Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 17 ottobre 2025
E una fettina di culo. - Marco Travaglio FQ 17/10/25
domenica 22 giugno 2025
In mano a chi siamo?
martedì 27 maggio 2025
CONFERMATO: L'ESERCITO DI TRUMP SVELA I BUNKER DELLA NATO CON ARMI BIOLOGICHE IN UCRAINA – ATTIVATI I TRIBUNALI DI GITMO!
20 maggio 2025 — Le Forze Speciali statunitensi hanno fatto irruzione nei laboratori sotterranei gestiti dalla NATO in Ucraina. Ciò che hanno trovato è oltre ogni immaginazione. Camere di clonazione. Sistemi di ritenuta per bambini. Cellule criogeniche. Apparecchiature per la modifica del DNA. Erano segrete per la ricerca su armi biologiche, finanziate dai pacchetti di aiuti di Biden e protette dall'OMS.
Non si è mai trattato di difendere la democrazia. Si trattava di proteggere i crimini di guerra delle élite. NATO, Pfizer, OMS e ONU sono nominati in file recuperati – email che confermano "sperimentazioni su esseri umani vivi", "programmazione di override comportamentale" e "armamentizzazione neuro-adattativa". Non si trattava di ricerca umanitaria. Era una tortura alla Frankenstein mascherata da politica estera.
L'esercito di Trump l'ha fatto trapelare di proposito. Informazioni riservate mostrano vittime provenienti da Stati Uniti, Canada, Moldavia e Germania, incanalate attraverso falsi corridoi per rifugiati. Questi bambini sono stati etichettati come sfollati, ma consegnati a siti segreti per la sperimentazione. Registri medici timbrati da Pfizer. Supervisione firmata dall'OMS. La rete attraversava Polonia, Moldavia, il Mar Nero e portava direttamente a Kharkiv, dove è stato colpito il bunker più grande.
All'interno: sale operatorie con sistemi di contenzione, scanner biometrici, letti per bambini, fiale di composti Pfizer, inceneritori. Un livello conteneva tecnologia di clonazione umana non pubblicamente riconosciuta. Strumenti di biologia sintetica, hardware per il controllo neurale e dispositivi NATO criptati. Si tratta di tecnologia classificata per risorse programmabili: gusci umani utilizzati per l'infiltrazione.
Le élite non avrebbero mai pensato che l'avremmo trovato. Ma Trump sì. Il suo comando ripristinato ha dato il via libera. Altre sette strutture sono ora sotto sorveglianza. Alcune saranno sequestrate. Altre distrutte. Tutte saranno smascherate. I tribunali di Guantanamo sono in corso.
Ecco perché hanno truccato il 2024. Ecco perché la cabala è andata nel panico. Ecco perché Biden ha svenduto il vostro futuro. Perché avevano bisogno che questo incubo rimanesse nascosto. Ora sta venendo alla luce. Il filmato non è stato "trapelato". È stato utilizzato. Un attacco diretto da parte dei patrioti all'interno dell'intelligence militare statunitense.
Pfizer, OMS, NATO: tutti nominati. Tutti colpevoli. Tutti diretti a Guantanamo.
La tempesta è arrivata. Crimini legati alle armi biologiche. Clonazione. Traffico di esseri umani. Controllo mentale. Questa è la guerra finale contro lo Stato profondo. E Trump ha in mano il detonatore.
NESSUNA PIETÀ. NESSUNA VIA DI SFUGGIRE. GITMO TI ASPETTA. GITMOTV
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Spero che la notizia non sia vera, perchè, se fosse vera, dovremmo intervenire per evitare che continuino a compiere queste atrocità. Cetta
sabato 15 febbraio 2025
Ucraina, Blinken ammette: ''Stati Uniti hanno fornito armi prima dell'invasione russa'' - Giuseppe Cirillo
Diplomazia o strategia? Le parole del segretario di Stato che lasciano perplessi: “Non si è mai trattato solo dell’Ucraina”
L’invasione della Russia in Ucraina inizia il 24 febbraio 2022, ma l’invio di armi da parte degli Stati Uniti comincia mesi prima, a settembre del 2021. Soprattutto, inizia “silenziosamente”. A rivelarlo ai microfoni del New York Times non è di certo un complottista, ma il segretario di Stato americano Antony Blinken. Durante l’intervista, il “diplomatico di lunga data” - come lo definisce la giornalista statunitense Lulu Garcia-Navarro - ha insistito sul fatto che le decisioni prese insieme al presidente Joe Biden sono state “quelle giuste”. Tra queste, figura anche quella di aver messo “l’Ucraina sulla strada dell'adesione alla NATO”. Blinken ha rivendicato queste scelte come determinanti per salvaguardare la sovranità ucraina e contrastare le ambizioni territoriali di Vladimir Putin. Tuttavia, come lo stesso segretario di Stato ha ammesso, in gioco c’è ben altro. “Non si tratta solo dell'Ucraina - ha sottolineato Blinken -. Non si è mai trattato solo dell'Ucraina”. Soffermandosi sui rischi futuri che potrebbero minare gli Stati Uniti, Blinken ha precisato: “In assenza della diplomazia americana, ci sarà la diplomazia di molti altri Paesi che modelleranno il mondo in modi che potrebbero non essere così amichevoli verso i nostri interessi e i nostri valori”. Insomma, Blinken parla di scelte dettate dalla necessità di salvaguardare la sovranità e gli interessi dell’Ucraina, ma queste sembrano finire sempre per favorire gli Stati Uniti.
