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venerdì 1 aprile 2022

Gas, inciucio sui rubli fra l’Europa e Putin. - Francesco Lenzi

 

IL MECCANISMO - Il gioco delle parti fra l’Ue (soprattutto Scholz e Draghi) e il russo, che incassa euro, ma li cambia nella sua moneta.

Ieri mattina, Mario Draghi, a domanda precisa sul pagamento in rubli del gas russo, ha risposto che “le aziende europee continueranno a pagare in euro o dollari”. Nel pomeriggio, Vladimir Putin ha firmato il decreto che da aprile modifica i termini di pagamento per le esportazioni di gas verso i Paesi cosiddetti “ostili” (tra cui tutti quelli Ue), scatenando le proteste. Chi sta bluffando? In attesa delle tecnicalità, si può dire nessuno dei due. Per capirlo occorre spiegare come il sistema finanziario russo sta evitando di collassare.

Dopo le sanzioni occidentali la Banca centrale russa non aveva più riserve valutarie per sostenere il cambio del rublo. Mosca ha replicato obbligando gli esportatori russi a convertire in rubli l’80% dei ricavi e limitando il ritiro di valuta estera, misure che stanno operando in sostituzione della Banca centrale. Così gli esportatori devono cedere valuta estera al mercato russo, rendendola disponibile per le istituzioni che devono finanziare le importazioni o il pagamento dei debiti in valuta estera. Se la valuta fosse invece conservata, rimarrebbe troppo scarsa sul mercato russo e la sua domanda ne farebbe crescere il valore, deprezzando il cambio del rublo come è avvenuto dopo le sanzioni. La valuta russa non è più convertibile liberamente, il suo mercato è confinato alla Russia, ma il crollo dei primi giorni dell’invasione dell’Ucraina è stato ormai riassorbito: il suo valore è tornato al livello pre-guerra. Questo recupero era essenziale per la Banca centrale, che da settimane lotta contro un’inflazione al 2% settimanale. Solo stabilizzando il cambio può sperare di evitare un devastante scenario iperinflattivo. Questo impianto opera negli spazi lasciati liberi dalle sanzioni ma può reggere solo se la valuta estera ottenuta con le esportazioni rimane libera, cioè accessibile al mercato russo. Se non fosse più trasferibile una volta che l’esportatore russo ha ricevuto il pagamento, si blocca tutto. Questo è lo scenario che Putin vuole evitare con la decisione di far pagare il suo gas in rubli.

Lo scenario potrebbe presto materializzarsi. Le banche russe non sono escluse dalle transazioni in euro. Solo sette, tra cui non compare GazpromBank, sono fuori dal sistema Swift. Gli Stati Uniti però, con l’entrata in vigore delle sanzioni sui regolamenti in dollari, hanno escluso varie banche russe tra cui la Sberbank, la più grande della Russia, dal poter trasferire i dollari se non per operazioni consentite dalle licenze. In sostanza, da sabato scorso, un esportatore di gas russo può ricevere dollari sul conto della Sberbank, ma poi quei dollari non sono più trasferibili. Non possono cioè essere riportati in Russia per convertirli in rubli e aiutare il sistema finanziario russo. Ieri, Putin, illustrando il decreto, si è infatti giustificato spiegando che “loro stanno ricevendo gas, pagano in euro e poi congelano questo pagamento”. A questo serve il provvedimento, che nella sostanza sposta l’onere di convertire euro e dollari in rubli e rende molto più complicato scindere il legame tra l’approvvigionamento di gas e il libero uso della valuta estera ottenuta come corrispettivo. Euro e dollaro non saranno più convertiti in rubli dall’esportatore, ma indirettamente da chi acquista il gas russo. Questo però non significa che il pagamento debba avvenire in rubli. È una sottigliezza che però conferma la linea di Draghi e Putin.

