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lunedì 24 giugno 2024

IL MISTERO DI CHI C’ERA PRIMA DEGLI EGIZI.

 

Analizzando la storia egizia, risulta evidente che la loro civiltà non partì completamente “da zero”. Alcuni dei massimi capolavori della civiltà egizia sono stati creati quando questo popolo era appena agli inizi del suo sviluppo. Risulta quindi piuttosto evidente che i “primi egizi” si sono appoggiati alla tecnologia di qualcuno vissuto nella stessa zona geografica prima di loro. Facciamo qualche esempio.
In base alla ricostruzione della storia fatta dagli egittologi, la “Piramide a gradoni di Djoser” è una sorta di “pietra di paragone” per tutte le piramidi che si trovano in Egitto. Questa è la prima piramide di cui si è ragionevolmente certi di conoscere il costruttore, il committente e il periodo di costruzione. Venne costruita per ordine del faraone Djoser, dietro progetto del suo famosissimo funzionario Imhotep, verso il 2.630 a.C. Su questa piramide, quindi, sono tutti abbastanza d’accordo.
Ne deduciamo che, ogni piramide che, in maniera ipotetica, si trovasse sul suolo egiziano ma che risulterebbe essere “precedente” alla “Piramide a gradoni di Djoser”, costruita verso il 2.630 a.C., non potrebbe essere considerata “egizia” nel senso che noi oggi diamo a questo termine. Sarebbe stata costruita da qualcuno che è venuto prima dei faraoni. I faraoni, quindi, si sarebbero solo limitati a “prenderne” possesso, facendola apparire come “roba loro”. Le cose sono andate così? Facciamo alcuni esempi basati sulle ultime scoperte della scienza.
Con una rilevazione effettuata con il metodo della “Luminescenza stimolata otticamente (OSL)”, compiuta dal Dipartimento di Archeometria dell´ Università dell’Egeo, in Grecia, è stato rilevato che la roccia calcarea del tempio di Qasr-el-Sagha può risalire addirittura al 5550 a. C. (datazione media: 4700 ± 850 a.C.). Questo tempio può essere fino a 3.000 anni precedente alla Piramide di Djoser.
Usando lo stesso metodo di datazione, si è scoperto che Il granito rosso utilizzato per coprire la base della facciata della Piccola Piramide (Piramide di Micerino), esaminato con questo moderno sistema di datazione restituisce come data più antica il 4.400 a.C. (Datazione media 3450 ± 950 a.C.). Quella roccia può essere sta posta anche 2.000 anni prima della costruzione della Piramide di Djoser. E parliamo dello strato esterno della piramide, che potrebbe essere stato restaurato in tempi successivi. Il sui ‘cuore’ può essere molto più antico.
Chi ha edificato quelle e altre costruzioni che noi chiamiamo comunemente ‘egizie’? Certo non gli ‘egizi’ che noi conosciamo…
L’articolo continua sul libro:
HOMO RELOADED – 75.000 ANNI DI STORIA NASCOSTA

sabato 8 giugno 2024

ANUNNAKI.

 

