Dopo le scuse di Di Maio a Uggetti e all’ex ministra.
“Penso al caso Tempa Rossa che coinvolse Federica Guidi” sostiene Luigi Di Maio nella sua svolta garantista, vergata con mille scuse sulle pagine de Il Foglio. “Fu una strategica aggressione contro di noi”, gli risponde su Repubblica Matteo Renzi. Mentre lei, l’ex ministra del suo governo, al Corriere dice che si sente “lontana anni luce” da “quei signori” che le hanno “devastato” la vita. Ma cosa accadde quando il 31 marzo 2016 Federica Guidi, all’epoca titolare dello Sviluppo Economico, decise di dimettersi? Fu sulla spinta di Matteo Renzi che la ministra svuotò i cassetti dell’ufficio e tornò a casa. “Dobbiamo dimostrare” disse Renzi, nei retroscena ricostruiti da giornali e mai smentiti, “che non siamo come i grillini, quelli che hanno traccheggiato per un mese su Quarto”. Ah già, Quarto. E che accadde nel comune campano di Quarto, in quel 2016? Rosa Capuozzo – non indagata, ma al centro delle polemiche per settimane, per via di un’inchiesta sui tentativi di infiltrazione della camorra nel Comune – fu espulsa dai grillini per non aver denunciato di aver ricevuto delle minacce (sarà il caso che Di Maio si scusi anche con lei). Segnaliamo che per Capuozzo, professando il suo inscalfibile garantismo, Renzi non chiese tuttavia le dimissioni. Anzi. Poi, per coerenza, le pretese però da Guidi. E per marcare la differenza con il M5S (che invece aveva espulso la Capuozzo). Guidi vergò una lettera: “Caro Matteo sono assolutamente certa della mia buona fede e della correttezza del mio operato. Credo tuttavia necessario, per una questione di opportunità politica, rassegnare le mie dimissioni”. Però a scusarsi con lei oggi è Di Maio (tuttavia è vero che il M5S sostenne con veemenza che Guidi “aveva le mani sporche di petrolio”). Ma perché mai?
Era il marzo 2016 quando Federica Guidi lasciò il ministero dello Sviluppo Economico. La procura di Potenza indagava su tre filoni d’inchiesta: lo sforamento delle emissioni nell’impianto Eni di Viggiano, l’iter che aveva portato all’autorizzazione del giacimento Total di Tempa Rossa, alcune autorizzazioni legate al porto di Augusta in Sicilia. E aveva iscritto nel registro degli indagati – chiedendone l’arresto che fu rigettato dal gip – il compagno della ministra, Gianluca Gemelli, ex commissario di Confindustria Sicilia con l’accusa di concorso in corruzione e millantato credito (dalle quali sarà archiviato quando l’inchiesta viene trasferita alla Procura di Roma). Per la Procura di Potenza, Gemelli avrebbe puntato ad avere “vantaggi patrimoniali” in cambio della garanzia di alcuni lavori nel centro oli proprio grazie al suo rapporto con la ministra. Guidi viene intercettata nel 2014 con il suo compagno: “E poi – dice la ministra – dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato, se è d’accordo anche ‘Mariaelena’ (Boschi, ndr), quell’emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte, alle quattro di notte”. Il governo sta inserendo nella legge di stabilità un emendamento, precedentemente bocciato, che riguarda il centro oli della Total in contrada Tempa Rossa. E Gemelli poco dopo chiama il dirigente di una società petrolifera per avvertirlo: “la chiamo – dice – per darle una buona notizia”.
È qui che Matteo Renzi decide di chiedere le dimissioni: “La cavolata quindi non è l’emendamento ma la telefonata al compagno – commentò allora il premier – e il fatto che il ministro abbia rappresentato una decisione politica come un favore al fidanzato. Questo un ministro non se lo può permettere”. E poi scrive: “Cara Federica, ho molto apprezzato il tuo lavoro di questi anni. Rispetto la tua scelta personale, sofferta, dettata da ragioni di opportunità che condivido. Nel frattempo ti invio un grande abbraccio”. E poi commenta ancora: “L’Italia non è più quella di una volta: se prima per telefonate inopportune non ci si dimetteva, ora ci si dimette. Abbiamo sempre detto che di fronte agli italiani noi siamo un governo diverso dal passato”. Vabbè, però ora Di Maio mette tutto a posto e si scusa con la Guidi. E più in generale, nella sua lettera al Foglio – partendo dal caso dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, arrestato, processato e poi assolto in appello per turbativa d’asta – scrive che “il punto è l’utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale” e che “una cosa è la legittima richiesta politica, altro è l’imbarbarimento del dibattito, associato ai temi giudiziari”.
Ma il tema giudiziario, sulla Guidi (così come sulla Capuozzo), non vi fu mai. Innanzitutto perché non era neanche indagata (al contrario del suo compagno). Peraltro lei stessa, incalzata dal segretario del suo partito nonché premier Matteo Renzi, valutò poco opportuna la telefonata sull’emendamento. Infine, la telefonata in questione riguardava un tema prettamente politico, ovvero l’emendamento stesso, con il fortissimo sospetto – emerso, quello sì, dagli atti d’indagine – di un “conflitto d’interessi” in famiglia. “L’ennesimo, mostruoso conflitto d’interesse di questo governo” sentenziò infatti Matteo Salvini, aggiungendo: “Più che Guidi o Boschi la vera responsabilità è quella di Matteo Renzi”. Che come abbiamo già ricordato, per smarcarsi dal M5S sul caso di Quarto, dopo aver ribadito che il suo “garantismo” gli imponeva di non chiedere le dimissioni della sindaca grillina, nel frattempo espulsa dal Movimento, chiedeva invece le dimissioni della Guidi. Prendendo le mosse dalle odierne scuse di Di Maio alla Guidi, ci piace concludere quest’articolo citando le considerazioni di Berlusconi, all’epoca, sulla vicenda Guidi: “Le intercettazioni sono un vulnus della democrazia”. L’unico, ammettiamolo, con un’idea fissa.
IlFQ