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giovedì 3 giugno 2021

Il recluso Verdini raccomanda Renzi a Toti e Brugnaro. - Giacomo Salvini

 

Nuovo partito - Al capezzale di B. e FI.

Agire nell’ombra gli è sempre piaciuto. Per tessere trame e risolvere problemi, come il Mr. Wolf di Pulp Fiction. E allora Denis Verdini, oggi ai domiciliari nella sua villa di Pian de’ Giullari sulle colline di Firenze dopo la condanna definitiva a 6 anni e 6 mesi per il crac del Credito cooperativo fiorentino, è sceso in campo anche stavolta. Obiettivo: iniziare a mettere in piedi quel “grande centro” che alle prossime elezioni politiche possa fare da stampella moderata all’alleanza di centrodestra. Una terza gamba che unisca i moderati di Forza Italia (l’ala liberal di Mariastella Gelmini e Mara Carfagna), ma soprattutto Matteo Renzi, Carlo Calenda e Luigi Brugnaro. Tant’è che si dice che a consigliare l’accelerata per la nascita del nuovo partito del sindaco di Venezia e Giovanni Toti sia stato proprio lui. Dentro Forza Italia raccontano che l’ex Richelieu di Fivizzano abbia chiamato anche diversi parlamentari azzurri per convincerli a lasciare Berlusconi: “Ormai Forza Italia è finita – è il ragionamento che Verdini ha fatto ad alcuni di loro – vedete Berlusconi come è messo… adesso serve un’operazione nuova, una forza liberale e riformista che possa andare al governo tra un anno”. Da Coraggio Italia! spiegano che “l’idea del partito è solo di Toti e Brugnaro” ma confermano che quella sia la direzione e fanno sapere che il gruppo parlamentare nei prossimi giorni si allargherà ancora rispetto ai 31 parlamentari attuali.

E non è un caso che venerdì, alla vigilia dell’inaugurazione del Salone Nautico, Brugnaro abbia cenato insieme a Renzi in un noto ristorante veneziano. I due sono in ottimi rapporti da quando il leader di Italia Viva era a Palazzo Chigi e arrivò a Ca’ Farsetti per firmare il “Patto per Venezia” e poi ottenne il sostegno del sindaco al referendum costituzionale del 2016. Durante la cena, a quanto risulta al Fatto, i due hanno parlato degli scenari politici futuri e dell’idea di un polo centrista che si ponga in alternativa all’alleanza giallorossa e anche ai sovranisti di Lega e FdI. E che poi, dopo il voto, diventi l’ago della bilancia di un governo di centrodestra. Un esperimento studiato non per le prossime elezioni amministrative ma alle prossime elezioni politiche. “Il governo Draghi ha scomposto il quadro politico – spiega un alto dirigente vicino al sindaco di Venezia – sarà Renzi a venire da noi, nel centrodestra”. Così non è passata inosservata la dichiarazione del capogruppo renziano al Senato Davide Faraone che ha parlato così di Toti e Brugnaro: “Sono due persone che stimo, riformiste e moderate e tutti i riformisti e i moderati presto dovranno stare insieme – ha detto Faraone a Un Giorno da Pecora – Che differenza c’è tra me e Mara Carfagna?”.

Dell’operazione è a conoscenza anche Matteo Salvini – che si confronta spesso con il suocero Verdini e con il suo fedelissimo Marcello Pera – che infatti ha incoraggiato la formazione di Coraggio Italia! per svuotare sempre di più Forza Italia e annettere l’ala filo leghista del partito azzurro che fa riferimento al trio Tajani-Bernini-Ronzulli. L’idea dei leghisti è quella di una federazione con FI per rendere difficile il sorpasso di Giorgia Meloni e, allo stesso tempo, invitare le colombe azzurre a lasciare. Degli scenari politici ed editoriali dei prossimi mesi Salvini avrebbe parlato con Renzi il 23 maggio durante la cena a casa Angelucci. Verdini non poteva esserci, ma è difficile che non ne sapesse qualcosa.

IlFQ

mercoledì 13 gennaio 2021

Liguria, il pasticcio della giunta Toti sui ristori: nell’elenco di beneficiari un centinaio di attività fallite, doppie o chiuse da anni. - Paolo Frosina

 

In ballo ci sono oltre 7 milioni che la Regione vorrebbe dividere tra 6.300 piccole imprese. Ma Pd e M5s denunciano: "La presenza di attività cessate e/o inattive riduce l'aspettativa dell’ammontare destinato alle imprese bisognose". Anche Forza Italia presenta un'interrogazione. La replica dell'assessore: "Fase di puro screening, poi l'elenco verrà scremato". La Camera di Commercio: "Contatteremo le aziende una per una, fondi solo dopo autocertificazione".

C’è il Vanilla, discoteca genovese un tempo assai in voga tra i giovanissimi, chiusa dai primi anni Duemila. Ci sono il teatro Cantero di Chiavari, fuori uso da inizio 2018, e la pizzeria ‘La Capannina’, sul lungomare di Ventimiglia, che non si chiama più così da un decennio. Sono oltre un centinaio i bar, ristoranti, palestre, centri benessere, locali da ballo, cinema e teatri liguri che, pur avendo cessato l’attività, compaiono nell’elenco dei potenziali beneficiari dei fondi del decreto Ristori quater, approvato il 23 dicembre scorso dalla giunta guidata da Giovanni Toti. Una torta da 7 milioni e 750mila euro che la Regione vorrebbe dividere tra 6.300 piccole imprese: quelle di “prima classe”, che nella seconda ondata sono rimaste chiuse, ne porteranno a casa 3mila a testa, quelle di “seconda classe”, che hanno subito “restrizioni parziali”, appena mille. Quest’ultima somma, poi, è riservata a una platea ristretta: bar e ristoranti otterranno il bonus solo se impiegano non più di un addetto, catering, agenzie di viaggio e organizzatori di eventi non devono averne più di nove.

