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giovedì 24 giugno 2021

Recovery plan: cosa si aspetta Bruxelles dall’Italia in cambio dei 190 miliardi. - Beda Romano

 

Il NextGenerationEU prevede esborsi sulla base dei risultati ottenuti, non dei progetti di spesa.

È un pacchetto di riforme e investimenti a dir poco impegnativo quello approvato martedì 22 giugno dalla Commissione europea chiamata a dare il suo benestare al piano italiano di rilancio economico. Oltre a una quota di prefinanziamento di 25 miliardi di euro attesa già in luglio, il paese sarà chiamato a una marcia forzata, con una serie di impegni nella seconda parte dell'anno ed esborsi pari a un totale di oltre 20 miliardi di euro in sussidi e prestiti.

Concretamente, l'esecutivo comunitario ha approvato una decisione attuativa che deve essere ora fatta propria dal Consiglio entro un mese, per poi entrare ufficialmente in vigore. Il piano preparato dal governo Draghi e approvato da Bruxelles prevede 190 misure, di cui 58 riforme e 132 investimenti. In tutto è composto da 525 pietre miliari e obiettivi specifici. A differenza della politica di coesione, il NextGenerationEU prevede esborsi sulla base dei risultati ottenuti, non dei progetti di spesa.

Progetto senza precedenti.

Quest'ultimo è un pilastro nella storia comunitaria. Per la prima volta, i Ventisette hanno dato mandato alla Commissione di raccogliere denaro sui mercati (750 miliardi di euro) da distribuire ai paesi membri in modo da rilanciare l'economia dopo la pandemia virale. «Il piano dell’Italia darà un impulso strutturale alla crescita economica e aiuterà a ridurre le differenze sociali e regionali», ha commentato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis.

Dal nuovo Fondo per la Ripresa, l'Italia ha diritto ad ottenere quasi 70 miliardi di euro in sussidi e oltre 120 miliardi di euro in prestiti. Il 37,5% del denaro sarà speso in ambito ambientale, il 25,1% nella transizione digitale.

Fondi a tappe.

Presentando il pacchetto qui a Bruxelles, funzionari comunitari hanno precisato che il 40% del denaro andrà al Sud Italia, da qui al 2026. La quota di prefinanziamento del 13% del totale tra sussidi e prestiti verrà versata possibilmente già in luglio.Questa quota vale per l'Italia poco meno di 25 miliardi di euro (ossia 9 miliardi di sussidi e 15,9 miliardi di prestiti). Verrà quindi successivamente formalmente allocata pro rata lungo tutto il periodo (2021-2026) entro il quale il Fondo distribuirà denaro. Oltre alla quota di prefinanziamento, nel corso del secondo semestre del 2021 l'Italia dovrebbe ricevere altri 10 miliardi di euro in sussidi e altri 11 miliardi di prestiti sulla base di 51 pietre miliari, ossia progetti o riforme.

Gli investimenti verdi.

In campo ambientale, il piano approvato dalla Commissione europea prevede 12,1 miliardi nell'efficienza energetica degli immobili; 32,1 miliardi nella mobilità sostenibile; 18 miliardi nell'energia rinnovabile; 3,6 miliardi nelle reti intelligenti. Sul fronte dei trasporti, il governo italiano si è impegnato nel modernizzare 38 stazioni ferroviarie, nel costruire 365 chilometri di piste ciclabili e oltre 500 chilometri di rete ferroviaria ad alta velocità.

E quelli nel digitale.

In campo digitale, gli investimenti più importanti sono nella digitalizzazione della pubblica amministrazione (6,1 miliardi di euro), nella rete 5G (6,7 miliardi di euro) e nella modernizzazione della giustizia. Quest'ultima riforma deve essere approvata entro fine anno. Prevede obiettivi temporali per ridurre la durate dei processi, un investimento nella digitalizzazione (pari a 1,0 miliardo di euro) e riforme per rendere il sistema giudiziario più efficiente (2,3 miliardi di euro).

Gli interventi in campo sociale.

Infine, nel campo sociale, il piano approvato da Bruxelles ambisce a investire 15,6 miliardi nella sanità, nella telemedicina e nelle case di riposo. Altri 26 miliardi di euro dovrebbero andare all'istruzione – dagli asili all'università – e nel mercato del lavoro. Infine, 13,2 miliardi di euro dovrebbero essere investiti nella coesione sociale e regionale, in particolare nelle regioni meridionali. L'Italia è tra i paesi dove la disoccupazione è tra le più elevate. Sempre secondo l'esecutivo comunitario, i soli investimenti previsti dal NextGenerationEU dovrebbero contribuire all'aumento del prodotto interno lordo italiano per un totale di 1,5-2,5% entro il 2026. La stima della Commissione europea esclude tuttavia le riforme economiche che potrebbero anch'esse aiutare a rendere più dinamico il paese. Il governo italiano appare essere in generale più ottimista della Commissione in questo frangente.

IlSole24Ore

mercoledì 23 giugno 2021

Qualcuno volò… - Marco Travaglio

 

Il 27 febbraio 2020, mentre l’Italia piange i primi morti per Covid, il premier X invita il presidente francese Emmanuel Macron a Napoli per un bilaterale su nuove misure europee contro la pandemia. Il 23 marzo consulta i leader di altri 8 Paesi Ue (Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia, Irlanda, Lussemburgo e Slovenia) e con loro mette a punto una “Lettera dei Nove” al presidente del Consiglio europeo Charles Michel per proporre “uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’Ue per raccogliere risorse sul mercato a beneficio di tutti gli Stati membri… per un finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni della pandemia”. È il primo cenno agli Eurobond o Coronabond. Germania e Paesi “frugali” del Nord guidati dall’Olanda rispondono picche: Eurobond mai, al massimo un Mes sanitario con condizionalità sospese sino a fine emergenza (all’Italia andrebbero 36-37 miliardi di prestiti). Il premier X rifiuta.

