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sabato 26 luglio 2025

Il buco nero degli aiuti all’Ucraina. - Antonio Pitoni

 

Una pioggia di miliardi su Kiev. Che malgrado i casi di malversazione ha limitato l’autonomia delle agenzie anti-corruzione. Tra le proteste.

Tenete a mente questo numero: 164,8 miliardi di euro. È la cifra monstre che “dall’inizio della guerra di aggressione, l’Ue e i suoi stati membri hanno fornito… a sostegno dell’Ucraina e della sua popolazione”. Campeggia in bella vista sul sito del Consiglio europeo/Consiglio dell’Unione europea, “fermamente al fianco” dell’ex Repubblica sovietica “e della sua popolazione”. Il 65% di questa cifra è stato devoluto al governo di Kiev sotto forma di sovvenzioni o sostegni in natura. Il 35% è rappresentato da prestiti. Una pioggia di denaro a cui si aggiungono circa 120 miliardi di dollari di aiuti dagli Usa. Senza contare i “circa 210 miliardi di euro di beni della Banca centrale di Russia nell’Ue”, bloccati con il terzo pacchetto di sanzioni a Mosca del 20 febbraio 2022, a quattro giorni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

Mazzette di Stato

Ora segnatevi questa data: 24 gennaio 2023. È l’inizio di uno scandalo, dettagliatamente ricostruito due giorni dopo dal Daily Focus dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che dà il via a Kiev ad una raffica di dimissioni. Tra le quali quelle del numero due della segreteria del presidente Volodymyr Zelensky, come riportato dal Washington Post, quattro vice ministri, cinque governatori regionali e un assessore. Nella lista c’è pure il vice ministro delle Infrastrutture, arrestato dalla polizia anti-corruzione ucraina, mentre intascava una tangente da 350mila dollari sugli appalti per la fornitura di generatori elettrici. Ma non è tutto. Dopo un’inchiesta del giornale ZerkaloNedeli, anche il vice ministro della Difesa è stato costretto alle dimissioni per il sospetto che il prezzo di 326 milioni di euro per l’acquisto di generi alimentari destinati ai soldati fosse stato gonfiato per pagare tangenti. Un esempio? Un uovo, che nei supermercati ucraini costava all’epoca dei fatti, 7 grivnia (l’equivalente di 18 centesimi di euro) era stato comprato a 17. E neppure la difesa del ministero, secondo cui si sarebbe trattato di un mero errore di trascrizione, è servita a salvargli la poltrona.

Pessimi segnali

Quindi, ricapitolando, mentre da Stati Uniti e Ue scorreva già un fiume di denaro per sostenere la causa ucraina, un plotone di funzionari e politici veniva travolto da un vorticoso giro di presunte tangenti che non avrebbero risparmiato neppure i fondi destinati a finanziare la stoica resistenza ucraina contro l’invasore russo. Non c’è da sorprendersi più di tanto. Nell’ultima classifica di Transparency International, del resto, l’Ucraina figura tra i Paesi messi peggio in tema di corruzione (105esimo posto su 180). “Il paese (l’Ucraina, ndr), dipende dagli aiuti internazionali, e un fallimento nei meccanismi di controllo di questo enorme flusso di denaro metterebbe a rischio la sua sopravvivenza stessa – scriveva Kateryna Pishchikova (Ispi Associate Research Fellow) commentando i casi di malversazione scoperti nel 2023 -. Fortunatamente, sembra che il lavoro dei giornalisti e le riforme implementate dal 2014 dietro richiesta dell’Unione Europea stiano dando i primi frutti. Alcuni dei casi di corruzione di questi giorni sono infatti emersi grazie al lavoro del Bureau Nazionale Anticorruzione, dei procuratori, dell’Agenzia Nazionale di Prevenzione e dei media”.

