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giovedì 21 novembre 2019

Prescrizione, il muro del Pd per salvare politici e colletti bianchi. La minaccia a Bonafede: cancellare la riforma con FI. - Giuseppe Pipitone

Prescrizione, il muro del Pd per salvare politici e colletti bianchi. La minaccia a Bonafede: cancellare la riforma con FI

Ennesima fumata nera durante l'ultimo vertice sulla giustizia. Dem e renziani hanno rifiutato alcuni accorgimenti proposti dal guardasigilli per velocizzare i processi agli assolti in primo grado. E hanno rilanciato chiedendo la decadenza dell'azione penale se il processo di secondo grado dovesse durare più di un certo periodo. In caso di mancato accordo hanno anche evocato la possibilità di votare la proposta del berlusconiano Costa, che cancella la riforma.
Nessuno vuole chiamarla minaccia, meno ancora accettano la parola ricatto. Tutti, a parole, sperano di trovare un punto d’incontro. Ma il senso di quello che emerge dall’ultimo vertice sulla giustizia sembra essere proprio quello: se Pd e Movimento 5 stelle non si metteranno d’accordo sulla riforma del processo penale, i dem potrebbero pure votare la proposta di Enrico Costa. Cioè il ddl presentato in commissione Giustizia dal parlamentare di Forza Italia, ex ministro del governo di Matteo Renzi, che chiede la cancellazione totale della riforma sulla prescrizione. Una vera e propria mina sul percorso dell’esecutivo. Sarebbero salvi dunque politici e colletti bianchi che grazie alla prescrizione si sono spesso salvati dai processi. L’elenco è sterminato: si va da Giulio Andreotti a Silvio Berlusconi, da Massimo D’Alema a Carlo De Benedetti, da Paolo Scaroni a Flavio Briatore. Ma si potrebbe continuare per ore ad elencare i potenti prescritti nella storia d’Italia. E infatti più volte l’Europa ci ha chiesto di mettere mano alla questione. L’ultima volta era nel 2017, quando nel rapporto semestrale dedicato ai Paesi dell’Eurozona la Commissione europea scriveva tra le altre cose che “il termine della prescrizione ostacola la lotta contro la corruzione“perché “incentiva tattiche dilatorie da parte degli avvocati” e il risultato è che “un’alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado“. E quindi se “la questione non sarà affrontata, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”. Ora la questione è stata affrontata: una legge che blocca la prescrizione dopo il primo grado di giudizio esiste ed entrerà in vigore nel 2020, tra 41 giorni esatti.
La minaccia notturna – Il Pd, però, fa muro. E nella notte ha evocato al ministro anche quella possibilità: votare con Silvio Berlusconi. Ma davvero i dem avrebbero intenzione di votare la legge ammazza riforma? Gli effetti sarebbero mortali non solo per la legge, ma anche per la tenuta dell’intero esecutivo. “Diciamo che noi vorremmo trovare un’intesa nella maggioranza. Stiamo lavorando a questo. Ci sono ancora 45 giorni. Se c’è la volontà di lavorare, ce la faremo”, dice all’Adnkronos il dem Michele Bordo, tra i presenti al summit notturno. L’ennesimo convocato per trovare un punto d’incontro che semplicemente ancora non esiste. E d’altra parte era stata proprio la riforma della giustizia a spaccare la precedente maggioranza, visto che uno degli ultimi Consigli dei ministri dell’esecutivo M5s-Lega si era risolto con un nulla di fatto, pochi giorni prima della crisi estiva e alla caduta del governo Conte 1.
