Visualizzazione post con etichetta concorsi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta concorsi. Mostra tutti i post

domenica 6 febbraio 2022

Università, radiografia del sistema dei baroni. “Presa Diretta” riparte dai concorsi truccati. Iacona: “La lobby dei prof si oppone a riforme”. - Thomas Mackinson

 

L'INTERVISTA - Da lunedì 7 febbraio su Rai3 riparte il programma d'inchiesta condotto da Riccardo Iacona che dopo 13 anni torna a varcare i portoni delle università e li trova infestati dalla piaga dei concorsi pilotati. "La pandemia per un verso e le sfide del Pnrr per l’altro ci dicono che la partita si gioca sulle competenze date dall’alta formazione. Richiedono ricerca, capacità, etica. Ma la Scienza in Italia sembra contare solo a parole". Poi la Rai, la libertà di informazione nel servizio pubblico. Ecco cosa vedremo nella nuova stagione.

Concorsi truccati, la campanella suona per tutti. Un’ora e mezza in tv, in prima serata. Non era mai successo. Lunedì prossimo parte la13esima edizione di “Presa Diretta” su Rai3 e lo fa aprendo la stagione con una puntata che indaga a fondo il male endemico dell’università italiana: la piaga dei concorsi accademici truccati e delle baronie. Riccardo Iacona ha deciso di trattare in prima persona il nodo del sistema di assegnazione delle cattedre con un reportage ampio, che dalla Sicilia passa per Firenze e arriva a Tor Vergata, sulla scia di tre clamorose inchieste della magistratura. Un viaggio nel “cuore malato” del sistema di selezione dei docenti, con una valigia di documenti d’indagine, testimonianze e intercettazioni e una domanda sul taccuino che interroga tutto il Paese: l’Italia deve rassegnarsi al fatto che i “migliori” siano selezionati così, con sistematica devianza da merito e competenza, e che il sistema universitario smetta di essere la fabbrica della conoscenza e delle competenze? Spoiler: la risposta, come spesso accade, si trova purtroppo, ancora e sempre fuori dall’Italia. Iacona, classe 1956, da 35 in Viale Mazzini (con parentesi da editto bulgaro), ha voluto condurre personalmente l’inchiesta che apre la nuova stagione, tornando sul “luogo del delitto” e mettendo il coltello nella piaga.

Perché hai deciso di ripartire da qui?
Da “ragazzino”, ormai si può dire, avevo fatto “Viva la ricerca”. Fu trasmesso nel 2009 in prima serata e portò alla ribalta nazionale il tema delle scarse risorse che stavano portando all’asfissia un settore così strategico per l’innovazione ed elevazione del Paese nella competizione globale. A distanza di 13 anni ho intrapreso questo nuovo viaggio tra i “concorsi pilotati”, altro grande male dell’alta formazione, certificato negli ultimi cinque-sei anni da una serie impressionante di inchieste della magistratura. L’ambizione è andare oltre la cronaca, per indagare il nocciolo di questo fenomeno.

Che effetto ti han fatto?
Molta impressione, davvero. Non ti aspetteresti mai che la Digos debba entrare in una alta accademia come l’università di Catania e di scoprire le cose che racconteremo in prima serata lunedì sera. Mi ha molto colpito constatare che ogni volta che le Procure mettono l’occhio o le microspie scoprono che le procedure di reclutamento sono illegali, che le persone entrano o vanno avanti non tanto per il merito ma per l’appartenenza. I nostri giovani non possono far altro che subire o replicare a loro volta questi meccanismi, in alternativa lasciare l’Italia. E magari sono proprio i migliori.

Dei baroni però si parla da anni, perché infilare ora il dito nella piaga?
Perché la pandemia per un verso e le sfide del Pnrr per l’altro ci dicono che la partita si gioca sulle competenze date dall’alta formazione che richiedono ricerca, capacità, etica. E’ nelle università che si forma la classe dirigente che può fare scelte di salute pubblica, mettere mano a buoni progetti, spendere bene le risorse. Ma se nei luoghi a questo deputati i docenti sono scelti con meccanismi di mera cooptazione la sfida si perde in partenza. Sentirete un procuratore che definisce quel sistema “mafioso”. Se ti metti contro, se fai ricorso, ti isolano col bollo dell’infamia. Ma parte del problema è che queste cose quasi non fanno più scandalo.

