Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 4 giugno 2025
E' giusto che si sappia...
venerdì 29 luglio 2022
Sla. Nuova luce su uno dei meccanismi alla base della malattia. Lo Studio dell'Università di Firenze.
Pubblicata su Science Advances la ricerca internazionale guidata dall’Università di Firenze in collaborazione l’Università di Genova e confinaziata da AriSLA e CR Firenze. Classificati e quantificati i depositi della proteina (TDP-43) che, in modo anomalo, si sposta fuori del nucleo dei motoneuroni, le cellule nervose che dal cervello trasmettono lo stimolo ai muscoli per la loro attivazione. La ricerca apre prospettive su possibili bersagli farmacologici per combattere la Sla.
28 LUG -Nuovi risultati dagli studi in laboratorio su uno dei meccanismi alla base della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Si è giunti alla classificazione e quantificazione esatta dei depositi di una precisa proteina (TDP-43) che, in modo anomalo, si sposta fuori del nucleo dei motoneuroni, le cellule nervose che dal cervello trasmettono lo stimolo ai muscoli per la loro attivazione.
È il risultato della ricerca pubblicata su Science Advances e guidata da un team di biochimici dell’Università di Firenze, in collaborazione con un gruppo dell’Università di Genova [“A quantitative biology approach correlates neuronal toxicity with the largest inclusions of TDP-43”]. La ricerca è stata cofinanziata da Fondazione AriSLA, ente non profit che finanzia gli studi su questa patologia, e con fondi del Bando Fondazione CR Firenze – Università di Firenze sulle malattie neurodegenerative.
“Abbiamo riprodotto in laboratorio il meccanismo patogenetico che riguarda i motoneuroni: le ricerche sulla SLA – spiega il coordinatore dello studio Fabrizio Chiti, ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche dell’Ateneo fiorentino – ci dicono che nella grande maggioranza dei casi la proteina TDP-43, che svolge la propria funzione nei nuclei delle cellule, si deposita in forma di inclusioni al di fuori del nucleo dei motoneuroni, nel citoplasma delle loro cellule. Ciò comporta due conseguenze negative: viene a mancare la proteina funzionale nel nucleo e queste inclusioni proteiche si accumulano nel citoplasma con azione nociva. La conseguenza è che il paziente con SLA non riesce a muovere i propri muscoli a causa del malfunzionamento dei motoneuroni”.
“Riproducendo questo meccanismo in cellule in coltura simili ai motoneuroni, grazie alla microscopia confocale STED (Stimulated emission depletion) e alla sua alta risoluzione – spiegano le ricercatrici Roberta Cascella e Alessandra Bigi, entrambe prime autrici del lavoro – abbiamo isolato e contato nel tempo una per una le inclusioni di TDP-43 attribuendole a classi in base alla dimensione. Attraverso un modello matematico e un’analisi di global fitting che include tutti gli andamenti temporali osservati per le varie classi, è stata descritta la formazione nel tempo di tutte le classi di inclusioni, identificando le inclusioni maggiormente responsabili della malattia”.
“E queste sono risultate essere quelle di grandi dimensioni, a differenza di quanto succede nella maggior parte delle malattie neurodegenerative”, sottolinea Cristina Cecchi, componente del team fiorentino.
“Si è scoperto anche che per la degenerazione dei motoneuroni giocano un ruolo la perdita di proteina nel nucleo per il 60% circa, e, per il 40% circa l’accumulo nel citoplasma di TDP-43”, continua Fabrizio Chiti.
Lo studio ha permesso inoltre di capire che le inclusioni più grandi sono “attaccate” dai sistemi protettivi di controllo di qualità presenti all’interno delle nostre cellule (proteasoma e autofagia), che tuttavia non riescono a eliminarle del tutto e a risolvere completamente il problema.
Il lavoro è stato eseguito con la collaborazione del gruppo di Katia Cortese all’Università di Genova. Vi hanno partecipato anche gli studenti in tirocinio a Firenze Dylan Giorgino Riffert ed Emilio Ermini.
La ricerca apre interessanti prospettive su possibili bersagli farmacologici per combattere la SLA, malattia altamente debilitante di cui si stimano affetti 6mila pazienti all’anno solo in Italia, soprattutto fra i 40 e i 70 anni di età (fonte AISLA).
