"Pronto Palermo? Qui Roma". Come i 1500 dipendenti della Camera si preparano all'arrivo dei deputati Cinquestelle. Tra telefonate in Sicilia e riscoperta della sobrietà.
«Pronto Palermo, palazzo dei Normanni? Qui Roma, Montecitorio…». Si dice che ci sia una linea rossa telefonica più rovente di quella tra Mosca e Washington negli anni di Kruscev e Kennedy: è la hot-line tra la segretaria generale di Montecitorio e la segreteria generale dell’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, il parlamento di palazzo dei Normanni. Il motivo è semplice. Mentre l’irriducibile popolino del «ci vorrebbe una bomba sotto Montecitorio» sghignazza e si frega le mani in attesa dello show della carica grillina al Palazzo inneggiando alla berlina per gli onorevoli – la vituperata casta dei politici ormai rassegnata a tagli e automutilazioni indifferibili – c’è un’altra casta, silenziosa e felpata, rimasta all’ombra dei riflettori, che trema: è quella dei funzionari della camera, una delle più protette amministrazioni d’oro dello stato, organo costituzionale al pari di senato, corte costituzionale, governo e presidenza della repubblica. Una struttura operosa e silente che a Montecitorio conta mille e cinquecento dipendenti, articolata secondo la scala piramidale gerarchica che va dal grado più alto di consigliere di V livello – quello dei “funzionari”, in cima a tutti il segretario generale vertice supremo dell’amministrazione – al I livello, quello che include gli assistenti parlamentari, più conosciuti come “commessi” abito nero, gradi dorati e coccarda tricolore.
L’ascensore d’élite diventa plebeo
Se molto ha fatto sorridere la coscienziosa rimozione delle targhette in ottone dall’ufficio postale di Montecitorio che recavano la dicitura “dare la precedenza agli onorevoli deputati” e quelle che indicavano la sala di lettura prospiciente il Transatlantico come “riservata agli onorevoli deputati”, pochi hanno notato la parimenti tempestiva rimozione delle targhe di analogo tenore apposte in alcuni degli ascensori del palazzo che recavano l’oscura (per i nuovi arrivati grillini) dicitura: “Riservato ai consiglieri”. Che succede? Succede che la crema della casta dei funzionari si fa concava, abbassa il suo altero profilo. Così, onde evitare che gli scatenati ma naif neodeputati del M5S iniziassero a interrogarsi sul chi fossero esattamente quei misteriosi “consiglieri” col privilegio di poter fare su e giù a bordo di eleganti ascensori in boisserie, le targhette discriminatorie sono scomparse: col sadico compiacimento dei “paria” – si fa per dire – del personale di IV, III, II e I livello che pure del divieto di usare gli ascensori d’elite – ora formalmente cancellato – se ne infischiavano già da tempo. Dettagli, che però la dicono lunga sulla paura che c’è nel Palazzo e che attanaglia assai più gli alti funzionari che non i bistrattati e sbertucciarti parlamentari, sulla graticola da anni.
Se molto ha fatto sorridere la coscienziosa rimozione delle targhette in ottone dall’ufficio postale di Montecitorio che recavano la dicitura “dare la precedenza agli onorevoli deputati” e quelle che indicavano la sala di lettura prospiciente il Transatlantico come “riservata agli onorevoli deputati”, pochi hanno notato la parimenti tempestiva rimozione delle targhe di analogo tenore apposte in alcuni degli ascensori del palazzo che recavano l’oscura (per i nuovi arrivati grillini) dicitura: “Riservato ai consiglieri”. Che succede? Succede che la crema della casta dei funzionari si fa concava, abbassa il suo altero profilo. Così, onde evitare che gli scatenati ma naif neodeputati del M5S iniziassero a interrogarsi sul chi fossero esattamente quei misteriosi “consiglieri” col privilegio di poter fare su e giù a bordo di eleganti ascensori in boisserie, le targhette discriminatorie sono scomparse: col sadico compiacimento dei “paria” – si fa per dire – del personale di IV, III, II e I livello che pure del divieto di usare gli ascensori d’elite – ora formalmente cancellato – se ne infischiavano già da tempo. Dettagli, che però la dicono lunga sulla paura che c’è nel Palazzo e che attanaglia assai più gli alti funzionari che non i bistrattati e sbertucciarti parlamentari, sulla graticola da anni.