Il muro dem – Il tema si è subito riproposto anche con il nuovo esecutivo. Questa volta le posizioni della Lega sono portate avanti in maniera quasi identica dal Pd e – nelle ultime settimane – anche dai renziani di Italia Viva. La richiesta a Bonafede è di prorogarne l’entrata in vigore della legge sulla prescrizione, in attesa di varare una riforma del processo penale. Una bozza di riforma il ministro l’ha già preparata, ma gli alleati fanno muro: vogliono garanzie sulla durata dei processi. Un leit motiv che ha fatto fallire tutti gli ultimi vertici di maggioranza sul tema. Ed è per questo che le rivendicazioni sulla giustizia acquisiscono sempre più un valore politico, a scapito di un ragionamento tecnico. “Dopo che gli abbiamo fatto ingoiare il taglio dei parlamentari adesso dem e renziani vogliono colpire uno dei nostri provvedimenti bandiera”, dicono fonti interne ai 5 stelle. Pd e di Italia Viva rivolgono a Bonafede la stessa accusa che era stata a suo tempo della Lega e che oggi è in Parlamento ha ripetuto Costa di Forza Italia: il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio porterà anche gli assolti in prima istanza ad essere “imputati a vita”. “Lo Stato non si può piu sottrarre al proprio dovere di dare una risposta di giustizia. La riforma non avrà nessun effetto devastante o di apocalisse”, ha ripetuto oggi Bonafede, comparso a Montecitorio pe rispondere al question time proprio di Costa. Secondo il ministro con lo stop alla prescrizione ci saranno “effetti deflattivi” del processo che “contribuiranno a sistema di giustizia più efficiente e rapido”. Sono allo studio, ha spiegato il ministro, “misure idonee a impedire che si verifichino disfunzioni in grado di incidere sulla durata dei procedimenti, con conseguenze per la prima volta disciplinari e con misure al vaglio della maggioranza di carattere indennitario”.
La proposta di Bonafede – Le misure di cui parla Bonafede sono le due proposte fatte ai dem e ai renziani durante il vertice notturno: inserire nella riforma della giustizia penale la possibilità per gli assolti in primo grado di beneficiare di una corsia preferenziale in secondo grado. Una “trattazione urgente” degli appelli per gli assolti, per andare incontro alla richiesta di Pd e Iv che chiedevano vi fosse una distinzione “tra assolto e condannato“. Bonafede ha proposto anche un accesso agevolato agli indennizzi per l’irragionevole durata dei processi previsti dalla legge Pinto. Gli alleati però hanno rifiutato, nonostante Pietro Grasso – sostenitore della riforma del M5s – abbia fatto notare che “per la Costituzione la presunzione di innocenza resta tale fino alla sentenza definitiva. E questo vale tanto per l’innocente quanto per il colpevole: non ci può essere una distinzione in questo senso”.
Una controproposta che si può rifiutare – “Dal guardasigilli sono stati fatti passi avanti sulle garanzie ma ancora non sufficienti, al momento le condizioni per una convergenza non ci sono”, dice il dem Bordo. Durante il vertice notturno, infatti, il Pd hanno fatto una controproposta a Bonafede: inserire nella riforma della giustizia termini perentori entro i quali se non si celebra il processo d’appello l’intero processo si estingue. In pratica a prescriversi non sarebbe il reato ma sarebbe l’azione penale a decadere: non ci sarebbero più prescritti e neanche assolto ma imputati impossibili da processare. Una condizione che i 5 stelle bollano come “irricevibile”. È considerata ancora peggiore la seconda controproposta del Pd: un sistema di sconto di pena per il condannato il cui appello non si è svolto entro un certo periodo di tempo. “È l’unica strada percorribile per evitare la durata irragionevole dei processi, che metterebbe a repentaglio l’articolo 111 della Costituzione”, dice il capogruppo dem in commissione Giustizia Alfredo Bazoli. “Altro che snellimento dei processi: in questo modo chiunque sarebbe incentivato a fare appello”, ragionano tra i 5 stelle. Facendo notare come l’atteggiamento degli alleati sia sempre più “tattico” e meno orientato a risolvere l’impasse in cui è precipitata la questione giustizia. A preoccupare i grillini è anche l’atteggiamento dei renziani: “Il ministro – raccontano – ha chiesto proposte scritte ma da loro è arrivato molto poco”. Il timore è che i renziani possano far saltare il banco una volta che Bonafede sia riuscito a trovare l’accordo con il Pd.