Il 26 marzo, al Consiglio europeo, sei ore di scontro fra i Nove e il fronte del Nord più Merkel, che dice: “Noi preferiamo il Mes, no ai Coronabond”. Il premier X lancia l’idea, perfezionata con Macron, di “titoli europei vincolati alla crisi Covid ed emessi una tantum”: gli “European Recovery Bond”. E avverte: “Nessuno vuole mutualizzare i debiti: ciascun Paese risponderà del proprio e l’Italia ha le carte in regola. Qui servono strumenti innovativi e adeguati a una guerra che dobbiamo combattere tutti insieme. Se qualcuno di voi pensa a meccanismi di protezione personalizzati del passato, non disturbatevi, potete tenerveli: l’Italia non ne ha bisogno”. E farà da sé con gli otto alleati. Merkel: “Il Mes è lo strumento che abbiamo, non capisco perché Giuseppe voglia minarlo”. Premier X: “Angela, tu e non solo tu guardate la realtà di oggi con gli occhiali di dieci anni fa. Il Mes è stato disegnato nella crisi dell’euro per i Paesi che hanno commesso errori”. Macron: “Il Mes serve per gli choc asimmetrici, questa pandemia è uno choc simmetrico. Ci riguarda tutti”. La presidente Bce Christine Lagarde si schiera coi Nove. I nordici chiedono un rinvio senza decidere. Il premier X pone il veto sulle conclusioni finali. E ottiene un nuovo testo che impegna i cinque europresidenti (Commissione, Consiglio, Parlamento, Eurogruppo e Bce) a presentare in 14 giorni un “Recovery Plan adeguato”. Risate e pernacchie sulla stampa italiana, che pressa il premier X perché chieda i 36 miliardi di Mes e lasci perdere la follia del Recovery. Per convincere i popoli dei Paesi più riottosi ad accettare i Coronabond, il premier X si fa intervistare da tv e giornali di tutta Europa.

Il 9 aprile l’Eurogruppo sospende le condizionalità al Mes, ma rinvia al Consiglio la decisione sui bond. Salvini e Meloni accusano il premier X di “alto tradimento” per aver chiesto il Mes di nascosto. Polemiche a non finire perché il premier X risponde che è tutto falso. Il 23 aprile, al Consiglio Ue, il premier X illustra la proposta dei Nove: un “Recovery Fund finanziato con bond comuni”. Von der Leyen l’appoggia e così pure, a sorpresa, Germania e frugali, che però non vogliono sussidi a fondo perduto, ma solo prestiti. Il 18 maggio, mentre l’Italia esce dal lockdown, Macron (per i Nove) e Merkel (per i frugali) propongono alla Commissione un Recovery Fund di 500 miliardi a fondo perduto raccolti con titoli comuni. È la metà di quanto chiedono la Von der Leyen e il premier X. Che dice: “Buona base di partenza, ma l’importo deve salire”. Il 27 maggio la Von der Leyen presenta un Recovery Fund di 750 miliardi (500 a fondo perduto, 250 di prestiti). All’Italia andrebbe la fetta più grossa: 172 miliardi, di cui 81,8 di sussidi e 90,9 da restituire.

Il premier X consulta le parti sociali e la società civile agli “Stati generali” per raccogliere idee sul Recovery Plan, sbeffeggiato dall’intera stampa italiana. Poi, in vista del decisivo Consiglio Ue del 17 luglio, incontra i colleghi Costa, Sánchez, Rutte e Merkel: “Non si scende di un euro sotto i 750 miliardi”. La stampa italiana invoca Draghi e vaticina che il premier X tornerà sconfitto: sia sul potere di veto dei singoli governi sui fondi agli Stati, sia sull’importo del Recovery (500 miliardi al massimo). Soprattutto i giornali di destra. Repubblica: “Ue, l’Italia all’angolo”. Giornale: “Conte Dracula. In Europa rischiamo di restare a secco”. Libero: “L’Ue non ci dà i soldi perché non si fida di Conte. Voi al suo posto cosa fareste?”. Verità: “La Merkel ci concederà poche briciole”. Il Consiglio Ue, anziché due giorni, ne dura quattro e all’alba del 21 luglio, dopo lunghe battaglie diurne e notturne con Rutte e i frugali, il premier X ottiene ciò che voleva: 750 miliardi e nessun potere di veto dei singoli Stati (solo un “freno di emergenza” a maggioranza in caso di inadempienze rispetto ai piani approvati dall’Ue). L’Italia ne avrà 36,5 in più del previsto: 81,4 a fondo perduto e 127,4 in prestito. Ora che ha vinto, il nome del premier X scompare dalle prime pagine italiane, sostituito da Merkel e Macron, mentre la stampa estera lo elogia. Ieri, a Cinecittà, la cerimonia per festeggiare la prima rata in arrivo del Recovery Fund, alla presenza della Von der Leyen e del premier Draghi.

Ps. Dicono gli ornitologi che il cuculo è noto per il “parassitismo di cova”, che consiste nel deporre il proprio uovo nel nido di altri uccelli.

IlFQ

sabato 29 maggio 2021

Recovery Plan, così saranno spesi dall’Italia i primi 25 miliardi. - Dino Pesole

 

Fondi erogati già a fine luglio: la road map dalla giustizia al fisco, dalla pubblica amministrazione alla concorrenza. 

Il fattore tempo gioca in questo caso un ruolo decisivo. E a Bruxelles l’impegno assunto dal presidente del Consiglio Mario Draghi ad approvare entro maggio le nuove norme in materia di governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e sulle semplificazioni viene valutato come la precondizione essenziale per l’erogazione della prima tranche dei fondi del Next Generation Eu.

Passaggio comunque decisivo per dare corpo e sostanza all'intero percorso di riforme e investimenti che vedrà impegnato il nostro Paese da qui al 2026, per un ammontare complessivo di stanziamenti che, se si include anche il fondo complementare da oltre 30 miliardi disposto dal Governo, raggiungerà la cifra di 248 miliardi, l’importo più consistente tra i paesi europei.

La road map

Con il via libera alle misure relative alla governance e alle semplificazioni, di fatto si mette in moto il convoglio. La navigazione si annuncia tutt’altro che agevole, soprattutto quando (e avverrà a breve) si entrerà nel merito delle riforme da presentare in Parlamento e a Bruxelles. Dalla giustizia al fisco, dalla pubblica amministrazione alla concorrenza: tutte materie ad alto potenziale politico/elettorale, che metteranno a dura prova la coalizione allargata a gran parte delle forze politiche, con l’esclusione di Fratelli d’Italia, che sostiene il Governo. La road map a Bruxelles prevede che si parta con la prima emissione di bond da parte della Commissione europea nelle prossime settimane, così da poter inviare agli Stati membri la prima tranche di risorse, sotto forma di un anticipo pari a circa il 13% del totale. Nel caso dell’Italia, si tratta di circa 25 miliardi che saranno erogati probabilmente già a fine luglio.

Le prime riforme attese entro l’autunno

Secondo quanto ha annunciato lo stesso Draghi, entro luglio verrà presentato in Parlamento il disegno di legge delega sulla riforma fiscale che terrà conto dei risultati dell’indagine conoscitiva avviata dalle competenti commissioni di Camera e Senato.
Poi verrà nominata una commissione ad hoc, sul modello di quella che diede avvio nel 1973 alla “grande riforma” del nostro sistema tributario.
L’aspettativa è che dal prossimo anno si possa partire con i primi decreti attuativi, a patto che si riesca a individuare una via di sintesi tra le diverse e divergenti proposte che sono state messe in campo finora all'interno della maggioranza (soprattutto quelle della Lega e del Pd).
La riforma del fisco è fondamentale, anche se non direttamente connessa ai finanziamenti europei. Trattandosi di una riforma strutturale e di sistema, le fonti di finanziamento andranno individuate all'interno del Bilancio dello Stato: quindi si prospetta un mix di risparmi sul versante della spesa corrente, e di maggiori entrate garantite dai proventi della lotta all’evasione e dalla revisione delle cosiddette “tax expenditures”.