Eppure, scorrendo l’elenco allegato alla delibera di giunta, si trova di tutto. Imprenditori falliti o con licenza ritirata, centri massaggi durati lo spazio d’un mattino, cinema di quartiere che non esistono più. Addirittura, in vari casi, le attività passate di mano compaiono due volte, con la nuova ragione sociale e con la vecchia: per esempio una sala giochi di Rapallo, registrata allo stesso indirizzo come “Kursaal Star Casinò srl” e “New Kursaal Srl”, o una storica sala a luci rosse di Genova, presente sia come “Cinema Eldorado di Baglietto Sabrina” che come “Cinema Eldorado di Vincenzo di Vara”. In teoria, entrambi hanno diritto al ristoro. Ma a chi si deve imputare il pasticcio? La lista approvata dalla Regione è quella fornita dalla Camera di Commercio di Genova, scelta come soggetto attuatore della misura. “Non spetta a noi cancellare le imprese inattive dal registro, devono essere loro a fare domanda”, spiega il segretario generale Maurizio Caviglia, raggiunto da Ilfattoquotidiano.it. “Poiché i tempi sono stretti, la giunta ci ha chiesto gli elenchi delle attività raggruppate per codici Ateco (che identificano il settore economico, ndr), per avere un’idea di quanti sarebbero stati i beneficiari. Ma è un elenco dinamico, non statico: contatteremo le aziende una per una, ed erogheremo i fondi soltanto dopo autocertificazioneDichiarare il falso è un reato che, immagino, nessuno vorrà commettere per mille euro”, chiosa.

Nel frattempo, però, le opposizioni hanno buon gioco a cavalcare il paradosso: Pd e Movimento 5 Stelle hanno presentato sulla questione due diverse interrogazioni in consiglio regionale. Ripulendo gli elenchi dalle imprese-fantasma, è il ragionamento, si potrebbe ampliare la platea dei beneficiari o aumentare l’entità dei rimborsi. “Toti sui giornali chiede ristori certi e immediati per le attività colpite – attacca il capogruppo M5S Fabio Tosi –, ma nel frattempo li vuole destinare a imprese chiuse anche da dieci anni. Le lezioncine al governo, in particolare dopo questa vicenda, suonano inaccettabili”. “La presenza di attività cessate e/o inattive nell’elenco delle imprese beneficiarie dei ristori riduce l’aspettativa dell’ammontare destinato alle imprese realmente bisognose, inducendo a previsioni errate nella programmazione del futuro della propria attività imprenditoriale”, scrivono invece i consiglieri Pd, chiedendo “quali saranno i criteri utilizzati per escludere esplicitamente dal novero dei beneficiari le ditte in posizione inattiva”. I dem suggeriscono, poi, di inserire al loro posto “quelle categorie che sono state ingiustamente escluse, come i circoli ricreativi, che spesso rappresentano gli unici centri di aggregazione in piccoli comuni o quartieri periferici”. Ma per la Camera di Commercio, in ogni caso, non c’è il rischio che avanzino fondi: “Le imprese cessate, non più di 150, saranno sostituite da altre imprese che per i motivi più vari non sono rientrate nel primo elenco, pur avendone diritto, e hanno presentato domanda. La platea rimarrà invariata”, assicura il segretario Caviglia.

Una versione identica la fornisce l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Andrea Benveduti: “In una fase successiva alla prima di puro screening, verrà scremato il numero delle imprese da quelle che sono sì iscritte, ma che non sono più in attività, o non come lavoro primario. E compensato da quelle che, pur avendo i requisiti, non figurano erroneamente in elenco”. Ma richieste ufficiali di chiarimenti arrivano persino dalla maggioranza: in un’altra interrogazione, il capogruppo di Forza Italia Claudio Muzio invita la giunta “a una puntuale verifica delle liste di assegnatari”, sollecitando “iniziative urgenti per garantire che i danari pubblici vadano a beneficio di attività non cessate e aventi quindi pieno titolo per il ristoro”. “Solo tra i beneficiari di Ventimiglia ho notato una decina di esercizi chiusi da anni, tra cui un ristorante a cui avevo personalmente dato lo sfratto”, racconta al Fatto.it il consigliere Pd Enrico Ioculano, ex sindaco della città di confine. “È grave che la giunta approvi senza verifiche elenchi non aggiornati, e non si capisce perché il lavoro di scrematura non potesse essere fatto prima”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/13/liguria-il-pasticcio-della-giunta-toti-sui-ristori-nellelenco-di-beneficiari-un-centinaio-di-attivita-fallite-doppie-o-chiuse-da-anni/6063136/

martedì 10 novembre 2020

Armatori, gas e cliniche: chi finanzia mr. donazioni. - Valeria Bianchi e Stefano Vergine

 

È stato il politico italiano più finanziato dai privati quest’anno. Su Giovanni Toti hanno scommesso parecchie imprese con grandi interessi in regione. Lo dicono i rendiconti del suo comitato elettorale. Da gennaio a settembre, il Comitato Giovanni Toti ha ricevuto 530mila euro dai privati, una cifra che i partiti non riescono a racimolare in un intero anno.

Dopo aver lasciato Forza Italia per fondare Cambiamo, Toti si è ricandidato alla guida della Liguria a fine settembre e ha fatto il pieno di donazioni da aziende. Molte delle quali interessate, per ovvie ragioni commerciali, alle decisioni del governatore e del suo fedelissimo Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità che gestisce tutti i porti più importanti della Liguria. A partire proprio da quello di Genova, interessato da un piano di rilancio che, varato per contrastare il crollo del Ponte Morandi, dovrebbe portare sullo scalo più di 1 miliardo di euro di investimenti, in buona parte pubblici.

Aponte l’imprenditore italo-Svizzero.