Partiamo però dall’inizio, dal momento in cui il segretario di Stato ricorda l’incontro a Ginevra con il suo omologo russo, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, nel tentativo di evitare il conflitto in Ucraina. “Abbiamo esercitato una diplomazia straordinaria nel riunire e tenere insieme più di 50 Paesi, non solo in Europa, ma ben oltre, a sostegno dell'Ucraina e in difesa di quei principi che la Russia ha attaccato nel febbraio di quell'anno. Ho lavorato intensamente prima della guerra, anche con incontri con il mio omologo russo, Sergey Lavrov, a Ginevra, un paio di mesi prima del conflitto, cercando di trovare un modo per prevenirlo. Abbiamo voluto testare l’ipotesi che si trattasse davvero delle preoccupazioni della Russia per la sua sicurezza e per l'Ucraina”, ha spiegato. E prosegue: “Eravamo intensamente impegnati diplomaticamente con la Russia. Da allora, se ci fosse stata l'opportunità di impegnarsi diplomaticamente per porre fine alla guerra in modo giusto e duraturo, saremmo stati i primi a coglierla. Purtroppo, almeno fino ad ora, non abbiamo visto alcun segno che la Russia sia realmente disposta a negoziare”. Al di là dell’intensa attività diplomatica, prima che la Russia invadesse l’Ucraina, le armi per Kiev erano già pronte per essere spedite. “Ci siamo assicurati che, ben prima dell’aggressione russa, a partire da settembre e poi di nuovo a dicembre, portassimo silenziosamente molte armi all'Ucraina. Volevamo garantire che avessero ciò di cui avevano bisogno per difendersi: cose come i missili Stinger e Javelin, che si sono rivelati decisivi per impedire alla Russia di prendere Kiev, ribaltare il Paese, cancellarlo dalla mappa e, anzi, respingere i russi”.
Tuttavia, durante l’intervista con il NYT, Blinken sembra trascurare che l’esercito di Kiev, a differenza di quello di Mosca, che continua ad avanzare, non ha mai ottenuto vittorie significative, se non nella narrativa mediatica occidentale. Le perdite umane e materiali subite da Kiev sono elevatissime, sia tra la popolazione che, soprattutto, tra i soldati.
Un disastro che sembra essere stato alimentato anche dalla fornitura di armi all’Ucraina, iniziata diversi mesi prima dell’invasione russa, e che rischia quasi certamente di peggiorare nel caso in cui l’Ucraina entri nella NATO. Eppure, per Blinken, “Putin ha fallito”, mentre “l'Ucraina è ancora in piedi”. “Credo che abbia anche un potenziale straordinario non solo per sopravvivere, ma anche per prosperare in futuro. ” - prosegue - “Per garantire che qualsiasi cessate il fuoco sia realmente duraturo, dobbiamo assicurarci che l'Ucraina abbia la capacità di scoraggiare ulteriori aggressioni. Questo - ha precisato - può avvenire in molte forme: attraverso la NATO, ad esempio, e noi abbiamo messo l'Ucraina sulla strada dell'adesione all’Alleanza. Oppure attraverso assicurazioni di sicurezza, impegni e garanzie da parte di diversi Paesi, per fare in modo che la Russia sappia che, se attaccherà di nuovo, dovrà affrontare gravi conseguenze”. Le parole pronunciate dal segretario di Stato americano Antony Blinken lasciano intendere che il conflitto in Ucraina potrebbe protrarsi ancora a lungo. Una prospettiva che stride con le dichiarazioni di impegno per una trattativa di pace, la quale, fino a oggi, si è concretizzata solo nelle parole di Blinken, senza alcun riscontro pratico. Contrariamente a quanto ci si potrebbe augurare, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO rischierebbe di intensificare ulteriormente gli scontri tra l’esercito russo e quello ucraino. Da sempre è evidente che un’espansione della NATO verso est avrebbe portato inevitabilmente a uno scontro con la Russia. Dunque, resta da vedere quale sarà l’approccio di Donald Trump quando, con il suo probabile ritorno alla Casa Bianca, si troverà a gestire questa situazione. Blinken, infatti, durante la sua intervista al NYT, ha espresso preoccupazione per le possibili politiche di Trump in relazione alla questione ucraina. Secondo Blinken, un diverso orientamento politico da parte del tycoon americano potrebbe lasciare spazio ad altri attori internazionali, capaci di influenzare il corso degli eventi in modi contrari agli interessi e ai valori americani. Una considerazione che appare in contraddizione con le affermazioni di chi sostiene di essersi impegnato per la pace in Ucraina.
