Visualizzazione post con etichetta Bongiovanni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Bongiovanni. Mostra tutti i post

sabato 25 luglio 2020

L’ex capo di Aria ieri in Procura: “È collaborativo”. - Gianni Barbacetto

L’ex capo di Aria ieri in Procura:  “È collaborativo”

Ha un atteggiamento “costruttivo”, Filippo Bongiovanni, di fronte ai magistrati che ieri mattina lo hanno a lungo interrogato. Bongiovanni è l’ex direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, che compra tutti i beni e i servizi che servono per le strutture regionali. È indagato, insieme ad Andrea Dini, cognato del presidente della Lombardia Attilio Fontana, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. La vicenda è quella ormai famosa della fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari da impiegare negli ospedali durante l’emergenza Covid-19: un affidamento diretto, senza gara, del valore di oltre mezzo milione di euro, alla Dama spa, società controllata dal cognato di Fontana e di cui la moglie del presidente lombardo, Roberta Dini, detiene il 10 per cento. Una fornitura in conflitto d’interessi, dunque, avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture emesse dalla Dama spa a partire dal 30 aprile. La situazione ha però una svolta nel mese successivo, dopo che un giornalista della trasmissione televisiva Report comincia a fare domande sull’operazione: il 20 maggio la fornitura da 513mila euro viene trasformata in donazione, e le fatture sono di fatto cancellate da note di storno.
Ieri Bongiovanni, ex ufficiale della Guardia di finanza (“Sono stato in divisa per 26 anni e 22 giorni”) è arrivato a palazzo di Giustizia accompagnato dall’avvocato Domenico Aiello (lo stesso che difende l’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni in tutte le sue vicende giudiziarie). È stato interrogato per tre ore dai pm che indagano sulla vicenda camici, Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. L’interrogatorio è avvenuto al quarto piano del palazzo di giustizia, in una stanza vicina a quella del procuratore della Repubblica Francesco Greco, il quale ha disposto che i cronisti non potessero accedere al corridoio dov’era in corso l’atto d’indagine.
Ha spiegato, Bongiovanni. Ha raccontato meticolosamente tutti i passaggi della fornitura trasformata in donazione, ha ricostruito con atti e documenti i passaggi della procedura. Ha voluto spiegare lo stato d’emergenza in cui Aria e Regione Lombardia si sono trovate a operare nelle settimane più drammatiche della pandemia. Ci ha tenuto a sottolineare l’impegno con cui le strutture regionali hanno cercato di far fronte all’emergenza. Oggi Bongiovanni è dimissionario, ha lasciato il suo posto dentro Aria ed è convinto di riuscire a spiegare ai magistrati e agli ex colleghi della Guardia di finanza il suo ruolo nella vicenda degli 82mila camici e altro materiale di protezione cercati affannosamente nei giorni in cui la Lombardia era bloccata dal lockdown, le terapie intensive erano sovraffollate e il virus diffondeva il contagio e mieteva morti. Poi toccherà a Fontana chiarire il suo ruolo nella vicenda.
La Regione Lombardia del presidente Fontana e dell’assessore al Welfare e sanità Giulio Gallera è sotto osservazione e sotto inchiesta anche per altre storie. 
Dalle donazioni per l’inutilizzato ospedale Covid in Fiera ai troppi morti nelle residenze per anziani, dalla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo alla scelta della società Diasorin come partner unico per i test sierologici.

