 voti del Partito democratico e i 92 del Movimento 5 stelle. A questi vanno sommati 8 voti su 9 componenti del gruppo Autonomie (il nono è del presidente emerito Giorgio Napolitano, che da tempo non partecipa ai lavori per motivi di salute). Si parte quindi da 135. Ai quali vanno sommati quelli del gruppo Misto, che al Senato conta in totale 29 iscritti, non tutti a favore dell’esecutivo. Per Conte voterà sicuramente la componente di Leu con sei senatori, e cioè la capogruppo Loredana De PetrisPietro GrassoVasco ErraniFrancesco La Forgia, e le ex grilline Paola NugnesElena Fattori. Ci sono poi gli esponenti del Maie, attualmente ancora nel Misto ma che si è appena costituito come gruppo autonomo di “costruttori” pro Conte: si tratta del sottosegretario Ricardo MerloAdriano CarioRaffaele FantettiSaverio De Bonis e Maurizio Buccarella. A proposito di costruttori, vota la fiducia al governo già da qualche tempo Sandra Lonardo, cioè la moglie di Clemente Mastella. Con la maggioranza ci sono poi l’indipendente di sinistra Sandro Ruotolo e l’ex Pd Tommaso Cerno. Sono dati tra quelli che alla fine dovrebbero votare Sì – seppur tra mille distinguo – anche gli ex 5 stelle Gregorio De FalcoLelio CiampolilloTiziana DragoMarinella PacificoLuigi Di Marzio Mario Michele Giarrusso. Anche il senatore a vita Mario Monti ha detto che sceglierà come votare solo dopo aver ascoltato il premier in aula, ma ha definito incomprensibile una crisi di governo: “Sono cose che inducono sempre alla diffidenza il resto dell’Europa e del mondo quando guardano l’Italia”. Parole che iscrivono l’ex presidente del consiglio nell’elenco dei “costruttori” . Una lista della quale farebbe parte anche l’altra senatrice a vita del Misto, e cioè Liliana Segre, se dovesse partecipare alla seduta di martedì.

Astenuti, contrari, senatori a vita: le variabili – In questo modo dei 29 esponenti del Misto sarebbero 22 a votare Sì dopo l’intervento di Conte a Palazzo Madama. Il totale dei voti della maggioranza sarebbe quindi – con tutti i condizionali del caso – 157: soglia bastevole ad avere la maggioranza relativa con o senza le astensioni d’Italia viva. E forse pure quella assoluta. I 161 voti citati da Renzi, infatti, rappresentano un quorum solo se tutti i 321 senatori (315 eletti più 6 a vita) saranno in aula a votare. Detto dell’assenza di Napolitano e dei probabili Sì di Monti e Segre, Elena Cattaneo è una degli 8 del gruppo Autonomie che hanno finora sostenuto il governo Conte 2. Non si sa invece cosa decideranno di fare Renzo Piano e Carlo Rubbia, visto che molto raramente hanno partecipato ai lavori. Senza considerare che questo calcolo considera voti sicuri contro il governo almeno altri sette esponenti del gruppo Misto (Emma Bonino, i tre di Cambiamo – Massimo Berruti, Gaetano Quagliariello e Paolo Romani – l’ex dem Matteo Richetti e gli ex M5s Gianluigi Paragone e Carlo Martelli), i 19 di Fratelli d’Italia, i 63 della Lega e i 54 di Forza Italia. Il totale farebbe 143, Anche qui i condizionali sono d’obbligo visto che tra i berlusconiani da giorni sta emergendo chiaramente un’area di responsabilità. L’impressione è che alla fine gli astenuti potrebbero essere anche più dei soli esponenti di Italia viva.