“Siamo molto felici degli esiti di questo studio da noi supportato – commenta il Presidente di Fondazione AriSLA Mario Melazzini – perché ci confermano quanto sia importante investire in ricerca di base per comprendere al meglio i meccanismi scatenanti la malattia e per potere costruire risposte mirate alle manifestazioni cliniche della SLA. Il nostro impegno è continuare a sostenere il prezioso lavoro dei ricercatori e contribuire insieme a loro a compiere nuovi passi in avanti”.
“Risultati come questo – afferma Gabriele Gori, Direttore Generale di Fondazione CR Firenze – accendono un riflettore sull’importanza di investire nella ricerca. Fondazione CR Firenze sostiene le carriere dei ricercatori con circa 120 assegni/borse di ricerca ogni anno e grazie a bandi specifici, in questo caso quello sulla malattie neurodegenerative finanziato per due annualità e per un totale di un milione di euro, contribuisce a sviluppare nuovi studi o realizzare infrastrutture di ricerca innovative. I nostri complimenti al team che ha aggiunto un tassello importante per comprendere una delle patologie neurodegenerative più complesse e invalidanti”.
domenica 6 febbraio 2022
Università, radiografia del sistema dei baroni. “Presa Diretta” riparte dai concorsi truccati. Iacona: “La lobby dei prof si oppone a riforme”. - Thomas Mackinson
L'INTERVISTA - Da lunedì 7 febbraio su Rai3 riparte il programma d'inchiesta condotto da Riccardo Iacona che dopo 13 anni torna a varcare i portoni delle università e li trova infestati dalla piaga dei concorsi pilotati. "La pandemia per un verso e le sfide del Pnrr per l’altro ci dicono che la partita si gioca sulle competenze date dall’alta formazione. Richiedono ricerca, capacità, etica. Ma la Scienza in Italia sembra contare solo a parole". Poi la Rai, la libertà di informazione nel servizio pubblico. Ecco cosa vedremo nella nuova stagione.
Concorsi truccati, la campanella suona per tutti. Un’ora e mezza in tv, in prima serata. Non era mai successo. Lunedì prossimo parte la13esima edizione di “Presa Diretta” su Rai3 e lo fa aprendo la stagione con una puntata che indaga a fondo il male endemico dell’università italiana: la piaga dei concorsi accademici truccati e delle baronie. Riccardo Iacona ha deciso di trattare in prima persona il nodo del sistema di assegnazione delle cattedre con un reportage ampio, che dalla Sicilia passa per Firenze e arriva a Tor Vergata, sulla scia di tre clamorose inchieste della magistratura. Un viaggio nel “cuore malato” del sistema di selezione dei docenti, con una valigia di documenti d’indagine, testimonianze e intercettazioni e una domanda sul taccuino che interroga tutto il Paese: l’Italia deve rassegnarsi al fatto che i “migliori” siano selezionati così, con sistematica devianza da merito e competenza, e che il sistema universitario smetta di essere la fabbrica della conoscenza e delle competenze? Spoiler: la risposta, come spesso accade, si trova purtroppo, ancora e sempre fuori dall’Italia. Iacona, classe 1956, da 35 in Viale Mazzini (con parentesi da editto bulgaro), ha voluto condurre personalmente l’inchiesta che apre la nuova stagione, tornando sul “luogo del delitto” e mettendo il coltello nella piaga.
Perché hai deciso di ripartire da qui?
Da “ragazzino”, ormai si può dire, avevo fatto “Viva la ricerca”. Fu trasmesso nel 2009 in prima serata e portò alla ribalta nazionale il tema delle scarse risorse che stavano portando all’asfissia un settore così strategico per l’innovazione ed elevazione del Paese nella competizione globale. A distanza di 13 anni ho intrapreso questo nuovo viaggio tra i “concorsi pilotati”, altro grande male dell’alta formazione, certificato negli ultimi cinque-sei anni da una serie impressionante di inchieste della magistratura. L’ambizione è andare oltre la cronaca, per indagare il nocciolo di questo fenomeno.
Che effetto ti han fatto?