sabato 13 ottobre 2012

Md contro Ingroia. La storia si ripete. - Giorgio Bongiovanni


ingroia-antonio-sfum-web
Nella storia della lotta alla mafia, e in particolare nel percorso vissuto da quegli uomini che hanno fatto della lotta alla mafia più che una professione una vera e propria “missione”, si sono verificate vicende così uguali (nella modalità e nella tempistica), che non si può non dire che la storia si ripete. Il percorso di Pietro Scaglione, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, passando per il generale dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri è stato per certi versi identico.
Queste persone avevano come denominatore comune il fatto di essere integerrimi nella lotta alla mafia, incorruttibili, dei veri leader capaci di smascherare (attraverso indagini strategiche, creando veri e propri pool) i rapporti tra la mafia e il potere. Oltre a questo comune denominatore ce n’era un altro ancora più devastante. Essere costantemente e implacabilmente attaccati e offesi dai nemici “legittimi” come i mafiosi, la stampa para mafiosa, il potere economico e soprattutto la politica di destra, di centro e anche di sinistra, nella migliore delle ipotesi “tollerante” della mafia, nella peggiore delle ipotesi “collusa” con la mafia. Ma non solo. La cosa più grave che si verificava e si verifica a tutt’oggi, a dimostrazione che la storia si ripete, riguardava  gli attacchi, gli ostacoli, i tradimenti, le offese, le invidie, le gelosie, l’odio che provenivano dagli amici, dall’interno delle istituzioni che loro stessi servivano e alle quali appartenevano.  L’ultimo, clamoroso, assurdo episodio che conferma la regola riguarda la volgare e incivile offesa che viene fatta al giudice Ingroia da Magistratura Democratica, l’istituzione tra le più importanti nella storia della magistratura fondata per tutelare non solo l’immagine, la professionalità e la preparazione dei magistrati iscritti a questa corrente, ma anche la libertà di pensiero.
Farà bene Ingroia a dimettersi da un movimento che si è trasformato da pionieristico a sinedrio, a chiesa, a setta.
Quello che ferisce maggiormente sono gli attacchi che giungono ad Antonio Ingroia dai colleghi e amici di indagini antimafia, amici con i quali Ingroia ha pianto sulle bare di Falcone e Borsellino. Perché succede tutto questo, qual è la ragione? Questi amici sono collusi con la mafia? Sono stati pagati dal potere per ostacolare Ingroia? Sicuramente no. A questi esponenti di Magistratura Democratica hanno promesso forse dei posti di potere nel prossimo governo? Sicuramente no, ma se dovessero continuare qualcuno potrebbe pensare male.
Si potrebbe anche pensare che si tratta di una strategia offensiva al contrario del tipo: io devo aiutare il mio amico che sta sbagliando, non è più umile, vuole essere protagonista e magari vuole scendere in politica quindi lo attacco per fargli capire che è nell’errore. Certi attacchi arrivano da personaggi che, dimenticando il passato, dimenticando le bare sulle quali hanno pianto, non si rendono conto che così facendo diventano complici ideali di coloro che vogliono che Antonio Ingroia appaia solo. A questi oscuri personaggi, ai killer e ai mandanti basta che Ingroia o magistrati come lui appaiono soli per poterli colpire. Ecco quindi che la storia si ripete.
Grazie a Dio all’interno di Md ci sono valorosi magistrati come Giancarlo Caselli, Vittorio Teresi, Lia Sava ed altri che al contrario difendono l’operato di magistrati come Ingroia.
Da giornalista che conosce a fondo la storia della mafia e dell’antimafia consiglierei ai vertici di Magistratura Democratica di battersi il petto e dire “mea maxima culpa”. Con umiltà e altrettanta fermezza consiglierei loro (al di là di eventuali legittimi disaccordi con Ingroia)  di apparire e dimostrare al nemico che si è uniti senza lasciare da solo l’amico, il collega e il fratello con il rischio che quest’ultimo venga colpito dal nemico. Mi rammarico tanto che alcuni di quei magistrati che hanno pianto sulle bare dei loro amici non abbiano tratto una lezione dal passato.
Oggi il giudice Ingroia viene accusato di voler scendere in politica, ma visto che salvo rarissime eccezioni (di singoli esponenti politici) è stato attaccato praticamente da tutti con quale partito potrebbe presentarsi?! Quale sarebbe quindi il grande partito politico che secondo i sondaggi appoggerebbe Antonio Ingroia?!
Di fatto tra le accuse a lui rivolte vi è quella che riguarda la sua partecipazione a convegni legati a partiti politici.   Ritengo che non solo faccia bene ad andarci, ma sottolineo come sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino abbiano partecipato a diversi incontri organizzati da partiti politici di destra (MSI) e di sinistra (PCI). A tal proposito basta riprendere  gli estremi delle date e dei luoghi che attestano la loro partecipazione a questi incontri (così come mi accingo a fare in un prossimo editoriale).
Secondo il mio pensiero Ingroia lascerebbe la toga solo nel caso in cui scoprisse che ormai la magistratura è arrivata al punto massimo delle indagini nella ricerca della verità sulle stragi di Stato; in quel caso quindi opterebbe per continuare quella ricerca attraverso la politica. Magistrati come Ingroia sono a tutti gli effetti servitori dello Stato-stato, sono gli stessi  che hanno promesso sulle bare degli eroi e dei padri della nostra Patria di trovare la verità dall’interno di qualunque istituzione facessero parte.
Ma di queste “eresie” evidentemente è meglio non farne menzione e lasciare piuttosto spazio a pericolose e strumentali polemiche tanto utili ai poteri criminali del nostro Paese.
Sono sempre più convinto che Magistratura Democratica perseveri nell’errore, così come si legge nella Bibbia “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.  Non scorderò mai che nel 1988 Md, con il dissenso di Giancarlo Caselli (che votò a favore di Giovanni Falcone), ma sostenuta da quello che Paolo Borsellino definì un “Giuda”, bocciò Falcone come consigliere istruttore caricandosi una parte di responsabilità con la sua morte.
Il settarismo è il baratro delle religioni, ma dovremmo ricordarci che è altrettanto letale anche nei movimenti laici.