Tecnologia aliena o ingegno umano?
Alcuni storici affermano che le antiche strutture megalitiche sono state costruite dagli esseri umani e non dalla tecnologia extraterrestre. Sostengono che non ci sono prove di un intervento alieno, nonostante la mancanza di prove che questa tecnologia umana sia stata tramandata o continuata fino ad oggi dalla nostra civiltà. Sono scettico sulle capacità e le conoscenze dei nostri antenati per aver realizzato la costruzione di queste meravigliose strutture.
L'argomentazione a favore dell'uso di tecnologia aliena per costruire antiche strutture megalitiche dipende da diversi punti chiave che sfidano la comprensione tradizionale delle capacità umane durante i periodi in cui queste strutture sono state costruite. Ecco gli elementi principali di questa argomentazione:
1. Precisione e scala inspiegabili
La precisione e la scala delle strutture megalitiche come la Grande Piramide di Giza, Stonehenge e le mura in pietra di Sacsayhuamán in Perù sono sorprendenti. Le pietre utilizzate in queste costruzioni pesano spesso diverse tonnellate, con alcuni blocchi a Baalbek in Libano che pesano fino a 1.200 tonnellate. La precisione, con cui vengono tagliate e poste queste pietre, spesso senza l'uso di malta, sfida le note capacità delle antiche civiltà. Ad esempio, le pietre di Puma Punku in Bolivia sono intrecciate con una tale esattezza che nemmeno una lama di rasoio può stare tra di loro.
2. Mancanza di strumenti e metodi adeguati
Nonostante le approfondite ricerche archeologiche, non sono state trovate prove conclusive degli strumenti o dei metodi che gli antichi esseri umani avrebbero potuto usare per costruire queste strutture. L'assenza di attrezzi da taglio, macchinari o tecniche adeguati nei registri storici suggerisce che queste civiltà possedessero conoscenze o tecnologia che da allora sono andate perdute. Le teorie che coinvolgono semplici attrezzi e personale non riescono a spiegare in modo convincente il trasporto e la collocazione di pietre enormi su grandi distanze e terreni acciuffanti.
3. Conoscenza avanzata e matematica
I costruttori di queste strutture mostrarono una comprensione avanzata di matematica, astronomia e ingegneria. L'allineamento della Grande Piramide con il vero nord, l'intricata conoscenza degli eventi celesti incorporati nel design di Stonehenge, e la sofisticata comprensione dell'acustica nella costruzione di antichi anfiteatri indicano un livello di raffinatezza che supera la conoscenza registrata del tempo. Ciò suggerisce la possibilità di influenza o guida esterna.
4. Riferimenti culturali e mitologici
Molte culture antiche hanno miti e leggende che parlano di dei o esseri del cielo che condividevano conoscenza con i primi umani. I Sumeri parlavano degli Anunnaki, esseri discesi dal cielo. Allo stesso modo, gli antichi testi egizi fanno riferimento al dio Thoth, che ha portato la conoscenza all'umanità. Aztechi, Maya, Incas e altre civiltà in tutto il mondo hanno miti simili. Queste narrazioni coerenti tra culture e regioni disparate, suggeriscono un'esperienza condivisa o un'influenza da una fonte esterna avanzata.
5. Anomalie energetiche e manufatti tecnologici
Alcuni siti megalitici mostrano insolite letture di energia e anomalie elettromagnetiche difficili da spiegare con la scienza convenzionale. Inoltre, alcuni reperti trovati in questi siti, come il meccanismo di Antikythera, dimostrano una raffinatezza tecnologica che appare fuori luogo nel loro contesto storico. Questi artefatti potrebbero essere resti di tecnologia avanzata impartita da visitatori extraterrestri.
6. Continuità della tecnologia.
L'argomentazione secondo cui gli antichi esseri umani hanno costruito queste strutture, ma non hanno continuato a sviluppare o utilizzare tecnologia simile nei millenni successivi è sconcertante. Se gli esseri umani avessero sviluppato autonomamente la tecnologia necessaria, ci si aspetterebbe di vedere una continua evoluzione e applicazione di questa conoscenza. C'è invece una lacuna notevole nel registro archeologico, dove la conoscenza sembra essere andata perduta o completamente dimenticata.
Conclusione.
Mentre gli storici e gli archeologi tradizionali sostengono che l'ingegno umano e lo sforzo sono stati responsabili di queste strutture megalitiche, i numerosi aspetti inspiegabili della loro costruzione invitano a considerare spiegazioni alternative. La mancanza di un corrispondente sviluppo tecnologico, la straordinaria precisione e scala, le conoscenze avanzate richieste e i riferimenti culturali agli esseri del cielo sostengono l'ipotesi che la tecnologia extraterrestre abbia avuto un ruolo nella costruzione di queste antiche meraviglie. Accettare questa possibilità apre nuove strade per comprendere il nostro passato e le potenziali influenze che hanno plasmato la prima civiltà umana.

Per maggiori informazioni visita il gruppo ANNUNAKI-SAVING EARTH

venerdì 22 settembre 2023

Eccezionale scoperta in Zambia: una costruzione in legno risalente a quasi mezzo milione di anni fa.

 

Alcuni frammenti di legno potrebbero cambiare la prospettiva su come vivevano i nostri antenati e mettere in dubbio il nomadismo delle comunità primitive.

Risalgono a 476mila anni fa le più antiche tracce di una costruzione in legno opera di esseri umani e sono state trovate in Africa nel 2019. Oggi, uno studio pubblicato su Nature, rivela l'importanza della scoperta. 