Molta impressione, davvero. Non ti aspetteresti mai che la Digos debba entrare in una alta accademia come l’università di Catania e di scoprire le cose che racconteremo in prima serata lunedì sera. Mi ha molto colpito constatare che ogni volta che le Procure mettono l’occhio o le microspie scoprono che le procedure di reclutamento sono illegali, che le persone entrano o vanno avanti non tanto per il merito ma per l’appartenenza. I nostri giovani non possono far altro che subire o replicare a loro volta questi meccanismi, in alternativa lasciare l’Italia. E magari sono proprio i migliori.
Dei baroni però si parla da anni, perché infilare ora il dito nella piaga?
Perché la pandemia per un verso e le sfide del Pnrr per l’altro ci dicono che la partita si gioca sulle competenze date dall’alta formazione che richiedono ricerca, capacità, etica. E’ nelle università che si forma la classe dirigente che può fare scelte di salute pubblica, mettere mano a buoni progetti, spendere bene le risorse. Ma se nei luoghi a questo deputati i docenti sono scelti con meccanismi di mera cooptazione la sfida si perde in partenza. Sentirete un procuratore che definisce quel sistema “mafioso”. Se ti metti contro, se fai ricorso, ti isolano col bollo dell’infamia. Ma parte del problema è che queste cose quasi non fanno più scandalo.
La politica che responsabilità ha avuto?
Molte, ha chiuso gli occhi per anni sulla riduzione dei fondi per la ricerca. Poi ha trattato l’università come marginale, favorendone così l’autoreferenzialità e lasciando che tutto il sistema di reclutamento si adagiasse su una legalità che è solo apparente: ad ogni concorso devi costruire una commissione nazionale, col costo che ha, che lavora per confermare una scelta già fatta a monte, senza una reale comparazione. Del resto, basta parlare coi protagonisti che hanno vissuto soprusi terribili per rendersi conto della violenza di questo sistema di cooptazione tribale vestito da concorso. Ma la politica spesso non ascolta.
E che cosa può fare?
Abbiamo intervistato la ministra, che è ben consapevole che questo meccanismo di selezione fallisce proprio nello scopo per cui è stato costruito, quello di premiare i migliori anziché pupilli e raccomandati. Lei mette in campo alcune soluzioni tecniche che sono anche dure e quasi rivoluzionarie, ad esempio cancellare l’articolo 24 che consente di bandire concorsi solo per candidati interni.
Ma se ne parla poco. Ci sono resistenze?
Nel Milleproroghe diversi parlamentari vogliono perpetuare quel sistema, perché c’è una “lobby dei professori” anche in Parlamento. Il concorso interno si chiama così ma nella pratica conferisce potere di nomina che hai nelle mani: se glielo togli non puoi più accomodare le persone che hai deciso di portare avanti. Altra cosa è l’abolizione del concorso per l’abilitazione nazionale della Gelmini, altra proposta della ministra che toglierebbe agli ordinari nazionali delle singole discipline il potere di decidere chi deve fare carriera e chi no.
E allora chi deve mettere mano al problema dei concorsi?
L’università da sola non lo può risolvere, perché è complice. E’ una partita troppo importante per lasciarla in mano solo a chi ci lavora. Andrebbe messa su un “”tavolo in cui c’è la magistratura, la politica, la società civile per uscire fuori dal ghetto dell’agenda politica dove sta l’università e tirarla su. La nostra ambizione è di dare un contributo di conoscenza che favorisca questa consapevolezza nel Paese, non per nulla lo approfondiamo per 90 minuti in prima serata, senza accontentarci di fare la cronaca giudiziaria ma afferrandone la complessità.
Clima impazzito, la nuova Guerra Fredda tra Usa e Cina, criminalità digitale. Tra le inchieste della nuova stagione c’è anche “Amore bestiale”, tutta sugli animali domestici. E’ una scelta bizzarra per un programma d’inchiesta.
In effetti è un tema che in tv viene trattato come servizio di coda, noi invece faremo una puntata visionaria che mi piace molto. Presa Diretta è l’unico programma della tv italiana privata e pubblica generalista che tutte le settimane propone un monografico che ha l’aspirazione di raccontare per 90 minuti un fenomeno senza fare il “magazine”. Tutte le cose che scegliamo hanno la larghezza narrativa giusta per andare a fondo.
E cosa vedremo?