Giustizia e amministrazione pubblica in primo piano

Da diversi anni, la Commissione europea nelle raccomandazioni inviate al nostro Paese, ha posto l’accento sull’urgenza di riforme ritenute prioritarie: giustizia e amministrazione pubblica in primo piano.
Nel Pnrr il Governo ammette che nonostante i progressi degli ultimi anni, «permangono ritardi eccessivi». In media sono necessari oltre 500 giorni per concludere un procedimento civile in primo grado, a fronte dei circa 200 in Germania.
L’intenzione è di rivedere l’organizzazione degli uffici giudiziari, semplificare il rito processuale in primo grado e in appello, dare attuazione al processo telematico.
Il Governo intende ridurre «l’inaccettabile arretrato presente nelle aule dei tribunali, e creare i presupposti per evitare che se ne formi di nuovo. L’obiettivo finale è ridurre i tempi dei processi del 40% per il settore civile e almeno del 25% per il penale».

Quanto alla pubblica amministrazione, si punta a intervenire sul fronte delle assunzioni e dei concorsi, mediante una razionalizzazione delle procedure di assunzione e una programmazione degli organici mirata a fornire servizi efficienti a imprese e cittadini. Poi il tema fondamentale della semplificazione del quadro normativo e procedurale e della digitalizzazione, «con investimenti in tecnologia, la creazione di unità dedicate alle semplificazione dei processi e la riorganizzazione degli uffici».
Sul fronte della concorrenza, il Piano punta a intervenire sulle norme «che creano rendite di posizione e incidono negativamente sul benessere dei cittadini».
A questo fine «assume un ruolo cruciale la legge annuale sulla concorrenza prevista nell'ordinamento nazionale dal 2009, ma realizzata solo una volta nel 2017».

Risorse solo con progetti e riforme effettivamente attuati

Il meccanismo del Next Generation Eu prevede che l’erogazione delle tranche semestrali dei fondi sia condizionato al puntuale rispetto del cronoprogramma concordato con Bruxelles. Vi sarà un confronto costante tra i tecnici della Commissione e il ministero dell’Economia, con la regia “a geometria variabile” di Palazzo Chigi.
La garanzia offerta dallo stesso Draghi è fondamentale per rendere credibili gli impegni assunti dal Governo e realizzare le riforme e gli investimenti previsti dal Piano di ripresa e resilienza.
Servirà anche a prevenire possibili obiezioni in corso d’opera sull'effettiva capacità del nostro Paese di tener fede agli impegni assunti, ed evitare che scatti il cosiddetto “freno di emergenza”, in sostanza il meccanismo contenuto nelle linee guida e nel meccanismo stesso del Recovery Fund che può anche condurre alla sospensione momentanea dei fondi.
Altro elemento, anch’esso fondamentale, da non sottovalutare è che dall’esito del Programma italiano dipende in sostanza il destino dell'intero piano europeo da 750 miliardi.

IlSole24Ore - Illustrazione di Giorgio De Marinis 

giovedì 22 aprile 2021

SINDACATI E POLITICA/ Così il Recovery può aiutare l’occupazione in Italia. - Angelo Colombini

 

Ieri c’è stato un incontro tra i sindacati e il Premier riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il Governo sta approntando. 

L’Italia, tra tutti gli Stati membri colpiti dal virus, è il maggior beneficiario degli aiuti inediti che sono stati resi disponibili dall’Unione europea e che arriveranno tramite il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La profondità e l’ampiezza della crisi economica determinata dalle conseguenze della pandemia su occupazione, Pil, attività produttive, entrate fiscali, incremento del deficit e del debito ha comportato un dispiegamento di risorse addirittura maggiori di quelle erogate dal “Piano Marshall” nel dopoguerra. 

In Italia la crisi si è innestata e ha ampliato contraddizioni, fragilità, ineguaglianze e divari propri del nostro sistema “Paese” e si spera che possano essere in parte recuperati intercettando e soprattutto finalizzando gli aiuti del Pnrr. “Finalizzando” perché l’Italia, come capacità di spendere i fondi europei, è nella parte bassa della classifica europea. 

Per questo motivo, data la natura della crisi, i sostegni europei, lo scostamento di bilancio e il Recovery Plan, le risorse devono essere impegnate nel più breve tempo possibile, definendo procedure che facciano superare i burocratismi e gli schemi comuni a cui siamo abituati. Se vogliamo recuperare i ritardi italiani che hanno depresso l’innovazione e gli investimenti, aumentato le diseguaglianze e scaricato il costo prevalente della fiscalità generale sui redditi da lavoro dipendente e sulle pensioni, non possiamo permetterci di sprecare neanche un euro.

Il Pnrr non è la panacea di tutti i mali, ma è una grande opportunità per invertire la tendenza, tornare sulla strada della crescita stabile, disinnescare le oltre 120 crisi aziendali, creare lavoro dignitoso, di qualità e sostenibile, ridurre le disuguaglianze, investire sulle questioni ambientali e di contrasto al cambiamento climatico.

Questa opportunità per diventare tangibile e concreta deve partire dalla verifica delle ricadute economiche e occupazionali, dalla presenza delle parti sociali nella governance ed essere accompagnata dalla costituzione di un patto tra gli attori coinvolti per seguire l’attuazione del piano complessivo – e non dei singoli progetti – e di tutte le riforme, imprescindibili, ad esso connesse, com’è emerso ieri dall’incontro tra i Segretari generali di Cgil, Cisl e Uil e il Premier Draghi.

La ricaduta a valle di quanto previsto nel Pnrr deve andare oltre la semplice informativa, deve essere strutturata, programmata e monitorata dettagliatamente al fine di valutarne l’impatto economico e occupazionale, per raccordarla con le urgenti e necessarie riforme strutturali che riguardano i temi del lavoro e dell’occupazione, della sanità e della Pubblica amministrazione, delle politiche industriali, energetiche e delle infrastrutture, della scuola e della giustizia, del fisco, delle politiche sociali e dell’ambiente.

Per noi della Cisl è importante che venga recuperato, in un cambiamento di questa portata, il confronto e la concertazione con le parti sociali in tutte le fasi del Piano, dalla progettazione, alla realizzazione e infine al monitoraggio, sia dei tempi che di corrispondenza agli indicatori definiti. Ma per fare ciò bisogna andare oltre gli slogan e accantonare le posizioni ideologiche.