La costruzione, rinvenuta nei pressi delle cascate di Kalambo in Zambia, è elementare - una coppia di tronchi sovrapposti, incastrati tra loro con un intaglio - ma potrebbe cambiare radicalmente le conoscenze finora acquisite sulla vita degli antichi esseri umani e mettere in dubbio il nomadismo delle comunità primitive.

È noto da tempo che, già milioni di anni fa, i nostri antenati usassero utensili in pietra sempre più evoluti per molte funzioni, come intagliare il legno per costruire altri strumenti o per accendere il fuoco ma si riteneva che le prime abitazioni fossero comparse molto tempo dopo.

Lo studio del gruppo di scienziati dell'Università di Liverpool guidato da Larry Barham potrebbe cambiare completamente lo scenario.

I tronchi sono lavorati in modo da combaciare tra loro, uniti con delle corde per formare una struttura più grande che aveva forse proprio una funzione abitativa.

Fin da subito è stato chiaro che si trattava di reperti antichi, ma il problema era datarli, poiché le tecniche di datazione tradizionali non riuscivano ad andare abbastanza in profondità nel passato.

In questo studio, i ricercatori hanno utilizzato un nuovo metodo chiamato datazione a luminescenza, che sfrutta minuscoli minerali presenti nella sabbia per stimare quanto tempo i materiali sono stati sepolti risalendo alla data della loro ultima esposizione alla luce solare.

Utilizzando questa tecnica innovativa, i ricercatori hanno potuto stabilire che la basica costruzione lignea risale a 476mila anni fa, circa 300 mila anni prima di qualsiasi altro ritrovamento del genere.

La conservazione di reperti in legno è molto molto rara in natura e se confermata potrebbe obbligare a retrodatare di molto la nascita delle prime strutture abitative stabili.

Secondo lo studio, i tronchi incrociati potrebbero essere la base di una struttura più grande, come una passerella o una piattaforma: “Ecco come la vedo io: questa è una struttura su cui poi si possono aggiungere altre cose, come una piattaforma”, dice ad Associated Press il professor Barham.

La datazione colloca la struttura in un'epoca precedente all'evoluzione dell'Homo sapiens. Secondo gli autori, sarebbero stati realizzati da un nostro cugino primitivo, forse l'Homo heidelbergensis, un ominide vissuto tra i 600.000 e i 100.000 anni fa e che all'epoca era presente in Africa.

Ciò, secondo Barham, indica che questi uomini dell'età della pietra potrebbero essere stati più progrediti di quanto si pensasse in precedenza: “È quella che definisco una scoperta dirompente […] suggerisce che i primi esseri umani, i primi ominidi prima di noi, erano effettivamente in grado di fare cose di cui ci meraviglieremmo se le facessimo noi. Quindi non si tratta solo di utensili di pietra, ma anche di legno. Possono trasformare il loro ambiente. Possono costruire cose che durano nel tempo. È una novità”.

In passato si pensava che queste persone fossero cacciatori e raccoglitori che si spostavano da un luogo all'altro, senza mai fermarsi a lungo in un sito. Ma la semplice struttura dimostrerebbe che avevano messo radici.

Alcuni frammenti di legno potrebbero cambiare la prospettiva su come vivevano i nostri antenati.

https://www.rainews.it/video/2023/09/eccezionale-scoperta-in-zambia-una-costruzione-in-legno-risalente-a-quasi-mezzo-milione-di-anni-fa-7becfad4-ad94-40e9-9cbf-9cccd633e519.html?nxtep&fbclid=IwAR2L4XhxIyS7_xt5zJIEzycAQXXhoJM9WwCZggRCrgSSlbxUT6CkADmpiC4

lunedì 15 maggio 2023

L’ ENIGMA EGIZIO.


La Grandi Piramide di Cheope contiene un enigma di cui nessuno storico o archeologo preferisce parlare. Tutti gli archeologi sono concordi nel dire che la struttura della piramide è composta da circa 2.400.000 blocchi di roccia con un peso che varia tra le 2 e le 70 tonnellate. Ciascuno di questi blocchi di roccia è stato posizionato con una precisione assoluta, visto che la piramide ha un margine di errore di solo 1 centimetro alla base, e di solo 1 grado di allineamento verso il nord. Un risultato simile si ottiene oggi solo con dei sistemi di costruzione guidati dai laser.