Colpo di Spugna

Segnali incoraggianti, insomma, arrivati al capolinea nelle ultime ore. Martedì scorso il Parlamento ucraino ha approvato a larga maggioranza una legge che cancella l’indipendenza delle istituzioni anticorruzione del Paese. Un provvedimento, già firmato dal presidente Zelensky, che ha scatenato proteste di piazza in diverse città. Che ne pensano a Bruxelles i sostenitori della candidatura dell’Ucraina all’adesione alla Ue? Di certo in Russia non hanno perso tempo per infilare il dito nella piaga, cavalcando la notizia. “È ovvio che una parte significativa del denaro ricevuto dall’Ucraina sia stata rubata – ha detto Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin -. Il Paese è pieno di corruzione. Ciò significa che il denaro dei contribuenti americani ed europei è stato, in larga misura, rubato in Ucraina, e può essere affermato con un elevato grado di certezza”.

Grana Ue

Accuse pesanti che, almeno per ora, dall’Unione europea non vengono minimamente avallate. Sebbene il caos generato dalla legge che rischia di allontanare l’Ucraina dall’adesione all’Ue non è certo passato inosservato. “Lo smantellamento delle principali garanzie a tutela dell’indipendenza della Nabu rappresenta un grave passo indietro – ha detto la commissaria per l’Allargamento, Marta Kos -. Organismi indipendenti come Nabu e Sapo (le due agenzie anticorruzione colpite dalla legge, ndr) sono essenziali per il percorso dell’Ucraina verso l’Ue. Lo Stato di diritto rimane al centro dei negoziati di adesione”. Concetto ribadito pure da Ursula von der Leyen. Parole chiare che ora però aspettano i fatti. Continuerà l’Europa ad alimentare la vorace macchina bellica ucraina anche a rischio che, senza controlli indipendenti, parte dei miliardi dei contribuenti finiscano per gonfiare le tasche di burocrati e funzionari corrotti? Si accettano scommesse.


https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/il-buco-nero-degli-aiuti-allucraina/

venerdì 8 marzo 2013

“Aiuto, arrivano i grillini”. Scene di panico a Montecitorio. - Francesco Lo Sardo

"Aiuto, arrivano i grillini". Scene di panico a Montecitorio

"Pronto Palermo? Qui Roma". Come i 1500 dipendenti della Camera si preparano all'arrivo dei deputati Cinquestelle. Tra telefonate in Sicilia e riscoperta della sobrietà.