Teoria e pratica: la strategia della maggioranza relativa – In via teorica, quindi, a Conte basta semplicemente avere un voto in più per conservare la fiducia. L’archivio è colmo di precedenti: di governi in carica pur senza la maggioranza assoluta è piena la Prima Repubblica. È chiaro, però, che in questa condizione l’esecutivo dovrebbe affrontare un problema squisitamente politico: dovrebbe governare con una maggioranza molto fragile e – sempre in teoria – facilmente battibile. Non è detto, però, che anche questa non sia una strategia per reagire all’azzardo dei renziani: superare lo scoglio di Palazzo Madama, guadagnando tempo per puntellare i numeri più avanti. È vero che al capo dello Stato non sono mai piaciute le maggioranze “raccogliticce“, ed è pure vero che lo stesso Conte si è detto contrario a governare con un voto “preso qua e uno preso là“. Evitare la sfiducia, però, vorrebbe dire superare la prima parte della crisi. E quindi lavorare per tentare di arrivare alla fatidica soglia dei 161 più avanti, senza l’aiuto dei renziani. Astenuti o meno.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/15/crisi-di-governo-renzi-via-conte-se-non-prende-161-voti-ma-al-senato-per-avere-la-fiducia-basta-solo-che-i-si-superino-i-no/6067198/

sabato 16 gennaio 2021

Conte lavora a rilancio, Iv prova ad entrare in partita. - Chiara Scalise

 

Una guerra di numeri. E' quella che si preannuncia martedì in Senato quando il premier Conte affronterà in Parlamento la sfida aperta da Matteo Renzi e cercherà di far sopravvivere il governo.

Il Pd di Nicola Zingaretti si dice pronto a sostenere un allargamento della maggioranza, ma chiede di concretizzare quel cambio di passo invocato a più riprese nelle ultime settimane. Mentre Italia viva, dopo aver ritirato le ministre e aver aperto la crisi, lascia uno spiraglio: "Se Conte scioglie alcuni nodi, ci siamo".

Qualsiasi passo indietro è impossibile, dice però Vito Crimi: "Con Renzi la situazione è e resta invariabile: abbiamo chiuso".
Raggiungere quota 161 a Palazzo Madama, vale a dire la maggioranza assoluta, appare una chimera. E se l'ex sindaco di Firenze fissa qui l'asticella, i ragionamenti della maggioranza di governo sono però diversi: basterà incassare la fiducia, anche se ci si dovesse fermare, come appare molto probabile, sotto questo traguardo. E' un giorno di trattative e contatti con i 'costruttori', che vengono sondati ad uno ad uno. E intanto arriva il secondo 'contenitore' che potrebbe ospitare proprio i responsabili: dopo l'apertura del Psi, anche il Movimento per gli italiani all'estero, che vota da sempre a sostegno dell'esecutivo, cambia nome e diventa "Maie-Italia 23".
    A spiegarne la missione, il presidente Ricardo Merlo (che è anche sottosegretario agli Esteri): "Vogliamo essere uno spazio politico che ha come punto di riferimento Giuseppe Conte". La nuova componente riceve subito l'adesione dell'ex 5S Maurizio Buccarella, che fa salire così a 5 il numero dei componenti.
    Ancora troppo pochi per dare vita, però, ad un gruppo indipendente. I corridoi di Palazzo Madama sono vuoti ma i contatti sono frenetici, come numerose le smentite di quanti sono stati annoverati nel gruppo dei nuovi responsabili: Conzatti, Vono, Pacifico e Masini mettono in chiaro la loro indisponibilità a qualsiasi tipo di soccorso. Paola Binetti, senatrice Udc, anche, ma con un distinguo: da sola non lascerebbe l'opposizione per traghettarsi nelle fila della maggioranza, ma se tutto il suo gruppo facesse un passo a fianco dell'esecutivo Conte lei seguirebbe. Il partito ufficialmente smentisce di essere pronto a cambiare posizionamento in Parlamento, ma le interlocuzioni sono in corso, secondo quando raccontano diverse fonti parlamentari. Tanto più che anche la Conferenza episcopale dei vescovi ha rotto le righe e ha deciso di appoggiare apertamente i nuovi costruttori: "Ci attendono mesi difficili in cui ricostruire le nostre comunità", ha detto il cardinal Gualtiero Bassetti, parlando della crisi politica.
    Lunedì il presidente del Consiglio affronterà l'Aula di Montecitorio, dove i numeri sono dalla sua, mentre martedì sarà in Senato e qui la maggioranza ha sempre corso sul filo ed ora, senza i 18 senatori di Italia viva, è scesa sotto quota 150.
    Sarà un discorso per il rilancio dell'azione del governo quello del premier, a cui seguirà un voto di fiducia. Italia Viva, che dopo aver alzato un muro abbassa i toni e fa intendere che uno spazio ancora per il dialogo c'è, sarebbe orientata all'astensione. Una scelta che serve a Renzi per trattenere i suoi ed evitare che tornino tra le fila dei Dem. Ma quello di Renzi potrebbe essere letto anche come il segnale di un'apertura, e che prima o poi potrebbe essere colto.
    Movimenti che vengono registrati e che fanno sorgere sospetti nella pattuglia dei costruttori: "Le maggioranze più vaste sono e meglio è... - osserva Clemente Mastella - ma nessuno pensi di recuperare il dialogo con Iv alle spalle dei "responsabili". Non siamo i polli di Renzi".
    Calcoli numerici e calcoli politici, che chiaramente si fanno anche nel centrodestra. Matteo Salvini scommette sull'arrivo di "tanti" M5S: "vedo più arrivi che partenze", assicura.