Ma non è la precisione con cui è stata costruita la Grande Piramide a lasciare impressionati. E nemmeno vogliamo addentrarci sul modo in cui sono stati trasportati i blocchi. La “domanda dalle cento pistole” è invece un’altra: quanto tempo ci hanno messo? Perché è questa “la domanda di tutte le domande” da farsi?

Ammesso che gli operai egizi siano riusciti a tagliare, trasportare e posizionare 1 blocco al giorno, per costruire la Grande Piramide ci sarebbero voluti esattamente (2.400.000 : 365) anni, vale a dire 6.575 anni per terminarla. Questo vuole dire che la piramide, data per terminata nel 2.500 a.C. circa, sarebbe stata iniziata come minimo nel 9.000 a.C. Ma secondo gli archeologi la Grande Piramide venne costruita in soli 10 anni verso il 2.500 a.C. Cosa comporta questa affermazione?

Per essere costruita in circa 10 anni, come insegna l’archeologia ufficiale, calcolando che si lavorava solo con la luce del giorno e quindi 10 ore al giorno, ogni blocco della piramide deve essere stato tagliato, trasportato e posizionato al ritmo di meno 1 ogni minuto, ossia uno ogni 60 secondi o poco più. (1 blocco x 60 minuti x 10 ore x 365 giorni x 10 anni) = 2.190.000. Vi immaginate un gruppo di lavoratori dotati di strumenti teneri come il rame, che non conoscono nemmeno la ruota in quel tempo, tagliare blocchi da 2 a 70 tonnellate, trasportarli su tronchi tramite rampe e posizionarne 1 ogni minuto senza interruzione, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno, per 10 anni? Io onestamente ho qualche difficoltà.

La Grande Piramide fu sicuramente costruita da gente che viveva nel posto in cui è stata rinvenuta. Ma è piuttosto evidente che il tempo in cui venne realizzata, e forse anche gli autori che la realizzarono, probabilmente non sono quelli che in molti pensano.

L’articolo continua sul libro:
51 50 35 - L’INCONFESSABILE VERITA’ SULLE PIRAMIDI

Lo può trovare al seguente link:
https://www.amazon.it/dp/B09PJJM763

https://www.facebook.com/photo/?fbid=255096677037653&set=a.166635502550438

domenica 31 luglio 2022

ENOCH, FU IL COSTRUTTORE DELLA GRANDE PIRAMIDE D’EGITTO? - Deslok

 

Le piramidi egizie nascondono un mistero che non è ancora stato svelato. Mentre alcuni archeologi ritengono che siano una creazione degli antichi egizi, ci sono anche voci che affermano che siano state costruite da una civiltà superiore agli esseri umani per l’elaborazione di tali miracoli dell’architettura.

La piramide di Cheope (Khufu) si è sempre detto e pensato essere stata costruita dagli egizi. Sì, dice Giorgio A. Tsoukalos, gli antichi Egizi costruirono le piramidi, ma sotto la guida degli dei. Se il Faraone Cheope costruì la Grande Piramide, perché non c’è nessuna statua a rappresentarlo?

Una così grande costruzione, che resiste nel tempo, indica in qualche modo una megalomania. Allora perché la sua statua non è stata trovata nella piramide?

LA PIRAMIDE DI CHEOPE, ERA UN’ANTICA CENTRALE ELETTRICA?

Alcune teorie affermano che la piramide di Cheope (Khufu) era una specie di centrale elettrica.

L’unico motivo per cui è conosciuta come Khufu / Cheope è dovuto ad un graffito vittoriano. Quando il colonnello Howard Vyse entrò nella Grande Piramide, era determinato a lasciare il suo nome come egittologo.

Anche se in quel momento il colonnello Vyse scrisse nel suo diario che non trovò nessun blocco inciso o scritto, due anni dopo, quando pubblicò il suo libro, scrisse di aver trovato una blocco di pietra “verniciato” rosso con il nome del Faraone Cheope . Questa è l’unica fonte che fa riferimento alla datazione della piramide che risale al tempo di Khufu, (2500 anni a.C.) , perché i ricercatori credono che allora Khufu abbia governato l’Egitto.

Due studenti dell’Università di Dresda, in Germania, sono riusciti a “rubare” un campione dalla vernice  e portarla al laboratorio in Germania per un’analisi e datazione del carbonio. Il campione era troppo piccolo per essere datato, ma i ricercatori hanno trovato qualcosa di incredibile: la vernice non è stata applicata al blocco originale ma ad uno strato che è stato successivamente aggiunto alla riparazione della grande piramide.