La politica che responsabilità ha avuto?
Molte, ha chiuso gli occhi per anni sulla riduzione dei fondi per la ricerca. Poi ha trattato l’università come marginale, favorendone così l’autoreferenzialità e lasciando che tutto il sistema di reclutamento si adagiasse su una legalità che è solo apparente: ad ogni concorso devi costruire una commissione nazionale, col costo che ha, che lavora per confermare una scelta già fatta a monte, senza una reale comparazione. Del resto, basta parlare coi protagonisti che hanno vissuto soprusi terribili per rendersi conto della violenza di questo sistema di cooptazione tribale vestito da concorso. Ma la politica spesso non ascolta.

E che cosa può fare?
Abbiamo intervistato la ministra, che è ben consapevole che questo meccanismo di selezione fallisce proprio nello scopo per cui è stato costruito, quello di premiare i migliori anziché pupilli e raccomandati. Lei mette in campo alcune soluzioni tecniche che sono anche dure e quasi rivoluzionarie, ad esempio cancellare l’articolo 24 che consente di bandire concorsi solo per candidati interni.

Ma se ne parla poco. Ci sono resistenze?
Nel Milleproroghe diversi parlamentari vogliono perpetuare quel sistema, perché c’è una “lobby dei professori” anche in Parlamento. Il concorso interno si chiama così ma nella pratica conferisce potere di nomina che hai nelle mani: se glielo togli non puoi più accomodare le persone che hai deciso di portare avanti. Altra cosa è l’abolizione del concorso per l’abilitazione nazionale della Gelmini, altra proposta della ministra che toglierebbe agli ordinari nazionali delle singole discipline il potere di decidere chi deve fare carriera e chi no.

E allora chi deve mettere mano al problema dei concorsi?
L’università da sola non lo può risolvere, perché è complice. E’ una partita troppo importante per lasciarla in mano solo a chi ci lavora. Andrebbe messa su un “”tavolo in cui c’è la magistratura, la politica, la società civile per uscire fuori dal ghetto dell’agenda politica dove sta l’università e tirarla su. La nostra ambizione è di dare un contributo di conoscenza che favorisca questa consapevolezza nel Paese, non per nulla lo approfondiamo per 90 minuti in prima serata, senza accontentarci di fare la cronaca giudiziaria ma afferrandone la complessità.

Clima impazzito, la nuova Guerra Fredda tra Usa e Cina, criminalità digitale. Tra le inchieste della nuova stagione c’è anche “Amore bestiale”, tutta sugli animali domestici. E’ una scelta bizzarra per un programma d’inchiesta.
In effetti è un tema che in tv viene trattato come servizio di coda, noi invece faremo una puntata visionaria che mi piace molto. Presa Diretta è l’unico programma della tv italiana privata e pubblica generalista che tutte le settimane propone un monografico che ha l’aspirazione di raccontare per 90 minuti un fenomeno senza fare il “magazine”. Tutte le cose che scegliamo hanno la larghezza narrativa giusta per andare a fondo.

E cosa vedremo?
E’ una puntata che merita 90 minuti. Racconta una trasformazione antropologica di cui ci rendiamo conto quando andiamo in giro per strada: ci sono più cani e gatti che figli. Gente che parla ai cani come agli umani. E poi ci accorgiamo di quanto pesi l’industria che ci gira attorno, comprese le onoranze funebri per cani e gatti, i gelati per loro. C’è un mondo che vive attorno ai nostri amici. E ti domandi cosa è successo. Solo facendo i monografici riesci in qualche modo a mettere l’occhio nel medio futuro, nel mondo che sarà. E sarà un mondo dove animali di ogni genere e grado rispondono a un bisogno di cura che in realtà è nostro. Nasce iscritto nel Dna per i figli, ma si sta spostando sui cani. Sullo sfondo, il declino demografico. Un puntata visionaria, secondo me.

A proposito di visioni. Sì è visto Berlusconi nei panni del candidato al Colle: come sta oggi il rapporto tra politica, Rai e giornalismo?
Tra politica e giornalismo d’inchiesta c’è un fisiologico corpo-a-corpo ed è anche giusto così. Succede in tutto il mondo. I giornalisti portano avanti il loro racconto, la politica deve tenerne conto, l’opinione pubblica è in mezzo e apprende cose che non sapeva. Direi che ora anche in Italia c’è più di uno spazio all’interno della Rai per raccontare in maniera indipendente la realtà e quello che ci circonda.