Nel corso dell’ultimo anno, e da quando l’Europa ha pensato al Next Generation Eu (Ngeu) abbiamo elaborato proposte, documenti, osservazioni ed emendamenti volti innanzitutto alla tutela, alla salvaguardia e alla valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Per rendere il nostro Paese più vivibile, giusto e innovativo, utilizzando le opportunità e gli strumenti che l’Europa ci mette a disposizione, abbiamo declinato nella nostra azione sindacale a tutti i livelli, da quello internazionale a quello locale, la cosiddetta Giusta Transizione: nessuno deve essere lasciato indietro.

E in questa roadmap verso l’uscita dalla crisi che implica diverse transizioni, tra cui quella energetica, non si può fare a meno dell’utilizzo del gas, nella misura in cui le altre fonti alternative e rinnovabili non sono ancora in grado di rispondere al totale fabbisogno energetico. 

Siamo i primi ad avere coscienza e ad affermare che il lavoro si tutela anche tramite il perseguimento dell’innovazione organizzativa e tecnologica, e chiediamo, ancor di più oggi, che si velocizzino con il massimo impegno le due transizioni gemelle (ecologica e digitale) prevedendo anche, tra gli obiettivi prioritari, un ripensamento del sistema dell’istruzione che sia legato alle emergenti e nuove competenze che accompagni le persone. Solo definendo opportuni percorsi di formazione e riqualificazione professionale, adeguati ammortizzatori sociali, efficaci politiche attive, informazioni trasparenti con il diretto coinvolgimento e partecipazione di tutti, si potrà avere il necessario consenso per raggiungere gli obiettivi di ripresa del Pnrr che non prescindono da quelli di decarbonizzazione e di lotta ai cambiamenti climatici.

IlSussidiario.net

domenica 14 marzo 2021

Recovery plan, le 500 pagine che Conte ha lasciato a Draghi. - Salvatore Cannavò

 

Quando il governo Conte ha iniziato a preparare le schede, in inglese, del Recovery plan da inviare alla Commissione europea non pensava che se ne sarebbe appropriato un nuovo governo. Ma a leggere la maggior parte dei quotidiani sembra che gli autori di queste schede, allegate al Piano nazionale di ricostruzione e resilienza, siano Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco. Le schede formano un documento molto corposo, di 487 pagine, appena consegnato al Parlamento, la cui lettura dimostra che il Pnrr non era quel documento sciatto e trasandato presentato dal coro di sostegno ai vari Renzi e Calenda.

Contiene, invece, nel dettaglio, piani di riforma – a cominciare da Giustizia e Pubblica amministrazione – scadenze ben precise, “timeline” e “milestone” per ognuna delle 48 Linee di intervento previste dal piano. Insomma, tutto tranne che un piano raffazzonato.

“Forse abbiamo commesso un errore di comunicazione”, si ammette a mezza voce in ambienti del precedente governo, forse si è trattato solo di scrupolo tecnico-professionale di chi, mentre selezionava i progetti del Pnrr preparava le “schede” che sarebbero, e saranno, utili ai fini della valutazione della Commissione europea. Per questo direttamente in inglese.

Piani energetici. Come, ad esempio, ha messo in evidenza il Sole 24 Ore, la misura dell’efficientamento energetico viene chiaramente spiegata con il prolungamento del Superbonus al 110% fino alla fine del 2023 e nella timeline si specifica molto dettagliatamente che “il tempo di implementazione dovrebbe essere nel quarto trimestre del 2023, Nello specifico, la misura si applica alle spese sostenute fino al 30 giugno 2022 e fino al 31 dicembre 2022 per gli Iacp. Può essere richiesto ulteriori sei mesi nei casi di lavori eseguiti da condomini e Iacp quando almeno il 60% dei lavori è stato eseguito prima della data di scadenza del provvedimento”. La citazione così dettagliata serve a comprendere che tipo di lavoro era stato fatto.

Missione digitale. Ma è così per quasi tutti i progetti (in alcuni casi le schede sono in bianco quanto a calcoli finanziari o scadenze da rispettare). Per la “Missione digitale” si specificano le spese per gli 8 miliardi per il turismo (voce aggiunta per far contenta Italia viva), oppure si dà conto delle imprese (60 mila l’anno) che entro il 2026 potrebbero acquistare beni strumentali digitali. Si specifica il progetto PagoPa, l’obiettivo di espandere l’accesso tramite Spid all’amministrazione pubblica e la Carta di identità elettronica.

Impatto green. Oltre all’efficienza energetica, nel comparto “green” si spiega nel dettaglio cosa si farà per l’agricoltura sostenibile con il numero, anno per anno, dei contratti di filiera da sottoscrivere nell’ambito della strategia europea Farm to fork e il termine esatto in cui il programma sarà realizzato. Nel caso dell’Alta velocità si dettagliano i nove progetti prioritari (Napoli-Bari, Palermo-Catania, Salerno-Reggio Calabria, Brescia-Verona-Vicenza, Terzo valico, Verona-Brennero, Roma-Pescara, Orte-Falconara, Taranto-Potenza-Battipaglia) con proiezione della spesa nell’arco degli anni. Vengono indicate le riforme da fare, le scadenze e gli impatti ecologici: “In particolare, gli investimenti relativi alla rete ferroviaria Alta velocità e al rafforzamento dei nodi metropolitani e dei principali collegamenti nazionali ha un impatto verde (clima) del 100%, mentre i restanti investimenti ferroviari hanno un impatto verde (clima) pari al 40%”.

Lavoro e Salute. Sulle politiche attive si specifica che lo stanziamento di 3,5 miliardi per attivare il piano Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) e l’assegno di ricollocazione prevede di coprire circa 500 mila lavoratori all’anno. Nel comparto Salute si dettaglia l’intervento di “telemedicina” specificando che ci saranno 575 “centrali di coordinamento”, oltre 50 medici con kit adeguati per assistere poco meno di 300 mila pazienti entro il 2026. Per quanto riguarda l’assistenza di prossimità si punta a realizzare 2.564 “case di comunità” in cui far lavorare medici e infermieri per assistere circa 8 milioni di pazienti “cronici mono-patologici” e 5 milioni con più patologie.

Sono solo accenni di un documento molto rilevante e impossibile da riassumere in uno spazio limitato. Il governo Draghi si trova quindi con una certa dose di lavoro avviato, ora spetta al Parlamento leggere tutti i documenti e fare le sue proposte, e al Mef, dove tutto è incardinato, redigere il piano finale. Ci saranno modifiche, ovviamente, alcuni capitoli saranno riscritti, ma dire come viene fatto costantemente, che solo i “migliori” sono in grado di scrivere un piano per l’Europa significa offendere l’intelligenza di molti.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/14/recovery-plan-le-500-pagine-che-conte-ha-lasciato-a-draghi/6132578/

domenica 7 marzo 2021

McKinsey&C., il ritorno del metodo Draghi. - Carlo Di Foggia

 

Recovery plan - Pd e FdI contro l’incarico ai colossi della consulenza, Orlando chiama Franco. Scenario che ricorda quello visto nella stagione delle privatizzazioni.