LA PIRAMIDE E’ MOLTO PIÙ ANTICA DI QUELLO CHE SI DICE 

Un’altra fonte che ci fornisce gli indizi che la piramide è molto più vecchia dell’attuale datazione, è l’Inventory Stela, dal quale troviamo che il faraone Khufu ha riparato la Sfinge, e da questo deduciamo che la Sfinge era già antica in quel momento.

Secondo gli scritti dello scrittore arabo AL – Mqriti, La Grande Piramide fu costruita prima della grande inondazione da un certo re chiamato SAURID.

La ricerca ha rivelato che SAURID è quello che la società ebraica chiama ENOCH.

Enoc fu portato in cielo dall’ Arcangelo Mikail, ed Enoch fu informato che un grande cataclisma stava per accadere e istruito su come costruire la grande piramide come un “magazzino di conoscenza” raccolte finora, e quindi nulla sarebbe stato perso dopo la grande alluvione. Così, tornando sulla terra, Enoch iniziò la costruzione della Grande Piramide, costruita con l’aiuto degli angeli.

a cura di HTM

COSA SUCCEDEREBBE SE TUTTO QUELLO CHE SAPPIAMO FINORA SULLA GRANDE PIRAMIDE FOSSE SBAGLIATO?

https://www.hackthematrix.it/?p=15349&feed_id=130438&_unique_id=62e5a2dae86da&fbclid=IwAR0VdNGHfP6h_hLzO2dlzgiB3-L49-FyGq4wBuSZHiry59Ts8Hl12j3XpvA

venerdì 27 agosto 2021

Università: un miliardo del Pnrr in regalo ai privati. - Alessandro Bonetti

 

La soluzione sul modello dell’housing sociale.

Perdersi nelle centinaia di pagine del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e dei suoi allegati è molto facile e molte scelte del governo, pur assai rilevanti, rischiano di finire in secondo piano nel dibattito pubblico: è passata quasi inosservata, ad esempio, la riforma degli alloggi per gli studenti universitari e invece siamo, di fatto, di fronte a un vero e proprio regalo agli immobiliaristi.

Prima, però, facciamo un passo indietro. Il Covid ha costretto molti cosiddetti “fuorisede” ad abbandonare la città dove studiavano e ancora oggi le incognite restano tante. Certo, il prezzo degli affitti sembra essere leggermente sceso (-2,5%), ma sul ritorno in presenza delle lezioni pesa la mancanza di un’organizzazione condivisa e ben ragionata. Le criticità emerse con la pandemia si sono innestate su problemi strutturali, come i ritardi nell’assegnazione dei posti letto e le disomogeneità fra regioni. La scarsità degli alloggi disponibili fa sì che negli studentati viva solo il 5% degli universitari italiani, contro una media europea del 17% (dati Eurostudent).

In questo contesto di disagio, la versione definitiva del Pnrr prevede lo stanziamento di 960 milioni di euro per la residenzialità studentesca. L’obiettivo? Portare i posti per gli studenti fuorisede dagli attuali 40 mila a oltre 100 mila entro il 2026.

Come raggiungere questo traguardo? Eccoci giunti al punto cruciale: la revisione della legge 338/2000 e del decreto legislativo 68/2012 sulla realizzazione degli alloggi studenteschi. La riforma prevede “l’apertura della partecipazione al finanziamento anche a investitori privati, o partenariati pubblico-privati” e una lunga serie di altre concessioni ai signori del mattone.

Innanzitutto il governo sosterrà la “sostenibilità degli investimenti privati” con un regime di tassazione agevolato (“simile a quello applicato per l’edilizia sociale”). Poi, i nuovi alloggi potranno essere utilizzati dai gestori in modo “flessibile”. In altre parole, quando non serviranno a ospitare studenti, potranno essere affittati a terzi. Non solo: saranno ammorbiditi anche i requisiti sugli spazi comuni minimi. In cambio, i gestori dovranno soltanto provvedere a camere singole “meglio attrezzate”.

Infine, la ciliegina sulla torta. Il ministero dell’Università e della Ricerca coprirà in anticipo (!) ai privati gli “oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture”. In sintesi, il governo riempirà generosamente di soldi pubblici le tasche dei costruttori privati, nella speranza che ciò possa triplicare gli alloggi studenteschi disponibili in Italia. Questa misura, che il Pnrr definisce una “architettura innovativa e originale”, nel migliore dei casi sarà un pasto gratis per gli immobiliaristi. Nel peggiore, non scalfirà il problema dei posti letto. In ogni caso, il percorso legislativo è stato avviato, dato che alcune delle modifiche previste dal Pnrr sono già state inserite nel recente decreto Semplificazioni.