Nel decreto si legge che l’importatore “ostile”, per esempio Eni, deve aprire un conto in valuta estera presso la GazpromBank, alimentandolo con la valuta estera usata per pagare la fornitura e che viene poi utilizzata da GazpromBank per essere convertita in rubli sul mercato russo. Una volta realizzata la conversione, il corrispondente valore in rubli è accreditato su un altro conto in Gazprombank, questa volta denominato in valuta russa, e quindi trasferito all’esportatore di gas russo. Il pagamento è in euro o dollari, ma viene eseguito in rubli e solo quando questi vengono depositati sul conto dell’esportatore di gas l’operazione è completata e la fornitura può aver luogo. Lo schema regge a una condizione essenziale: GazpromBank non può esser oggetto di sanzioni che ne limitino la capacità di scambiare la valuta estera degli importatori di gas con i rubli delle istituzioni presenti sul mercato russo. A questo punto la decisione di colpire queste transazioni equivarrebbe alla decisione di terminare gli acquisti di gas dalla Russia, mettendo in ginocchio i Paesi Ue più esposti.

Ieri i ministri di Francia e Germania hanno detto di esser pronti a terminare l’approvvigionamento di gas russo se non potranno pagarlo in euro o dollari. Quello che pare di capire dal decreto è che questo resta così. Nella sostanza non cambia nulla, se non per il fatto, non trascurabile, che congelare i pagamenti sarebbe molto complicato. A quel punto resta solo di chiudere il gas. Ma su questo, a livello europeo, pare non esserci ancora molto accordo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/01/incassa-euro-ma-ottiene-rubli-cosi-mosca-prova-a-resistere/6544347/

mercoledì 10 marzo 2021

L’agenzia per i giovani dà l’appalto da 4 mln a E&Y (da cui viene la direttrice). - Stefano Vergine

 

L’ultimo appalto milionario porta la data di venerdì 5 marzo 2021. Quel giorno il gigante mondiale della consulenza Ernst & Young – un fatturato di 37,3 miliardi di dollari – ha ricevuto una bella notizia dall’Italia. Una delle sue controllate, EY Advisory Spa, si è aggiudicata la gara numero 7841608: un contratto di consulenza affidatole dalla Agenzia Nazionale per i Giovani, l’ente governativo che gestisce in Italia i programmi europei di istruzione giovanile come l’Erasmus. E proprio di questo si dovrà occupare Ernst & Young, una delle cosiddette Big Four della consulenza insieme a Deloitte, Pwc e Kpmg: aiutare l’istituzione italiana nella “gestione e attuazione dei programmi Erasmus+/Youth in action, European solidarity corps, degli analoghi programmi europei per i giovani del settennato 2021–2027 e delle iniziative proprie dell’Agenzia nazionale per i giovani”, si legge nel bando. Il tutto per un valore stimato dall’ente pubblico in 4,2 milioni di euro Iva esclusa. Fin qui niente di strano.

Da anni l’Italia, così come tante altre nazioni del mondo, affida infatti contratti di consulenza ai giganti mondiali del settore, come dimostra il controverso caso della McKinsey appena assoldata per assistere il ministero del Tesoro nella scrittura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). L’appalto assegnato lo scorso 5 marzo ad Ernst & Young ha però una particolarità. È il nome della dirigente al vertice dell’ente statale che ha affidato l’incarico alla multinazionale britannica: Lucia Abbinante. Barese, 33 anni, esperta di educazione, la direttrice generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani fino a poco tempo fa lavorava infatti proprio per Ernst & Young.

I documenti letti da Il Fatto raccontano che è stata proprio Abbinante a comunicare ai suoi ex datori di lavoro l’aggiudicazione del contratto. La commessa è stata vinta al termine di una gara d’appalto e la multinazionale londinese se l’è aggiudicata grazie a un eccellente punteggio: 98,33 su 100. Il fatto di aver affidato un contratto milionario all’azienda che fino a poco tempo fa le pagava lo stipendio deve avere però creato qualche imbarazzo alla stessa Abbinante. Lo suggerisce quello che c’è scritto sul sito internet della Agenzia Nazionale per i Giovani o, per essere più precisi, quello che non c’è più scritto. Fino a poche settimane fa, cliccando sul nome di Lucia Abbinante l’utente veniva infatti reindirizzato al pdf del suo curriculum in formato europeo, mentre adesso il sistema rimanda a una più semplice pagina web in cui sono riassunte in forma discorsiva le esperienze lavorative della dirigente pubblica.