E’ una puntata che merita 90 minuti. Racconta una trasformazione antropologica di cui ci rendiamo conto quando andiamo in giro per strada: ci sono più cani e gatti che figli. Gente che parla ai cani come agli umani. E poi ci accorgiamo di quanto pesi l’industria che ci gira attorno, comprese le onoranze funebri per cani e gatti, i gelati per loro. C’è un mondo che vive attorno ai nostri amici. E ti domandi cosa è successo. Solo facendo i monografici riesci in qualche modo a mettere l’occhio nel medio futuro, nel mondo che sarà. E sarà un mondo dove animali di ogni genere e grado rispondono a un bisogno di cura che in realtà è nostro. Nasce iscritto nel Dna per i figli, ma si sta spostando sui cani. Sullo sfondo, il declino demografico. Un puntata visionaria, secondo me.
A proposito di visioni. Sì è visto Berlusconi nei panni del candidato al Colle: come sta oggi il rapporto tra politica, Rai e giornalismo?
Tra politica e giornalismo d’inchiesta c’è un fisiologico corpo-a-corpo ed è anche giusto così. Succede in tutto il mondo. I giornalisti portano avanti il loro racconto, la politica deve tenerne conto, l’opinione pubblica è in mezzo e apprende cose che non sapeva. Direi che ora anche in Italia c’è più di uno spazio all’interno della Rai per raccontare in maniera indipendente la realtà e quello che ci circonda.
Dunque è chiusa la stagione degli editti?
Diciamo che in Italia ci sono precedenti pericolosi di cui tenere conto. Non si era mai visto in Europa un presidente del Consiglio che dalla Bulgaria fa un editto contro i conduttori sgraditi e trovi orecchie pronte nell’azienda pubblica per chiudere programmi di grande successo, come erano quelli di Biagi, Luttazzi e Santoro. Chiaro che quella vicenda ha lasciato un segno, ma non è più il tempo in cui l’occupazione politica della Rai da parte degli uomini di dell’ex premier era persino militare, l’epoca dei palinsesti studiati a tavolino con la concorrenza.
C’è più spazio per l’approfondimento giornalistico?
Il sistema della televisione nel suo complesso resta bloccato: c’è un conflitto di interessi ancora molto potente, un mondo privato consistente in mano sempre all’ex presidente del Consiglio. Ma nel frattempo ci siamo ripresi i nostri spazi di libertà, parliamo direttamente al nostro pubblico. E se facciamo un buon lavoro, ci ascolta anche il cosiddetto “mondo della politica”.
L’antidoto all’interferenza?
Fare un buon lavoro. Ci hanno consegnato una prima serata, possiamo fare 90 minuti di racconto. Li vogliamo fare bene e fare in modo che le persone che li vedono siano più ricche, proprio come succede a noi ogni volta che affrontiamo un argomento. Non raccontiamo le cose che già sappiamo o pensiamo siano così per un pregiudizio ideologico o politico. Noi ci buttiamo nel mare del racconto, anche quando è in tempesta, in maniera libera, dai diversi punti di vista. La fontana della libertà resta aperta se racconti in maniera onesta quel che ci sta accadendo nella sua complessità. Il resto non serve a nulla, sono fumetti, non approfondimento giornalistico.
venerdì 27 agosto 2021
Università: un miliardo del Pnrr in regalo ai privati. - Alessandro Bonetti
La soluzione sul modello dell’housing sociale.
Perdersi nelle centinaia di pagine del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e dei suoi allegati è molto facile e molte scelte del governo, pur assai rilevanti, rischiano di finire in secondo piano nel dibattito pubblico: è passata quasi inosservata, ad esempio, la riforma degli alloggi per gli studenti universitari e invece siamo, di fatto, di fronte a un vero e proprio regalo agli immobiliaristi.
Prima, però, facciamo un passo indietro. Il Covid ha costretto molti cosiddetti “fuorisede” ad abbandonare la città dove studiavano e ancora oggi le incognite restano tante. Certo, il prezzo degli affitti sembra essere leggermente sceso (-2,5%), ma sul ritorno in presenza delle lezioni pesa la mancanza di un’organizzazione condivisa e ben ragionata. Le criticità emerse con la pandemia si sono innestate su problemi strutturali, come i ritardi nell’assegnazione dei posti letto e le disomogeneità fra regioni. La scarsità degli alloggi disponibili fa sì che negli studentati viva solo il 5% degli universitari italiani, contro una media europea del 17% (dati Eurostudent).