Dunque è chiusa la stagione degli editti?
Diciamo che in Italia ci sono precedenti pericolosi di cui tenere conto. Non si era mai visto in Europa un presidente del Consiglio che dalla Bulgaria fa un editto contro i conduttori sgraditi e trovi orecchie pronte nell’azienda pubblica per chiudere programmi di grande successo, come erano quelli di Biagi, Luttazzi e Santoro. Chiaro che quella vicenda ha lasciato un segno, ma non è più il tempo in cui l’occupazione politica della Rai da parte degli uomini di dell’ex premier era persino militare, l’epoca dei palinsesti studiati a tavolino con la concorrenza.

C’è più spazio per l’approfondimento giornalistico?
Il sistema della televisione nel suo complesso resta bloccato: c’è un conflitto di interessi ancora molto potente, un mondo privato consistente in mano sempre all’ex presidente del Consiglio. Ma nel frattempo ci siamo ripresi i nostri spazi di libertà, parliamo direttamente al nostro pubblico. E se facciamo un buon lavoro, ci ascolta anche il cosiddetto “mondo della politica”.

L’antidoto all’interferenza?
Fare un buon lavoro. Ci hanno consegnato una prima serata, possiamo fare 90 minuti di racconto. Li vogliamo fare bene e fare in modo che le persone che li vedono siano più ricche, proprio come succede a noi ogni volta che affrontiamo un argomento. Non raccontiamo le cose che già sappiamo o pensiamo siano così per un pregiudizio ideologico o politico. Noi ci buttiamo nel mare del racconto, anche quando è in tempesta, in maniera libera, dai diversi punti di vista. La fontana della libertà resta aperta se racconti in maniera onesta quel che ci sta accadendo nella sua complessità. Il resto non serve a nulla, sono fumetti, non approfondimento giornalistico.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/06/universita-radiografia-del-sistema-dei-baroni-presa-diretta-riparte-dai-concorsi-truccati-iacona-la-lobby-dei-prof-si-oppone-a-riforme/6481454/?fbclid=IwAR0OMmjwaSNPerMEw7BAdRxQWQib3X2UdL78916o1Ch7n1D-i0ARYjEDsjc

martedì 5 ottobre 2021

Ateneo Firenze, 9 a giudizio per il concorso di Medicina: c’è anche l’ex rettore Luigi Dei. - Antonio Massari

 

Lo “scandalo Careggi” va a giudizio e il processo inizierà il 1º febbraio 2022. Tra gli imputati si contano nomi eccellenti. Tra i nove imputati c’è anche l’ex rettore dell’Ateneo di Firenze, Luigi Dei. Il processo riguarda una serie di presunte irregolarità che, secondo l’accusa, sarebbero state realizzate durante la procedura universitaria per selezionare, all’interno del dipartimento di medicina sperimentale dell’Università di Firenze, un professore associato di Cardiochirurgia. Tra gli imputati anche Monica Calamai che all’epoca dei fatti era la direttrice generale dell’Azienda ospedaliero universitaria di Careggi. E poi ben sette professori universitari, tra i quali Pierluigi Stefano, ovvero il candidato che si vide assegnare la cattedra con la procedura contestata dalla Procura.

L’accusa per Dei e Calamai è quella di abuso d’ufficio. Un abuso che, sempre secondo le accuse, si sarebbe realizzato attraverso le loro pressioni affinché la commissione affidasse a Stefano il posto di professore associato. Stefano era già direttore della Sod complessa di cardiochirurgia dell’Aou di Careggi (parliamo di equipe mediche specialistiche – come spiega sul suo sito proprio l’azienda universitaria ospedaliera fiorentina – che prendono in carico il cittadino e lo seguono nel percorso assistenziale). In questo modo Stefano avrebbe seguito sia la cardiochirurgia universitaria sia quella ospedaliera.

L’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli, nel 2019 ha avuto un impulso anche grazie all’arrivo in Procura di una lettera anonima: “So che l’anonimato non rappresenta il massimo – scriveva il denunciante –, ma non tutti hanno la forza e la possibilità di seguire strade giudiziarie”. L’anonimo “accademico di Medicina di Careggi” allegò alla sua lettera un elenco di 11 nominativi per altrettanti concorsi e aggiunse: “Per dimostrarle che non mi sbaglio Le indicherò i vincitori dei concorsi accademici in atto prima ancora che molte commissioni presiedute dai baroni di Careggi si siano ancora insediate”. Un anno e mezzo fa si scopre che l’anonimo ci aveva visto giusto in 7 casi su 11. E il Gip ieri ha disposto il rinvio a giudizio, in alcuni casi anche con l’accusa di corruzione (slegata a una utilità in denaro: in sostanza uno scambio di favori), con il processo che partirà tra 4 mesi. Prima udienza del processo l’1 febbraio 2022.