La hot-line dei segretari generali
Così, sibilano i maligni nel palazzo, da settimane il segretario generale della camera Ugo Zampetti si tiene in contatto con il collega segretario generale del parlamento regionale siciliano Giovanni Tomasello (finito nel mirino del nuovo governatore del Pd Crocetta perché guadagnava più del triplo del suo pari grado di Palazzo d’Orleans, Patrizia Monterosso: 13.145 euro netti al mese, ora sforbiciati, contro i circa 4.300 euro). Come avete fatto e come fate giù in Sicilia con i grillini? Le notizie che arrivano da Palermo non sono rassicuranti per i superburocrati di Roma. Nell’era Crocetta, segnata politicamente dell’ingresso di un pattuglione del M5S, i primi tagli alla casta della burocrazia di palazzo dei Normanni si sono già fatti sentire. Al segretario generale sono stati per ora tagliati 30mila euro di stipendio all’anno, è stata cancellata la figura del segretario generale aggiunto, ridotti e accorpati gli uffici da 29 a 21, gli incarichi di vertice sono scesi da 13 a 11. Ma c’è anche la soppressione dell’indennità di produttività per il segretario generale, la riduzione del 25 per cento dell’indennità di funzione di vicesegretari regionali, di direttori, capi uffici, responsabili delle unità operative e il taglio del 15 per cento delle altre indennità: notturno, festivi, missioni e la reperibilità. Giovanni Ardizzone, presidente dell’assemblea regionale siciliana, facendo di conto, calcola che «il bilancio è già di 10 milioni di euro inferiore al precedente, con un taglio di circa il 7 per cento. Abbiamo effettuato un milione di euro di tagli al personale in servizio, il personale assunto dal primo gennaio 2013 ha un livello di stipendio inferiore del 20 per cento rispetto ai loro pari grado più anziani, sono state ridotte le posizioni apicali e il numero degli uffici interni».
Così, sibilano i maligni nel palazzo, da settimane il segretario generale della camera Ugo Zampetti si tiene in contatto con il collega segretario generale del parlamento regionale siciliano Giovanni Tomasello (finito nel mirino del nuovo governatore del Pd Crocetta perché guadagnava più del triplo del suo pari grado di Palazzo d’Orleans, Patrizia Monterosso: 13.145 euro netti al mese, ora sforbiciati, contro i circa 4.300 euro). Come avete fatto e come fate giù in Sicilia con i grillini? Le notizie che arrivano da Palermo non sono rassicuranti per i superburocrati di Roma. Nell’era Crocetta, segnata politicamente dell’ingresso di un pattuglione del M5S, i primi tagli alla casta della burocrazia di palazzo dei Normanni si sono già fatti sentire. Al segretario generale sono stati per ora tagliati 30mila euro di stipendio all’anno, è stata cancellata la figura del segretario generale aggiunto, ridotti e accorpati gli uffici da 29 a 21, gli incarichi di vertice sono scesi da 13 a 11. Ma c’è anche la soppressione dell’indennità di produttività per il segretario generale, la riduzione del 25 per cento dell’indennità di funzione di vicesegretari regionali, di direttori, capi uffici, responsabili delle unità operative e il taglio del 15 per cento delle altre indennità: notturno, festivi, missioni e la reperibilità. Giovanni Ardizzone, presidente dell’assemblea regionale siciliana, facendo di conto, calcola che «il bilancio è già di 10 milioni di euro inferiore al precedente, con un taglio di circa il 7 per cento. Abbiamo effettuato un milione di euro di tagli al personale in servizio, il personale assunto dal primo gennaio 2013 ha un livello di stipendio inferiore del 20 per cento rispetto ai loro pari grado più anziani, sono state ridotte le posizioni apicali e il numero degli uffici interni».