Gianluigi Aponte è uno dei più importanti armatori al mondo, patron del gruppo internazionale Msc oltreché che dalla compagnia di navigazione italiana Gnv. Attraverso una delle sue società, la Agenzia Marittima Le Navi, ad agosto di quest’anno l’imprenditore campano con residenza svizzera ha donato 10mila euro a Toti. Spiccioli, per un uomo a cui Forbes attribuisce un patrimonio da 8,7 miliardi di dollari, ma pur sempre utili per la campagna elettorale del governatore. Tanto più che Aponte ha recentemente beneficiato di un generoso contratto pubblico: 1,2 milioni di euro pagati dalla Regione Liguria alla sua Gnv per utilizzare, da metà marzo alla fine di aprile, un traghetto della compagnia come ospedale galleggiante per i positivi al Covid.

Ma tra i finanziatori di Toti c’è anche la concorrenza: la famiglia Grimaldi, attiva sia sul porto di Genova che su quello di Savona, ha donato infatti 13mila euro al comitato elettorale di Toti. Mentre ha scelto di scommettere 50mila euro il Gruppo Messina, che a Genova è di casa: ha in concessione un terminal del porto da oltre 300mila metri quadri e ha appena fatto entrare nel proprio capitale con il 49% delle quote proprio la Msc di Aponte. Altri 5mila euro sono arrivati dalla famiglia di armatori Fratelli Cosulich, e poi da parecchie altre aziende che hanno interessi nello scalo genovese. Scorrendo i rendiconti pubblici si contano 10mila euro dalla C.M.A. Sistemi Antincendio; 10mila dalla Rimorchiatori Riuniti; 40mila euro da aziende della holding Gin (Grandi riparazioni navali) – Officine Meccaniche Navali (15mila), Fonderie San Giorgio (15mila), Ortec (5mila) e Gerolamo Scorza (5mila) – che con la Regione hanno a che fare necessariamente per il rinnovo delle concessioni.

Mense e petrolieri quei 54mila euro prima delle elezioni

Una delle donazioni più generose è arrivata però dalla famiglia Costantino, proprietaria di Europam, un gruppo energetico che spazia dalle forniture di gas e luce alle pompe di benzina, con 250 impianti di rifornimento e circa mezzo migliaio di dipendenti. Appalti pubblici e forniture private. Attraverso le loro aziende i Costantino hanno regalato 54.500 euro a Toti poco prima delle ultime regionali in Liguria. Già nel 2017 la famiglia di petrolieri genovesi aveva infatti donato 80mila euro al Comitato Change di Toti, finito in un’inchiesta della procura di Genova. “Io sono libero di finanziare i politici che a mio avviso possono migliorare le condizioni del popolo degli abitanti e delle imprese, questo non significa che l’ho fatto per avere qualcosa in cambio”, ha spiegato lo scorso gennaio Mario Maria Costantino, presidente di Europam.

Un altro contributo importante è arrivato da Ernesto Pellegrini, ex presidente dell’Inter e patron dell’omonimo gruppo della ristorazione aziendale. Il 21 luglio la Pellegrini Spa ha infatti staccato un assegno da 30mila euro per la campagna elettorale del governatore ligure. Due giorni più tardi il gruppo milanese ha annunciato la firma di un accordo economico molto importante: l’acquisto della Industrial Food Mense, azienda molto presente in Liguria grazie a parecchi contratti di fornitura pubblici, da Fincantieri a Leonardo, da Ansaldo Energia a Hitachi fino alla Amt, la municipalizzata di Genova che gestisce il trasporto pubblico in città.

Sanità privata 10 mila da Villa Montallegro

Pietro Colucci, a capo del gruppo Waste Italia, gestore di una discarica a Vado Ligure, ha regalato 9 mila euro a Toti. Il suo nome è emerso nell’inchiesta giudiziaria sul Comitato Change per via di una segnalazione di operazione sospetta dell’Antiriciclaggio di Banca d’Italia. Tra le donazioni provenienti dal settore sanitario spiccano i 10mila euro della Villa Montallegro, clinica privata genovese di rilievo nazionale. Non è un mistero che da tempo Toti porti avanti una politica di apertura alla sanità privata in Liguria, progetti per ora congelati dopo l’emergenza coronavirus.

Massimo Pollio è il fondatore del progetto filantropico Flying Angels, che organizza viaggi per bambini malati che necessitano di cure in Europa. A marzo, in piena emergenza Covid, attraverso una sua società, la Imagro, ha fornito un lotto da 170mila euro di mascherine ad Alisa, stazione appaltante della sanità in Liguria. La stessa Imagro ha donato 20mila euro al comitato elettorale del presidente della Regione.

Aep Costruzioni sta realizzando la prima storica Esselunga della Liguria, nel quartiere genovese di Albaro. In un post dell’agosto scorso il presidente della Regione posava davanti al cantiere dove sorgerà il nuovo complesso: “Più concorrenza vuol dire prezzi più bassi, più soldi che restano nelle tasche delle famiglie”. Aep Costruzioni intanto ha versato 50mila euro sui conti del Comitato Toti. La San Lorenzo Spa lo ha sovvenzionato invece con 30mila euro. È una delle società interessate al progetto Miglio Blu, a La Spezia: un investimento da 4 milioni di euro annunciato nel giugno scorso, che prevede la creazione di un distretto nautico e una riqualificazione urbanistica. Qualche donazione è arrivata anche da privati cittadini. Ha versato 3.450 euro Sandro Biasotti, senatore ed ex presidente della Regione Liguria, fondatore della catena di concessionarie Autobi. E Marco Vinicius Amaral Garcia, che ha regalato 10mila euro.

È il direttore di Terre di Luni, parte del gruppo energetico Canarbino: sta sviluppando un progetto di riqualificazione edilizia ad Ameglia, in provincia di La Spezia.

Contattati per un commento sui possibili conflitti d’interessi dei suoi finanziatori, dallo staff del governatore fanno sapere che “non ci sia evidenza di alcun conflitto di interessi: tutti i finanziamenti risultano inoltre regolarmente registrati, e dichiarati, come previsto dalla normativa vigente”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/10/armatori-gas-e-cliniche-chi-finanzia-mr-donazioni/5997873/

lunedì 9 novembre 2020

Zaia&C. lasciano solo Salvini: basta guerra al governo. - Giacomo Salvini

 

Toni distensivi. E lui blinda Fontana.