ILFQ

mercoledì 17 marzo 2021

Concorsi, un anonimo annunciò ai pm i vincitori. - Antonio Massari

 

La lettera - L’inchiesta sulla corruzione al Careggi parte da una soffiata: “Si vive in un silenzio omertoso”. I pm hanno riscontrato le sue parole.

“Oggetto: delazione anonima”. È il 23 ottobre 2019 quando il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli, invia al suo capo Giuseppe Creazzo, il testo di una lettera che è appena giunta sulla sua scrivania: “Mi pregio trasmettere per le relative determinazioni l’allegata delazione anonima proveniente da un asserito ‘accademico di Medicina di Careggi’”. Nel linguaggio tra togati, le “relative determinazioni”, altro non sono che l’avvio di un’indagine. L’asserito “accademico di Medicina di Careggi” chiude la sua missiva con queste parole: “So che l’anonimato non rappresenta il massimo, ma non tutti hanno la forza e la possibilità di seguire strade giudiziarie. Spero che possiate interrompere questa vergogna!”. Eppure due anni prima, era il 2017, un ricercatore universitario ebbe la forza di denunciare: il suo nome è Philip Laroma Jezzi – oggi è professore associato a Firenze – e grazie al suo esposto e alle prove prodotte fu avviata l’indagine che disvelò il baronaggio operato in tutta Italia nel diritto tributario. Fu il primo grande terremoto nell’ateneo fiorentino. E non fu l’ultimo. L’anno successivo un’altra inchiesta travolse la facoltà di Medicina e, in questi giorni, siamo di fronte alla terza ondata causata dalla nuova indagine condotta da Tescaroli e dal pm Antonino Nastasi.

Pur non avendo il coraggio di Laroma – che ha sempre sostenuto di non essere un “eroe” ma di aver fatto solo il suo dovere: denunciare – l’anonimo “accademico di Medicina di Careggi” ha comunque dato un notevole impulso all’indagine. Ha infatti allegato alla sua lettera 11 nominativi per altrettanti concorsi. “Per dimostrarLe che non mi sbaglio – scrive l’anonimo a Tescaroli – Le indicherò i vincitori dei concorsi accademici in atto prima ancora che molte commissioni presiedute dai baroni di Careggi si siano ancora insediate”. Circa 18 mesi dopo bisogna ammettere che in 7 casi su 11 l’anonimo l’ha azzeccata in pieno. Il primo dei nominativi vince il 14 ottobre 2019, quindi prima che la lettera giunga in procura, mentre il secondo risultato lo azzecca 24 ore dopo che Tescaroli ha trasmesso la missiva a Creazzo. E il lato più incredibile sta nel fatto che il vincitore indicato – come sottolineerà qualche mese dopo la Guardia di Finanza – è anche l’unico candidato. Il terzo vaticinio è datato 31 dicembre 2019: l’anonimo ha individua 3 nuovi professori ordinari su 3. Trattandosi di un anonimo, e non sapendo se i professori indicati siano indagati per i concorsi in questione, in questa sede decidiamo di non menzionarli. Se decidiamo di pubblicare le parole dell’anonimo è perché il suo scritto non soltanto è un atto depositato nell’indagine, ma è anche uno degli inneschi principali che hanno portato Tescaroli e Nastasi ad avviare l’indagine che oggi conta una trentina di professori indagati – molti per corruzione – tra i quali il rettore Luigi Dei. Nessuno scambio di denaro poiché il do ut des riguarda la spartizione delle nomine nei concorsi.

Prima di tornare al nostro anonimo segnaliamo che Tescaroli allega, alla comunicazione inviata a Creazzo, anche una nota, pubblicata dall’associazione Trasparenza e Merito, con la quale l’Osservatorio indipendente sui concorsi universitari aveva segnalato – proprio al Rettore, oltre che all’Anac e al Miur – probabili criticità su alcuni dei concorsi mezionati dall’anonimo. Un dettaglio che getta sulla vicenda una luce ancora più incredibile.