«Pronto Palermo, palazzo dei Normanni? Qui Roma, Montecitorio…». Si dice che ci sia una linea rossa telefonica più rovente di quella tra Mosca e Washington negli anni di Kruscev e Kennedy: è la hot-line tra la segretaria generale di Montecitorio e la segreteria generale dell’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, il parlamento di palazzo dei Normanni. Il motivo è semplice. Mentre l’irriducibile popolino del «ci vorrebbe una bomba sotto Montecitorio» sghignazza e si frega le mani in attesa dello show della carica grillina al Palazzo inneggiando alla berlina per gli onorevoli – la vituperata casta dei politici ormai rassegnata a tagli e automutilazioni indifferibili – c’è un’altra casta, silenziosa e felpata, rimasta all’ombra dei riflettori, che trema: è quella dei funzionari della camera, una delle più protette amministrazioni d’oro dello stato, organo costituzionale al pari di senato, corte costituzionale, governo e presidenza della repubblica. Una struttura operosa e silente che a Montecitorio conta mille e cinquecento dipendenti, articolata secondo la scala piramidale gerarchica che va dal grado più alto di consigliere di V livello – quello dei “funzionari”, in cima a tutti il segretario generale vertice supremo dell’amministrazione – al I livello, quello che include gli assistenti parlamentari, più conosciuti come “commessi” abito nero, gradi dorati e coccarda tricolore.
L’ascensore d’élite diventa plebeo
Se molto ha fatto sorridere la coscienziosa rimozione delle targhette in ottone dall’ufficio postale di Montecitorio che recavano la dicitura “dare la precedenza agli onorevoli deputati” e quelle che indicavano la sala di lettura prospiciente il Transatlantico come “riservata agli onorevoli deputati”, pochi hanno notato la parimenti tempestiva rimozione delle targhe di analogo tenore apposte in alcuni degli ascensori del palazzo che recavano l’oscura (per i nuovi arrivati grillini) dicitura: “Riservato ai consiglieri”. Che succede? Succede che la crema della casta dei funzionari si fa concava, abbassa il suo altero profilo. Così, onde evitare che gli scatenati ma naif neodeputati del M5S iniziassero a interrogarsi sul chi fossero esattamente quei misteriosi “consiglieri” col privilegio di poter fare su e giù a bordo di eleganti ascensori in boisserie, le targhette discriminatorie sono scomparse: col sadico compiacimento dei “paria” – si fa per dire – del personale di IV, III, II e I livello che pure del divieto di usare gli ascensori d’elite – ora formalmente cancellato – se ne infischiavano già da tempo. Dettagli, che però la dicono lunga sulla paura che c’è nel Palazzo e che attanaglia assai più gli alti funzionari che non i bistrattati e sbertucciarti parlamentari, sulla graticola da anni.
La hot-line dei segretari generali
Così, sibilano i maligni nel palazzo, da settimane il segretario generale della camera Ugo Zampetti si tiene in contatto con il collega segretario generale del parlamento regionale siciliano Giovanni Tomasello (finito nel mirino del nuovo governatore del Pd Crocetta perché guadagnava più del triplo del suo pari grado di Palazzo d’Orleans, Patrizia Monterosso: 13.145 euro netti al mese, ora sforbiciati, contro i circa 4.300 euro). Come avete fatto e come fate giù in Sicilia con i grillini? Le notizie che arrivano da Palermo non sono rassicuranti per i superburocrati di Roma. Nell’era Crocetta, segnata politicamente dell’ingresso di un pattuglione del M5S, i primi tagli alla casta della burocrazia di palazzo dei Normanni si sono già fatti sentire. Al segretario generale sono stati per ora tagliati 30mila euro di stipendio all’anno, è stata cancellata la figura del segretario generale aggiunto, ridotti e accorpati gli uffici da 29 a 21, gli incarichi di vertice sono scesi da 13 a 11. Ma c’è anche la soppressione dell’indennità di produttività per il segretario generale, la riduzione del 25 per cento dell’indennità di funzione di vicesegretari regionali, di direttori, capi uffici, responsabili delle unità operative e il taglio del 15 per cento delle altre indennità: notturno, festivi, missioni e la reperibilità. Giovanni Ardizzone, presidente dell’assemblea regionale siciliana, facendo di conto, calcola che «il bilancio è già di 10 milioni di euro inferiore al precedente, con un taglio di circa il 7 per cento. Abbiamo effettuato un milione di euro di tagli al personale in servizio, il personale assunto dal primo gennaio 2013 ha un livello di stipendio inferiore del 20 per cento rispetto ai loro pari grado più anziani, sono state ridotte le posizioni apicali e il numero degli uffici interni».