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/01/15/conte-lavora-a-rilancio-iv-prova-ad-entrare-in-partita_2bc0910a-fcb2-42f2-92a7-e91e8a222df0.html

sabato 2 gennaio 2021

Crisi di governo: i Responsabili di Conte sono pronti, ma senza un federatore. Maggioranza sul filo. - Giacomo Salvini

 

Parlamentarizzare la crisi, come intende fare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per sfidare Matteo Renzi, significa una cosa sola: prendere in mano il pallottoliere e tornare a parlare di “responsabili”. Con questo apparentemente nobile aggettivo si intendono – dai tempi del 2011 quando Razzi, De Gregorio e Scilipoti salvarono il governo Berlusconi, anche se eletti con Di Pietro – quei parlamentari di opposizione che in caso di difficoltà della maggioranza accorrono per salvare il governo (e la propria poltrona).

Così, dopo l’Epifania, se Renzi dovesse aprire la crisi e il premier sfidarlo in Parlamento come nell’agosto 2019 con Matteo Salvini, l’ultimo bollettino da Palazzo Madama registrerebbe un gruppetto di 9-10 senatori pronti a salvare la maggioranza giallorosa e disinnescare i renziani che voterebbero la sfiducia. Problema: al momento la pattuglia di “responsabili per Conte” non ha una guida, un federatore in grado di dare una strategia. E ad ammetterlo è Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella: “Le voci ci sono ma non c’è niente di concreto” dice al Fatto. E allora potrebbe giocare un ruolo “Italia 23”, il sito registrato dall’ex FI Raffaele Fantetti che potrebbe mettere insieme centristi, ex berlusconiani e transfughi di M5S e Iv. A quel punto si aprirebbe un problema politico ma questa è tutt’altra storia.

Pallottoliere – In Senato, l’asticella da cui partire è 169, come i voti ottenuti a ottobre nel terzo scostamento di Bilancio a cui vanno aggiunti quattro senatori (due delle Autonomie e due del M5S) assenti perché in quarantena. La maggioranza assoluta in Senato è di 159 voti perché ai 315 senatori vanno aggiunti 2 senatori a vita su 6 (Monti e Cattaneo) che partecipano regolarmente alle sedute. Sottraendo a questi i 18 senatori di Italia Viva, la maggioranza parte da 151 voti. Vediamo da dove potrebbero arrivare gli 8 necessari a salvare il governo.

Maggioranza – La maggioranza, senza i renziani, può contare su 151 voti compatti: i 92 del M5s, 35 del Pd, 8 delle autonomie e 16 del gruppo Misto considerando ormai l’ex FI Lonardo e il senatore a vita Mario Monti.

Opposizione – L’opposizione invece, sulla carta, può contare su 149 voti: 63 dalla Lega, 19 da Fratelli d’Italia, 54 di Forza Italia e 13 del Misto che votano contro il governo. Ma qui iniziano le defezioni.

Il centrodestra – Un possibile aiuto potrebbe arrivare dai moderati di FI che non vogliono consegnare la leadership a Salvini. Da questo gruppo, i “responsabili” potrebbero essere 4-5: i 3 dell’Udc (Antonio de PoliPaola Binetti e Maurizio Saccone) che il 9 dicembre hanno deciso di uscire dall’aula nel voto sulla riforma del Mes, ma anche un paio di forzisti tra cui Andrea Cangini. Così la maggioranza salirebbe a 155.