Foto © Imagoeconomica
giovedì 10 ottobre 2024
L’uragano, il rutto e la sconfitta ucraina. - Tommaso Merlo
martedì 16 maggio 2023
Zelensky, armi, Ucraina. - Giuseppe Salamone
Repubblica, la cui proprietà produce anche armi, ci dice che le armi italiani salvano vite. Non medici, infermieri, pompieri o attrezzature per gli ospedali, le armi per loro salvano le vite. In mezzo ad un conflitto di interessi grande quanto un carro armato cresce e prospera la grande "libertà di stampa" italiana. Incredibile!
Zelensky viene qui a imporre il volere di chi gli muove i fili e la premier donna, madre e cristiana, dopo che Podolyak ci ha minacciato di attentati terroristici qualora smettessimo di obbedire al regime di Kiev non solleva la minima obiezione davanti a queste minacce spudorate, ma non solo lo asseconda come un cagnolino, espone il popolo italiano ufficialmente in una guerra contro la Russia scommettendo e sostenendo erga omnes una vittoria sul campo di Kiev contro una potenza che ha a disposizione 6000 armi nucleari.
Ci si mette anche la grande stampa a servizio della propaganda a fare da eco a chi si presenta a reti unificate con simboli nazisti in bella vista. E questi sottosviluppati, tutti pronti il 25 Aprile per festeggiare la vittoria sui nazisti, non solo non sollevano la minima obiezione davanti a tutto ciò, ma si prestano financo alla propaganda del comico piazzando domande funzionali per la narrazione bellicista. Se proprio vogliono la guerra ad oltranza, che mandassero i loro figli a buttare il sangue anziché spingere e fare i forti dai loro salotti col sangue di poveri cristi.
Per concludere arriva la ciliegina sulla torta quando il "buon uomo democratico e partigiano" Zelensky risponde a Vespa dicendo che non ha bisogno di alcun mediatore mandando in frantumi il tentativo reale e concreto di Papa Francesco. Non è un caso che il Papa lo abbia liquidato dopo appena 20 minuti di colloquio, dopo che questo essere spregevole si sia presentato con la classica arroganza non rispettando nemmeno le basi del galateo istituzionale.
Dovevano farci capire di averci portato in guerra senza dircelo? Ci sono riusciti alla grande con un'operazione di propaganda mai vista negli ultimi 80 anni. Hanno fatto tutto andando contro il volere della maggioranza degli italiani e calpestando la Costituzione Italiana. Per concludere una piccola costatazione sul Presidente della Repubblica: Caro presidente, lei non è il mio presidente!