Dieci anni come coordinatrice di Radio Kreattiva, “la prima web radio antimafia italiana partecipata dagli studenti e dalle studentesse”. I progetti sviluppati per ong internazionali come Save The Children e Terres Des Hommes. Le “docenze in comunicazione e progettazione sociale”. La collaborazione con il dipartimento per le Politiche giovanili e quello per le Pari opportunità. Fino al ruolo di consigliere dell’ex ministro per le Politiche giovanili e lo Sport, Vincenzo Spadafora, l’esponente del Movimento 5 Stelle che lo scorso 7 agosto ha nominato la giovane project manager barese alla direzione generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani con uno stipendio annuale di 317mila euro (lordi) e un incarico che scadrà nel 2023.

Di tutte le esperienze citate sulla pagina web ora attiva sul sito dell’Agenzia ne manca una. Proprio quella in Ernst & Young, dove Abbinante ha lavorato a partire dal luglio del 2018 come consulente. Mansione svolta: “Servizio di supporto specialistico e assistenza tecnica presso il Comune di Bari per l’implementazione del Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane”. Contattata per un commento, la dirigente conferma di aver lavorato per Ernst & Young “fino al settembre del 2019 come consulente junior”, si dice “dispiaciuta per il fatto che sul sito dell’Agenzia non sia più riportata quell’esperienza di lavoro”, ma garantisce che “l’affidamento della gara non ha nulla che fare con il mio passato: le decisioni sulle gare vengono prese da una commissione di cui io non faccio nemmeno parte”, spiega, “e comunque Ernst & Young lavora per l’Agenzia almeno dal 2016, ben prima che io arrivassi”. Il ministero incaricato di vigilare sull’Agenzia è quello delle Politiche giovanili e lo Sport. Oggi è guidato dalla 5 Stelle Fabiana Dadone.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/10/lagenzia-per-i-giovani-da-lappalto-da-4-mln-a-ey-da-cui-viene-la-direttrice/6128300/