In questo contesto di disagio, la versione definitiva del Pnrr prevede lo stanziamento di 960 milioni di euro per la residenzialità studentesca. L’obiettivo? Portare i posti per gli studenti fuorisede dagli attuali 40 mila a oltre 100 mila entro il 2026.
Come raggiungere questo traguardo? Eccoci giunti al punto cruciale: la revisione della legge 338/2000 e del decreto legislativo 68/2012 sulla realizzazione degli alloggi studenteschi. La riforma prevede “l’apertura della partecipazione al finanziamento anche a investitori privati, o partenariati pubblico-privati” e una lunga serie di altre concessioni ai signori del mattone.
Innanzitutto il governo sosterrà la “sostenibilità degli investimenti privati” con un regime di tassazione agevolato (“simile a quello applicato per l’edilizia sociale”). Poi, i nuovi alloggi potranno essere utilizzati dai gestori in modo “flessibile”. In altre parole, quando non serviranno a ospitare studenti, potranno essere affittati a terzi. Non solo: saranno ammorbiditi anche i requisiti sugli spazi comuni minimi. In cambio, i gestori dovranno soltanto provvedere a camere singole “meglio attrezzate”.
Infine, la ciliegina sulla torta. Il ministero dell’Università e della Ricerca coprirà in anticipo (!) ai privati gli “oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture”. In sintesi, il governo riempirà generosamente di soldi pubblici le tasche dei costruttori privati, nella speranza che ciò possa triplicare gli alloggi studenteschi disponibili in Italia. Questa misura, che il Pnrr definisce una “architettura innovativa e originale”, nel migliore dei casi sarà un pasto gratis per gli immobiliaristi. Nel peggiore, non scalfirà il problema dei posti letto. In ogni caso, il percorso legislativo è stato avviato, dato che alcune delle modifiche previste dal Pnrr sono già state inserite nel recente decreto Semplificazioni.
Fra i diretti interessati (ossia gli studenti) inizia a serpeggiare qualche malumore. Giovanni Sotgiu, coordinatore dell’Unione degli Universitari, dice al Fatto: “L’intervento previsto nel Pnrr per aumentare i posti letto nelle residenze universitarie va nella direzione giusta, ma è sicuramente ancora insufficiente se si guarda al numero totale di immatricolazioni e lo si rapporta alla percentuale di beneficiari di posti letto”. Per Sotgiu l’aumento della soglia di cofinanziamento statale è positivo, ma “è necessario che i fondi raddoppino e si lavori sugli standard di qualità degli alloggi, oltre che sul numero”.
Non sono solo queste le preoccupazioni degli universitari. Sotgiu sottolinea che “la possibilità di cofinanziamento da parte dei privati, in un ambito determinante per l’accesso all’università pubblica di tante studentesse e tanti studenti, rischia di conferire una discrezionalità sui criteri di accesso alle residenze – come è già accaduto a Venezia – che può facilmente rivelarsi limitante ed escludente, ampliando le già note disuguaglianze territoriali”. Che fare, allora? “Stato e Regioni dovrebbero stanziare la quantità di finanziamenti sufficienti a coprire in toto il fabbisogno di posti alloggio, così da non dover subordinare i criteri di accesso agli interessi dei privati”.
Non c’è da nascondersi dietro un dito: la torta degli affitti studenteschi fa gola a molti. Nel settore alcuni si stanno già muovendo. Un esempio? Dopo i Giochi di Milano-Cortina del 2026, il villaggio olimpico diventerà in parte uno studentato, di cui si occuperà la Coima sgr dello sviluppatore Manfredi Catella, che gestisce 27 fondi immobiliari e vale 8,4 miliardi di euro di investimenti.
Invece di realizzare un massiccio piano di residenzialità pubblica, nel Pnrr si è insomma deciso di supportare (e garantire) gli investimenti privati. Il diritto allo studio, così, rischia di passare in secondo piano. Su un punto cruciale della vita universitaria, che avrà un impatto su migliaia di giovani, il governo sembra aver rinunciato a intervenire con decisione e coraggio.