Italia viva – Secondo i rumors, almeno 5 senatori renziani su 18 sarebbero pronti a non seguire il leader in caso di crisi (Iv scomparirebbe dal Senato con le elezioni): i nomi che girano sono Giuseppe CuccaEugenio CominciniDonatella ConzattiLeonardo Grimani e Gelsomina Vono. Se anche solo tre decidessero di mollare Renzi si arriverebbe a quota 158, a un voto dal quorum.

Gruppo Misto – Nel Misto, a ballare sono cinque voti: i 3 di Cambiamo! (Gaetano QuagliarielloPaolo Romani e Massimo Vittorio Berruti) che più volte hanno ammiccato alla maggioranza e l’ex M5S Gregorio De Falco, che vota volta per volta i provvedimenti. Con tutti e quattro i voti, si arriverebbe a 162, senza i tre “totiani” a 159. Una maggioranza sul filo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/02/responsabili-pronti-ma-senza-federatore-maggioranza-sul-filo/6053231/

mercoledì 18 novembre 2020

Le migliori energie. - Marco Travaglio

 

Come se non bastassero le figuracce del governo sui commissari alla sanità in Calabria, alcune menti eccelse della maggioranza lavorano alacremente per sputtanarlo vieppiù con l’innesto di Forza Italia. Finora non s’è capito bene a che serva l’operazione, visto che la maggioranza, sia pur risicata al Senato, non è mai andata sotto e visto che c’è solo una coalizione più spaccata dei giallorosa: il centrodestra. A chi serve, invece, è chiarissimo: a B., che nelle urne ormai sfugge ai radar, ma nei palazzi continua a contare come ai (suoi) bei tempi grazie alla potenza di fuoco dei suoi media, dei suoi soldi e delle sue varie affiliazioni. Infatti ha appena incassato una scandalosa norma per salvare l’“italianità di Mediaset”, come se i francesi di Vivendi potessero essere peggio di un tizio che fa contemporaneamente il leader politico e l’editore di tv, giornali e libri. Perciò il grande Franco Cordero lo paragonava al caimano: perché, nei momenti critici, si inabissa sotto il pelo dell’acqua per fingersi morto o apparire mansueto e inoffensivo, pronto al momento giusto a spalancare le fauci e fare un sol boccone di chiunque si avvicini. Il cimitero della politica è lastricato delle lapidi dei presunti leader di centrosinistra che avevano avuto la brillante idea di dialogare con lui e di centrodestra che si erano illusi di succedergli. Vittorio Cecchi Gori, che ebbe la malaugurata idea di fare società con lui e ancora ne paga le conseguenze, ripete spesso che “Berlusconi, se gli dai un dito, ti si prende il culo”.

I nuovi pretendenti sono Zingaretti e soprattutto il suo ideologo Bettini, convinto che, imbarcando FI nella maggioranza (o nel governo, non s’è ben capito), arriveranno “le energie migliori”, ovviamente “consapevoli e democratiche”. È un peccato che non faccia nomi. Delle “energie migliori” – a parte il noto pregiudicato plurimputato pluriprescritto piduista finanziatore della mafia corruttore frodatore fiscale autore di 60 leggi ad personam e responsabile delle più scandalose epurazioni mai viste – c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma forse Gasparri, Brunetta, Letta, Casellati, Gelmini, Minetti, Tremonti, Schifani, Ghedini, Longo, Lunardi, Scajola, Alfano, Miccichè, Bertolaso e Giggino ’a Purpetta, per citare solo la prima fila, possono bastare. Senza contare Dell’Utri, Previti, Verdini, Cosentino, Cuffaro, Galan e Romani, purtroppo impediti a partecipare in quanto pregiudicati o addirittura detenuti, e Matacena, tristemente esule a Dubai. E senza profanare il Pantheon dei padri nobili: Mangano, Bontate, Gelli, Carboni, Craxi, Squillante e Metta. Poi naturalmente ci sono anche le “energie peggiori”. Ma quelle preferiamo non immaginarle neppure. Paura.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/18/le-migliori-energie/6007396/