Fra i diretti interessati (ossia gli studenti) inizia a serpeggiare qualche malumore. Giovanni Sotgiu, coordinatore dell’Unione degli Universitari, dice al Fatto: “L’intervento previsto nel Pnrr per aumentare i posti letto nelle residenze universitarie va nella direzione giusta, ma è sicuramente ancora insufficiente se si guarda al numero totale di immatricolazioni e lo si rapporta alla percentuale di beneficiari di posti letto”. Per Sotgiu l’aumento della soglia di cofinanziamento statale è positivo, ma “è necessario che i fondi raddoppino e si lavori sugli standard di qualità degli alloggi, oltre che sul numero”.

Non sono solo queste le preoccupazioni degli universitari. Sotgiu sottolinea che “la possibilità di cofinanziamento da parte dei privati, in un ambito determinante per l’accesso all’università pubblica di tante studentesse e tanti studenti, rischia di conferire una discrezionalità sui criteri di accesso alle residenze – come è già accaduto a Venezia – che può facilmente rivelarsi limitante ed escludente, ampliando le già note disuguaglianze territoriali”. Che fare, allora? “Stato e Regioni dovrebbero stanziare la quantità di finanziamenti sufficienti a coprire in toto il fabbisogno di posti alloggio, così da non dover subordinare i criteri di accesso agli interessi dei privati”.

Non c’è da nascondersi dietro un dito: la torta degli affitti studenteschi fa gola a molti. Nel settore alcuni si stanno già muovendo. Un esempio? Dopo i Giochi di Milano-Cortina del 2026, il villaggio olimpico diventerà in parte uno studentato, di cui si occuperà la Coima sgr dello sviluppatore Manfredi Catella, che gestisce 27 fondi immobiliari e vale 8,4 miliardi di euro di investimenti.

Invece di realizzare un massiccio piano di residenzialità pubblica, nel Pnrr si è insomma deciso di supportare (e garantire) gli investimenti privati. Il diritto allo studio, così, rischia di passare in secondo piano. Su un punto cruciale della vita universitaria, che avrà un impatto su migliaia di giovani, il governo sembra aver rinunciato a intervenire con decisione e coraggio.

ILFQ

Chi ha deciso che io debbo pagare anche le università private? E chi ha deciso che, se voglio mandare mio figlio a studiare nelle università private debbo pagare retta, vitto e alloggio?
Lo hanno deciso gli stessi che approfitteranno, come sempre hanno fatto di tutto, tanto pago io per agevolare loro??
Dimenticavo, abbiamo Draghi a presiedere il Consiglio dei Ministri...
c.

venerdì 29 aprile 2016

Le case magiche in bambù di Elora Hardy: «Vi spiego perché è il materiale del futuro». - Alessandro Frau



Il bambù oltre a raggiungere altezze notevoli è estremamente forte: «Sbatteteci quattro tonnellate dritte su un’estremità e lui resisterà». In più è cavo, quindi leggerissimo: «Cresce intorno a noi. È forte, elegante. Addirittura antisismico».

«Quando avevo nove anni mia madre mi chiese come volevo che fosse la mia casa e io disegnai un fungo fatato. Non penso che capissi quanto fosse insolito e forse, visto quello che faccio, non lo capisco neanche oggi». Sì, perché la specialità di Elora Hardy è costruire case, anche di sei piani, interamente in bambù.