T.me/GiuseppeSalamone
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martedì 9 maggio 2023
Ursula von der Leyen - Alessandro Orsini
Ancora un grande grazie a Ursula von der Leyen per avere trasformato l'Unione Europea nella vergogna dell'Unione Europea. Giunge ora la notizia che il Parlamento europeo andrà a un voto d'urgenza per distogliere i fondi europei dai programmi di spesa sociale e dello stesso Pnrr al fine di costruire munizioni da dare all'Ucraina. Scusate, avrei alcune domande. Ma i media dominanti in Italia non avevano detto, sin dal primo giorno di guerra, che la Russia è debolissima e noi fortissimi e che i russi sarebbero andati in banca rotta in tre giorni e noi a festeggiare al mare? E adesso viene fuori che noi europei stiamo con le pezze e non abbiamo munizioni e viene pure fuori che i soldi per le munizioni ci tocca prenderli dai soldi per i programmi sociali come pezzenti? Quindi viene fuori che l'Occidente non è onnipotente e la Russia impotente. Un'altra domanda: ma questo spettacolo da sbruffoni all'Alberto Sordi non è esatamente ciò da cui avevo messo in guardia all'inizio della guerra? Non avevo forse detto che l'Unione Europea non era assolutamente pronta per una guerra con la Russia di lungo periodo? E non è forse vero che per avere detto queste verità sono stato violentemente insultato e diffamato per 15 mesi senza sosta da tutti i media dominanti trasmissioni radiofoniche incluse? E quindi viene fuori che anche questa mia previsione era corretta. Un'ultima domanda: ma non sarà mica che tutto questo grande squallore morale e professionale accade perché il sistema dell'informazione in Italia sulla politica internazionale è corrotto dalla testa ai piedi?
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mercoledì 22 marzo 2023
Maestà il popolo ha fame…dategli armi. - Massimo Erbetti
Ma forse chi ha deciso di proporvela ha pensato che proprio il fatto che fosse donna vi avrebbe indotto a vederla come una figura più equilibrata e non vi avrebbe fatto pensare che potesse arrivare a tanto.
Voi pensavate che volessero togliere il reddito di cittadinanza e la cessione crediti del Superbonus ecc ecc ecc ecc per fare un dispetto al M5S o perché odiano i poveri? Beh sbagliate e sbagliate di grosso…loro amano i poveri…hanno bisogno dei poveri…hanno bisogno dei soldi destinati al loro reddito di cittadinanza...e alla cessione dei crediti…e sapete per fare cosa? A cosa servono sti soldi? Per la sanità…infrastrutture…direte voi…ahahahah poveri illusi…servono a questo:
"Meloni, sull'aumento delle spese militari ci metto la faccia
La libertà ha un prezzo: difendersi è tutela sovranità nazionale"
(ANSA 21 marzo 2023)
Hai capito la donna, la mamma, la cristiana?
Ma perché Giorgia ha deciso questo e proprio in questo preciso momento? Per salvaguardare la "sovranità nazionale"? O perché glielo ha chiesto qualcuno? Sapete perché ve lo dico? Perché sempre ieri ho letto anche questa notizia:
"È mia prerogativa convocare la commissione Nato-Ucraina e credo che il momento sia arrivato".
Lo ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, chiarendo che l'incontro avverrà nel quadro della ministeriale esteri di aprile e che il format avrà una cadenza più regolare nel futuro.
"Al summit di Vilnius mi aspetto che i leader prendano l'accordo che il 2% del Pil sia il minimo per quanto riguarda le spese in difesa" ha detto Stoltenberg"
(ANSA 21 marzo 2023)
Capito come stanno le cose? Vi è tutto chiaro?...minimo il 2% di Pil. Altro che "sovranità nazionale"
E adesso facciamoci due conticini…ma quanto ci costerà questo "scherzetto"?
Per saperlo mi sono andato a cercare qualche notizia in merito a quanto spende attualmente il nostro paese per le spese militari e ho trovato questo:
"Rapporto spese militari e PIL"
Secondo il report NATO del 31 marzo 2022, il rapporto tra spese militari e PIl in Italia è pari all'1,54% del PIL
Per cui…per raggiungere il 2% (minimo) ci sarà un aumento delle spese militari di almeno il 30% annuo…e voi che continuate a pensare ai poveri…e a come sopravviveranno…poveri illusi.
E niente…Giorgia ha deciso…lei sull'aumento delle spese militari ci mette la faccia…e noi ci mettiamo qualcos'altro.
mercoledì 23 novembre 2022
Guido Crosetto – Armi, affari e tweet: chi è consigliere fidato di Giorgia Meloni che è finito alla Difesa (con l’ombra del conflitto d’interessi) - Giuseppe Pipitone - 22.ott.2022
Cresciuto nella Dc, passato con Forza Italia con quattro legislature alla Camera e tre anni da sottosegretario, il neo ministro della Difesa (che in origine sembrava destinato allo Sviluppo economico) è uno dei pochi fondatori di Fdi che non è cresciuto nell'estrema da destra. Consigliere ascoltato dalla premier, è il volto moderato di Fdi nei salotti buoni. Da quando si è dimesso da deputato, nel 2019, si è dedicato agli affari: ha guidato aziende attive nel mondo delle navi da guerra, ma anche una srl familiare che si occupa di lobbying. Nel giorno della nomina al governo ha annunciato di voler lasciare ogni incarico.