I familiari delle vittime difendono la riforma – Tutto questo in attesa che il premier Giuseppe Conte, fino ad oggi lontano dai tavoli di contrattazione, possa prendere in mano il dossier per provare a mediare. Intanto i familiari delle vittime sono scesi in campo per difendere una “legge che rappresenta un traguardo importante, una garanzia per il giusto riconoscimento delle nostre ragioni”. “Passiamo anni dentro le aule dei Tribunali e sopportiamo processi lunghi e dolorosi. Tutte le associazioni che fanno parte della nostra Rete Nazionale aspettano una giustizia che stenta a emergere, un diritto sacrosanto che il nostro Stato dovrebbe rispettare perché sancito dalla Costituzione. La prescrizione ha colpito duramente i processi di molte nostre associazioni e lo farà con altre nel prossimo futuro, cancellando molti capi di imputazione per cui gli imputati dovrebbero essere giudicati“, scrivono in una nota gli aderenti al coordinamento nazionale ‘Noi non dimentichiamo‘, che raggruppa tutte le associazioni di familiari di vittime delle stragi. Quindi l’annuncio: “Seguiremo con attenzione il dibattito parlamentare dei prossimi giorni, riservandoci di essere presenti davanti alle sedi opportune, nel caso in cui questo importante risultato venga distorto o perda di credibilità”. La rete nazionale è presieduta da Gloria Puccetti, che ha perso un figlio nella strage di Viareggio, la tragedia che in appello ha visto cancellato dal tempo il reato di incendio colposo, con relative pene riviste al ribasso per gli imputati.

L’anima de li mortacci. - Marco Travaglio


Scusate se rompo ancora l’anima con la storia del governo senz’anima (se non l’abbia mai avuta o l’abbia persa per strada, non si è ben capito). Ma ci sono sviluppi succulenti. L’altra notte, al vertice di maggioranza sulla Giustizia presieduto da Conte, s’è rischiata la crisi di governo perché il Pd e Forza Italia Viva pretendono di cancellare il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, che da un anno è legge dello Stato (la Spazzacorrotti) e vale per i reati commessi dal 1° gennaio 2020. Ufficialmente si dicono preoccupati perché, senza prescrizione, i processi non finiranno mai, ma sanno benissimo che è esattamente il contrario: è grazie alla prescrizione che i colpevoli, almeno i ricchi e potenti che possono mantenere l’avvocato a vita, allungano i processi per farla franca. Senza quell’aspettativa, i processi dureranno molto meno. Specie se, come previsto dalla riforma Bonafede, i giudici rischieranno l’azione disciplinare se sforeranno i termini di ogni grado di giudizio. Il bello è che chi teme processi eterni – il Pd e i renziani – sta bloccando la riforma della giustizia che li accorcia, con la scusa che prima bisogna bloccare la blocca-prescrizione accusata di allungarli. Roba da Comma 22.
Siccome però la blocca-prescrizione è già in vigore e scatta dal 1° gennaio, per bloccarla ci vuole un’altra legge, da approvare entro il 31 dicembre alla Camera e al Senato, fra l’altro impegnate sino a Capodanno con la legge di Bilancio. È già pronta quella del forzista Enrico Costa che ci riporta al vergognoso sistema precedente, quello che falcidia 200 mila processi e salva 3-400 mila colpevoli all’anno (gli innocenti che vogliono essere assolti nel merito rinunciano alla prescrizione e si fanno giudicare oltre i termini). Tra i quali guardacaso c’è il capo di Costa, Silvio B., nove volte prescritto per corruzione di giudici e di senatori, falso in bilancio e frode fiscale. Ora tenetevi forte: Pd e renziani annunciano che, se il M5S non ripristina la prescrizione fino alla Cassazione, voteranno la legge forzista. Per Costa sarà un momento epico: sono 13 anni, da quando il figlio d’arte albese entrò in Parlamento con FI, che il centrosinistra lo attacca per la produzione industriale di leggi ad personam. Nel 2009, per meriti acquisiti sul campo, fu relatore del “lodo Alfano” che bloccava i processi a quattro alte cariche dello Stato (soprattutto una). Poi purtroppo la boiata incostituzionale fu cancellata dalla Consulta. Lui ne partorì subito una nuova, con altri giuristi del calibro di Brigandì (il leghista appena condannato in primo grado a 26 mesi per patrocinio infedele e autoriciclaggio).