Le caratteristiche di una pianta (quasi) sconosciuta

In questi anni Elora ha imparato una cosa: «Se rispettate e usate il bambù correttamente vi ricompenserà». Nata in Indonesia, ma formatasi negli Stati Uniti dove ha lavorato nel settore della moda, la giovane designer è tornata nei luoghi della sua giovinezza per portare avanti un progetto ambizioso che lega il passato e il futuro, l’artigianato e le nuove tecnologie. Tutto grazie ad un materiale di cui le persone sanno ben poco.
Il bambù è una pianta selvatica che cresce su terreni scomodi come profondi burroni o versanti di montagne. Si nutre semplicemente di acqua piovana e luce solare: «La cosa sorprendente è che delle 1450 specie diverse di bambù ne usiamo solo 7». Elora ha imparato l’importanza di questa pianta dal padre che, oltre a studiarne le caratteristiche, ha dato vita a diverse piantagioni: «Ogni anno tira su una nuova generazione di germogli che crescono in pochissimo tempo. Anche un metro in 3 giorni in qualche caso. Un ricambio continuo».
Il bambù oltre a raggiungere altezze notevoli è estremamente forte: «Ha la resistenza a trazione dell’acciaio e la resistenza alla compressione del cemento. Sbatteteci quattro tonnellate dritte su un’estremità e lui resisterà». In più è cavo, quindi leggerissimo. Può essere trasportato agevolmente ed è un materiale sostenibile di cui difficilmente l’uomo sarà sprovvisto in un prossimo futuro: «Cresce intorno a noi. È forte, elegante. Addirittura antisismico».
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La nascita di Ibuku

Insieme ad un team formato da designer, architetti e artigiani, Elora ha fondato, cinque anni fa, Ibuku. «È l’unione di due parole importanti: madre (ibu) e mia (ku). Un nome che vuole richiamare la madre Terra e il rapporto profondo che l’umanità ha con lei».
La missione che guida i membri di Ibuku è semplice: «Costruire un nuovo tipo di edifici nel rispetto di quello che ci circonda e senza rinunciare ai lussi e ai comfort.Negli ultimi anni abbiamo costruito oltre 50 strutture uniche, per lo più a Bali. Tutto quello che facciamo viene realizzato a mano; scegliamo ogni singolo pezzo trovando le soluzioni adatte per ogni abitazione». Sono tutti dotati di mobili su misura e sono circondati da orti. Solo in alcuni casi, ad onor di cronaca, vengono utilizzati chiodi d’acciaio da collocare in strategici punti strutturali.
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Ogni progetto, inoltre, viene prima realizzato in 3D, con la costruzione di modelli in scala con lo stesso materiale che poi verrà adoperato realmente: «Poi portiamo il modellino nel luogo dove sorgerà l’edificio. Vagliamo il materiale e procediamo alla realizzazione dell’opera. È una vera e propria arte».
Ibuku ha creato anche altre strutture utili per la popolazione indonesiana. Un esempio? Con il bambù è stato costruito un ponte, sopra un fiume, lungo ben 22 metri: «Ma quello che facciamo non è qualcosa di interamente innovativo. La Storia ci insegna che questa pianta è stata utilizzata in tutte le regioni tropicali del mondo. Da sempre. Noi ne raccogliamo l’eredità».

Come vincere il senso di precarietà

In passato, tutto quello che è stato costruito con il bambù non ha resistito all’azione di alcuni insetti e delle intemperie naturali. Senza alcune misure di protezione, infatti, la pianta è soggetta a deterioramento: «Il bambù non trattato si riduce in polvere. Questa è stata la sfida più grande. Convincere le persone che vivere in una casa fatta con questo tipo di legno non sia un segno di povertà e precarietà».
Per trasformare il bambù in un materiale da costruzione valido, il team di Ibuku usa il borace, un sale naturale estremamente efficace: «Con il nostro trattamento e cure particolari, una casa può durare una vita senza dare alcun tipo di problema».
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La Green School di Bali

Nove edifici fanno parte di una scuola, la Green School, dove gran parte dei professionisti di Ibuku insegna e dove si porta avanti una filosofia di salvaguardia e rispetto dell’ambiente: «È una promessa che mio padre ha fatto ai bambini: costruire qualcosa con un materiale che non si esaurirà sotto i loro occhi ma di cui potranno servirsi in futuro».
Ma il messaggio che Elora lascia è ancora più importante: «Lasciatevi ispirare dal bambù. La cultura balinese promuove e valorizza l’artigianato e la creatività. Non ci sono due pali uguali, due linee uguali. Il vocabolario e il linguaggio solito dell’architettura non sono applicabili qui. Abbiamo inventato nuove regole ascoltando il bambù, cercando di capire cosa desiderasse diventare».
Nonostante il progetto stia avendo un riscontro sempre più internazionale, la ragazza non ha dimenticato da dove è partita: «All’interno della scuola ho realizzato il mio sogno e ho costruito anche la mia casa ideale, il famoso fungo fatato». Ovviamente, fatto di bambù.