Il primo a commentare, a dpcm appena sfornato, è stato Luca Zaia secondo cui “quello delle aree non è un gioco a premi”. E ancora: “Legittimo protestare, ma l’obiettivo è uscire dalla crisi tutti insieme” ha detto il “Doge” che ieri al Corriere ha cercato di riportare il conflitto Stato-regioni verso un “percorso condiviso”. Giovedì mattina quando l’agenzia di Zaia è finita tra le mani di Matteo Salvini, che nel frattempo arringava i suoi governatori e i suoi follower al “riconteggio” dei dati contro le zone rosse e arancioni, il leader del Carroccio ha scrollato le spalle: “Luca dice così solo perché ha la zona gialla e poi ormai fa quello che vuole”. Insomma, certo, dal “Doge” che rivendica autonomia a ogni piè sospinto e si presenta come il volto moderato del Carroccio, nessuno nell’inner circle di Salvini si aspettava che facesse il barricadiero contro Roma quando da Roma, per una volta, avevano deciso di differenziare le restrizioni assecondando le richieste federaliste. Epperò, nessuno si aspettava le prese di posizione distensive di altri governatori leghisti con cui Salvini si confronta tutti i giorni come se fossero il suo braccio armato nei rapporti con il governo.

E quindi, come i governatori repubblicani degli Stati Uniti che hanno criticato Trump perché non stava accettando il voto popolare, l’umbra Donatella Tesei si affretta a condividere le misure del nuovo dpcm (“sono come le nostre in Umbria”) e invita a “trovare un’unità di intenti evitando polemiche sterili”. Lo stesso il ligure Giovanni Toti, che pur non essendo iscritto alla Lega è molto vicino a Salvini: “Questo non è il momento delle polemiche, non è una partita politica” va dicendo e ieri ha spiegato che l’idea di dividere l’Italia per fasce è “giusta” dicendosi anche disponibile ad accettare un passaggio della Liguria da gialla ad arancione (“Stiamo affrontando un momento difficile”). E così anche il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti che si è adeguato al “lockdown light” del governo senza dire una parola, Arno Kompatscher a Bolzano (della Svp ma sostenuto dalla Lega) che dichiara zona rossa in tutta la Provincia fino al friulano Massimiliano Fedriga secondo cui sì, Conte deve “coinvolgere di più le regioni”, ma “non vogliamo riversare le responsabilità su Roma, adesso serve equilibrio”. Non proprio toni in linea con quelli del segretario. “Sono tutte regioni gialle con esigenze diverse dalle rosse Lombardia, Piemonte e Calabria” si smorza dallo staff di Salvini. Ma in realtà alcune di queste – Liguria e Umbria in primis – da oggi potrebbero retrocedere ad arancione. E quindi i toni durissimi di Salvini, che hanno fatto sobbalzare molti nel Carroccio, si possono inquadrare con una strategia precisa: fare quadrato intorno al governatore lombardo Attilio Fontana e quindi a sé stesso.

Salvini in estate voleva il rimpasto di giunta e ora ha di fatto “commissariato” la coppia Fontana-Gallera che si interfaccia direttamente con lui o con il segretario regionale Paolo Grimoldi. E quale migliore occasione se non la “chiusura” della Lombardia per difendere il proprio governatore contro gli assalti interni ed esterni? Poi c’è il fronte che lo riguarda in prima persona: nella Lega raccontano che Salvini sia molto preoccupato dagli ultimi sondaggi. Venerdì secondo la supermedia Agi/Youtrend, la Lega ha perso un altro 0,6% in due settimane arrivando al 24%, il punto più basso del Carroccio dal 2018. Silenzio tombale anche sulla sconfitta di Trump. Da qui la strategia di alzare i toni. Anche a dispetto dei suoi governatori.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/09/zaiac-lasciano-solo-salvini-basta-guerra-al-governo/5996587/

venerdì 6 novembre 2020

Il prete che minimizza la pedofilia, il martire Verdini e il gigante Proietti: i post di Scanzi. - Andrea Scanzi

 

Irresponsabilità da “sgovernatore”

Che pena, certi sgovernatori. Che faccia tosta. Che mancanza totale di rispetto, morale, senso istituzionale. Di alcuni neanche sarebbe il caso di parlare. Tipo il reggente Spirlì, quello che mesi fa si vantava di usare le parole “negri”, “froci” e “zingari”. O Fontana, uno che già solo immaginarlo governatore della Lombardia viene voglia di invadere la Polonia. Questi fenomeni sono i campioni dello scaricabarile: autonomisti quando fa comodo, statalisti quando c’è da scaricare le colpe sul governo centrale. Ecco: questa gente mi ha brasato i coglioni. Me li ha proprio frantumati, glassati e vivisezionati dalle fondamenta. Il loro atteggiamento – dentro una pandemia mondiale! – è scellerato e inaccettabile. Lombardia zona rossa? È il minimo sindacale. E anzi andava fatto tre settimane fa. Idem la Calabria, quella che giorni fa “sbagliava” i dati in terapia intensiva. Mancano Campania e Liguria? Probabile, ma ciò nulla toglie alle vostre responsabilità.
Sicilia zona arancione? Ex camerata mio Musumeci, abbi pazienza, ma tra i 21 protocolli da seguire non ci sono solo il numero di contagi. C’è per esempio la situazione degli ospedali. E c’è per esempio il tracciamento, e quello della Sicilia è così efficiente che in confronto il tracking di Deliveroo pare Cape Canaveral. Siete stati votati (insensatamente) per governare, non per frignare. In questi mesi avete fatto poco, se non niente. E quel poco spesso lo avete pure sbagliato. Avete davvero rotto le palle. Ed è ora di finirla.

