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venerdì 10 luglio 2020

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”. - Luigi Franco

Camici alla Lombardia, ecco il documento esclusivo: in un’email il cognato di Fontana parlava di “prezzi e forniture”

Lombardia - Macché regalo. La Guardia di Finanza in Regione.
L’offerta da 513 mila euro per la fornitura alla Regione Lombardia dei camici dell’azienda del cognato di Attilio Fontana ha in calce una firma. Ed è proprio quella di Andrea Dini, cognato del governatore lombardo oltre che proprietario e ad di Dama, la società di cui detiene il 10% Roberta, moglie di Fontana. La sua firma fa fuori in un colpo solo la versione propinata per un mese sul contratto concesso a Dama in affidamento diretto, poi trasformato in donazione. E dimostra che tutti quei camici all’inizio erano ben lontani dall’essere un dono. Eppure Fontana il 7 giugno, dopo le anticipazioni del Fatto sull’inchiesta di Report che ha svelato il caso, scriveva su Facebook che c’era “alla base la volontà di donare il materiale alla Lombardia”, mentre Dini dava la colpa a un fraintendimento dei suoi collaboratori, responsabili di aver trattato per errore la donazione come un normale contratto. Ma ora il Fatto è in grado di rivelare che nell’offerta di Dama da cui tutto è partito i prezzi dei prodotti erano in bella mostra. E sotto i prezzi, il timbro dell’azienda e una firma. Non un collaboratore, ma il “dott. Andrea Dini”. Un elemento inedito in una vicenda al vaglio della procura di Milano, che ha iscritto nel registro degli indagati per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente Dini e Filippo Bongiovanni, direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione. Ieri la guardia di finanza si è presentata in Regione per acquisire i documenti relativi alla fornitura.
Altro che donazione. Nell’offerta inviata prima di Pasqua ad Aria, vengono proposti 7 mila set di camici, calzari e cuffie a 9 euro l’uno e 18 mila camici a 6 euro. Dini si dice inoltre disponibile alla “fornitura” di altro materiale: 50 mila set oppure 57 mila camici. “Sempre agli stessi prezzi. Tutto made in Italy”. Aria sceglie la seconda opzione e il 16 aprile emette un ordine per 7 mila set e 75 mila camici, per un valore totale di 513 mila euro.
Iniziano le consegne, tutte fatturate da Dama, finché il 20 maggio Dini invia un’email ad Aria annunciando la decisione di trasformare il contratto in una donazione. Ma solo per i camici già consegnati, visto che la fornitura del resto viene interrotta. L’email arriva dopo che da giorni Report ha iniziato a investigare sul caso. Quando l’inviato Giorgio Mottola citofona a Dini, lui sostiene che la commessa avrebbe dovuto essere sin da subito una donazione: “Non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha mal interpretato la cosa. Me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. Parole che ora vanno in fumo, di fronte alla sua firma sull’offerta.
L’offerta di Dini è indirizzata a Bongiovanni e fa riferimento alle “indicazioni” ricevute dall’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, sentito ieri come testimone insieme a Francesco Ferri, presidente di Aria. Perché Cattaneo fa da intermediario tra Dama e Aria? “Durante l’emergenza Cattaneo è stato in contatto con tutte le aziende che si sono offerte di riconvertire la propria produzione, affinché potessero produrre dispositivi di protezione individuale di qualità”, rispondono dall’assessorato ricordando che Cattaneo è stato a capo della task force per coordinare i fornitori. “I rapporti con le aziende per le fasi successive, come donazioni o forniture, sono invece stati gestiti da altri interlocutori”.
Altri interlocutori che ora dovrebbero rispondere a diversi quesiti. Per esempio sui 25 mila camici mai consegnati dopo che il contratto è diventato donazione. “Per quali motivi Aria non ha diffidato Dama a completare la fornitura? Perché non richiede il risarcimento danni per inadempimento contrattuale? La Regione non ritiene di segnalare Dama all’Anac?”, chiede in un’interrogazione il consigliere M5S Marco Fumagalli, che mette in dubbio anche la congruità del prezzo di 6 euro proposto da Dama: “Tra gli ordini di Aria c’è un acquisto di 44 mila camici su Amazon, a 1,6 euro l’uno”. Quattro volte in meno del prezzo del cognato di Fontana.