Il primo tweet dopo la nomina doveva servire ad allontanare ogni accusa di conflitto d’interesse. O almeno a provarci. “Per tutti quelli che (non per amore) me lo stanno chiedendo, rispondo: mi sono già dimesso da amministratore, di ogni società privata (non ne ricopro di pubbliche) che (legittimamente) occupavo. Liquiderò ogni mia società (tutte legittime). Rinuncio al 90% del mio attuale reddito”, ha scritto Guido Crosetto, un minuto dopo che Giorgia Meloni ha letto il suo nome come nuovo ministro della Difesa. Non è bastato visto che, nel giorno della nascita del nuovo governo, in tanti ricordano il suo recentissimo passato – praticamente presente – da imprenditore attivo nel ramo Difesa: lo stesso delicatissimo settore che ora gestirà da ministro. Proprio per questo motivo i rumors della vigilia accreditavano Crosetto allo Sviluppo economico. Alla fine, però, al Mise è andato Adolfo Urso, che invece al contrario sembrava certo della nomina alla Difesa. E’ probabile che sul destino dell’ex presidente del Copasir abbia pesato la moglie, che viene dal Lugansk, repubblica russofona inglobata da Vladimir Putin. Dopo le “sparate” di Silvio Berlusconi sull’Ucraina e sull’inquilino del Cremlino, era dunque il caso di metterlo al vertice della Difesa italiana? Chissà, forse gli alleati atlantici non avrebbero gradito. In ogni caso Meloni ha deciso di dirottare Urso allo Sviluppo economico, che ora si chiama ministero delle Imprese e del Made in Italy. E ha preferito rischiare di prendersi le accuse di conflitto d’interessi (avanzate per esempio da Angelo Bonelli dei Verdi), pur di piazzare alla Difesa uno dei suoi consiglieri più fidati. Uno di quelli che sta in Fdi fin dal principio.
Il gigante e la bambina – All’inizio gli appassionati di Lucio Dalla se l’erano cavata senza troppa originalità: il gigante e la bambina li avevano ribattezzati. La bambina era Meloni, il gigante ovviamente era Crosetto, un uomo di quasi due metri che all’Auditorium Conciliazione, a Roma, si era caricato in braccio la piccola aspirante leader, oggi presidente del consiglio. Era il 2012 e stava per nascere Fratelli d’Italia: dal Pdl uscirono Meloni, Ignazio La Russa e tutta una serie di ex An che non avevano seguito Gianfranco Fini nello strappo di Futuro e Libertà. E poi c’era lui, il piemontese col fisico da gigante e il volto buono che veniva da tutt’altra storia: niente fiamme tricolori e botte giovanili, niente braccia tese, il culto di Giorgio Almirante e nostalgici souvenir del ventennio. Se La Russa faceva rissa nel Fuan degli anni di piombo e Meloni ha scalato Azione giovani nei primi Duemila, Crosetto, infatti, è cresciuto sotto la rassicurante ombra dello Scudo crociato. “Io ho la fortuna di essere stato democristiano, altrimenti pelato così chissà cosa mi direbbero…”, rivendicava su La7 con una mezza risata. Una battuta utile a difendere Meloni da chi ciclicamente insiste (o insisteva) chiedendole di prendere le distanze dal fascismo.
Il volto moderato di un partito non moderato – In effetti una delle cose che riesce meglio a Crosetto è proprio questa: offrire il suo corpo per difendere la ragazza della Garbatella che si è scelto come leader, in tempi non sospetti. Anni fa quando tutti parlavano ancora solo di Berlusconi e Matteo Salvini lui faceva notare come nei sondaggi Giorgia fosse avanti, anche se poi Fdi faticava a superare il 5 percento. I fatti gli hanno dato ragione: se oggi Meloni entra a Palazzo Chigi un po’ di merito è anche di Crosetto, il gigante buono che della capa di Fdi è ascoltatissimo consigliere. Da anni è Crosetto il volto moderato di un partito considerato troppo a destra: il profilo rassicurante, il mediatore, quello che ha accesso ai salotti bene e ha strappato alla Lega i voti degli imprenditori del Nord Ovest. La fonte che i giornalisti chiamano semplicemente per nome e il contatto al quale tutti possono sempre rivolgersi. Soprattutto ora che Fdi è la prima forza del Paese e “Guido” al telefono continua a rispondere a tutti. Tranne quando era all’estero e sosteneva di non saperne nulla delle trattative per la formazione del governo.