“Gentilissimo”, scrive l’anonimo a Tescaroli, “sono un accademico di Medicina di Careggi, penalizzato ed escluso dalla mafia dei baroni che da anni decide vita e morte di una classe di medici che, salvo rarissime eccezioni, in un silenzio omertoso, accetta di buon grado ogni decisione, qualunque essa sia, sperando un giorno di coronare il suo sogno di mediocre universitario: avere la cattedra! Bene, dopo i recenti scandali, nulla è cambiato (…). Ho letto con entusiasmo che la vicenda cattedropoli le è stata affidata e confido nella sua integerrima capacità di perseguire l’attività illecita, già dimostrata in veste di pm in processi chiave del nostro paese. Sappia che non uno dei concorsi che si stanno svolgendo è regolare. Praticamente tutti sono caratterizzato da bandi profilati atti a facilitare un vincitore, che nel 90% dei casi è un interno, spesso unico candidato presente! È una vergogna!”.

Non sappiamo se davvero il 90% dei concorsi è truccato – e ci auguriamo che non sia così – e ovviamente la “mafia dei baroni”, espressione molto dura, non ha nulla a che vedere con la mafia, che Tescaroli conosce molto bene per averla combattuta sin da giovanissimo pm in Sicilia. Però l’anonimo aveva visto giusto: nonostante le indagini in corso da anni, secondo l’accusa, le spartizioni e le corruzioni continuavano. Nonostante le segnalazioni delle associazioni, ancora una volta, si è dovuto attendere l’azione della magistratura.

ilFQ - 17.3.2021

giovedì 18 aprile 2019

Pagavano fino a 15 mila euro per un diploma falso che aprisse le porte della scuola pubblica. - Jacopo Ricca

Pagavano fino a 15 mila euro per un diploma falso che aprisse le porte della scuola pubblica
Inchiesta a Torino: nel mirino 150 tra segretari e bidelli.
Pagavano fino a 15mila euro per avere un diploma falso, ma anche per lavorare nella scuola privata e ottenere così un punteggio alto per avere un contratto nelle scuole pubbliche come bidelli, tecnici o segretari. I racconti fatti ai sindacati dai lavoratori, licenziati in questi mesi dalle scuole del Torinese che – su invito dell'Ufficio scolastico provinciale – hanno avviato i controlli sulle certificazioni, confermano come dietro all'intera vicenda ci sia un'organizzazione.
Sul caso - rivelato da Repubblica Torino oggi in edicola - arriva una condanna unanime da parte dei sindacati: “Quanto è accaduto è inaccettabile. Va tutelato il diritto di chi si è comportato in modo onesto e condannato chi porta avanti pratiche truffaldine – tuona Luisa Limone, segretaria regionale della Flc Cgil - Il numero dei posti disponibili e delle assunzioni a tempo indeterminato è molto più basso di quanto servirebbe e deve però far riflettere che si sia arrivati a questa situazione. Mi sembra molto preoccupante per il sistema. Va apprezzato l'atteggiamento degli uffici scolastici regionale e provinciale. Il passo successivo però deve guardare verso una stabilizzazione dei precari”. Durissima anche la segretaria torinese della Cisl Scuola, Teresa Olivieri: “I falsi e chi li ha fatti vanno condannati – ragiona – Trovo che sia inquietante anche la disponibilità alla truffa di queste persone che sapevano, nella maggior parte dei casi, che i diplomi erano falsi e si sono piegati a pagare cifre importanti”.
Da ottobre a oggi almeno 110 persone sono state licenziate e la posizione di 146 è al vaglio della procura di Torino dopo che l'Usp ha segnalato il caso ai magistrati. Le false attestazioni e i lavoratori arrivano tutti da Campania, Calabria e Sicilia: “Dopo alcune segnalazioni da parte delle scuole abbiamo ritenuto opportuno un intervento sulla tematica – racconta il direttore dell'USp Stefano Suraniti - L'inserimento di numerosi aspiranti con età molto giovane con punteggio molto alti, sia per i titoli che per i servizi svolti era sospetto anche perché i titoli spesso erano conseguiti in scuole paritarie di altre regioni e il servizio era svolto, spesso per poche ore, in scuole paritarie di altre regioni; pertanto abbiamo chiesto alle scuole di verificare il versamento dei contributi presso l’Inps ed è spesso risultato che tale versamento era assente”.
La cosa è stata confermata anche dai sindacati che hanno raccolto le lamentele di queste persone: “Per lavorare un'ora o due a settimana e avere il massimo punteggio a fine anno pagavano somme importanti, dai 5 ai 15mila euro a seconda del periodo e delle attività – raccontano i sindacalisti – C'è chi ha rinunciato a un lavoro al Sud per trasferirsi qua e ora ha perso tutto”.