ILFQ
venerdì 3 aprile 2020
Coronavirus, il vaccino è un cerotto. - Giuliana Aluffi

Il gruppo dell'Università di Pittsburgh è lo stesso che ha messo a punto il vaccino per la Sars. Tra loro, l'italiano Andrea Gambotto, che abbiamo intervistato. "Sui topi funziona, la Fda ci autorizzi a passare all'uomo". In 5 mesi si potrebbe cominciare la produzione.
Una piccola puntura - anzi, 400 micropunture erogate da sottilissimi aghetti disposti su un cerotto largo 1,5 centimetri - sul braccio o sulla spalla, e l'immunità al virus SARS-CoV-2 può svilupparsi entro due settimane, per raggiungere entro altre 3-4 settimane un livello di anticorpi sufficiente a contrastare in modo decisivo il virus. È questo il vaccino sperimentale - "PittCoVacc", il primo descritto in uno studio peer-reviewed - sviluppato da ricercatori della School of Medicine dell'Università di Pittsburgh, centro di eccellenza nella lotta alle malattie emergenti. I ricercatori - tra cui l'italiano Andrea Gambotto e Louis Falo di UPMC (University of Pittsburgh Medical Center) - sono gli stessi che nel 2003 hanno realizzato il primo vaccino in assoluto contro un coronavirus emergente (in quel caso si trattava della SARS, e quel vaccino non fece in tempo ad essere sperimentato sull'uomo perché la SARS si eclissò da sola) e hanno poi studiato nel 2014 un vaccino per un altro coronavirus, la MERS.
La stessa proteina chiave per Sars e per l'attuale Coronavirus.
"Con la SARS già nel 2003 avevamo identificato la proteina chiave che dobbiamo usare come target anche per il nuovo SARS-Cov-2: la proteina "spike", ovvero quella che forma le punte (in realtà più simili a minuscoli ombrelli) di cui è composta la corona del virione e che serve al virus per entrare nelle cellule legandosi ai loro recettori. La proteina "spike" è una specie di chiave che il virus usa per entrare nelle cellule: se blocchi quella chiave, puoi fermare il virus", spiega Gambotto a Repubblica. "Il successivo lavoro sulla MERS ci ha permesso poi di trovare la via più efficace per somministrare il vaccino, ovvero i microaghi". I 400 microaghi sono lunghi 0,5 millimetri e larghi 0,1 millimetri, sono fatti di carbossimetilcellulosa (polimero derivato dalla cellulosa) e quando entrano nella pelle si sciolgono liberando la proteina "spike". "A questo punto il sistema immunitario si rende conto che è un corpo estraneo al nostro organismo e inizia a produrre gli anticorpi contro di essa - spiega Gambotto - quando poi la persona vaccinata viene infettata dal virus, gli anticorpi ingloberanno rapidamente le particelle del virus e bloccheranno l'infezione".La pelle prima barriera.
La scelta di questo sistema di somministrazione ha a che fare con il fatto che la pelle è la prima barriera del nostro corpo contro virus e batteri. "È come la muraglia di un castello, e proprio per questo è ben presidiata dal sistema immunitario: la pelle è uno dei posti migliori per generare una risposta immunitaria rilevante, superiore a quella che si ha iniettando nel muscolo - sottolinea Gambotto - un altro vantaggio è che se si inietta un vaccino nel muscolo, questo si diluisce in tutto il corpo, quindi per generare una risposta forte serve una maggiore quantità di vaccino. Invece l'iniezione attraverso la pelle tramite microaghi è localizzata: c'è una concentrazione del vaccino molto più elevata, tutte le cellule immunitarie vanno ad attaccare l'invasore e basta una quantità minore di vaccino per dare l'immunità".Minore quantità di vaccino.