L’arruolamento di McKinsey sul Recovery plan imbarazza il governo e il ministero dell’Economia. La notizia che il gigante mondiale della consulenza aiuterà la cabina di regia insediata al Tesoro nel valutare i progetti da inserire nella versione finale del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) ha creato diversi malumori. Fratelli d’Italia, LeU e 5Stelle chiedono chiarimenti e presenteranno interrogazioni parlamentari per chiedere all’esecutivo di riferire alle Camere, ma anche il Pd è molto critico. “La governance del Pnrr è al Tesoro con la stretta collaborazione dei ministeri competenti aveva detto Draghi. Se lo schema è cambiato, va comunicato al Parlamento”, dice l’ex viceministro all’Economia, Antonio Misiani. Stessa linea dell’ex ministro per il Sud, Peppe Provenzano. “Se fosse vero sarebbe abbastanza grave”, dice Francesco Boccia. A quanto risulta al Fatto, il ministro del Lavoro e vicesegretario Pd Andrea Orlando ha chiamato ieri il titolare dell’Economia Daniele Franco per avere chiarimenti sul ruolo del colosso e ha chiesto un incontro quanto prima. Il centrodestra tace.

Nessuno sapeva dell’incarico, anche buona parte della tecnostruttura ministeriale era all’oscuro. Il Tesoro ieri ha spiegato in una nota che gli aspetti decisionali dei progetti restano in capo ai ministeri, ma la società avrà il compito di “elaborare uno studio sui piani nazionali Next Generation già predisposti dagli altri Paesi dell’Ue e fornire un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano”. Un incarico, se possibile, perfino più rilevante. Il contratto è però di 25 mila euro, soglia che non obbliga a fare una gara e nemmeno consultare altri concorrenti.

Lunedì Franco è atteso in audizione alle Camere dove sarà potrà chiarire diversi aspetti. I più critici puntano il dito sui guai del colosso (90 anni di storia, 10 miliardi di fatturato), che negli ultimi tempi è stato coinvolto in diversi scandali, dalla crisi dei farmaci oppioidi negli Usa (ha patteggiato una multa da 400 milioni), agli stretti legami con regimi autoritari come quello saudita di Mohammed bin Salman. McKinsey è stata poi arruolata da Macron per contribuire al piano vaccinale francese. Ma il discorso è più di sistema e riguarda il ruolo dei consulenti privati in una fase decisiva del piano che dovrà spendere 210 miliardi e regolare gli investimenti pubblici dei prossimi sei anni.

Appena insediatosi Draghi ha spiegato che il Pnrr lasciato dal governo Conte sarebbe stato rivisto dalla cabina di regia che coinvolge, tra gli altri, i ministeri della Transizione ecologica e di quella digitale. Il Parlamento sarebbe stato “informato costantemente”, ma le decisioni spettano a questa ristretta task force, supportata dai consulenti privati. McKinsey non è l’unico colosso coinvolto sul piano. Al lavoro ci sono anche i giganti della revisione come Ernest & Young e Pwc e il colosso Accenture, specializzato sul settore digitale (il capitolo vale il 20% dei fondi del Recovery). Molte delle “big four” (Kpmg, Deloitte, E&Y e Pwc) già lavorano con ministeri e Pa con appalti anche milionari. Stessa cosa vale per quelle della consulenza come Boston consulting, il cui managing director, Giuseppe Falco, sedeva nella task force presieduta da Vittorio Colao, oggi ministro della Transizione digitale ma cresciuto proprio in McKinsey, che avrebbe lavorato, insieme alle altre società, anche nella fase di redazione del famoso Piano Colao dell’estate scorsa, un embrione del Pnrr.

Di norma questi colossi lavorano nelle fasi preparatorie su singoli aspetti dei progetti, ora – ed è la vera novità del governo Draghi – vengono coinvolti nella fase più alta e finale delle decisioni, quella che conta. Si tratta di giganti con fatturati a sei zeri, i contratti poco onerosi per pagare i rimborsi spese mostrano che il vantaggio è di posizionamento: lavorare al più importante piano di investimenti pubblici degli ultimi decenni avendo accesso a un grande patrimonio informativo è il vero valore aggiunto di questi incarichi. Anche perché le grandi società lavorano soprattutto con i privati e i progetti vanno poi implementati e coinvolgeranno centinaia di imprese, dai grandi colossi alle Pmi.

D’altra parte l’uso esteso dei consulenti nelle grandi operazioni pubbliche che determinano le linee programmatiche per decenni è un po’ il modello Draghi da sempre, fin dalla grande stagione delle privatizzazioni di inizio anni 90, quando l’ex Bce – uno dei padri ideologici di quella fase – era direttore generale del Tesoro (lo diventa nel 1992 nel governo Ciampi). Un periodo in cui vennero assunti molti colossi in qualità di consulenti (“contractors”) per gestire le cessioni di pezzi dell’apparato industriale italiano, da Autostrade a Tim passando per l’Iri. Stando ai dati della Corte dei conti, per le 48 privatizzazioni direttamente effettuate dal Tesoro tra il 1994 e il 2008, si ricorse a 32 società a vario titolo (Advisor, Valutatore, Global coordinator, Intermediario) per un totale di 163 incarichi. Le operazioni di cessione dell’Iri furono 36, con dozzine di consulenti. Una lista che comprendeva i colossi del settore (Deloitte, Kpmg, E&y), ma anche società specializzate e numerose banche italiane ed estere, compresi i gruppi Usa Rotschild, Morgan Stanley e Goldman Sachs (che poi hanno aperto le porte ai dirigenti del Tesoro, lo stesso Draghi è finito poi in Goldman uscito dal ministero). Complessivamente, lo Stato spese per incarichi ai consulenti 2,2 miliardi di euro, quasi il 2% di quanto incassato dalle privatizzazioni (120 miliardi).

Analizzando i 15 anni di lavoro del “Comitato permanente di consulenza globale e di garanzia per le privatizzazioni”, dove Draghi sedette dal 1993 al 2002, in una corposa relazione la Corte dei conti nel 2012 ha stigmatizzato l’eccessivo ruolo riservato ai consulenti (“una cerchia alquanto ristretta”), accusando il comitato di essersi appiattito troppo sulle loro valutazioni generando spesso procedimenti caotici: “In alcuni dei casi esaminati – scrissero i magistrati contabili – si è avuta la conferma di una tendenza del Comitato ad avvalorare il parere già espresso dai consulenti dell’Amministrazione, finendo con l’assumere un ruolo quasi formale, senza svolgere sempre quella funzione incisiva di indirizzo che il quadro normativo gli attribuisce”.