Lauree che non lo erano – Piccole bugie bianche. Come quando, meno di un mese fa, negava ogni ipotesi d’ingresso al governo. “Se aspetti me Ministro, muori di vecchiaia alla stazione”, scriveva sul suo seguitissimo profilo twitter (quasi 230mila follower). Dove ha dovuto aggiornare la sua biografia: “Libero da pregiudizi per convinzione, garantista per dna, conservatore per nascita, rispettoso per scelta. Ex tante cose. Ora uomo libero ed imprenditore”, è il modo con cui si presentava sul popolare social network, da quando – nel 2019 – riuscì finalmente a dimettersi dalla Camera al terzo tentativo. Da quel momento, pure senza mai lasciare Fdi, si è dedicato agli affari e ai commenti. Ogni giorno su twitter Crosetto spiega come la pensa su questo o quel fatto di cronaca politica, nera o sportiva: juventino, su twitter non si sottrae a risse e litigi a distanza. “Quando penso che una persona sia una ‘testa di beep‘ glielo dico tranquillamente”, spiegava al Sole 24 ore. Piemontese di Marene, provincia di Cuneo, dove ha fatto il sindaco per dieci anni e dove la sua famiglia produce rimorchi agricoli addirittura dal 1937, il gigante Crosetto comincia a interessarsi alla politica ai tempi dell’Università, leader del movimenti giovanili della Dc. Nel 1987, quando aveva solo 24 anni, Giovanni Goria, presidente del consiglio per nove dimenticabili mesi, lo vuole a Palazzo Chigi come consigliere economico. “Sì. Avevo 24 anni e mi ero appena laureato in Economia…”, raccontò lui a Sette del Corriere della Sera. E in effetti sul sito della Camera gli riconoscevano una laurea in Economia e Commercio che però, alla fine, lui non aveva mai preso. A scoprirlo fu un giornale locale piemontese, lo Spiffero. “Mi spiace. Ma lo ammetto: ho ceduto, sono stato debole… e ho raccontato una piccola, innocente bugia“, ammise Crosetto, che nel frattempo era già sottosegretario alla Difesa nel governo Berlusconi.
Gli affari: soprattutto nel settore armi – Con la fine della Balena Bianca, infatti, Crosetto aveva trovato riparo in Forza Italia: consigliere comunale a Cuneo, coordinatore regionale del partito e infine deputato per tre legislature. La quarta, dopo una pausa di cinque anni, è durata pochi mesi: nel 2018, ottenuto il seggio con Fdi, si dimette quasi subito per dedicarsi agli affari. Che affari? Armi soprattuto, ma anche turismo. Senza mai uscire da Fdi, infatti, dal 2014 Crosetto era senior advisor di Leonardo, l’ex Finmeccanica fiore all’occhiello del Paese. Ma era pure presidente di Orizzonte Sistemi Navali, società statale (controllata sempre da Leonardo e pure da Fincantieri) del settore delle navi da guerra, e al vertice dell’Aiad, la Federazione delle aziende italiane dell’Aerospazio. Incarichi dai quali ha annunciato di essersi dimesso, proprio nel giorno della nomina a ministro della Difesa.
Il conflitto d’interesse – Per provare ad allontanare ogni spettro di conflitto d’interesse, infatti, Crosetto aveva annunciato di volersi disfare anche la Csc & Partners Srl, società di lobbying che possiede in società col figlio Alessandro e la compagna Graziana Saponaro. Dopo un esordio record (fatturato da 272mila euro e utile da 179mila euro), il neo ministro ha fatto recentemente sapere – sempre via twitter – di volerla liquidare: “Sono fatto così male che adesso che una mia amica, che fino a due giorni fa non contava, conterà, ho deciso di liquidarla perché nessuno possa fare illazioni”. Ma con chi ha lavorato la Csc? Chi erano i suoi clienti? A questa domanda, posta dal Fatto Quotidiano, Crosetto non aveva voluto rispondere. E inevasa era rimasta anche la domanda sui suoi redditi. “Sarebbe più veloce chiedermi il 740, visto che sono solo redditi legittimi e corretti”, replicava sempre su Twitter. Adesso la sua dichiarazione dei redditi dovrà pubblicarla sul sito del governo.
giovedì 28 aprile 2022
Draghi ignora il Parlamento e tratta con Biden e Zelensky. - Luca De Carolis, Wanda Marra
IL FRONTE ITALIANO - Il premier farà visita al presidente Usa il 10 maggio: ieri ha sentito il leader ucraino. No a nuovo dl sulle armi.