La minore quantità di vaccino - ne serve tra 1/5 e 1/10 di quello che servirebbe con una classica iniezione con siringa - richiesta è un vantaggio soprattutto quando bisogna produrre quantità enormi di vaccino per rispondere all'emergenza di una pandemia. E il particolare sistema di iniezione tramite i microaghi è un altro punto di forza del vaccino studiato a Pittsburgh: "I microaghi proteggono la proteina spike, liberando i medici dalla necessità di conservare il vaccino attraverso la catena del freddo - sottolinea Gambotto - questo significa che il vaccino è più facilmente trasportabile anche nelle zone più povere del pianeta". I risultati sperimentali sui topi sono promettenti: un test dopo due settimane dall'iniezione del vaccino mostra che i topi hanno già sviluppato anticorpi specifici contro il Sars-Cov-2. "Gli anticorpi maturano progressivamente, diventano più potenti e selettivi contro il virus, e dopo 5-6 settimane dalla prima iniezione se ne sviluppa una quantità sufficiente ad arrestare la malattia - spiega Gambotto - naturalmente dovremo condurre la sperimentazione clinica per assicurarci che quanto abbiamo visto nei topi possa replicarsi anche nell'uomo: entro 1-2 mesi - a seconda della celerità della FDA americana nell'autorizzarci - dovremmo essere in grado di far partire la sperimentazione clinica, che - magari limitata agli studi di fase 1, vista l'emergenza mondiale della pandemia - potrebbe concludersi entro altri 2-3 mesi. La sperimentazione clinica ci aiuterà a calibrare la dose giusta di vaccino che può essere efficace con l'uomo. Se questa fase si concluderà con successo, il vaccino potrebbe essere pronto per la produzione industriale entro 5 mesi da ora".https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/04/02/news/coronavirus_il_vaccino_e_un_cerotto-252966328/
domenica 22 marzo 2020
Marco Ranieri coordinatore rianimazioni.

Ha inventato il respiratore che si collega a due pazienti.
(ANSA) - BARI, 22 MAR - Il professore Marco Ranieri, dell'Università Alma Mater Studiorum di Bologna, colui che ha ideato un respiratore capace di collegarsi a due persone invece che a una, comincia da oggi a collaborare con la Regione Puglia.
Lo comunica il presidente Michele Emiliano.
"Il professore - dichiara Emiliano - rafforza da oggi la nostra squadra per affrontare l'emergenza Covid-19, con il compito di coordinare e integrare la rete delle terapie intensive. Lo ringrazio per la sua scelta e ringrazio l'Università di Bologna e il suo dipartimento di scienze mediche per averci concesso la sua collaborazione. Lavoreremo fianco a fianco per la lotta a questa malattia. La collaborazione sarà determinante anche per offrire alla Puglia l'esperienza che il medesimo sta facendo nel fronteggiare il Covid19 in Emilia Romagna potendo così anticipare le mosse che devono essere compiute nel nostro territorio". L'incarico è stato affidato nell'ambito di un più ampio accordo di collaborazione tra Regione Puglia e Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche dell'Alma Mater Studiorum.
Marco Ranieri è nato a Bari, dove si è laureato in Medicina e Chirurgia e si è specializzato in anestesia e Rianimazione. Ha studiato e lavorato a Toronto, per poi tornare a Bari come ricercatore. Ordinario dal 2002, ha diretto i dipartimenti di anestesia e rianimazione degli ospedali Molinette (Università di Torino) e Policlinico Umberto I (Sapienza Università di Roma). Dal 2018 è professore ordinario dell'Alma Mater di Bologna e dirige la terapia intensiva del Sant'Orsola di Bologna. (ANSA).
http://www.ansa.it/puglia/notizie/salute_welfare/2020/03/22/marco-ranieri-coordinatore-rianimazioni_ab2f6483-831b-4766-9644-b9c905c72334.html
mercoledì 20 dicembre 2017
Università, il governo scrive male il bando: saltano 6mila finanziamenti per associati e ricercatori. - Lorenzo Vendemiale

Gli esecutivi Renzi e Gentiloni avevano stanziato 45 milioni di euro per 15mila contributi, ma i criteri di accesso ai fondi erano troppo (e inutilmente) stretti. Risultato: le borse di studio sono diventate 9mila, oltre il 35% si è perso per strada, nonostante ci fossero altri 5mila posti da assegnare e oltre 17mila domande arrivate.
mercoledì 25 novembre 2015
Scandalo Università, le raccomandazioni dei saggi: Barbera spinge Pizzetti junior. - Antonio Massari
Dall'inchiesta della Procura di Bari emerge un sistema di scambi di favori per aggirare il sorteggio dei commissari in base alla riforma Gelmini e assecondare gli interessi dei baroni ai concorsi universitari. Il costituzionalista de Vergottini chiede notizie di due "protette". Pressioni anche per l'ex ministro di Berlusconi Anna Maria Bernini. Barbera si informa sul figlio dell'ex garante della privacy: "Per l'Università Europea c'è il ragazzo che mi interessa?". Ma il concorso salta per rivalità interne.