Vale la pena di ricordare che oggi la partita del Recovery coinvolge le grandi partecipate statali e ammonta a 210 miliardi di euro. Il 2% stavolta varrebbe quattro miliardi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/07/mckinseyc-il-ritorno-del-metodo-draghi/6125004/


domenica 17 gennaio 2021

La balla del Recovery plan “migliorato grazie a Renzi”. - Salvatore Cannavò

 

Le Fake news di Italia viva - Il Piano redatto in segreto col “favore delle tenebre”? C’è stato pure un dibattito parlamentare. Iv ha poi fatto ridurre i soldi per il green.

Tra le scorie del renzismo e dei suoi adepti, una che rischia di rimanere incollata al dibattito pubblico dice che grazie a Italia Viva il piano per il Next Generation Eu sia stato scritto finalmente come si deve. Lo affermava con estrema sicumera Corrado Formigli nel corso di Piazza Pulita su La7, generosamente supportato dal giurista Sabino Cassese e dall’ex direttore di Repubblica, Mario Calabresi. “Ora che Renzi è uscito dal governo, ci saranno le competenze per scrivere un piano come si deve?”, chiedeva il brillante conduttore ai suoi ospiti pronti a ondeggiare il capo sconsolato.

Immaginiamo che degli inetti come Roberto Gualtieri o Enzo Amendola siano disperati per aver perduto il supporto di menti brillanti come Teresa Bellanova o Ivan Scalfarotto. Come faranno a produrre un testo in grado di passare l’esame europeo? Come hanno fatto finora. Nel giorno in cui il Recovery plan arriva alle Camere, smontiamo alcune fantasiose ricostruzioni.

Il Piano è stato scritto “con il favore delle tenebre”, redatto in gran segreto e recapitato ai ministri “alle 2 di notte”.

Abbiamo già ripercorso sul Fatto le tante riunioni preparatorie tenutesi a partire dallo scorso agosto, evidenziando come la scrittura del Piano fosse abbastanza nota a tutti tranne che ai renziani. Il 15 ottobre si è tenuto addirittura un dibattito parlamentare con approvazione delle linee guida e diffusi ringraziamenti al lavoro svolto dal ministri Amendola. Renzi, probabilmente, era distratto.

Le varie bozze circolate sono la prova di una totale impreparazione.

Tra le bozze iniziali e quella finale la differenza è che l’ultima è finalmente redatta organicamente mentre le altre erano, appunto, delle bozze. Il ruolo di Italia Viva, poi, è stato puramente emendativo e si è sommato a quello di Pd e M5S che pure hanno avanzato le loro proposte e le loro richieste.

La Cabina di Regia era un guaio, ma ora chi decide?

La cabina di regia era incardinata su tre ministeri, ma ora il professor Cassese si dice soddisfatto che non ci sia più. Subito dopo, però, lamenta l’assenza di una… cabina di regia. Nel mezzo di una crisi di governo provocata proprio per quello, ci si stupisce che il problema non sia risolto.

“Senza i renziani come farà il governo a scrivere un progetto valido per il Recovery”?

La domanda è davvero ridicola, ma comunque, mettendo a confronto le tabelle sui 52 progetti elencati il 23 dicembre scorso, prima dell’intervento delle teste d’uovo di Renzi (quali poi?) e quelli dell’ultima bozza, ci si accorge che le modifiche sono davvero minime. La maggior parte delle voci ha la stessa denominazione e quasi sempre gli stessi importi. A essere modificato è sicuramente il capitolo Turismo e Cultura, passato da 3,1 miliardi della primissima bozza agli 8 miliardi attuali. Così come è aumentata la dotazione per la Salute, da 9 a 18 miliardi grazie soprattutto allo spostamento di una parte della voce Digitalizzazione (che infatti è diminuita di circa 3,5 miliardi). Si tenga conto che per tenere insieme tutte le esigenze, il governo ha aggiunto ai fondi del Next Generation anche quelli del React Eu e i Fondi europei di Programmazione del bilancio 2021-2026, in questo modo mischiando un po’ le carte.

Renzi ha notevolmente migliorato il Piano europeo.

Renzi ha fatto ridurre la voce Rivoluzione verde e transizione ecologica da 74,3 a 66,59 miliardi dove a pagare sono le partite sull’Efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Ha fatto incrementare la voce Alta velocità ferroviaria di circa 5 miliardi e la voce Istruzione e ricerca con 6 miliardi in più per il Diritto allo studio e 3 miliardi in più alla voce Dalla ricerca all’impresa. Renzi non ha migliorato il Piano, ci ha messo quello che gli interessava di più.

Il Recovery Plan è una delle prove che Conte ha voluto accentrare tutti i poteri.

Sulla cabina di regia abbiamo detto. Dal 4 settembre 2019 a oggi, Conte si è recato alla Camera e al Senato, per comunicazioni e informative o per il question time ben 37 volte, 2,5 al mese. I Dpcm, che costituiscono la prova fumante dei pieni poteri, sono stati emanati in una situazione del tutto inedita di emergenza, e comunque i governi Renzi e Gentiloni ne hanno emanati di più. Ci sono tanti punti su cui si può criticare e attaccare il governo Conte, basta scegliere quelli veri.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/16/la-balla-del-recovery-plan-migliorato-grazie-a-renzi/6067534/

giovedì 31 dicembre 2020

Iv non ottiene nulla sul Recovery Plan: muro contro muro. - Wanda Marra

 

“Conte è stato molto duro, poco aperto al dialogo. Se fa così, si va al muro contro muro”. Subito dopo la conferenza stampa di fine anno del premier, Matteo Renzi commentava così con gli amici. In linea con l’atteggiamento tenuto nelle ultime settimane, il fu Rottamatore non ha intenzione di fermarsi. Se Conte va in Parlamento a chiedere la fiducia senza un accordo con lui, è pronto a votargli contro. “Deve capire che se lo sfiduciamo, non è che poi facciamo il Conte ter”, continua a dire nei colloqui privati. “A quel punto, serve un altro premier”. Il nome che ha fatto trapelare in questi giorni è quello di Mario Draghi: tutto da capire se è una ipotesi reale, o una minaccia. Anche perché ufficialmente dal Colle continuano a dire che non è possibile che la legislatura vada avanti con una terza maggioranza. Renzi ha messo in conto che qualcuno dei suoi parlamentari non lo segua sulla strada della sfiducia, ma si dice convinto che non ci saranno abbastanza “Responsabili” per sostituirli. “Se poi va male e Conte riesce a trovare i numeri senza di noi, faccio l’opposizione”, va dicendo spavaldo. Mentre i suoi parlano anche di “appoggio esterno”. Le urne lui le esclude, nonostante il fatto che nello stato di caos politico generale è una variabile sul tavolo. Ma anche l’idea di uscire dal governo gli piace sulla carta più che nella realtà.

Tanto è vero che continua a ipotizzare che il premier vada da Mattarella, che apra lui la crisi. Che tratti. Per ora, l’altro non sembra intenzionato a farlo.