Crocetta e i biscotti
E’ questo il futuro che aspetta anche i grand commis di Montecitorio? La sforbiciata è tuttamade in Rosario Crocetta, per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia chiaro. Ma non c’è dubbio che una potente spinta propulsiva, che la forza con cui Crocetta ha preso il toro per le corna, gli sia arrivata anche dalla sponda dei grillini, la vera sorpresa delle regionali siciliane dell’ottobre scorso. Che nel frattempo, come gli americani sbarcati in Sicilia nel ’43, sono arrivati a Roma. Dall’alto delle loro 15 mensilità di stipendio da dipendenti della camera (le mensilità dei dipendenti del senato sono 16) non stupisce che i funzionari romani di Montecitorio e palazzo Madama – per ora in assenza di un decisionista alla Crocetta ma già in presenza delle mine vaganti grilline – non sappiano che pesci pigliare. Il terrore è quello di un possibile presidente della camera grillino: una prospettiva che per i burocrati sarebbe po’ come andare a cena con un cannibale. Per ora gli espedienti messi in atto sono grotteschi: la rimozione delle targhette, piuttosto che la trasformazione della scintillante buvette di Montecitorio in una sorta di bar dell’Unione sovietica degli anni ’50. Dagli scaffali, desolantemente vuoti, sono stati rimossi persino i biscotti, le caramelle e i cioccolatini. Bisogna trasmettere una sensazione di grande auterità e severità di costumi. Basterà ad abbindolare gli ingenui grillini? I grand commis della camera, e giù giù tutta la struttura, sperano di sì: per anni hanno mantenuto i loro privilegi (maggiori o minori a seconda dei gradi) e oggi, parafrasando il monatto dei Promessi sposi che fa spallucce a Renzo Tramaglino, pensano in cuor loro che non saranno quei poveri untorelli grillini a spiantarli. Ne hanno viste passare tante, passerà anche questa. Cercheranno di ingraziarseli, confidando che i politici facciano come sempre da parafulmini, che l’ira popolare di cui si alimentano i grillini resti concentrata su deputati e senatori. Però la fifa di imprevisti fa novanta. E fa paura il cortocircuito tra stampa e grillini.
E’ questo il futuro che aspetta anche i grand commis di Montecitorio? La sforbiciata è tuttamade in Rosario Crocetta, per dare a Cesare quel che è di Cesare, sia chiaro. Ma non c’è dubbio che una potente spinta propulsiva, che la forza con cui Crocetta ha preso il toro per le corna, gli sia arrivata anche dalla sponda dei grillini, la vera sorpresa delle regionali siciliane dell’ottobre scorso. Che nel frattempo, come gli americani sbarcati in Sicilia nel ’43, sono arrivati a Roma. Dall’alto delle loro 15 mensilità di stipendio da dipendenti della camera (le mensilità dei dipendenti del senato sono 16) non stupisce che i funzionari romani di Montecitorio e palazzo Madama – per ora in assenza di un decisionista alla Crocetta ma già in presenza delle mine vaganti grilline – non sappiano che pesci pigliare. Il terrore è quello di un possibile presidente della camera grillino: una prospettiva che per i burocrati sarebbe po’ come andare a cena con un cannibale. Per ora gli espedienti messi in atto sono grotteschi: la rimozione delle targhette, piuttosto che la trasformazione della scintillante buvette di Montecitorio in una sorta di bar dell’Unione sovietica degli anni ’50. Dagli scaffali, desolantemente vuoti, sono stati rimossi persino i biscotti, le caramelle e i cioccolatini. Bisogna trasmettere una sensazione di grande auterità e severità di costumi. Basterà ad abbindolare gli ingenui grillini? I grand commis della camera, e giù giù tutta la struttura, sperano di sì: per anni hanno mantenuto i loro privilegi (maggiori o minori a seconda dei gradi) e oggi, parafrasando il monatto dei Promessi sposi che fa spallucce a Renzo Tramaglino, pensano in cuor loro che non saranno quei poveri untorelli grillini a spiantarli. Ne hanno viste passare tante, passerà anche questa. Cercheranno di ingraziarseli, confidando che i politici facciano come sempre da parafulmini, che l’ira popolare di cui si alimentano i grillini resti concentrata su deputati e senatori. Però la fifa di imprevisti fa novanta. E fa paura il cortocircuito tra stampa e grillini.