Chi paragona Conte all’isis

“Conte ama colpire col favore delle tenebre, non diversamente dai terroristi islamici che hanno funestato l’ultima notte di libertà di Vienna”.Lo ha scritto davvero, Pietro Senaldi. Okay, lo ha scritto stamani (mercoledì) sulla prima pagina di un “giornale” che incarna da sempre il peggio del “giornalismo”, ma lo ha scritto. Davvero siamo arrivati al punto di accettare parallelismi irricevibili tra un presidente del Consiglio e i terroristi islamici? Denunciate questa deriva terrificante e condividete a più non posso questo post. Sono frasi INACCETTABILI!

Fratelli d’Italia: “La discriminazione rientra nell’ambito delle opinioni”

A eccezione di qualche parlamentare di Forza Italia, quel troiaio di destra che ci ritroviamo ha provato in ogni modo ad affossare il meritorio disegno di legge Zan contro l’omotransfobia, che la maggioranza vorrebbe adottare per rafforzare le tutele contro le discriminazioni e le violenze per orientamento sessuale, genere e identità di genere. Il provvedimento è passato alla Camera.I livelli di orrore morale che hanno raggiunto legaioli e Fratelli dei Quasi Fasci sono stati abominevoli. Ne cito uno per citarne tutti. Lui è tal Edmondo Cirielli di Fratelli dei Quasi Fasci. Ha detto quanto segue: “Potete dire quello che volete, ma l’istigazione alla discriminazione e l’atto della discriminazione, per quanto odiosi e deprecabili, rientrano nell’ambito dell’opinione”. Capito? La discriminazione rientra “nell’ambito dell’opinione”. Siamo ormai oltre l’abominio.

A proposito di negazionisti, c’è anche chi muore. Negazionisti, riduzionisti, no mask e fan di quegli imbecilli che in tivù o in Parlamento non credevano alla seconda ondata, minimizzavano e facevano i selfie in piazze piene con i Kapitoni sognando le discoteche aperte e il “liberi tutti”: leggete queste notizie e poi sputatevi in faccia da soli. Avete colpe indelebili e imperdonabili. Quanto dolore. Quanta rabbia. E quanti deficienti senza speranza, che complicano una situazione di per sé difficilissima. Siamo messi davvero male.

Trump-Biden, sfida con un sistema elettorale delirante.

Le elezioni americane hanno confermato due vecchie certezze; gli americani sono cocciutamente insondabili e gli “esperti” non analizzano, ma tifano. I “politologi”, quasi tutti di sinistra, speravano in Biden sulla base di un’unica considerazione: “Trump è irricevibile”. Verissimo, ma questa non è un’analisi: è una speranza. È il credere che tutti gli umani la pensino come te. Se così fosse, i Pink Floyd sarebbero Imperatori della Galassia, Enrico Berlinguer avrebbe fatto il Presidente del Consiglio per secoli e Salvini sculaccerebbe – col naso – i billi della Val di Chiana. La verità è che, come quattro anni fa, molti “tromboni” non hanno capito nulla delle elezioni americane. Tre giorni fa ho telefonato a uno dei miei migliori amici. Si chiama Massimiliano Bertozzi. Vive a New York da più di dieci anni. Fa il cameraman (anche) per Sky e Mediaset. È bravissimo. Gli ho chiesto se fosse vero, come in tanti ripetevano da noi, che il diversamente carismatico Biden avesse già vinto. Lui: “No. La sua rimonta si è fermata da qualche settimana, Trump sta riconquistando tutti e mi gioco ogni cosa che vincerà l’election Day e poi parlerà di brogli sul voto postale. Non solo: qualora arrivasse la vittoria dei Dem per via del voto postale, non riconoscerà l’eventuale vittoria. E ricorrerà alla Corte Suprema, dove ovviamente c’è tutta gente sua”.Esattamente quello che è accaduto. (Non invento nulla: ho la sua nota vocale e ieri ho pure citato quello che ha detto durante la #ScanziLive). Ora: Massi è sicuramente un genio, e lo sapevo già, ma forse molti “esperti” potevano almeno telefonargli prima di sparare cazzate per mesi sui giornali e in tivù. Le elezioni 2020 hanno peraltro evidenziato l’eterna stortura di un sistema elettorale folle, contorto e un po’ ridicolo. E’ vagamente anacronistica la pantomima dei 535 “Grandi Elettori”, che poi votano di fatto a dicembre il Presidente degli Stati Uniti (quella degli USA è un’elezione indiretta). E’ folle la suddivisione del peso elettorale dei vari Stati. E’ folle il “winner takes all”, ovvero chi vince in uno Stato anche solo per un voto in più prende poi TUTTI i grandi elettori in palio (tranne che in Nebraska e Maine, dove vige il proporzionale). È inaccettabile che un presidente possa divenire tale prendendo meno voti dell’altro (è accaduto anche quattro anni fa). Ed è assai contorto questo sistema tripartito andato in scena nelle ultime settimane: c’è stato il voto di ieri, ma pure il voto per posta e il voto anticipato.Questi ultimi due ritarderanno lo spoglio proprio negli Stati in bilico. Infatti l’esito di Wisconsin, Michigan e Pennsylvania lo sapremo domani e venerdì! A tutto questo, aggiungete il fatto che il voto postale è di per sé un disastro perché la posta negli USA fa schifo e molte schede sono arrivate tardi. O addirittura sono andate perdute. Una roba allucinante: siamo nel 2020, non nel far west! Biden, ennesimo candidato sbagliato dei Democratici, può ancora vincere. Per farlo, però, deve trionfare in Georgia e in uno stato tra Michigan e Pennsylvania. Oppure vincere Michigan e Wisconsin. Ma in tutti questi Stati Trump è per ora in vantaggio, lo spoglio è molto avanti e occorrerebbe che Biden stravincesse nel voto postale. Probabile, perché quel voto privilegia da sempre i democratici, ma a quel punto Trump non abbandonerà la Casa Bianca e non riconoscerà la vittoria. E accadrà di tutto. Come aveva anticipato il mio amico. Da tutto questo, sperando che Trump perda (anche un tombino fa meno danni di lui) si imparano tre cose: 1) Gli Stati Uniti sono un paese straordinario, ma di sicuro non possono insegnare a nessuno la democrazia; 2) Certi “esperti” sono affidabili come Balotelli; 3) Ogni volta che dovrò scommettere su qualcuno e qualcosa, d’ora in poi telefonerò al mio amico.(Se volete vi passo il numero).