Ieri pomeriggio c’è stato il tavolo sul Recovery Plan al ministero dell’Economia, coordinato da Roberto Gualtieri e da Enzo Amendola (Affari europei). Il titolare del Tesoro ha presentato una nuova bozza di partenza di 153 pagine, con il dettaglio di come e dove si spende. Molte delle voci che interessavano Renzi restano immutate: 3,5 miliardi vanno alla Cultura, 9 alla Sanità. Così come le spese addizionali cambiano di poco (circa 2 miliardi). E rispunta la Fondazione per la Cybersecurity (contro la quale l’ex premier si è scagliato frontalmente), come Centro di ricerca. Dall’altra parte, sparisce il riferimento alla riforma della prescrizione, messa nel mirino da Iv. Resta ancora una bozza di partenza sulla quale mediare, alla luce delle proposte dei partiti. Ma le premesse confermano il muro contro muro.

Come quelli con Pd e M5S, l’incontro con Iv è durato ore. Il che evidenzia due aspetti in parte contraddittori: la voglia di Iv di condizionare la maggioranza per restarci dentro, ma anche la poca volontà di fare passi indietro sugli aspetti più divisivi. Nella delegazione c’erano Maria Elena Boschi, Ettore Rosato, Davide Faraone, Teresa Bellanova e Elena Bonetti. Agguerritissime soprattutto Boschi e Bellanova. Ma sul tavolo, Iv ha messo con forza il Mes e la riforma della giustizia. Temi divisivi. Tra i punti di Iv c’è persino “il riconoscimento del passato”, a partire dal jobs act.

Tra i momenti più animati, la risposta di Faraone a Gualtieri, che ha spiegato come sia irricevibile la proposta di Iv di usare tutti i prestiti per progetti aggiuntivi: far crescere il debito sarebbe incompatibile, è la linea del governo, con l’obiettivo di rientro che continua ad indicare l’Europa. “Ci mettete dei limiti”, ha risposto Faraone.

Gualtieri, poi, ha cercato di proporre un metodo: arrivare al Cdm previsto intorno all’Epifania con un accordo di massima e poi riaprire un tavolo, magari con gli esperti dei vari partiti. “No, dobbiamo arrivare a un accordo politico”, si è sentito rispondere. E dunque, si profila una riunione di maggioranza di inizio anno, magari il 2 gennaio. Dal Mef alla fine parlano di “incontro positivo”. Ma Iv continua imperterrita ad attaccare: “Ci separa un abisso, non saremo complici”.

Il Pd non sembra trovare troppo produttiva la linea di Conte del “muro contro muro”. Intanto, continuano i dialoghi sotto traccia con Renzi, per cercare una soluzione. Ma il ritiro delle ministre potrebbe esserci già nel Cdm sul Recovery.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/31/iv-non-ottiene-nulla-sul-recovery-plan-muro-contro-muro/6052041/

lunedì 21 dicembre 2020

Recovery Plan, Conte convoca i giallorosa e Iv già protesta. - pa.za.

 

Il vicesegretario del Pd Andrea Orlando aveva lanciato l’avvertimento, ieri pomeriggio via Facebook. Separare le trattative di governo dalla discussione sul Recovery: “Isoliamo questo tema e decidiamo, subito”. Perché il rischio, per dirla tutta, è che il piano che può portare in Italia i 209 miliardi del programma europeo Next Generation finisca travolto dalla bega interna con Italia Viva. Che sembra davvero intenzionata a far precipitare tutto, a voler prendere sul serio le dichiarazioni con cui ieri Ettore Rosato ha sostenuto che “ad oggi non c’è più la fiducia tra la maggioranza e il premier”. Gli hanno risposto in tanti, a cominciare dal Pd che con Michele Bordo, vicecapogruppo alla Camera, invita Rosato a parlare “a nome di Italia Viva, che rappresenta il 2 per cento degli italiani”. E si è scomodato pure il ministro della Giustizia, capodelegazione dei 5 Stelle al governo, Alfonso Bonafede: “Chi ha in mente altre soluzioni, che avrebbero pesanti ripercussioni in primo luogo economiche, se ne assuma la responsabilità. Anzi, l’irresponsabilità”. Segno che la misura è colma. È che il “bombardamento quotidiano” dei renziani è un fatto che sta logorando i nervi di palazzo Chigi. Così, ieri sera, Giuseppe Conte ha annunciato di voler dar seguito all’appello di Orlando. E già oggi riprenderà la discussione sul Recovery Plan, bruscamente interrotta ormai due settimane fa, quando Renzi e i suoi, le bombe, hanno cominciato a tirarle. Dunque si avvia “il confronto con le singole forze di maggioranza per aggiornare i lavori di preparazione del Recovery plan”. Alle 15.30 Conte, insieme ai ministri Amendola e Gualtieri, vedrà la delegazione dei 5 Stelle, mentre alle 19 sarà la volta del Pd. Martedì tocca invece a Leu e Italia Viva. Che già fa sapere: “A noi nessuno ha detto niente. Se il cambio di metodo che chiedevamo è che dobbiamo apprendere la convocazione delle riunioni dagli sms di Casalino alle agenzie significa che a Chigi non hanno capito cosa stanno rischiando”. Buon Natale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/21/recovery-plan-conte-convoca-i-giallorosa-e-iv-gia-protesta/6043634/

lunedì 14 dicembre 2020

Conte, task force mai sovrapposta ai passaggi istituzionali. Via alla verifica di governo, convocate delegazioni M5S e Pd.

 

Il premier: "Il virus non conosce confini". Gentiloni: "Nessun ritardo sul Recovery Fund. I primi fondi in tarda primavera-estate".

E' in corso il vertice tra il premier Giuseppe Conte, i ministri Boccia, Lamorgese, D'Incà, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Fraccaro, i capidelegazione di maggioranza e il Comitato tecnico scientifico per valutare un'ulteriore stretta sulle restrizioni nel periodo natalizio.

"Nel 2020 la sfida che abbiamo di fronte non è solo quella di liberare le potenzialità inespresse dell'Italia. In primo luogo dobbiamo serrare i ranghi, per battere il nemico.

E serve una solida cooperazione interazionale. Il virus non conosce confini ma attraversa barriere". Lo dice il premier Giuseppe Conte nel corso del Rome Investment Forum. 

"Il governo è al lavoro per definire compiutamente la struttura per il monitoraggio e l'attuazione" del Recovery Plan " e che potrà avvalersi anche di un quadro normativo ad hoc. Questa struttura in nessun caso sarà sovraordinata o sovrapposta ai doverosi passaggi istituzionali. Molti dei progetti del piano avranno successo solo innescando sinergie tra pubblico e privato", aggiunge Conte.