“È il decano, è il capo di tutti”: così viene ricordato in un’intercettazione Giorgio Lombardi, morto da pochi giorni, nel maggio 2010. Pochi mesi prima, al telefono, sostiene: la riforma Gelmini ha delle norme complicate che però non daranno troppo fastidio. E con Ferrari–collega alla Bocconi di Milano – ingaggia la corsa per recuperare i voti dei docenti che, di lì a poco, avrebbero formato la rosa dei sorteggiabili. Ferrari si rivolge al collega Pier Giuseppe Monateri, che può agire sugli eleggibili del gruppo di diritto privato comparato. E nell’estate 2009 Monateri gli invia una lista di 20 nomi affidabili. Una seconda mail elenca i probabili vincitori di concorso: 8 su 11 ce la faranno. E quindi: più voti ci si accaparra, nella rosa del sorteggio, più è possibile manipolare le future maggioranze nelle commissioni. Gli altri professori intercettati commentano: Ferrari ha vinto le elezioni ma Lombardi è in maggioranza nei concorsi che gl’interessano e, in fondo, è lui che ha vinto l’estrazione. De Vergottini dopo il sorteggio parla di “tragedia”: hanno vinto i lombardiani. C’è chi sostiene: a Lombardi basta scrivere su un foglietto i suoi nomi e la partita è già vinta a tavolino. Ma l’obiettivo di Lombardi qual è? Eccolo: Anna Maria Bernini e Federico Gustavo Pizzetti devono diventare professori di Diritto pubblico comparato. La prima, professoressa associata di Diritto pubblico comparato a Bologna, in quel periodo era parlamentare del Pdl e ministro del governo Berlusconi. Il secondo è figlio di Francesco Pizzetti, ordinario di Diritto costituzionale a Torino, all’epoca dei fatti presidente dell’Autorità garante per la privacy. Per l’accusa, la Bernini, in passato aveva aiutato il figlio di Lombardi per la sua carriera diplomatica e gli aveva anche promesso un sostegno per l’eventuale elezione a giudice costituzionale. A maggio si consuma il dramma personale di Lombardi che, ammalato, è sul punto di morire: dieci giorni prima di spirare, parla al telefono con il collega Luca Mezzetti, al quale dice parole che suonano come una sorta di testamento.
“Ora sei tu il padrone”, gli dice, consapevole che dovrà abbandonare l’impegno per il concorso. E gli affida Bernini e Pizzetti, pregando Mezzetti di non affossare le candidature, spiegandogli che può contare sui commissari Gambino, Ganino e Giovanni Cordini. Lo invita alla prudenza con il rivale Ferrari. Dieci giorni dopo Lombardi muore. E in poche ore si consuma il tradimento: Mezzetti contatta Ferrari parlandogli di “interessi comuni”. Nell’estate 2010 gli investigatori si concentrano sul concorso che riguarda Pizzetti e Bernini, nell’Università cattolica romana dei Legionari di Cristo, e si convincono che il rettore, padre Paolo Scarafoni, al centro delle indagini, è consapevole degli illeciti. Lombardi lascia il ruolo di commissario a Mezzetti, che a sua volta lo cede a Ferrari, anche lui dimissionario. Il concorso finisce nel nulla: ma gli investigatori, dalle intercettazioni, apprendono delle pressioni di Pizzetti senior che, in cambio della nomina di suo figlio, s’impegna a premere sui colleghi torinesi, commissari nell’Università Roma Tre, per favorire un’allieva di Ferrari.
venerdì 13 febbraio 2015
Schettino in cattedra: Tar, sospeso prof.
Confermata da Tribunale sospensione per 2 mesi senza stipendio.
martedì 18 novembre 2014
Università: ecco la classifica delle facoltà più “inutili”, secondo Almalaurea.
Il consorzio universitario che si occupa della ricerca dati dell’istruzione italiana ha pubblicato la classifica delle facoltà con la più alta percentuale di disoccupati a un anno dalla laurea. Nella top ten ci sono ben 9 università umanistiche.


