Il consorzio universitario che si occupa della ricerca dati dell’istruzione italiana ha pubblicato la classifica delle facoltà con la più alta percentuale di disoccupati a un anno dalla laurea. Nella top ten ci sono ben 9 università umanistiche.
La facoltà più inutile d’Italia? E’ Giurisprudenza. Almeno a guardare i dati del consorzio interuniversitario Almalaurea che ha pubblicato di recente la classifica dei corsi universitari con la più alta percentuale di disoccupati a un anno dalla laurea. Una precisazione va fatta subito, come del precisa lo stessa Almalaurea: per quanto possa trattarsi di una pubblicazione utile per gli studenti ancora indecisi in questi ultimissimi giorni d’iscrizione, è comunque una graduatoria da prendere con le molle vista la presenza di numerose variabili che entrano in gioco. Ad ogni modo in testa, come detto, c’è Giurisprudenza con il 24% dei disoccupati, seguita da Psicologia (18%) e Lettere (15%). Chiude la classifica Sociologia con l’11% di disoccupazione.
Le “inutili” facoltà umanistiche
Ciò che si evince da questa davvero poco onorevole classifica è che le facoltà umanistiche sono indubbiamente quelle che producono il numero più alto di laureati inadatti alle esigenze del mercato del lavoro. Non a caso, le prime nove facoltà con il maggior numero di senza lavoro a un anno dalla laurea sono tutte umanistico/letterarie: Scienze sociali, Lingua e letterature straniere, Scienze della comunicazione e Scienze politiche, Arte e design e Filosofia, sei facoltà con un tasso occupazionale compreso fra il 14 e l’11%. Per trovare una facoltà tecnico-scientifica bisogna scendere al decimo posto con Agraria. ”Fuori concorso” sono invece Medicina e Chirurgia, Ingegneria, Biotecnologie, Farmacia e Scienze Statische che registrano il più alto tasso di occupazione in Italia.
I dati di Almalaurea non devono però essere interpretati alla lettera. Nel senso che l’utilità di una facoltà piuttosto che un’altra non può essere considerata esclusivamente sulla base dei riscontri occupazionali. Vanno infatti considerati anche fattori soggettivi: fondamentalmente, cosa ci piace fare. In altre parole, l’istruzione non è finalizzata unicamente alla realizzazione nel mercato del lavoro, ma contribuisce al nostro benessere anche in altri ambiti della vita personale. Inoltre, va considerata anche la qualità dell’inserimento professionale e non solo la quantità: oltre al guadagno e all’effettivo utilizzo delle competenze bisogna riflettere anche sul peso che ha la soddisfazione personale della scelta di una facoltà. Altra cosa importante: non ci si può limitare a verificarne gli effetti solo ad un anno dalla laurea. Insomma, il bagaglio di esperienze e conoscenze di cui ci dotiamo all’università ci accompagna lungo tutta la vita.
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