Comincerà oggi, a quanto si apprende, la verifica di governo da parte del premier Giuseppe Conte. La prima delegazione ad incontrare il capo dell'esecutivo sarà, alle 16:30, quella del M5S e sarà presente anche l'ex capo politico Luigi Di Maio. La delegazione dovrebbe essere inoltre composta dai capigruppo Ettore Licheri e Davide Crippa, dal capo politico Vito Crimi e dal capodelegazione Alfonso Bonafede. Alle 19 toccherà al Pd. Domani alle 13 sarà a volta del leader di Italia Viva, Matteo Renzi per l'incontro con il premier, insieme alla delegazione, a Palazzo Chigi. 

Gentiloni, i primi fondi in tarda primavera-estate - "L'idea iniziale era quella di avere una prima approvazione del piano" e quindi "la possibilità di erogare il prefinanziamento del 10%, circa 20 miliardi per l'Italia", nella "tarda primavera: la decisione finale" sul Next Generation Eu "è arrivata la scorsa settimana, i tempi saranno quelli della tarda primavera o inizio estate". Così il commissario Ue Paolo Gentiloni al Rome Investment forum 2020 della Febaf. "Si sta discutendo, spero la discussione si chiuda stasera, perché il Parlamento richiede di alzare il 10% vedremo dove si arriverà".

Sul Recovery Fund "nessuno è in ritardo in questo momento", ha detto Gentiloni precisando che "eravamo leggermente in ritardo per l'approvazione finale ma ora abbiamo ricevuto una bozza di progetto dagli stati membri e a gennaio sono sicuro che riceveremo da ogni stato membro la bozza e poi la versione definitiva".

(foto: Il premier Giuseppe Conte. ANSA /Ufficio stampa Palazzo Chigi)

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/12/14/covid-conte-serrare-ranghi-e-cooperazione-per-batterlo_87e234d7-1cba-41ad-af88-81d71987c3f9.html

Sassoli smentisce Pd e Iv: “In tutti i paesi Ue task force Recovery”. - Wanda Marra

 

I dem, spaventati dalla crisi, fanno retromarcia su rimpasto e cabina di regia. Di Maio: “Discutere il premier fuori dal mondo”. Renzi isolato.

“La parola crisi mette paura in Europa, bisognerebbe accostarcisi con un po’ di pudore e prudenza perché può dare la sensazione di un paese che mette meno a fuoco i propri obiettivi”. David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, ripete a In mezz’ora in più da Lucia Annunziata, quello che va dicendo da un paio di giorni. “Dobbiamo avere paura della crisi, non assecondarla”. È netto Sassoli. A Bruxelles la preoccupazione di una crisi di governo in Italia, mentre parte il processo del Recovery Fund, aumenta.

Sarà magari anche per questo, ma la giornata di ieri fa registrare toni più bassi. A partire proprio dal Pd. In un primo momento Nicola Zingaretti ha mandato avanti Matteo Renzi. Poi al Nazareno hanno capito che c’è il rischio di una crisi “al buio”. E così correggono il tiro. Con lo stesso segretario che avverte: “Il governo ha bisogno di un rilancio ma il rimpasto adesso non è prioritario”. E Goffredo Bettini che condanna le “opache manovre” perché “se cade il governo si vota”.

Nel frattempo, a Palazzo Chigi si preparano alla “verifica”. Il premier vuole guidare il processo. E dunque sta mettendo a punto un’agenda di incontri con le delegazioni dei partiti e poi con i loro leader, che dovrebbero partire già oggi.

Le trattative sotto traccia, a partire proprio dalla gestione delle risorse europee, vanno avanti. Afferma Bettini: “Conte ha confermato che la bozza del piano di ripresa e resilienza è una bozza aperta”. Come dire, il Pd ha tutte le intenzioni di frenare quella che i dem definiscono la voglia di “accentramento” di Conte. E così oggi ci sarà un seminario di tutto il partito, proprio per discutere del Recovery Plan. Sul tavolo, c’è qualche modifica (anche se l’impianto resta lo stesso) al piano in se stesso. E soprattutto la struttura di governance: azzerarla, come vorrebbe Renzi, per il Pd non è possibile. L’idea è quella di lavorare sulla task force, sia delimitando i poteri sostitutivi e derogatori dei manager, sia dando un ruolo chiaro ai ministeri. A lavorare sul piano e sulla struttura di governance sono in questi giorni però tutti i partiti, M5s compreso. In discussione c’è il “come” non il “sé”. E’ ancora Sassoli a chiarire: “La lite sulla cabina di regia per il Recovery plan? Ce l’avranno tutti. Il riferimento è il governo. Ma l’Italia ha 209 miliardi e vanno amministrati: come fai a farlo se non hai una regia? Serve un coordinamento che aiuti la macchina”. Affonda: “Io sento che le indicazioni date da Conte possono essere contestate, migliorate, però certamente servirà un aiuto al governo”. Da notare che sabato anche Paolo Gentiloni (anche lui un big del Pd con un ruolo di primo piano in Europa, Commissario agli Affari Economici) ci aveva tenuto a mettere l’attenzione sulle “procedure” e cioè sull’”attuazione” del piano: “Più che sui nomi, sulle task force, ragionerei sulle procedure. I piani vanno attuati perché poi ogni sei mesi deve arrivare un bonifico da Bruxelles. Per questo deve esserci una corsia preferenziale”. Un altro tema, quello di una normativa ad hoc (di cui aveva parlato lo stesso premier un paio di mesi fa), che entrerà nella discussione.

Politicamente, il Pd passa alla fase successiva dell’attacco al premier: non è in discussione il suo ruolo tout court, ma i dem vogliono pesare di più. Nella stessa dinamica si inserisce la richiesta di misure anti Covid più restrittive, dopo le immagini di assembramento ieri nelle vie dello shopping delle grandi città. Ma intanto anche Anche Maria Elena Boschi (sempre negli studi della Annunziata) fa un relativo passo indietro: “Non vogliamo nessuna crisi. L’argomento rimpasto è chiuso. La priorità è usare bene i fondi europei e allo stesso tempo coinvolgerci”. Ma poi fa cadere lì l’avvertimento neanche tanto velato: “Se c’è crisi, non credo che andremo al voto. M5S ha un problema non solo per il secondo mandato ma anche perché tanti di loro non tornerebbero in Parlamento”. Come dire: un’altra maggioranza la troviamo. Va detto pure che Luigi Di Maio, corteggiato dai renziani come eventuale premier al posto di Conte, e considerato uno dei principali “congiurati contro di lui, smentisce categoricamente via Tweet: “Ancora fake news su di me, evidentemente qualcuno semina zizzania, quindi voglio essere chiaro: è fuori dal mondo mettere in discussione Giuseppe Conte. Se poi ci sono differenze di vedute, si risolvono da persone adulte, ma basta falsità!”.

Si riparte dalla verifica e dalla parlamentarizzazione del percorso del Recovery. Esiti, comunque, imprevedibili.

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