sabato 18 aprile 2020

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo. - Natascia Ronchetti

Fontana scarica uffici e Rsa. Ma per i Covid pagava triplo

Il governatore difende la delibera che chiedeva posti nelle case di riposo per i pazienti positivi: “Toccava a loro e alle Ast decidere”.
L’operazione scaricabarile sulla famosa delibera dell’8 marzo, con la quale la Regione Lombardia ha disposto il trasferimento dei pazienti Covid in via di miglioramento nella case di riposo, è iniziata. “La delibera è stata proposta dai nostri tecnici – ha detto ieri il presidente della Regione, Attilio Fontana –. I nostri esperti ci hanno riferito che a determinate condizioni, e cioè che esistessero dei reparti assolutamente isolati dal resto della struttura e addetti dedicati esclusivamente ai malati Covid, la cosa si poteva fare”.
I tecnici sono i dirigenti del settore Welfare della Regione, a partire da Luigi Cajazzo, direttore generale: e infatti la proposta di delibera è stata messa sul tavolo della giunta direttamente dall’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Poi c’è la questione relativa ai controlli, cioè alla verifica che effettivamente le Rsa che hanno aperto le porte ai malati Covid avessero i requisiti richiesti: tutto in capo alle aziende sanitarie – dice adesso Fontana –, vale a dire alle Ats. In Regione spiegano che il percorso è stato limpido, trasparente, regolare; che la delibera è arrivata, come sempre avviene, dopo una istruttoria tecnica: anche se con l’approvazione scatta contemporaneamente anche un’altra responsabilità, quella tutta politica. Ma tant’è.
Così, mentre procede l’indagine della magistratura, il cerino viene dato in mano ai cosiddetti tecnici, alle aziende sanitarie e, per ultime, alle stesse case di riposo. Sulle quali la Regione indaga con due sue commissioni: una sul Pio Albergo Trivulzio, l’altra sulle stesse Rsa. Alle aziende sanitarie è già stata chiesta una relazione, qualcuna l’ha già inoltrata. Lo hanno fatto quelle che hanno competenza sulle aree dove sono presenti le case di riposo che hanno effettivamente accolto pazienti Covid. Si sa, sono solo 15 su oltre 700 (dati diffusi dalla stessa Regione), delle quali sei nel Bergamasco, tre in provincia di Mantova, due nel Lodigiano, una in provincia di Brescia, una a Milano. Poi ci sono Sondrio, Pavia…
Proprio nel Bergamasco, una delle zone più colpite dal contagio, c’è chi ha aggiornato puntigliosamente i conti della mattanza dei nonni. È la Cgil. “Dal primo marzo alla prima metà di aprile, 1.326 decessi, il 24% del totale degli anziani ospiti”, dice il segretario provinciale Gianni Perecchi –. Abbiamo fatto una ricognizione noi, perché l’Ats di Bergamo i numeri non ce li fornisce”. E dire che fino a pochi giorni fa, ufficialmente, gli anziani morti erano meno della metà: 600. Perecchi è tra quelli che non ci stanno al gioco del rimpallo. Perché se è vero che le case di riposo sono strutture private, come sottolinea la Regione, è anche vero che operano su accreditamento, con un contratto di budget, condizione che le mette anche, inevitabilmente, in una posizione di subalternità. “La Regione ha una funzione di controllo, di sorveglianza e di supporto – prosegue Perecchi –. E ricordo che alle Rsa che a fine febbraio avevano chiuso agli accessi per prudenza, ordinò la riapertura, mandando degli ispettori attraverso l’Ats. Nella nostra provincia le case di riposo di pazienti Covid ne hanno accolti una settantina. L’operazione, voluta per alleggerire gli ospedali, non ha dimostrato nemmeno efficacia”.
Al gioco si sottraggono anche le associazioni delle Rsa, come Uneba, a cui ne fanno capo in Lombardia circa quattrocento: “Fino al 30 marzo la Protezione civile requisiva le mascherine destinate alle case di riposo – dice il presidente Luca Degani -, solo adesso che il dramma è esploso le cose sono cambiate. La verità che si doveva porre fin dall’inizio grande attenzione a queste strutture perché hanno in carico le persone più fragili”. È ancora Degani a ricordare che l’accreditamento da parte della Regione può essere sospeso o revocato. “È già successo”, dice. E quando questo avviene viene meno quel contributo pubblico, da parte del sistema sanitario regionale, che per ogni anziano oscilla tra i 29 e i 49 euro al giorno, a seconda delle patologie.
Questione non irrilevante, visto che sullo sfondo resta il tema del rimborso previsto dalla Regione come retta giornaliera per ogni paziente Covid degente: 150 euro, più del triplo della tariffa massima prevista. Quanto alle commissioni di indagine, tutte le associazioni hanno chiesto di essere ascoltate. “Una cosa è certa – dice Degani –. C’è stata difficoltà a cogliere il rilievo di luoghi di rischio come le nostre strutture”.

giovedì 21 novembre 2019

Ryanair condannata perché fa pagare bagaglio a mano.

Ryanair condannata perché fa pagare bagaglio a mano

Sentenza rivoluzionaria in Spagna. Un tribunale di Madrid, riporta il quotidiano La Vanguardia, ha condannato la compagnia Ryanair per aver fatto pagare un supplemento per il trasporto di un trolley. La compagnia aerea dovrà restituire 20 euro, oltre agli interessi. Secondo la compagnia irlandese, infatti, per portare a bordo il bagaglio a mano bisogna acquistare il biglietto 'priority' per una valigia fino a dieci chili, oltre alla propria borsa. Nella stessa sentenza il tribunale di Madrid obbliga, inoltre, Ryanair a ritirare la clausola con l'obbligo del pagamento di una tariffa aggiuntiva per il bagaglio a mano perché "limita i diritti riconosciuti per legge ai passeggeri.

https://www.adnkronos.com/soldi/economia/2019/11/20/ryanair-condannata-perche-pagare-bagaglio-mano_YzaPF0oDvsH3p6bCxghMGM.html?fbclid=IwAR3xtaE_qSKEE8bdfFZEFzh8SPQ945-LbK8m40qsOWYSRW5gdwd0WQGmDqw