Verdini in galera, per i “garantisti” è un martire

In uno dei non pochi casi giudiziari che lo riguardano, quest’uomo è stato condannato in Cassazione per il crac del Credito fiorentino: 6 anni e mezzo. La condanna è quindi ora definitiva. Verdini andrà in galera. Si è già costituito a Rebibbia. Nelle prossime ore i garantisti caricaturali che allignano a destra come a (finta) sinistra lo faranno passare per martire. Sarà il solito coro patetico. Null’altro che folclore moralmente colpevole. Non provo pietà nei confronti di quest’uomo un tempo (?) potentissimo e politicamente “ferocissimo”, casomai rabbia. La rabbia per tutti quei politici che, anche a “sinistra”, lo hanno celebrato per decenni come un grande statista, fino ad elevarlo a “padre costituente” in quello schifoso referendum del 4 dicembre 2016 che stava per affossare per sempre questo paese. Le colpe dei renziani per quel tentativo di distruzione della Costituzione resteranno eterne. Ora ho due curiosità. La prima è quanto ci metteranno a toglierlo di galera – con qualche cavillo – prima della scadenza della condanna. La seconda è chi sarà per primo a portargli le arance. Forse il genero Salvini. Forse la collega “costituente” Boschi. O forse l’allievo Renzi. Sia come sia, la sua “politica” ha già fatto più danni della grandine. Auguri all’uomo, magari in carcere imparerà qualcosa, ma politici come lui anche no. Abbiamo già dato. Basta così.

“Meglio la pedofilia dell’aborto”, l’inaccettabile don.

Lui è tal “don” Andrea Leonesi. Dialettica pietosa e italiano che all’asilo lo parlano meglio. E fin qui i suoi pregi. Durante l’omelia del 27 ottobre presso la chiesa dell’Immacolata di Macerata, questo bel giuggiolone ha avuto il coraggio di sostenere che l’aborto sia più grave della pedofilia. Una roba da vomito. E per me una roba anche moralmente criminale. Già che c’era, il fenomeno dall’italiano tragico ha sparato pure boiate sulle coppie omosessuali, sulle femministe che “se spojano ‘n Chiesa” e sulle mogli sottomesse ai mariti. Guardate questo video e poi vomitate. La Chiesa di Papa Francesco ha tutto il mio rispetto. La Chiesa di “preti” così è quanto di più distante dalla mia idea di vita. E mi fa semplicemente schifo che uno così sia prete.

Proietti, la scomparsa di un vulcano di idee e progetti.

La scomparsa di Gigi Proietti mi ha colpito profondamente. Persino più di quanto credessi. E credo sia accaduto a molti tra voi. Se n’è andato un monumento, un gigante, un fenomeno. E una grande persona. L’ultimo vero mattatore di questo paese. Sono molto triste. E pure un po’ svuotato. Sul FattoMarco Travaglio ha scritto un ricordo bellissimo. È una delle cose migliori che Marco abbia mai scritto. Ha detto (perfettamente) quello che provo anch’io. Per questo desidero pubblicarlo anche qui. Siamo dannatamente soli. Ed è sempre più dura. “Me so’ fatto fa’ ’na piscinetta… ’st’estate ce devi venì! Io me ne sto bono bono in auto-clausura e aspetto… Ci ho pure tre galline che me fanno l’ovetto fresco…”.Quando chiamava Gigi – e capitava spesso, specie durante il lockdown per ridere un po’ dei virologi da divano che dicevano tutto e il contrario di tutto nella stesso programma, spesso nella stessa frase (“Ma come fanno? Boh”) – stentavi a credere che fosse proprio lui: il più grande mattatore vivente. Ora che questo 2020 di merda ci ha portato via anche lui, proprio mentre un inutile cinquantenne twittava sull’inutilità degli ottantenni, si affollano i ricordi di un’amicizia nata grazie al Fatto. Proietti ci leggeva per primi, poi telefonava per commentare, suggerire, soprattutto sghignazzare (“Chi non sa ridere mi insospettisce”). Ogni tanto ci mandava uno stornello, un sonetto in romanesco (“Se pubblichi, non mi firmare: metti ‘Agro Romano’…”).