Oggi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini riferirà al Copasir sul secondo decreto interministeriale per l’invio di armi all’Ucraina. Un provvedimento di Mef, Difesa e Farnesina, che contiene una lista secretata degli aiuti per Kiev. E se dalla Difesa assicurano che è la fotocopia del primo, quel che è certo è che l’invio di artiglieria pesante (cannoni, obici, semoventi) non passerà per un voto del Parlamento. Palazzo Chigi aveva fatto filtrare la possibilità di un decreto da licenziare in Consiglio dei ministri. Ma è scomparso dal tavolo, “ammesso che ci sia mai stato”, per dirla come un’autorevole fonte di governo.
Guerini ipotizza un altro invio con nuovo decreto interministeriale. Senza un voto del Parlamento. Cartina di tornasole è la dichiarazione del dem Graziano Delrio, da sempre vicino al ministro della Difesa: “Il Parlamento ha autorizzato l’invio di armi a scopi difensivi: conoscendo la correttezza del premier e di Guerini, se ci fosse un cambiamento di prospettiva ci sarebbe una discussione in Parlamento”. Un’affermazione che adombra più di un dubbio. Draghi, peraltro, non ha al momento alcuna intenzione di riferire sul tema. Al massimo, raccontano fonti di governo, potrebbe limitarsi a rispondere in un Question time.
Ieri invece ha annunciato la sua visita negli Usa: bilaterale con Biden il 10 maggio. Sanzioni alla Russia, aiuto all’Ucraina e anche clima, al centro della visita, come fa sapere la Casa Bianca. Draghi ha chiamato Volodymyr Zelensky, ribadendo “il pieno sostegno” del governo italiano. L’altro ha ringraziato anche per l’accoglienza dei rifugiati. Si è parlato poi del “coinvolgimento dell’Italia nei futuri accordi di sicurezza dell’Ucraina”. Ovvero della possibilità che il nostro Paese sia tra i garanti della sicurezza, a negoziati avviati. I due hanno parlato anche della visita a Kiev del premier, ma su data e modalità dovranno risentirsi. Curiosa situazione, visto che il viaggio era stato annunciato da Palazzo Chigi come imminente. Intanto lì fuori c’è sempre Giuseppe Conte a chiedere di distinguere tra armi offensive e difensive. “Confine labile” come ha ammesso al Fatto il leader dei 5 Stelle, che però deve mantenere il punto politico. Per questo chiederà ancora che Draghi e Guerini riferiscano in aula sugli armamenti. “Probabilmente anche con una richiesta diretta al presidente del Consiglio” dicono dal M5S. Nell’attesa, ieri Conte ha fatto visita all’ambasciatore della Gran Bretagna a Roma, Ed Llewellyn.
Due ore di incontro, secondo i 5Stelle, chiesto dal diplomatico: perché a Londra vogliono capire dove possa arrivare l’ex premier. Di certo da ieri Conte può sentirsi più sollevato, perché ha incassato il sostegno del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Il faro resta l’articolo 51 della Carta dell’Onu sulla legittima difesa, per garantire la sovranità e l’integrità dell’Ucraina” ha sostenuto il 5Stelle da Strasburgo, citando quella norma su cui Conte martedì aveva impostato la sua linea: sì ad armamenti per l’autotutela, no per un’eventuale controffensiva. Distinzione “complicata”, a detta di Matteo Salvini, “perché mica c’è il missile difensivo e il missile offensivo, è soggettivo”.
Però anche il leghista ritiene che Draghi debba riferire in aula: “Sulle armi serve assolutamente un passaggio parlamentare, anzi io chiedo un incontro di tutti i leader sulla pace, perché si parla solo di razzi e missili”. Una (parziale) convergenza che infastidisce il Pd. Ma la vera partita potrebbe essere quella di un documento in cui precisare quali armi inviare. “Ora non pensiamo a mozioni o risoluzioni” sostengono dai piani alti del M5S.
Però a Un giorno da pecora ne ha parlato il vice capogruppo in Senato, Gianluca Ferrara: “Una mozione contro l’invio di armi pesanti è un’ipotesi da tenere in considerazione”. Altre voci a 5 Stelle di Palazzo Madama raccontano una versione un po’ diversa: “Sarebbe meglio una risoluzione di maggioranza, legata all’intervento di Draghi in aula”. Un testo attento alle sfumature, per scongiurare tensioni o crisi di governo. Ammesso che Draghi in Parlamento ci vada.
venerdì 15 aprile 2022
Sauditi, Egitto e Qatar: vendiamo ancora armi agli “amici” macellai. - Giacomo Salvini
NON SOLO UCRAINA - La relazione annuale. Bilancio industria bellica nazionale: restano scambi di forniture con i Paesi che violano i diritti umani.