Crocetta e i biscotti
E’ questo il futuro che aspetta anche i grand commis di Montecitorio? La sforbiciata è tuttamade in Rosario Crocetta, per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia chiaro. Ma non c’è dubbio che una potente spinta propulsiva, che la forza con cui Crocetta ha preso il toro per le corna, gli sia arrivata anche dalla sponda dei grillini, la vera sorpresa delle regionali siciliane dell’ottobre scorso. Che nel frattempo, come gli americani sbarcati in Sicilia nel ’43, sono arrivati a Roma. Dall’alto delle loro 15 mensilità di stipendio da dipendenti della camera (le mensilità dei dipendenti del senato sono 16) non stupisce che i funzionari romani di Montecitorio e palazzo Madama – per ora in assenza di un decisionista alla Crocetta ma già in presenza delle mine vaganti grilline – non sappiano che pesci pigliare. Il terrore è quello di un possibile presidente della camera grillino: una prospettiva che per i burocrati sarebbe po’ come andare a cena con un cannibale. Per ora gli espedienti messi in atto sono grotteschi: la rimozione delle targhette, piuttosto che la trasformazione della scintillante buvette di Montecitorio in una sorta di bar dell’Unione sovietica degli anni ’50. Dagli scaffali, desolantemente vuoti, sono stati rimossi persino i biscotti, le caramelle e i cioccolatini. Bisogna trasmettere una sensazione di grande auterità e severità di costumi. Basterà ad abbindolare gli ingenui grillini? I grand commis della camera, e giù giù tutta la struttura, sperano di sì: per anni hanno mantenuto i loro privilegi (maggiori o minori a seconda dei gradi) e oggi, parafrasando il monatto dei Promessi sposi che fa spallucce a Renzo Tramaglino, pensano in cuor loro che non saranno quei poveri untorelli grillini a spiantarli. Ne hanno viste passare tante, passerà anche questa. Cercheranno di ingraziarseli, confidando che i politici facciano come sempre da parafulmini, che l’ira popolare di cui si alimentano i grillini resti concentrata su deputati e senatori. Però la fifa di imprevisti fa novanta. E fa paura il cortocircuito tra stampa e grillini.
Microchip e rivoltelle
Lunedì 11 marzo, per esempio, quando scatterà la macchina dell’accoglienza nel palazzo dei nuovi deputati per la loro identificazione e registrazione, per la prima volta da decenni sarà impedito alla stampa di assistere alle procedure di arrivo delle matricole parlamentari. Motivo? Come reagiranno, per esempio, i grillini quando i funzionari della camera e il personale della sicurezza chiederà loro di poter prendere le impronte digitali (non obbligatorie, a dire il vero) per il nuovo sistema voto anti-pianisti elettronico in aula? Altro che microchip sottopelle. Meglio che la stampa non veda. E come si comporterà l’occhiuto personale addetto alla sicurezza interna della camera quando i grillini, armati di telecamerine, cominceranno a videoregistrare tutto ciò che accade nel palazzo, dall’aula alle commissioni, dai sottotetti ai sotterranei del palazzo? Videoregistrare e fotografare è forse l’attività più proibita all’interno del palazzo. Se ci prova un giornalista, la paga cara. Per il resto finché a violare le regole è un deputato, una singola testa calda, è un conto: ma che succede se lo fanno in centocinquanta? E poi, come reagiranno gli altri colleghi deputati, inseguiti e videoregistrati in ogni anfratto di camera e senato dai cameramen-parlamentari a Cinque stelle? Il “rischio sganassoni”, si dice tra i più anziani commessi, è forte. Ma quel palazzo e i suoi silenziosi inquilini-dipendenti che a differenza dei parlamentari – che passano – non ne escono se non per andarsene in pensione, hanno già visto di tutto: e tutto masticato, digerito, metabolizzato. La creatività protestataria degli irregolari e pirotecnici radicali nella Prima repubblica, i temutissimi Savonarola della Seconda repubblica, forcaioli leghisti e manettari dipietristi.
Se per questo, nel 1921 i loro austeri predecessori dovettero persino fare i conti con qualche deputato fascista che arrivò a varcare la soglia dell’aula armato di rivoltella. In fondo, mentre il cuore trema, la ragione suggerisce che si troverà il modo di sopravvivere anche alla minaccia del comico Beppe Grillo e della sua armata parlamentare. Parafrasando il raccontoUn marziano a Roma di Ennio Flaiano, l’extraterrestre di cui dopo un po’ nessuno si curava, già corre feroce il motto: “A grilli’, facce ride”. Epperò, vacci a mettere la mano sul fuoco. Non si sa mai.