Una volta, alla nostra festa all’isola Tiberina, doveva essere un’intervista e invece portò il suo pianista Mario e fece uno spettacolo intero col meglio del suo repertorio (“aggràtise”): da Nun me rompe er ca’ a Pietro Ammicca, dal Cavaliere nero a Toto nella saùna (con l’accento sulla u), dal vecchietto delle favole sconce all’addetto culturale pieno di tic al prof che declama La pioggia nel pineto in barese. Il meglio di A me gli occhi please, poi travasato in Cavalli di battaglia, che doveva andare una sera sola all’Auditorium e diventò un tour infinito, sempre sold out. Frammenti di memoria e lampi di genio si mischiano alle lacrime.Il nasone fin sopra la fila di denti bianchi. Gli occhi che roteano. Il vocione cavernoso da fumatore. La risata aperta e la gioia di strapparne agli altri. Sempre in scena, anche per strada e in trattoria. L’opposto del cliché del grande comico, allegro sul palco e sul set, cupo e depresso in privato: a lui ridere piaceva un sacco, almeno quanto far ridere. Lui nel camerino del Globe Theatre a villa Borghese, qualche estate fa, esausto e zuppo di sudore dopo due ore di Edmund Keane con 30 e passa gradi: “Che fate, annate a cena da Dante? Io nun so se me la sento, stasera avrò perso cinque chili…”.Poi si presenta al ristorante e ci ammazza di barzellette e aneddoti su Gassman, Bene, Fabrizi e Stoppa fino alle tre di notte, lui fresco come una rosa, noi tramortiti. “Questa la sapete senz’altro…”. “Questa è troppo feroce… che faccio, la racconto?”. “Marché, famme fa’ ’n tiro de sigaretta, mentre Sagitta nun guarda. E dammene ’n’artra de frodo, che me la fumo quanno tutti dormono…”. Ancora domenica mattina, in rianimazione, con la compagna di sempre Sagitta, le figlie Carlotta e Susanna, il manager Alessandro Fioroni, parlava di lavoro.Del film in uscita su Babbo Natale con Giallini. Della stagione appena chiusa al Globe, unico grande teatro aperto in Italia (“Chissenefrega dei soldi, io i fondi del Fus non me li intasco, facciamo lavorare ’sti ragazzi prima che richiudano tutto”).Dei progetti futuri: rivoleva un teatro tutto per sé, dopo lo scippo del Brancaccio a opera di Costanzo&C., progettava con Renato Zero un nuovo teatro tenda come quello degli anni 70-80 (“Renato fa i concerti e io metto in scena tutto Molière, sto convincendo Corrado Guzzanti e Verdone ad alternarsi con me, tu mi fai il teatro-giornale e magari rimetto su la scuola di teatro che la Regione mi ha chiuso”; seguiva imitazione irresistibile del funzionario dell’assessorato che gli comunica, a gesti e a grugniti, le ragioni dello stop). Un anno fa viene a vedere Ball Fiction e alla fine, in camerino, si accorge di aver perso il portafogli. La nostra Amanda si precipita in sala e lo trova sulla sua poltrona. “Vedi, Gigi, i nostri amici sono tutti onesti!”. “Ma va, penzano che nun ci ho ’na lira!”.All’ultima festa del Fatto, in streaming dal giardino della redazione, doveva venire alla serata di apertura: “Magari chiacchieriamo di come nascono le barzellette, che molti considerano umorismo di serie B perché non le sanno raccontare, non hanno i tempi, la faccia. Il mistero umano di come scocca la scintilla della risata è un tema affascinante. Potrebbe nascerne uno spettacolo, ho letto anche dei saggi molto pensosi…”.Perché era coltissimo, come lo sono quelli che lo dissimulano e si fanno beffe dei colleghi engagé (“Natale in casa Latella”) o “di ricerca (“‘Sospendete immediatamente le ricerche!’, diceva Gassman quando li vedeva”). Ma stava già male (“Famo ’st’altr’anno”). Un paio di mesi fa feci una battuta in un pezzo sugli orrori di stampa: “Se tornasse Il Male con un falso giornalone dal titolo ‘Arrestato Gigi Proietti: è il capo dell’Isis’, tutti commenterebbero: embè?”. Ed ecco puntuale il suo sms: “Salam da Rebibbia! Speravo di passare inosservato, poi invece arriva Travaglio. E scusa: il turbante non lo trovo, acc…”. Lo inseguivamo da due settimane per l’intervista degli 80 anni. Silenzio. Poi, sabato sera, l’sms: “Caro Marco, purtroppo al momento non sono in grande forma e l’intervista temo non si possa fare, poi ti racconterò. Ci sentiamo con calma. Ti abbraccio”.Solo a lui poteva venire in mente di nascere e morire lo stesso giorno, il 2 novembre. Che per un comico non è niente male. Anche Shakespeare ci era riuscito, ma il 23 aprile, non il giorno dei morti.Si dice che far ridere sia impresa molto più difficile che far piangere. E Gigi ne era la prova vivente.Ma ieri, con quell’uscita di scena, è riuscito nelle due imprese insieme”.

Non è un Paese per vecchi, parola di Toti.

“Le parole di Toti sono terrificanti, fanno semplicemente schifo. Conosco un po’ Toti e mi rifiuto di credere che volesse dire quello che scritto. Il problema è che molti, a destra, pensano quello che ha scritto Toti. Basta sentire quel che ha detto il leghista Borghi alla Camera: c’è gente che ha un’idea ipercapitalista, cinica e mercantile della vita. O lavori e produci, o sei sacrificabile. Questo è terrificante. Proietti aveva 80 anni e magari per Toti o Borghi non era “indispensabile alla produttività”, ma era indispensabile alla nostra bellezza culturale, morale e umana molto più di Toti e Borghi”.(a Otto e mezzo)

Il coordinatore anti-covid ai domiciliari.

Otto persone sono finite agli arresti domiciliari tra cui Antonino Candela, 55 anni, attuale coordinatore della struttura regionale per l’emergenza Covid-19, già commissario straordinario e direttore generale dell’Asp di Palermo. L’operazione “Sorella sanità” ha fatto luce su un vasto sistema di mazzette e appalti pilotati nella sanità, portando a 12 misure cautelari personali, sequestri di imprese e disponibilità finanziarie. “Ricordati che la sanità è un condominio e io sempre capo condominio rimango”, diceva Candela, non sapendo di essere intercettato. Il gip sostiene che Candela “si atteggiava a strenuo paladino della legalità”, ma che è ritenuto a capo di uno dei centri di influenza in grado di condizionare e pilotare gli appalti, intascando mazzette per 260 mila euro.Ne usciremo migliori stocaxzo.