L’Italia nel 2021 ha continuato a vendere armi al regime dell’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, entrambi autori di stragi in Yemen, per un totale di 103 milioni di euro. Il dato è contenuto nella relazione annuale sulla “esportazione, importazione e transito di armi” inviata dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Parlamento lo scorso 5 aprile. Un documento di oltre 1.600 pagine, previsto dalla legge 185 del 1990, in cui è contenuto il volume di affari relativi all’export e all’import di armi in Italia relativo all’anno 2021, prima quindi dello scoppio della guerra in Ucraina.
Il 29 gennaio 2021 il governo Conte aveva deciso di revocare le licenze in essere e quelle future con Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, in seguito alla risoluzione approvata dal Parlamento il 22 dicembre 2020: con quell’atto le Camere bloccavano l’export di “bombe aeree e missili” verso Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti (in gran parte autorizzati dal governo Renzi) che utilizzavano quelle armi per colpire i ribelli Houthi in Yemen causando la morte di migliaia di civili. Dopo la revoca, costata all’Italia 328 milioni, il governo Draghi ha autorizzato nuovi contratti nel 2021 con Arabia Saudita (47,2 milioni) e Emirati Arabi Uniti (56,1). Senza formalmente violare la revoca, esportando armi consentite: se abbiamo esportato pistole, componenti e apparecchi elettronici negli Emirati, al regime di Mohammed bin Salman l’Italia ha venduto armi che rientrano nell’ampia categoria “004” che comprende “bombe, siluri, razzi, missili”. Contattato dal Fatto, il ministero degli Esteri non ha fornito dettagli specifici sulla fornitura. “E chi ci dice che queste bombe e missili italiani non vengano utilizzato dai sauditi nel conflitto in Yemen?” chiede Giorgio Beretta, della Rete Pace e Disarmo.
Nel 2021 il valore dei movimenti di armi è cresciuto fino a 5,3 miliardi (nel 2020 era stato di 4,8): 4,66 di esportazioni (4,65 un anno fa) e 679 milioni di importazioni rispetto ai 179 del 2020. Diminuisce invece il valore delle autorizzazioni individuali relative all’export: lo scorso anno era di 3,65 miliardi, il dato più basso degli ultimi sette anni. Ma il calo è relativo perché è paragonato al triennio 2015-2017 quando i governi Renzi e Gentiloni hanno autorizzato maxi-commesse che hanno fatto lievitare il valore delle esportazioni di armi per 7,9 miliardi nel 2015, 14,6 nel 2016 e 9,5 nel 2017. Il record era stato raggiunto sei anni fa quando la metà del valore di esportazioni riguardava una commessa di 28 Eurofighter della Leonardo al Kuwait. “Il calo di oggi è fisiologico perché la nostra industria degli armamenti è limitata – spiega Beretta – a fronte di alte commesse tra il 2015 e il 2018 oggi ci sono meno ordinativi”. A pesare è stato anche il biennio della pandemia. Per la prima volta nel 2021 l’esportazione di armi finisce per la maggior parte nei Paesi Ue-Nato (52,1%) contro un restante 47,9% a tutti gli altri. Un terzo delle esportazioni è concentrato nei Paesi Nato e il 26% tra Africa Settentrionale e Medio Oriente.
Tra i principali clienti dell’Italia ci sono Paesi governati da dittatori sanguinari e guerrafondai: il primo è il regime del Qatar, accusato di legami con l’estremismo islamico, a cui abbiamo venduto bombe, missili, munizioni, software per 813,5 milioni. Tra i primi 15 Paesi a cui vendiamo armi ci sono Pakistan, Filippine e Malaysia, mentre l’Egitto di Al Sisi passa dal primo al diciottesimo posto in graduatoria, da 991 milioni nel 2020 ai 35 del 2021. Sono quattro i player italiani che rappresentano il 76% del mercato: Leonardo con il 43,5%, Iveco Defence Vehicles (23,5%) che fa riferimento al gruppo Exor della famiglia Agnelli-Elkann, Mbda Italia (5,2%) e Ge.Avio (3,9%).