Cioè il presunto Legittimo impedimento che sospendeva i processi al premier e ai suoi ministri: anche quello, purtroppo, incostituzionale. Poi, non contento, fabbricò il bavaglio sulle intercettazioni. Poiché – come diceva Totò – il talento va premiato, Renzi se ne assicurò i servigi nel suo primo e fortunatamente unico governo, nominando Costa (nel frattempo trasvolato da FI a Ncd) viceministro della Giustizia. Gli elettori mostrarono di gradire, infatti nel 2014 il giovine Enrico si candidò a presidente del Piemonte e rastrellò un ragguardevole 2,98%. Il trionfo gli valse la promozione a ministro degli Affari regionali, delle autonomie e pure della famiglia. Poltrona che mantenne anche nel governo Gentiloni, che purtroppo lasciò dopo otto mesi per l’irrefrenabile richiamo della foresta forzista. Grande però fu la delusione quando B. pose il veto, costringendolo ad aderire a un altro movimento di massa: “Fare! (col punto esclamativo, ndr) -Pri- Liberali”, poi tramutatosi in “Noi con l’Italia”, detto anche la “quarta gamba del centrodestra” e popolato di altri noti frequentatori di se stessi tipo Fitto, Lupi, Zanetti e Tosi. A quel punto B., in vista delle elezioni 2018, decise che non si buttava via niente e si riprese la compagnia della buona morte. Così il Costa fu rieletto deputato. Un mese dopo mollò Noi con l’Italia (ormai ridotto a Lui per l’Italia) per tornare all’ovile forzista. E ricominciò a sfornare leggi salva-ladri e anti-giudici. Quando la Lega ingoiò e votò obtorto collo la Spazzacorrotti, con tanto di aumenti di pene, certezza del carcere, Daspo ai corrotti, confische più facili, trojan, agenti infiltrati e blocca-prescrizione, col contorno del fermo alla Svuotacarceri e al bavaglino di Orlando e del nuovo reato di voto di scambio, rischiò l’ictus (per empatia con B.): in un colpo solo cadevano come birilli 25 anni di Codice Silvio al servizio della criminalità e dell’impunità.
Ma non si diede per vinto e, battendo sul tempo anche i primatisti mondiali di leggi ad personam come Ghedini e Schifani, piazzò il colpaccio: un ddl che riporta la prescrizione ai fasti del passato. Ma in cuor suo temeva che non se lo sarebbe filato nessuno: Lega e M5S l’avevano appena cancellata e il Pd l’aveva sempre osteggiata. Ancora nel 2015, per dire, i dem volevano fermarla addirittura prima della sentenza di primo grado: discutevano se fosse meglio al rinvio a giudizio o alla richiesta del pm. E Renzi, quando finirono prescritti e impuniti i manager-killer di Eternit, tuonò: “Se la vicenda Eternit è un reato ma prescritto, vuol dire che bisogna cambiare le regole del gioco sulla prescrizione: non ci deve mai più essere l’incubo della prescrizione” (20.11.14). Insomma, il ddl Costa pareva mestamente avviato sul binario morto. Ma mai disperare nel Pd e nei renziani. Da quando si son messi a caccia dell’anima del Conte 2, hanno pensato bene di trovargliela loro. E, non avendone una prêt-à-porter l’hanno presa in prestito direttamente da B. e dal sottostante Costa. Un caso di trapianto d’anima che ricorda paurosamente le possessioni diaboliche. Qualcuno chiami l’esorcista.