Il sospetto: “Ruolo attivo di Fontana per il cognato”. - Davide Milosa

Il sospetto: “Ruolo attivo di Fontana per il cognato”

Al vaglio dei pm le “mosse anomale del governatore nella fornitura dei dispositivi di protezione”.
L’inchiesta milanese sui camici prima venduti e poi donati dalla società del cognato del governatore Attilio Fontana alla centrale acquisiti della Regione (Aria) entra nel vivo. La Procura ha in mano due dati fondamentali per comprendere come si è svolta la vicenda e quale scopo aveva. Il primo elemento è la “prova” che Dama spa di Andrea Dini dopo aver chiuso la donazione con 25 mila camici in meno dell’accordo iniziale (50 mila invece che 75 mila) ha tentato di rivendere il rimanente a prezzo maggiorato e da un’altra parte. Il secondo elemento riguarda invece il ruolo del governatore Attilio Fontana che al momento non risulta indagato. Il tutto è ricondotto al 15 maggio quando il cronista di Report intervista il governatore. In quel momento il contratto (e non la donazione) di forniture è in essere da circa un mese.
Nel colloquio con il presidente non si parla dei camici, il tema è l’emergenza Covid e come è stata affrontata. La cosa però, si ragiona in Procura, pare aver insospettito Fontana che, secondo la ricostruzione dei pm, si è adoperato perché quella che fin dall’inizio doveva essere una fornitura commerciale per 513 mila euro di camici si trasformasse in una improbabile donazione. Un atteggiamento lodevole se non fosse legato, spiegano fonti qualificate, a una possibile anomalia precedente l’inizio del contratto tra Dama e Aria. Risultato: il 20 maggio Dini annuncia ad Aria lo storno delle fatture trasformando parte dell’offerta in donazione. Insomma pare di capire che Attilio Fontana, dopo essere stato archiviato dall’accusa di abuso d’ufficio in relazione all’incarico dato dalla Regione a un suo ex socio di studio, ora rischi di ricadere nel frullatore giudiziario. I pm stanno valutando un suo “ruolo attivo” in questa storia. I contorni, dunque, iniziano a chiarirsi dopo che la Procura ha iscritto Andrea Dini e il dg di Aria Filippo Bongiovanni con l’accusa di turbata libertà della scelta del contraente. Ieri, per sette ore, è stata interrogata come persone informata sui fatti, Carmen Schweigl, il responsabile della struttura gare e numero due di Aria. In realtà le vere novità emergono dalle carte acquisite in Regione. La Dama spa, tra i cui soci per il 10% c’è Roberta Dini moglie di Fontana, viene introdotta in Aria dall’assessore regionale all’Ambiente Raffaele Cattaneo. Cattaneo due giorni fa è stato interrogato dai pm e non risulta indagato. La sua posizione, pur nel suo ruolo di capo della task force per le forniture, è ritenuta marginale e comunque il fatto di aver introdotto, come da lui ammesso ai magistrati, la società del cognato di Fontana in Regione appare, al momento, un elemento accidentale. Ben più grave, come ricostruito dai pm, il fatto che fin da subito e fino a ieri la presunta donazione vantata da Dini non sia mai stata accettata da Aria, il che rende ancora valido il contratto del 16 aprile per 75 mila camici pagati 513 mila euro. Particolare reso ancora più evidente da una mail pre-pasquale, pubblicata dal Fatto, in cui Dini firma una proposta di contratto (e non di donazione) alla centrale acquisiti della Regione. È evidente, secondo la Procura, che molti sapessero quello che si stava consumando, e cioè un enorme conflitto d’interessi mai segnalato da Dama perché Aria ha deciso di derogare al patto di integrità della Regione.
La proposta commerciale di Dini elimina l’ipotesi che quella dovesse essere una donazione smentendo la ricostruzione dello stesso cognato, ovvero che fu solo un fraintendimento di comunicazione in azienda poi sanato dal suo intervento. Fin dall’inzio si è trattato di un’offerta commerciale il cui ok, secondo i pm, è avvenuto con “metodo fraudolento” e in modo illegale visto il conflitto d’interessi. La proposta, come detto, arriva prima di Pasqua, il contratto parte il 16 aprile. Tutto fila liscio fino al 15 maggio, data dell’intervista. Quel giorno ai piani alti del Pirellone le paure si fanno feroci. Cinque giorni dopo Dini invia a Bongiovanni un mail nella quale conferma lo storno di alcune fatture per un totale di 50mila camici. Nessuno però fa notare a Dama che ne mancano 25 mila per circa 130 mila euro. Cifra non da poco in giorni in cui la pandemia in Lombardia stava raggiungendo il picco. Che succede a quel punto? Andrea Dini, da bravo imprenditore, tenta di minimizzare il danno provando a rivendere i 25 mila camici a un prezzo superiore a 5,99 euro.