Microchip e rivoltelle
Lunedì 11 marzo, per esempio, quando scatterà la macchina dell’accoglienza nel palazzo dei nuovi deputati per la loro identificazione e registrazione, per la prima volta da decenni sarà impedito alla stampa di assistere alle procedure di arrivo delle matricole parlamentari. Motivo? Come reagiranno, per esempio, i grillini quando i funzionari della camera e il personale della sicurezza chiederà loro di poter prendere le impronte digitali (non obbligatorie, a dire il vero) per il nuovo sistema voto anti-pianisti elettronico in aula? Altro che microchip sottopelle. Meglio che la stampa non veda. E come si comporterà l’occhiuto personale addetto alla sicurezza interna della camera quando i grillini, armati di telecamerine, cominceranno a videoregistrare tutto ciò che accade nel palazzo, dall’aula alle commissioni, dai sottotetti ai sotterranei del palazzo? Videoregistrare e fotografare è forse l’attività più proibita all’interno del palazzo. Se ci prova un giornalista, la paga cara. Per il resto finché a violare le regole è un deputato, una singola testa calda, è un conto: ma che succede se lo fanno in centocinquanta? E poi, come reagiranno gli altri colleghi deputati, inseguiti e videoregistrati in ogni anfratto di camera e senato dai cameramen-parlamentari a Cinque stelle? Il “rischio sganassoni”, si dice tra i più anziani commessi, è forte. Ma quel palazzo e i suoi silenziosi inquilini-dipendenti che a differenza dei parlamentari – che passano – non ne escono se non per andarsene in pensione, hanno già visto di tutto: e tutto masticato, digerito, metabolizzato. La creatività protestataria degli irregolari e pirotecnici radicali nella Prima repubblica, i temutissimi Savonarola della Seconda repubblica, forcaioli leghisti e manettari dipietristi.
Se per questo, nel 1921 i loro austeri predecessori dovettero persino fare i conti con qualche deputato fascista che arrivò a varcare la soglia dell’aula armato di rivoltella. In fondo, mentre il cuore trema, la ragione suggerisce che si troverà il modo di sopravvivere anche alla minaccia del comico Beppe Grillo e della sua armata parlamentare. Parafrasando il raccontoUn marziano a Roma di Ennio Flaiano, l’extraterrestre di cui dopo un po’ nessuno si curava, già corre feroce il motto: “A grilli’, facce ride”. Epperò, vacci a mettere la mano sul fuoco. Non si sa mai.
Lunedì 11 marzo, per esempio, quando scatterà la macchina dell’accoglienza nel palazzo dei nuovi deputati per la loro identificazione e registrazione, per la prima volta da decenni sarà impedito alla stampa di assistere alle procedure di arrivo delle matricole parlamentari. Motivo? Come reagiranno, per esempio, i grillini quando i funzionari della camera e il personale della sicurezza chiederà loro di poter prendere le impronte digitali (non obbligatorie, a dire il vero) per il nuovo sistema voto anti-pianisti elettronico in aula? Altro che microchip sottopelle. Meglio che la stampa non veda. E come si comporterà l’occhiuto personale addetto alla sicurezza interna della camera quando i grillini, armati di telecamerine, cominceranno a videoregistrare tutto ciò che accade nel palazzo, dall’aula alle commissioni, dai sottotetti ai sotterranei del palazzo? Videoregistrare e fotografare è forse l’attività più proibita all’interno del palazzo. Se ci prova un giornalista, la paga cara. Per il resto finché a violare le regole è un deputato, una singola testa calda, è un conto: ma che succede se lo fanno in centocinquanta? E poi, come reagiranno gli altri colleghi deputati, inseguiti e videoregistrati in ogni anfratto di camera e senato dai cameramen-parlamentari a Cinque stelle? Il “rischio sganassoni”, si dice tra i più anziani commessi, è forte. Ma quel palazzo e i suoi silenziosi inquilini-dipendenti che a differenza dei parlamentari – che passano – non ne escono se non per andarsene in pensione, hanno già visto di tutto: e tutto masticato, digerito, metabolizzato. La creatività protestataria degli irregolari e pirotecnici radicali nella Prima repubblica, i temutissimi Savonarola della Seconda repubblica, forcaioli leghisti e manettari dipietristi.
Se per questo, nel 1921 i loro austeri predecessori dovettero persino fare i conti con qualche deputato fascista che arrivò a varcare la soglia dell’aula armato di rivoltella. In fondo, mentre il cuore trema, la ragione suggerisce che si troverà il modo di sopravvivere anche alla minaccia del comico Beppe Grillo e della sua armata parlamentare. Parafrasando il raccontoUn marziano a Roma di Ennio Flaiano, l’extraterrestre di cui dopo un po’ nessuno si curava, già corre feroce il motto: “A grilli’, facce ride”. Epperò, vacci a mettere la mano sul fuoco. Non si sa mai.
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