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lunedì 10 agosto 2020

Emergenza Ponte infinita: tesoretto elettorale di Toti. - Paolo Frosina

Emergenza Ponte infinita: tesoretto elettorale di Toti

Il governatore-commissario incassa la proroga, così potrà rinnovare 316 contratti in scadenza e spendere 13 milioni.
“Il governo chiarisca subito il significato della proroga. Se qualcuno pensasse di utilizzare una legge speciale per rinviare le elezioni, o peggio ancora per chiudere in casa gli italiani, questo avrebbe un solo nome: golpe!”. Si indignava così Giovanni Toti, il 12 luglio scorso, all’idea di un prolungamento dello stato di emergenza per il Covid. “Conte e Speranza farebbero bene a evitare equivoci pericolosi per la nostra democrazia”, tuonava il governatore ligure.
È lo stesso Toti che nemmeno un mese dopo chiede e ottiene – per un anno intero – la proroga di un’altra emergenza, quella per il crollo del ponte Morandi di Genova. Che al contrario dell’emergenza sanitaria, dopo due anni dal disastro è quasi impalpabile: il nuovo viadotto è stato appena inaugurato e gli strascichi sulla vita quotidiana dei genovesi, ormai, del tutto scomparsi. Ma c’è un dato decisivo: il commissario delegato all’emergenza ponte è proprio Toti, che grazie alla proroga, nei prossimi mesi, spera di intestarsi nuove elargizioni alle imprese e persino il rinnovo di centinaia di posti di lavoro. Un asso nella manica che potrà tornare utile in vista della campagna elettorale.
A sentire il governatore, il prolungamento serve “a concludere degli iter già avviati, come gli ultimi risarcimenti per l’autotrasporto che per l’anno in corso partiranno nel 2021”. Poi “siamo in attesa di capire se le nostre richieste per impiegare i fondi residui (13 milioni e 710 mila euro sui 30 complessivi di aiuti alle imprese non utilizzati, ndr) saranno accettate dal Governo”.
E infine, “potranno essere rinnovati anche i contratti del personale assunto per far fronte allo stato d’emergenza”. Partiamo da qui. All’articolo 2 il decreto Genova ha previsto un piano di assunzioni straordinarie, a tempo determinato, in enti locali e società controllate, per tamponare una serie di urgenze post-crollo. Operatori ecologici a rimuovere i detriti, vigili urbani a gestire la viabilità, funzionari pubblici a evadere le pratiche per gli indennizzi.
Sono 316 i contratti di questo tipo, in scadenza a fine 2020. Le assunzioni vanno approvate dal commissario straordinario e Toti ha appena lanciato un messaggio preciso: saranno rinnovati. Anche se quelle esigenze non sussistono più: la viabilità in Valpolcevera è tornata regolare, i resti del vecchio Morandi smaltiti da tempo e gli aiuti economici distribuiti alle imprese, almeno fin dove permesso dalle contraddittorie scelte della stessa Giunta.
E qui veniamo all’altro tesoretto che Toti spera di distribuire: quei 13 milioni e passa di fondi per la ripresa ancora inutilizzati, su cui la Corte dei Conti ligure ha espresso preoccupazione. Si tratta di una parte dei 30 milioni stanziati dall’articolo 4-ter del decreto Genova per le indennità “una tantum” a imprenditori e autonomi (15 mila euro) e per la cassa integrazione in deroga.
Di questi 30 milioni, Toti ne dedica 15 alle “una tantum”, altri 15 alla cassa. Ma a quest’ultima aderiscono in pochissimi: da qui i 13 milioni avanzati e mai reinvestiti, nemmeno quando, a febbraio, il decreto Milleproroghe ne destina 5 all’area di crisi industriale in Valpolcevera. “Toti avrebbe potuto fare di tutto con quei soldi, a partire da nuovi bandi per i contributi una tantum. Invece ha scelto di tenerli fermi”, denuncia Giovanni Lunardon, capogruppo Pd in Regione Liguria.
Ora però promette che darà battaglia per destinarli alle Srl, la categoria di imprese i cui soci sono stati esclusi dalle indennità. “È il governo che deve autorizzarci”, dice. Ma, come ricorda Lunardon, “l’esclusione delle Srl è il frutto di un’interpretazione incomprensibile data dagli uffici della stessa Regione, senza nemmeno consultare l’Avvocatura di Stato.
Al solito Toti cerca di scaricare su altri i propri insuccessi. È facile, ora che siamo in campagna elettorale, accusare il Governo per nascondere la propria inerzia: un presidente di Regione serio avrebbe trovato da mesi il modo di sbloccare quei fondi, anche sbattendo i pugni sul tavolo a Roma, se necessario”. Ma per quello non serve uno stato d’emergenza.

giovedì 9 luglio 2020

Una favola e Toti salva i Benetton. - Gaetano Pedullà

Giovanni Toti

Una regione fatta prigioniera e chi se ne dovrebbe vergognare impazza in tv facendo campagna elettorale, ovviamente trasferendo ad altri le responsabilità proprie e di chi guadagna un sacco di soldi proprio per impedire un tale disagio. Ha dell’incredibile quello che accade da giorni in Liguria, con le autostrade paralizzate per i controlli sulla stabilità dei tunnel resi necessari dopo la sfilza di disastri partita con il crollo del ponte Morandi a Genova, ormai due anni fa.
Da allora la rete che lo Stato ha dato in concessione ad Autostrade per l’Italia, società controllata dai Benetton, ha mostrato altri segni di cedimento, con un’altra tragedia per fortuna solo sfiorata a dicembre scorso, quando vennero giù pezzi della volta di una galleria dell’A26 tra Masone e Voltri. Se il concessionario avesse fatto le manutenzioni non avremmo un tale degrado, ma solo adesso e su precisa richiesta della parte pubblica si stanno facendo i controlli, col risultato di bloccare l’intero traffico. Per il governatore della Liguria, Giovanni Toti (nella foto), questa però è l’ennesima prova dell’incapacità di chi governa a Roma, e con i soliti slogan un perfetto argomento per nascondere il suo sostegno di sempre ai Benetton.
Dal dibattito sulla costruzione del nuovo viadotto Polcevera alla battaglia condotta in quasi assoluta solitudine dai 5 Stelle per revocare la concessione, mai il presidente Toti ha preso posizione contro i signori dei caselli, se non con dichiarazioni di circostanza e senza alcun seguito. Così, dopo essere stati lasciati per strada, i liguri adesso sono pure presi in giro.